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Autore: Joseph Bell    19/01/2011    1 recensioni
Una volta si riteneva che lavorare in banca fosse un mestiere tranquillo, sicuro e senza rischi. Samuel Donovan potrebbe non essere d’accordo. Tra cassette di sicurezza, bombardamenti della Luftwaffe, intrighi internazionali e nobiluomini eccentrici, un giovane impiegato di banca inglese e la sua amata moglie scoprono cosa è accaduto a Sherlock Holmes durante il cosiddetto Hiatus. Dimenticate le Reichenbach e preparatevi a viaggiare, parecchio.
Note dell’Autore: prima di qualsiasi cosa debbo ringraziare miss Bellis, senza di lei questa opera non sarebbe mai nata. Poi debbo precisare che quella che andrete a leggere è un’opera di fantasia liberamente ispirata ai personaggi di Sir Arthur Conan Doyle. Ogni altro personaggio, luogo o situazione è frutto della fantasia di chi scrive.
Tutti i personaggi realmente esistiti citati nel racconto non hanno mai preso parte a colpi di stato, distribuzione su larga scala di sostanze stupefacenti o sovvertimenti di governi legittimi. Solamente miss Bellis ed io, alle volte, ci dilettiamo a sovvertire il vassoio del tè procurando tanto rumore ed un congruo numero di cocci rotti. Per pura curiosità, chi fosse interessato agli eventi legati al crack della Banca Romana può consultare la pagina apposita di Wikipedia.
Buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II  -  Come salvai le carte e la pelle

 

Quelli che passarono alla storia come i “bombardamenti Baedeker1” finirono nell’ agosto del 1941, con l’apertura del fronte russo. Nonostante il Terzo Reich avesse tante armi e tanti soldi, non poteva permettersi di mantenere una guerra contro di noi ed una contro l’Unione Sovietica.

Da un anno vivevamo a casa dei miei genitori , a Clapham, ci eravamo trasferiti in fretta e furia la notte in cui la nostra casa di Luton venne semidistrutta dai bombardamenti che colpirono la Bedford.

 Nel mentre era nato anche il piccolo Charles Matteo, il meraviglioso bambino che Bess mi aveva donato.

La filiale della Banca di Londra presso cui lavoravo, venne distrutta da una bomba a dicembre del 1940 e così, da quella data, entrai nel personale volontario di sicurezza Nazionale distaccato a Clapham.

Debbo confessare che il lavoro non era eccessivo, la paga discreta, anche se neppure lontanamente paragonabile a quella che percepivo in banca, ma in compenso il tempo da dedicare alla mia famiglia era molto; nel complesso, quindi, potevo ritenermi fortunato.

Una mattina, i primi di settembre del 1942, mentre svolgevo il mio servizio di volontario presso la stazione di Clapham, accogliendo i profughi che come me avevano avuto una casa distrutta dalle bombe, mi capitò di vedere una famiglia benestante scendere dal treno delle 12 e 40. Il padre era un signore rispettabile, di mezz’ età, con una valigia di cuoio marrone, la madre, una signora indaffarata a tenere uniti i due bambini, un maschietto ed una femminuccia. Fu proprio la vista dei bambini a far scattare nella mia mente qualcosa che ormai avevo cancellato. Come in un’istantanea colsi il maschietto mentre cercava di tenersi stretta una scatola di costruzioni, una scatola metallica troppo grande per lui e che a fatica teneva sotto il braccio. Urlai:

“I documenti!”

Molta gente si spaventò, alcuni si girarono, altri gridarono scompostamente “al ladro!”, cercando qualcuno che poteva aver rubato dei non meglio identificati documenti nella ressa della banchina ferroviaria.

A fine turno tornai a casa rassegnato. Pensai che non avrei mai più rivisto quelle carte, ormai sicuramente carbonizzate tra le macerie. Ma come sempre il mio angelo custode, mia moglie, era in agguato:

“Prova!” mi disse Bess mentre riscaldava il latte per il piccolo Charles “Stasera, prendi il treno per Luton, ci vorranno più o meno venti minuti da qui, vai a casa, sempre che esista ancora e cerca!”

