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Autore: miss yu    09/02/2011    2 recensioni
In una città come tante altre... In una casa qualunque...
Dentro una giovane coppia e un gruppo di ragazzi: Jamie che ha perso le parole in un incidente, Alison che ha costruito un' altra se stessa per sopravvivere, Kyle che vive la sua omosessualità tra sfrontatezza e sensi di colpa, Mira che usa il sesso per sentirsi importante, Connor anoressico e autolesionista, Yuki che tenta di volare con ali tatuate.
Tutti alla ricerca di un significato diverso da dare alla propria vita: vite vuote o troppo piene, spezzate e da ricucire, intollerabili o solo confuse, vite da sprecare, da buttare o da spremere fino all'osso, vite rabbiose o solo spaventate...
Quasi impossibile trovarci un senso e a volte troppo faticoso; più facile lasciarsi vivere o meglio sopravvivere, ognuno come riesce, ognuno come può, vittime soprattutto di se stessi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3: C’era una volta l’amore...



C’era una volta l’amore che si travestì e prese forme diverse e ognuna di queste forme andò a tentare le piccole vite che abitavano la casa…



Mira sta uscendo da scuola, ascolta con distrazione le chiacchere di Amber, in realtà sta ancora pensando a quel tipo nuovo che è arrivato nella sua classe.
Non credeva esistessero ancora dei personaggi del genere e invece eccone uno in carne ed ossa.
Il tipo, Nathan, è entrato quella mattina con l’aria di arrivare da qualche comunità isolata dal resto del mondo.
Niente male in realtà: alto e dinoccolato, con occhi chiari e limpidi, indifesi ma onesti e sinceri, occhi che l’hanno colpita più di quanto vorrebbe ammettere, in un certo senso non ha mai incontrato prima d’ora un ragazzo che la guardasse con quello sguardo: semplice e senza nessuna malizia.
Che sia uno sfigato è indubbio, ma non il classico sfigato.
Uno sfigato particolare, di quelli che non sanno neppure di esserlo o che magari non gliene importa nulla, uno che segue la sua strada senza esitazione, a cui non interessa sapere di essere al di fuori del minimo sindacale per far parte del gruppo.
Nathan viene dalla Scozia e già questo può spiegare molte cose, a quanto pare da un piccolo paese.
Mira non ci ha capito molto, solo che la sua famiglia appartiene ad una congregazione religiosa molto praticante ed integralista.
E’ arrivato a Tadcaster per poter frequentare la scuola, ospite di uno zio.
Dove abitava, Mira pensa a qualche luogo selvaggio e inospitale quasi barbarico, la scuola era veramente troppo lontana ed era diventato difficile per lui frequentare regolarmente.
Mira sorride tra sé, la coordinatrice di classe le ha chiesto di aiutarlo a mettersi alla pari con il programma e lei ha acconsentito, in fondo passare alcuni pomeriggi con il tipo buffo la diverte, potrebbe essere una variante stuzzicante rispetto ai soliti pomeriggi a scopare con Thiago.
Certo Thiago è veramente un figo da paura e sa fare sesso in modo oltremodo soddisfacente, però è da qualche tempo che stare con lui, non le crea più quell’eccitazione che per lei è necessaria come l’aria.
E’ da un po’ che non si lancia in una sfida e Nathan è la più assurda e impossibile che le sia capitata e per questo la più eccitante.
Sedurre un ragazzotto provinciale e con un background di fede e moralità la stuzzica non poco.
Ha dovuto trattenersi dal ridergli in faccia quando lui non ha accettato la sigaretta che lei gli ha offerto dopo pranzo e le ha spiegato che l’alcool e il fumo sono considerati dei vizi da cui astenersi.
Quando lei gli ha chiesto: ”E il sesso?” con aria fintamente stupita ed ingenua, lui è diventato rosso e ha abbassato gli occhi, ma poi quando li ha rialzati erano fermi come la sua voce: “Il sesso è consentito all’interno del matrimonio”
Lei non ha potuto non ribattere: “Vuoi dirmi che tu non hai mai fatto sesso oppure che sei già sposato?”
Lui ha riso ma non ha risposto.
“Allora?”
“Sono fidanzato”
Ha usato proprio questo termine: ”fidanzato”!
“Beh e con questa fidanzata ci avrai fatto qualcosa”
Lui si è morsicato un attimo il labbro con i denti e si è trastullato il bracciale al polso.
“Sì però non avremmo dovuto, anche se padre McGregor ci ha dato l’assoluzione e ci ha detto che baciarsi può essere consentito. Il problema però è che poi è difficile fermarsi e che un solo bacio innocente può portare con sé una serie di desideri difficili da reprimere. Per questo la castità è la soluzione migliore”
“Stai dicendomi che con la tua ragazza ti sei solo baciato?”
“Sì, però un bacio vero”
“Ahh, un bacio vero non è poco in effetti”
Ridacchia senza volerlo mentre segue i ricordi della mattinata.
La voce di Amber la riporta al presente.
