CAPITOLO IV – La febbre, la pozione magica e l’interprete italiana
Mi svegliai il giorno dopo con il sole già alto e nessuno vicino a me. Avevo gli occhi gonfi e la testa pesante. Provai ad alzarmi dal letto con l’unico risultato di rovinare nuovamente sul materasso dopo aver fatto una piroetta. Non mi sentivo molto bene, chiamai Bess la quale venne con in braccio il piccolo Charles. Vedendomi in quello stato pietoso e dopo avermi messo una mano sulla fronte sentenziò:
“Hai la febbre. Sam, sei riuscito ad ammalarti ad agosto! Come hai fatto?”
“Non lo so, ma sto male, Bess”
“No, ma stai tranquillo, non è influenza” mi rassicurò mia moglie “Sicuramente è l’eccessiva fatica di questi giorni che ti ha ridotto così” uscì dalla stanza continuando a parlare “Adesso vado a cercare qualcosa per rimetterti a posto, tu aspetta qui, non ti muovere, vado anche da Christiansen a dirgli che oggi non potrai essere di servizio” riapparve nella stanza, vestita di tutto punto, dopo pochi minuti “mi raccomando, non ti muovere!”
Era improbabile, e posso garantire che lo è tutt’oggi, tentare di fermare mia moglie. Il suo temperamento mediterraneo, affatto mitigato da ormai quasi quarant’anni di cittadinanza britannica, la porta spesso a travolgere, anche fisicamente, qualsiasi cosa o persona che non si allinei al suo pensiero. Quindi nemmeno mi sforzai di chiederle dove andasse, chiusi gli occhi e mi riaddormentai.
Mi risvegliai quando una goccia d’acqua ghiacciata iniziò a colarmi lungo il collo. Aprii gli occhi e scorsi mia madre alle prese con delle pezze bagnate che mi disponeva sulla fronte ad intervalli regolari. Sorrisi e le chiesi
“Sai dove sia Bess?”
“Si, è tornata poco fa, è con tuo padre in cantina”
“In cantina?”
“Si, ha detto che le serviva del vino”
“Per cosa?”
La risposta stava per arrivare, un intenso profumo fruttato precedette nella camera la bella figura di Bess, la quale comparve con una candida e grande tazza in mano.
“Eccoci qui, questa è la cura” si avvicinò al comodino e vi posò sopra la tazza, mentre io e mia madre la osservavamo curiosi.
“Sam, dove sono i fiammiferi?”
“I fiammiferi? Nella tasca della giacca, perché?” Senza rispondere, Bess trovò la scatola di zolfanelli, ne accese uno e lo accostò al bordo della tazza. Una fiamma di almeno sei pollici si levò dal candido contenitore in ceramica, estinguendosi spontaneamente dopo poco. Mia madre, inorridita, si levò in piedi gridando:
“Che diavoleria è mai questa? Non vorrai far bere quella cosa al mio Sam?”
Bess si voltò verso mia madre, dopo avermi avvicinato la tazza e disse pacifica:
“Signora, si tratta di un…tonico, la ricetta me l’ha insegnata mia nonna. Bevi, Sam, ti sentirai subito meglio”
Una sostanza di colore marrone scuro e di consistenza spessa, riposava nella bianca tazza di ceramica, l’odore era decisamente invitante, ma non appena iniziai a berla, sentii come un fuoco divorarmi i visceri. Feci per abbassare la tazza, ma mia moglie mi fermò forzandomi a trangugiare tutto sino all’ ultima goccia.
“Ma cosa diamine c’è qui dentro!” urlai. Dopo qualche minuto sentii che il mal di testa stava diminuendo, mentre un’onda di calore, dall’ addome, si propagava in ogni fibra del mio corpo.
“Caspita, Bess, questa cosa è eccezionale, mi sento decisamente meglio!”
“Te l’avevo detto!”
Vidi mia madre andare via perplessa, guardando con timore mia moglie e me con apprensione
“Mi spieghi cosa c’era qui dentro?”
Chiesi con curiosità a Bess
“Ma nulla, Sam! Frutta, spezie e miele messi a bollire in un tegame pieno di vino, quando il liquido si addensa tanto da entrare in una tazza è pronto. Poi si toglie l’alcool in eccesso dando fuoco con un fiammifero e si beve. Questo è il segreto della pozione magica!”