L’inguaribile ottimismo di Bess aveva il potere di far sembrare semplice la più drammatica delle avventure, tuttavia io obiettai:

“Scusa, ma cerchiamo di essere logici, perché poi dovrei tornare li? Per di più al solo scopo di cercare dei pezzi di carta!”

“Ah, questo non lo so di certo! Ma tu mi hai detto che eri dispiaciuto per aver perso i documenti di Watson ed io ti ho dato un parere” dopo un attimo di pausa, in cui provò il calore del latte sul suo polso, proseguì “certo, se fosse per me ti direi di andarci di corsa, vorrei tanto sapere i dettagli dell’ indagine del Faro o dei Reali olandesi”

Guardai mia moglie, che aveva assunto un’aria sognante, mentre dava la poppata a nostro figlio, e le dissi:

“Ma che stai dicendo? Cos’ è il faro? E che c’entrano i Reali olandesi?” al che lei seccata:

“Prendi i documenti e torna qui, intanto io cerco di farmi prestare qualche vecchia copia dello Strand dal parroco, così capirai meglio!”

“Lo Strand?”

“Vai, non ti preoccupare, quando tornerai capirai tutto”

 

Alle 20 e 15 presi il treno per Luton. Nei miei programmi avevo pensato di andare a quel che restava della mia casa, in non più di mezz’ora cercare la scatola e tornare alla stazione alle 9e 50, in tempo per prendere il treno per il ritorno. Un’ operazione abbastanza folle, di sicuro, ma se era vero che la fortuna aiuta gli audaci, allora tanto valeva fare una prova.

Al fischio del capotreno seguì lo stridore delle ruote della motrice, dopo qualche sbuffo nero ero lanciato a cinquanta miglia orarie sulla ferrovia locale. In tasca avevo del pane con roastbeef, previdentemente preparato dalla mia Bess. Il vagone era semideserto, c’ era solo un’ anziana signora seduta in testa, vicino la porta di comunicazione con l’altra carrozza, il cui capo ciondolava ad ogni sobbalzare del treno.

Arrivai a Luton alle 20 e 35. Quello che era un gaio paesino del Bedfordshire appariva come un rudere. Molte le case crollate ed i negozi chiusi. Le tende dell’ esercito nelle piazze erano il segno che la popolazione residente non aveva voluto, o forse non aveva potuto, abbandonare il proprio paese. Camminai tra le rovine delle case lungo St. Mary Road. Erano  rimasti pochi edifici integri e la cosa mi parve molto strana, dal momento che quando partimmo da li la situazione non era certo così catastrofica. Pensai che forse, durante la nostra assenza, si erano verificati altri bombardamenti, ma la mia ipotesi stava per essere confutata, peraltro in modo assai sgradevole.

Vidi dietro una casa ancora integra la sagoma di una grande gru a vapore. Mi avvicinai. Ai piedi della struttura metallica c’erano quattro operai che stavano bivaccando. Chiesi loro:

“Scusate il disturbo, ma come mai tutte queste case sono crollate? Ci sono stati altri bombardamenti?”

Uno degli operai, messo da parte il pasto, si alzò dicendomi:

“No, signore, abbiamo avuto ordine di abbattere tutte le case pericolanti dopo il bombardamento del luglio dell’ anno scorso”

Raggelai, pensando che non avrei mai più rivisto i miei documenti:

“Siete già arrivati a Church street?”

“No, non ancora, abbiamo cominciato da appena dieci giorni.” Forse intuendo le mie intenzioni, l’operaio proseguì “Ma, non credo che la lasceranno avvicinare ai ruderi, sono tutti pericolanti e poi c’è la ronda dei volontari, per scongiurare i casi di sciacallaggio.”

“Capisco, grazie, buon proseguimento, arrivederci”

Mi affrettai lungo la strada, fino a scorgere da lontano la chiesa di St. Mary, sorprendentemente rimasta indenne. Evidentemente la mia casa cadeva sul margine più esterno dell’area colpita dalla bomba e questo fece si che i danni fossero limitati alla sola facciata.