“Che hai da ridere?”
“Niente, stavo pensando al tipo nuovo di stamattina”
“Ah quello! Dio mio che sfigato assurdo”
“Già completamente, ci sarà da divertirsi”
“Dici? A me sembra un tipo così tonto che non è neanche divertente prenderlo in giro, non capisce proprio”
“Beh c’è modo e modo di prenderlo in giro, sai che è ancora vergine?”
“Ma piantala, tu come fai a saperlo scusa?”
“Me lo ha detto lui”
“E tu in un giorno sai già queste cose, come hai fatto?”
“Non c’è voluto niente, lui ne parla tranquillamente o quasi, insomma ho forzato un po’ la mano. Ti rendi conto che questo è una specie ormai estinta, un reperto archeologico, uno che si fa i sensi di colpa perché ha baciato la fidanzata… Incredibile”
“Beh guarda che di gente strana ce n‘è una marea, comunque cerca di stare attenta, questi spostati fanatici mi fanno un po’ paura”
“Che vuoi che mi faccia, mi porta in Scozia e lì mi lapidano? Non è mica l’Iran”
“Comunque vacci piano con lui, magari chissà cosa si mette in testa”
“Amber quanta saggezza, cosa ti è successo? Vuoi scopartelo per prima?”
“Non ci penso neanche, non voglio mica sputtanarmi”
“Cioè?”
“Beh se ti vedono con quello chissà che dicono gli altri”
“Possono dire quello che vogliono, tu Amber non hai ancora capito una cosa fondamentale”
“Sarebbe?”
“Che siamo noi quelle che decidono cosa devono dire gli altri, siamo noi che stabiliscono chi è dentro e chi è fuori, chi è a posto e chi è sfigato, ti è chiaro?”



Dean e Yuki sono stravaccati nella camera di quest’ultimo.
I libri davanti sono aperti alla stessa pagina da circa un’ora.
“E allora che hai fatto poi…”
“Siamo usciti a berci qualcosa al pub e poi lei mi ha portato a casa sua”
“Casa sua? Abita nei paraggi?”
“Sì, vicino alla ferrovia”
“E….”
“E cosa?”
“Dai non fare il deficiente, l’hai scopata?”
Yuki fa una smorfia di fastidio.
“Non dire così, con lei è diverso”
“Che? Non dirmi che ti stai innamorando?”
“Beh e anche se fosse, non è mica un reato no?”
“Ci sei uscito solo due volte”
“Che c’entra, non c’è un tempo stabilito mi pare”
“Ok sei innamorato”
“Penso di sì, dal primo momento che l’ho vista”
“Dio che frase patetica, Yuki per favore abbi un po’ di rispetto per il mio stomaco, mi stai dando la nausea”
“Non fare troppo il duro, quando capiterà anche a te allora sarò io a ridere”
“Comunque te la sei scopata o no?”
“Eh basta dai, sì abbiamo fatto sesso però è stato diverso da ogni altra volta, è stato fantastico, emozionante”
“Oh Dio, mi sa che sei partito”
“Lo penso anch’io, lei è proprio speciale, ti dice cose così profonde e significative da farti rabbrividire, lei è unica, mi fa stare così bene, mi fa sentire così potenzialmente forte e ricco di capacità e di talento. Ecco lei è proprio così: non solo è una persona piena di fascino e di energia, ma la sua più grande dote è che queste sue qualità le trasmette anche a te; stando con lei dopo un po’ cominci a sentirti migliore”
Yuki rimane un attimo in silenzio con gli occhi chiusi, come se stesse cercando la frase perfetta che possa dare l’esatta percezione di ciò che è Nina.
“Lei è capace di farti diventare quello che tu non credevi potessi mai essere, riesce a potenziare al massimo le tue qualità, ti dà fiducia ma non è solo questo, crede fermamente in te, è per questo che è tanto speciale, nessuno ha mai creduto in me con così tanta forza”
“Io Nina non la conosco più di tanto, l’ho vista solo quella volta al concerto, non so che dirti, magari è davvero quella specie di genio di cui parli… Mi hai fatto venire voglia di conoscerla, possiamo organizzare una serata”
“Meglio ancora, domani viene con noi alle prove”
Dean cambia subito espressione, si irrigidisce anche se in modo impercettibile.
“Alle prove? E che ci viene a fare?”
“Vuole ascoltarci, te l’ho detto che lei ha delle intuizioni eccezionali, sono sicuro che ci potrà dare delle dritte favolose”
“Gli altri sono d’accordo?”
“D’accordo? Non lo so, non penso che sia necessario essere d’accordo, Nina viene ad ascoltarci e se ha qualche suggerimento ce lo può dare, tutto qui”
“Non è mai venuto nessuno alle nostre prove”
“Che c’entra, te l’ho detto lei è speciale, quando la conoscerai capirai”
La porta si apre bruscamente interrompendo il discorso.
Kyle si ferma un attimo sorpreso.