“Quindi tu sei uscita a cercare gli ingredienti”
“Si, e li ho trovati quasi tutti, tranne uno: i chiodi di garofano. Non so come si chiamino in inglese e quindi non li ho neppure potuti cercare”
“Chiodidi Grofano?” ripetei incerto
“No!” sorrise Bess scandendo piano: “Chiodi – di – garofano sono dei semi”
“Capisco, strana lingua l’italiano” Sgranai gli occhi “Bess! Diamine, le carte, mi devi fare da interprete!”
“Cosa?”
“Si, tra le carte di Watson ce n’è una in italiano, me la devi tradurre, portale tutte qui, te le farò vedere”
“Calma, calma, si, già l’ho letta. Ricordi di avermelo detto ieri sera, prima di addormentarti? Aspetta, la vado a prendere”
Così iniziò a farsi un po’ di luce sul mistero delle carte del dottor Watson: sulla prima facciata del foglio “della lanterna” c’era scritto:
Londra 7 maggio 1891
Caro zio,
Vogliate perdonarmi per le poche volte che v’ho scritto da quando sono qui a Londra.
V’è necessità che voi e la zia prestiate soccorso ad un pover’ uomo di cui non posso dirvi oltre in questa lettera.
Voi conoscete quant’ io sia serio, pertanto vi chiedo, amatissimo zio, di fare ciò che vi dirò di seguito senza indugiare minimamente su nulla. Sappiate che ogni vostra curiosità verrà appagata presto, ma sappiate pure che dalla celerità e dalla precisione del vostro intervento dipende la vita di un uomo a noi tutti molto caro.
Ecco quanto vi scongiuro di fare:
Il 15 di questo mese recatevi con la carrozza chiusa al bivio per la chiesa di san Marcellino, appena fuori Greve. Abbiate cura di oscurare tutti i vetri e di far sì che nessuno possa scorgere, dall’esterno, gli occupanti del mezzo.
Giunto in tal luogo attendete sino all’ultimo rintocco del mezzodì; vi si approssimerà un uomo in condizioni miserevoli che non parla italiano. Fatelo montare repentinamente in carrozza e conducetelo alla vostra casa, non fermatevi per alcun motivo. La dilettissima zia Fanny potrà fare da interprete tra voi e quest’uomo, che vi racconterà tutta la sua incredibile storia. Abbiate cura di lui come la avreste di me e ragguagliatemi, vi prego, su tutte le nuove del caso.
Con eterno affetto e riconoscenza,
vostro devotissimo nipote
Horace Teofilo Verner
Sul retro, sotto la risposta redatta in inglese stava scritto:
Nipote,
stento a credere quanto è accaduto. Un uomo, ridotto a guisa del più emaciato mendicante, si è arrampicato nella nostra vettura con le ultime forze che aveva, per poi cadere svenuto sul sedile. Grazie a vostra zia Fanny, ho potuto comprendere quanto egli dicesse ed ho scoperto, con grandissima gioia, che quel giovane così mal’ in arnese altri non è che il figliuolo della mia amata sorella Beatrice. Non abbiate timori, nipote, vostro cugino è adesso circondato da cure amorevolissime e si riavrà assai presto.
Ho poi appreso che questo ragazzo corre serissimi pericoli, legati alla sua professione, di cui non ho, tuttavia, ancora afferrato la natura. Di certo potrà star sereno giacchè, fintanto che si troverà nella villa non avrà nulla da temere.
Quanto a voi, nipote, la mia collera nei vostri confronti è un poco scemata, tuttavia vi debbo rimproverare di non aver più mai dato notizie di voi da quando siete partito. Non dimenticatevi dei vostri zii, date contezza di voi e veniteci a trovare presto.
Vostro zio
Nestore Verner Targhini-Zanca
Rimasi molto dubbioso. Bess posò il foglio sul comodino, vicino alla tazza di ceramica bianca e mi disse:
“come stai?”
“bene, solo non riesco a capire il significato di questa lettera”
“neppure io, però adesso sarà il caso che stai tranquillo e pensi a rimetterti”
“no, non posso, mi mancano gli altri tre fogli, e sono sicuro che la chiave di tutto si trova li!” .