Salii i gradini pericolanti della mia vecchia casa. Fino ad arrivare all’appartamento. Tutto era rimasto grossomodo come quella sera, tranne che nella camera da pranzo, dove per l’assenza del muro di facciata tutte le suppellettili ed i mobili avevano subito gli insulti delle intemperie.

In mezzo a quella assordante desolazione, venni colto da un raptus di follia:

“Perché non mangiare qui?” mi dissi e, presa una sedia, mi sedetti di fronte all’ immensa finestra come uno spettatore in galleria. Lo spettacolo era crudele: devastazioni, bivaccamenti improvvisati, tende, ma anche una certa industriosità dei miei concittadini nel cercare di ricostruire tutto ciò che avevano perso. Alla data di oggi, dopo trenta anni, posso dire che al posto di quella graziosa casetta georgiana e dell’ intero isolato, adesso c’è un grande parcheggio che serve il vicino aeroporto. All’ epoca, però non mi posi il problema di cosa sarebbe successo dopo, cavai di tasca il panino fatto da mia moglie e mi misi a mangiare relativamente sereno.

Qualcosa sibilò vicino il mio orecchio, l’intonaco del muro, dietro di me, saltò in piccole schegge mentre una voce dalla strada gridava:

“Chi va la! Fermo o sparo!”

La situazione era talmente assurda che una mia reazione di spavento, seppure perfettamente normale, sarebbe parsa fuori luogo.

“Non è un po’ troppo tardi per avvertire?” dissi “prima si avverte, poi si spara, casomai. Fatto così è un po’ inutile, no?” non feci a tempo a finire la frase che un soldato, giunto dietro di me, mi puntò il fucile alla schiena intimandomi di rimanere fermo.

“Sono il proprietario di questo appartamento, e sono un volontario della protezione nazionale distaccato a Clapham” dissi addentando il panino e rimanendo seduto, poi volgendomi verso il militare, con la bocca ancora piena  “vuol favorire?”

Evidentemente il soldato si sentì preso in giro , poiché mi assestò un colpo alla base del collo con il calcio del fucile

“In piedi!” mi disse dopo che rovinai cadendo dalla sedia

“Vuol vedere i miei documenti?” tossii gattonando verso un appiglio per potermi alzare

“Vediamo, forza!”

“Eccoli!” e tirai ai suoi piedi il mio portafogli, il soldato lo aprì e dopo un po’ me lo porse dicendomi:

“Lei ha rischiato pesantemente, signor Donovan. Avrei potuto colpirla in piena fronte poco fa”

“Non credo, la sua mira è veramente scadente” replicai “e se adesso non le spiace vorrei finire di mangiare, ho il treno tra esattamente venti minuti” dissi guardando con noncuranza l’orologio.

“Non è possibile signore, quest’area è sottoposta ad interdizione, debbo chiederle di abbandonare subito questo edificio, lo dico per lei, signore, è pericoloso!”

Richiusi il panino nella carta oleata, lo rimisi in tasca e mi diressi verso il mobile della credenza che giaceva rovesciato sul pavimento.

“Vorrebbe essere così gentile da aiutarmi a sollevare questa credenza?” dissi al militare “ci sono dei documenti di mia proprietà che debbono assolutamente essere recuperati”

“Va bene, signore, ma dopo lei scomparirà da qui, vero?”

“Ma certo, oltretutto, mi creda, non mi trattiene davvero nulla!”

Il soldato mise il fucile a tracolla e mi aiutò a spostare il mobile di chiaro rovere inglese. Lo sportello della credenza non voleva saperne di aprirsi, ma cedette alle dolci lusinghe della baionetta del militare, rivelando la tanto sperata scatola di metallo. La presi malcelando una certa impazienza e scappai giù per i gradini dopo aver ringraziato il soldato ed avergli detto:

“Mi raccomando, chiuda bene quando esce!”.

 

1, Bombardamenti Baedeker: serie di bombardamenti effettuati sul suolo inglese dalla Luftwaffe nel marzo del 1942. Il nome deriva da una popolare guida turistica della Gran Bretagna molto diffusa in Germania ed edita dalla Karl Baedeker Verlag.


  
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