“Scusate non sapevo che stavate qui, devo solo prendere una cosa dall’armadio”
“Scusa tu, sono io che ti ho invaso la stanza” dice Dean.
“No nessun problema, tanto sto per uscire”
Kyle fruga in un cassetto e ne tira fuori una sciarpa leggera che si sistema al collo.
“Carino” sorride Dean “hai un appuntamento galante?”
“Non farci caso” sbuffa Yuki, “oggi è in fissa con l’amore”
Kyle spera che il rossore che si è sentito sul viso sia solo frutto della sua immaginazione.
“Sì, in realtà ci hai preso”
“E chi è il fortunato?”
Il fortunato? Ha detto proprio così, ha usato questa espressione, solo per gioco, per sfotterlo, amichevolmente?
“E’ Jared”
“Oh sempre lui”
“Diciamo di sì, perché ci vorresti provare anche tu?” azzarda insolente.
“Se tu fossi una ragazza ci avrei già provato da un sacco di tempo”
Kyle si volta: “Bene vi saluto” ed esce senza girarsi.
Il solito gioco idiota: illuderlo per poi distruggere ogni speranza, ne ha piene le scatole del comportamento di quell’imbecille.
E poi in fondo lui ha Jared, che gliene importa di uno stronzetto come Dean che di sicuro non sa neanche da che parte si comincia a fare sesso sul serio.
E’ pomeriggio, sono quasi le quattro e il cielo sta cominciando a diventare scuro, solo un ultima fiammata di un sole già in procinto di sparire dietro le colline grigie.
Kyle si stringe con più forza la sciarpa e chiude a pugno le mani dentro le tasche.
Davanti alla biblioteca cerca con gli occhi l’auto di Jay.
E’ da una decina di giorni che non si vedono.
Quante volte avrebbe voluto chiamarlo e chiedergli d’incontrarsi, quante volte in camera si è sentito inondare di rabbia e di gelosia pensandolo insieme a qualcun altro, a qualsiasi altro, in giro a divertirsi.
Ma poi superata la rabbia, superata la gelosia, la cosa peggiore che gli è rimasta in fondo allo stomaco è stato rammarico e voglia lancinante di essere preso tra le braccia da qualcuno di cui potersi fidare.
Ricorda un discorso iniziato per caso qualche pomeriggio prima tra lui e Alison.
Lui le si era seduto a fianco guardandola disegnare.
E lei così di punto in bianco aveva posato il carboncino, rimanendo a fissarlo per un attimo e poi gli aveva chiesto di cosa avesse bisogno e la sua voce era stranamente morbida.
Per questo si era messo a parlarle o forse perché di parlare con qualcuno ormai aveva un bisogno impellente, ma nessuno poteva ascoltare quello che aveva da dire.
Forse solo Alison, forse solo lei!
Le parole gli erano uscite spontaneamente senza doverci pensare su, senza per forza misurarle.
Le aveva parlato di Jared e del loro rapporto: un prendersi quando il bisogno di sesso diventava più forte e un lasciarsi quando la voglia si era placata, un lasciarsi senza spiegazioni, senza bisogno di giustificazioni, senza troppe parole.
“Jared, ha sempre contato sul fatto che io non pretendo nulla di più di quanto lui è disposto a darmi, per lui va bene così ed è convinto che vada bene per entrambi. Io ci ho creduto, almeno per un po’. Avere Jay, potersi fare scopare da uno come lui mi sembrava più che sufficiente all’inizio. Ma poi non sono stato più così sicuro. Tutto quello che lui poteva offrirmi non mi bastava più. E’ per questo che ad un certo punto ho interrotto i rapporti con lui e non l’ ho più cercato, proprio per tentare di capire, per metterlo alla prova e sai com’è andata?”
Alison ha fatto un cenno di diniego.
“Jay non ha fatto nulla, non mi ha mai cercato. Così mi sono reso conto che non voleva scocciature, che a lui andava bene in quel modo: vedersi ogni tanto, divertirsi, tutto senza un minimo di fatica, di impegno. E quando tutto questo mi è stato chiaro non ce l’ho fatta e l’ho chiamato io, ho avuto paura di perderlo per questa mia assurda pretesa di avere di più.”
Alison era stata ad ascoltarlo e poi gli aveva chiesto: “Ma tu che cosa vorresti davvero?”
E lui se n’è stato per un tempo che gli è sembrato infinito a chiederselo, mordicchiandosi le labbra con i denti.
“Non lo so bene, ma l’amore me lo ero immaginato diversamente”
“Come?”
Già, come ti immagini l’amore?
“Semplicemente sapere di avere al proprio fianco qualcuno non solo con il quale fare sesso, ma sul quale poter contare in ogni momento senza ombra di dubbio, qualcuno da non cui non dover temere nulla di male. Qualcuno da cui non doversi aspettare falsità, cattiverie gratuite, tradimenti.”
Pausa.
“L’amore è specchiarsi negli occhi dell’altro e sentirsi speciali” aveva detto e questa gli era sembrata la cosa più giusta.
Alison lo aveva guardato.
“Già, in fondo è questo che cerchiamo tutti. Poter affidare noi stessi ad un altro senza nessun timore, sapendo che per lui siamo preziosi”
E lui aveva annuito.
Vede l’auto avvicinarsi, dentro intravede la sagoma di Jay che sta fumando una sigaretta.
Ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi ma l’impasse è evidente, perché Kyle sa con perfetta certezza che quel qualcuno non è certo Jared, ma la cosa più triste è che non sa se mai esiterà qualcuno capace di vedere in lui, qualcosa di più di quello che lui stesso pensa di essere.



E’ sera e si è fatto ormai tardi, Alison si guarda attorno distratta, la musica assordante non la scalfisce neanche un po’, le dita strette attorno al bicchiere di birra gelata si stanno intirizzendo.
Si scosta ruvidamente una ciocca che le è caduta sull’occhio e guarda Chris che lì, seduto davanti a lei, le sorride con il suo solito sorriso idiota di quando ha bevuto troppo.
“Che ne dici di darci un taglio per stasera?” gli accenna.
“E dai Alison non rompere, non abbiamo neanche cominciato a divertirci”
“Senti non ho voglia di raccattarti da sotto al tavolo per l’ennesima volta” sospira lei sbuffando.
Lui ride e lei lo trova carino e fragile e duro e stupido e profondo.
Chris è così o perlomeno a lei ha sempre fatto questo effetto fin dal primo momento in cui lo ha visto al corso di disegno.
E’ un insieme di opposti, un’ accozzaglia di modi di essere e di vivere che tra loro fanno a cazzotti.
Forse è questo in Chris che l’ha attratta in modo così irrimediabile, questo suo essere tante cose insieme, tutte buttate lì alla rinfusa, senza nessun ordine ne logica, assolutamente incoerente e contraddittorio.
Ma non solo!
E’ facile pensare che lui sia un montato, a volte sono veramente troppo esagerati i suoi atteggiamenti, le sue sfide per non pensare che siano studiate per ottenere un effetto particolare: sedurre, provocare, scandalizzare, intenerire e chissà cos’altro.
E invece Alison sa con assoluta certezza che lui è sempre se stesso, senza nessuno scopo in mente, senza nessun risultato da raggiungere od obiettivo.
“Bello e dannato” questo è un po’ lo stereotipo sul quale sembra giocare, ma pensare che Chris stia recitando quella parte è riduttivo e completamente falso.
Chris a volte è bello di una bellezza inconsueta.
Chris a volte è dannato e quando lo è, lo è sul serio, al mille per mille.
Chris a volte non è ne bello ne dannato ma è stupido, buffo, tenero, bizzarro e allegro o triste da morire o chiuso in un suo mondo fatto di non si sa cosa.
Ma in ogni momento della sua vita disastrata, Chris è vero.
Questa è la cosa più importante per Alison, forse perché a lei non è riuscito questo gioco di trasformista che all’amico riesce invece benissimo.
Forse perché per lei è stato necessario far morire la vecchia Alison per riuscire a diventare quella che è ora, incapace di far convivere una e l’altra nella stessa quotidianità.
E poi c’è qualcos’altro che si nasconde in Chris: il suo vivere senza mai sentirsi in colpa verso nessuno o senza mai far sentire in colpa qualcun altro.
Vive la sua vita sventata come se non ci fosse nessun’altra scelta per lui, senza accusare nessuno, neppure se stesso.
Forse è tutto questo che ha fatto sì che con lui non fosse così sulle sue come con tutti gli altri, che avesse subito risposto al suo sorriso quando si erano sbirciati contemporaneamente tra i banchi.
Chris è il suo migliore amico e anche qualcosa di più.
Non sa se lo ama oppure è solo profondo affetto quello che prova per lui, non sa cosa lui senta per lei di preciso, discorsi tra loro inutili e vuoti che non hanno mai sentito il bisogno di fare.
Il loro rapporto è nato quel primo giorno di scuola ed è stata la prima volta dopo anni che si è fidata di una persona a prima vista.
Ha subito intuito che con lui avrebbe potuto lasciarsi andare, smetterla di stare sulla difensiva, perché lui avrebbe accettato tutte le Alison che la vita gli aveva imposto di diventare.
Alison guarda l’orologio, è già tardi, tra poco scatta il coprifuoco imposto da Matt e Hillary.
Cerca con gli occhi Chris ma non lo trova, si alza in piedi per avere una visuale migliore ma niente.
Si infila il giubbotto e si prepara ad uscire.
“Hai visto Chris?” chiede alla ragazza al bancone.
“Mi sembra che sia in bagno”
Alison sospira, sa che cosa l’aspetta.
Lui è seduto sul pavimento accanto al lavandino, spalle al muro, gambe allungate, testa ciondoloni.
“Dai Chris andiamo a casa”
Alison gli mette un braccio sotto le ascelle e cerca di farlo mettere in piedi.
Appena fuori si accorge che si è messo a piovere, non è la solita acquerugiola fine fine ma una pioggia ben sostenuta che in capo a due minuti ti infradicia.
Si sistema il cappuccio impermeabile sulla testa e poi sempre sostenendo Chris si avvia verso casa.
Chris abita poco prima di Parker’s House, lo lascerà lì, forse dovrà frugargli le tasche per cercare la chiave, perché come spesso succede casa sua sarà vuota e buia.
“Dai accidenti, cerca di stare in piedi, non ce la faccio a portarti di peso”
Chris risponde con mugugni e borbottii.
Ha solo un maglioncino leggero addosso, Alison non è riuscita a recuperargli il giaccone.
Dopo due metri di strada sono già bagnati.
Lei cerca di sostenerlo ma i piedi di lui si inciampano tra di loro e lui si sta appoggiando addosso a lei con tutto il suo peso.
“Voglio sedermi, basta camminare” grida e cerca di sedersi per terra.
“Piantala Chris dobbiamo andare a casa, se stai qui ti congelerai, cazzo alzati e cerca di muoverti”
Riesce a sollevarlo con fatica, ha il fiatone, i capelli bagnati negli occhi, il trucco disfatto, l’acqua che gli scorre fin dentro alle mutande.
Chris si alza e riprendono faticosamente la strada.
“Che cazzo hai preso, deficiente”
Lui sogghigna, fa strani versi, si mette ad ululare ad una ipotetica luna.
“Basta sono stanco, lasciami andare” e Chris si mette seduto con le gambe incrociate e ride.
“Dio santo piantala, alzati dai”
Lui la caccia via lontano da se con le mani, come se scacciasse un insetto fastidioso.
“Chris io devo andare, dovrei essere già a casa, dai è tardi, andiamo”
Ma lui non l’ascolta nemmeno.
Alison sente dei passi, spera che non sia la polizia o qualcuno a cui dover rendere conto.
Solo quando sente la voce lo riconosce.
“ Ehi Alison”
“Yuki!”
“Che stai facendo?”
Yuki la guarda da sotto l’ombrello e poi sposta lo sguardo per terra.
“C’è andato pesante eh?”
“Non so che cazzo abbia preso, era già ubriaco senza doverci aggiungere qualche merda delle sue”
“Dai ti do una mano”
Yuki è alto e ha muscoli tonici, per lui è un gioco alzare Chris anche se recalcitrante.
Lo sostiene come fosse una bambola con le gambe spezzate.
Alison si mette dall’altro lato.
In questo modo è facile arrivare a casa di Chris.
C’è una luce accesa, la madre è rientrata.
Alison sospira di sollievo, perlomeno non dovrà perdere tempo a svestirlo, asciugarlo e sistemarlo sul divano con una coperta addosso.
Suonano il campanello e lo lasciano lì sulla soglia.
Aspettano nel buio che la porta si apra e appaia una donna.
Solo allora se ne vanno.
“Grazie, se non ci fossi stato tu sarei ancora lì”
“Già, Chris è un peso morto quando ci si mette”
Alison annuisce mentre trema.
“Cerca di inventarti una buona scusa per Hill e Matt” dice lui.
“La tua qual è?”
“Ho dovuto aiutarti a portare Chris a casa” sogghigna.
“Bello stronzo, sai che Matt e Hill non trovano che Chris sia la personcina giusta da frequentare”
“Lo so, ma che ci posso fare se tu continui a frequentarlo ugualmente e poi ti cacci nei casini per lui”
“Lui è speciale”
Yuki la guarda dall’alto della sua statura, ha occhi chiari verdi che a volte diventano grigi.
“E’ bello avere una persona speciale, sei fortunata ad averla trovata”
“Già, anche se in realtà con Chris a volte, come stasera, tutta questa fortuna è difficile da vedere”
Ridono.
Con Yuki, Alison non ha mai parlato tanto, però è forse quello che preferisce tra tutti i ragazzi di Parker’s House.
Non sa bene come decifrarlo perché quasi sempre le dà l’impressione di essere un completo idiota e poi, così improvvisamente, se ne esce con riflessioni o osservazioni che la colpiscono per la loro intensità, proprio come sta facendo in quel momento.
“Sai io lo capisco Chris” continua Yuki, con quella voce dal tono molto basso, quasi un sussurro, ma calda e sexy, “Si sente incompleto e giovane, si sente come se dovesse imparare qualcosa in più. Anch’io spesso mi sento così, ma la differenza tra noi è che a Chris sembra non importare di cambiare le cose, mentre io voglio diventare più di quello che sono ora”
Alison lo guarda alzando la testa, la pioggia le batte sul viso, sbatte le ciglia per scacciare le gocce che le appannano la vista.
“Già” mormora e pensa a Chris sdraiato accanto alla porta ubriaco e fatto e fradicio e guarda Yuki con i suoi occhi da gatto e le sue unghie dipinte e un’aria di chi sta cominciando a intuire che la vita ha un valore, anche se non riesce ancora a capire qual è.



Connor e Matt sono partiti in mattinata per Londra.
Quando Matt ha detto che avrebbe dovuto starci un paio di giorni per delle pratiche burocratiche e che ha sentito Taylor per vedere di combinare un incontro anche solo per una birra, il cuore di Connor è andato in tachicardia.
“Ci vedremo prima di cena, mi ha chiesto se era possibile che venissi anche tu…” ha lasciato che la pausa si allungasse.
“Posso venire?” ha balbettato lui.
“Perderesti la scuola... Comunque io e Hillary abbiamo pensato che non sarebbe una tragedia e pensiamo che vedere Tay ti possa fare bene”
Fare bene è ovviamente un eufemismo bello e buono, rivedere Tay è l’unico pensiero che ha dato un senso a questi mesi passati senza di lui.
Di notte naturalmente non ha dormito ma il tempo è scivolato via come perle che si sfilano lentamente da una collana.
La mattina in auto a Matt è arrivato un messaggio da parte di Taylor: “Oggi sono piuttosto libero, mi sono saltati alcuni impegni, se vuoi posso occuparmi io di Connor mentre tu vaghi da un ufficio all’altro”
Matt non ha risposto subito ma è rimasto silenzioso, guidando lentamente con gli occhi fissi sulla strada.
“Che problema c’è? Ti prego Matt, è una vita che non ci vediamo, chissà quante cose avrà da raccontarmi”
“Certo ma la responsabilità di ciò che ti accade è mia e non di Tay”
“Che dovrebbe succedermi scusa?”
“Niente probabilmente, ma se fosse il contrario io avrei dei seri problemi capisci? I servizi sociali ti hanno affidato a me”
“Con il consenso dei miei”
“Questo non cambia nulla”
Questo cambia tutto, ha pensato Connor, perché lui è l’unico che è a Parker’s House con la benedizione dei suoi.
I genitori di tutti gli altri, anche se incapaci, sballati, inadeguati, hanno lottato almeno un po’ per tenere il proprio figlio con sé, per non ammettere platealmente il proprio fallimento.
Forse perché in qualche modo, anche se maldestramente, patologicamente, in modo completamente sprovveduto ai propri figli ci tenevano.
Sapere che i suoi invece hanno chiesto l’intervento dei servizi sociali autonomamente, dichiarando apertamente la propria incapacità a gestirlo e hanno accettato l’ordinanza del tribunale di delegare ad altri la responsabilità genitoriale abdicando ogni possibilità di cura ed affetto, questo è veramente un fallimento che Connor ha sempre portato dentro: una sconfitta dei suoi genitori che non meritano neppure più di definirsi tali, ma soprattutto un fallimento suo come figlio.
Non li ha mai più voluti vedere da allora, ma non è stato tanto difficile perché loro sono spariti e ormai ne è passato di tempo.
“Promettimi che non ti caccerai in qualche guaio”
“Perché dovrei farlo scusa e poi c’è Taylor, di lui ti fidi no?”
Matt non ha risposto.
“Non ti fidi di Tay? Pensi che mi possa fare qualcosa di male?”
“Penso che tu non sei nelle condizioni adatte per cogliere cosa può essere male, anzi mi sembra che ciò che ti fa male ti attrae più di quello che può farti del bene, sei in una situazione fragile, in cui la tua spinta autodistruttiva non è ancora del tutto superata e Tay questo non lo capisce”
“Non mi succederà nulla Matt, Tay è il mio unico amico, lasciami stare un po’ con lui”
Matt ha abbassato il capo in un assenso un po’ forzato e Connor si è sentito esplodere dalla gioia.
Una giornata intera lui e Tay da soli.
Quando lo ha visto alla fermato della metro dove si sono dati appuntamento gli è sembrato cambiato: i capelli ancora più lunghi, selvaggi, il suo corpo magro, le movenze sciolte e più sicure, i gesti disinvolti e naturali.
Ora finalmente sono soli, nell’ appartamento di Tay.
Lui lo ha steso delicatamente sul letto e lo accarezza, se lo stringe vicino, lo bacia con tenerezza mentre l’altra mano va a frugare sotto la maglietta in una carezza gentile.
Accosta le labbra alla fronte di Connor deponendovi un bacio leggero.
La mano sotto la t-shirt esplora il torace e si ferma su di un fianco. Per un attimo le dita sfiorano la pelle, poi si arrestano, i polpastrelli si soffermano a tastare una serie di tagli.
Tay gli alza la maglia, guarda attentamente: c’è un taglio fresco che si sta appena rimarginando coperto da una sottile crosticina, un altro che ormai è solo un filo sottile più rosa, un altro ancora uno sfregio ormai quasi bianco.
“Lo fai ancora? Mi avevi promesso che avresti smesso”
Connor abbassa la maglia con improvvisa fretta, si scosta dall’amico.
“Non sai che cosa ha significato per me perderti”
“Perché cerchi in tutti i modi di farmi sentire in colpa?”
“Non lo sto facendo, ti sto solo chiedendo di non essere sorpreso”
“Sei sempre il solito Connor, sai che il modo migliore per colpirmi è sapere che tu continui a farti del male nonostante tutte le mie rassicurazioni; certo non mi hai mai detto di non andarmene, di rinunciare ad ogni possibilità di cambiare vita, di restare con te in quel cesso di Tadcaster, tu hai metodi più raffinati perchè uno che cerca di esserti amico si senta una vera merda, non è così?”
Ora Tay si è alzato, gli sta davanti e lo sovrasta in tutta la sua altezza.
Connor è rannicchiato sul letto. “Non voglio farti sentire in colpa, non voglio che tu rinunci a nulla per me, ma tu sei il solo che sembra vedermi, solo tu mi fai sentire calmo e rilassato senza bisogno di tagliarmi, se tu non ci sei non ne posso fare a meno, il bisogno è troppo forte, se non lo faccio ho paura di impazzire, di perdermi per sempre, se tu non ci sei più a trattenermi in questa realtà è solo il mio sangue che rende il mio corpo visibile”
“Dio Santo Connor e poi dici di non volermi far sentire in colpa, quello che mi stai dicendo è che è colpa mia se tu hai ripreso a tagliarti, sei un vero stronzo, lo sai vero?”
“Non ti sto dicendo nulla, non ti chiederei mai di rinunciare alla tua vita per me, non ne ho nessun diritto e tu non devi sentirti in colpa assolutamente, tu hai fatto per me più di chiunque altro in tutta la mia vita”
Tay gli si avvicina gli prende la testa tra le mani, gli accarezza i capelli.
Connor appoggia la fronte sul bacino dell’amico, gli si sfrega contro come un gattino in cerca di coccole.
Poi la sua mano va ad abbassare la zip dei pantaloni di Tay, fa uscire il sesso dell’amico, lo accarezza teneramente, lo bacia con piccoli baci e lo lecca lentamente, solo dopo qualche minuto di lente carezze e baci umidi se lo infila in bocca e comincia a succhiarlo.
Appena venuto Taylor si allontana, con un gesto lento si scosta i capelli spioventi sugli occhi e dà un’occhiata all’orologio.
“Ehi manca ancora un po’ prima dell’appuntamento con Matt, sistemati che ti porto da Linus”
“Da chi?”
“Linus Voigt il fotografo che ha realizzato il mio servizio su Fashion Time. Mi ha promesso che mi avrebbe scattato alcune foto da aggiungere al mio book. Avere alcune foto scattate da Voigt è la migliore delle referenze”
Connor si sente addosso l’odore di Taylor e si sente bene.
E’ questo che gli da benessere non il sesso appena concluso che in realtà a lui non interessa, che ritiene qualcosa di sopravalutato.
Taylor entra nello studio di Voigt con una evidente scioltezza, completamente a proprio agio, come se in quello studio fosse di casa.
Linus si alza da dietro ad una scrivania e gli va incontro, lo accoglie con un ampio sorriso e con un lungo e sensualissimo bacio in bocca.
Dopo qualche istante Tay si stacca e si volta verso Connnor che è rimasto immobile.
Lo trascina per un braccio con fare protettivo.
“Questo è Connor, un mio amico di Tadcaster che è venuto a trovarmi”
Linus Voigt gli si avvicina, lo avvolge con un occhiata professionale, sembra soppesarlo.
“Dovrei farci una scappata in questo posto, veramente sai?”
Taylor sorride.
Connor si sente come un insetto di qualche specie rara finito nelle mani di un entomologo: soppesato, analizzato, anatomizzato.
“Allora per quelle foto che mi hai promesso quando posso venire?”
“Se ti va ti faccio qualche scatto anche subito, mi sento particolarmente in vena”
“D’accordo ho un’ora circa, pensi che basti”
“Ce la faremo bastare”
Passano nello studio fotografico.
“Ho messo la prima cosa che mi capitava, non sapevo di dover posare” si lamenta Taylor.
“Non preoccuparti, oggi ti faccio solo qualche primo piano”
Connor si siede in disparte e rimane incantato nell’ammirare la capacità di Tay di lasciarsi guardare, di cambiare espressione e diventare qualcun altro, di interpretare i suggerimenti di Linus e tutto con un piacere e una disinvoltura che sono un messaggio chiaro ed evidente di quanto Taylor sia tagliato per questo lavoro, di come goda nel farsi ammirare, nell’esibire se stesso.
Quando Linus ha finito si volta verso Connor con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Che ne dici se faccio qualche scatto anche a te, hai un viso interessante, così giovane e lontano”
“Lui è minorenne, non penso sia una buona idea” interviene Taylor, poi i due si appartano e Connor li osserva scambiarsi alcune battute e qualche sorriso.
“Ti ha baciato” sussurra Connor quando sono fuori, aspettando la metro.
“Sì, è un tipo interessante”
“Che vuol dire? State insieme?”
“No, abbiamo scopato qualche volta e può darsi che lo faremo anche in seguito”
“Non capisco”
Taylor lo guarda fisso: “Non c’è niente da capire Connor, lui è Linus Voigt, quando mi ha scelto per il servizio fotografico era implicito cosa significasse. Lo sanno tutti che sceglie i suoi modelli in base ad un’attrazione personale.”
“Cioè si scopa i modelli?”
“Già, proprio così”
“E a te lui piace?”
“Connor come sei infantile, mica siamo in una fiaba, questa è la vita, non importa se a te piace qualcuno ma se a te quel qualcuno serve e Linus Voigt a me serviva e serve terribilmente”
“E’ solo questo? Per te c’è solo questo?”
“E’ lavoro ragazzino, solo lavoro”



Jamie è solo in camera e non riesce a prendere sonno.
Che strano, la presenza di Connor gli è diventata così familiare che ora che non c’è ne sente la mancanza.
Gli manca la sagoma del suo corpo accovacciata sotto le coperte tirate fin sopra le orecchie, perché Connor è freddoloso.
Gli manca il suo respiro leggero quando dorme e lui lo sta ad ascoltare, così lieve che sembra sempre sul punto di interrompersi.
Gli manca persino la sua aria scostante e brusca quando si degna di rivolgergli l’attenzione.
Si stiracchia sotto le coperte a disagio.
Senza Connor i suoi pensieri non hanno un punto su cui fissarsi e sembrano delle api impazzite che gli ronzano dentro il cervello.
Non gli piace il rumore che fanno, non gli piace la confusione che creano.
Avrebbe voglia di alzarsi e di scender da basso, magari andare a bussare alla camera di Yuki, lui sicuramente lo terrebbe con se ma a Kyle la cosa sicuramente non piacerebbe.
Non sa perché. In fondo sono solo sensazioni che non hanno nomi, emozioni soggettive.
Lui fiuta le emozioni che gli altri si lasciano sfuggire come un cane quando segue una traccia olfattiva di cui non si ha la percezione.
E’ un dono strano quello che si è ritrovato, un dono che in qualche modo sostituisce le parole che non vogliono saperne di uscirgli fuori.
Parole che sono bloccate, cristallizzate dentro di lui da qualche parte, parole che sono murate vive.
Vorrebbe tanto riuscire a trovare un canale attraverso il quale indirizzarle, riuscire a comunicare qualcosa, anche solo una banalità, ma l’impedimento è troppo forte per poterlo modificare, un incantesimo potente e malvagio che lo sovrasta.
O forse è una benedizione perché se potesse parlare cosa mai direbbe? Cosa potrebbe uscire dalla sua bocca se non un urlo infinito, interminabile.
Meglio restare chiuso nel silenzio, in un tempo che non ha principio ne fine, in un qui ed ora senza limite.
Meglio non ricordare, meglio non dire nulla, meglio neanche sentire nulla, perché le parole sono inutili e inadeguate.
Non sono la strada giusta se uno vuole sopravvivere.
Lui in realtà non sa neppure se quello che lo tiene in vita è la volontà oppure un riflesso condizionato o semplicemente un arrendersi all’esistenza.
Forse si lascia solo cullare dalla vita senza fare nessuno sforzo per adattarvisi, per comprenderla, perché la vita non ha nulla di comprensibile, è qualcosa che sovrasta ogni possibilità di razionalità.
Nessuna parola potrà mai dare un senso a ciò che è accaduto, nessun ragionamento.
Tanto vale chiudere tutto dentro di sé così in profondità da non permettere che venga mai alla luce e lasciarsi trasportare dalla corrente, dal flusso vitale degli altri, vivere attraverso le loro emozioni, vivere per interposta persona.
Per Jamie Parker’s House è un intrico complicato, una giungla fatta di rami contorti e aggrovigliati, nella quale si aggira senza una meta, solo mettendosi in ascolto.
Ma è proprio facendo questo che il ghiaccio che ha dentro sembra si stia sciogliendo lentamente, che qualcosa si stia movendo, adagio, con circospezione, come un animale selvatico che si sposta con lentezza estrema, guardingo, fiutando l’aria, scrutando il buio.
Pensa a Connor che ha bisogno di aprirsi varchi attraverso cui la sua linfa vitale diventa evidente, di vedere il suo sangue per sapere che è vivo.
Per lui è l’esatto contrario, le emozioni degli altri cominciano ad insinuarsi dentro di lui impercettibilmente e non solo a passargli addosso sulla pelle, cercano piccoli varchi attraverso cui penetrare dentro di lui, portando con sé un senso di vitalità che in qualche modo lo sta facendo vibrare.
A volte per Jamie, Parker’s House è come stare su un amaca spinta dalla brezza e la brezza sono le risate, gli scherzi, l’allegria dei ragazzi; altre volte è come stare su una barchetta in un mare in tempesta e il vento è la rabbia, le imprecazioni, le battutacce cattive; altre ancora è come stare sotto la pioggia senza l’ombrello e c’è tristezza, solitudine, malinconia, senso di vuoto ed abbandono.
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