Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: Cherry pie    09/02/2011    2 recensioni
Moon, ragazza apparentemente normale, è discendente di una famiglia nobile. Ormai è incastrata nello stupido gioco dei genitori chiamata tradizione, ma Michael la trascinerà verso il basso facendola allontanare dai suoi genitori, dalle tradizioni ma soprattutto da Robert. Cadranno insieme o l'unico a scivolare tra grinfie di Lucifero sarà Michael? Basta credere nell'amore?
Genere: Erotico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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-Michael- sussurrai in preda al dolore.
-Moon. Moon ti prego riapri gli occhi- sentii la sua voce implorante.
-Ma io ho gli occhi aperti. Michael non mi vedi?- dissi a mezza voce. Inspirai e improvvisamente un’ondata di tenebre mi coprì la vista. Cosa stava succedendo?
Dimenai le braccia in aria nel tentativo di riacquistare la vista ma nulla poté scacciare quelle cupe e spesse ombre. Volteggiavano inquietanti davanti ai miei occhi, dove prima c’era Michael.
Mi accucciai mentre l’oscurità si stringeva sempre più togliendomi mano a mano l’aria. Nascosi il viso tra le gambe e cercai di tranquillizzarmi. Si, tranquillizzarmi. Com’era possibile farlo?
Uno stridio straziante attirò la mia attenzione; si era aperto un varco di luce tra le ombre.
Mi alzai e lo seguii forse speranzosa, forse più spaventata di prima.
Il varco di luce mi avvolse e un calore familiare si arrotolò attorno al mio corpo. Scossi la testa e mi portai le mani alla gola. Non stavo più respirando.
Mi dimenai in cerca di ossigeno ma la luce mi teneva stretta a se togliendomi sempre più il fiato.
-Michael- fu l’unica cosa che riuscii a sussurrare sul mio letto di morte.
Aprii gli occhi e una luce abbagliante che proveniva dalla porta finestra spalancata mi accecò.
Respirai affannosamente come per recuperare l’aria che mi era mancata qualche secondo prima nel.. sonno?
Non ebbi le forze di alzare la testa dal morbido cuscino che aveva il suo odore. Amarognolo odore che per ore aveva inebriato costantemente i miei polmoni. Odore che avrei voluto sentire per ancora molto tempo.
Un’ombra sul fondo della stanza si mosse, ma nessuno fiatò.
Cercai di abbassare lo sguardo ma era troppo lontano per rientrare nel raggio dei miei occhi.
Socchiusi le labbra e presi a fare profondi respiri. Sentivo i miei polmoni stanchi e spenti, come se respirare fosse una delle cose più faticose mai compiute dall’uomo.
Guardai il bianco soffitto sgretolarsi sopra di me. Sgretolarsi come la mia anima.
-Mich..- cercai di dire il suo nome ma il fiato si mozzò improvvisamente.
Era più forte di me. Si, la morte era più forte del mio fragile corpo e della mia insensata vita.
Appoggiai i gomiti all’altezza del mio corpo e con uno sforzo incredibile, appoggiai la schiena contro il muro.
Ero un peso morto, le mie gambe si rifiutavano di muoversi. No, che dico, le gambe non le sentivo più.
Ed eccolo là, sul fondo della stanza, seduto su di una poltrona ad osservarmi.
Il dolore non lo sentivo più.
-Micha..- ci riprovai ma niente. Era un’impresa pressoché impossibile.
Le sue gambe accavallate non davano cenno di muoversi.
Lo scrutai da lontano. Così bello, così in collera con me, ma comunque incredibilmente bello.
Gettai le mani al viso e scoppiai in lacrime. In collera con me.
I suoi occhi si aprirono e la sua testa si sollevò scrutandomi. Si era addormentato mentre mi guardava.
‘Buonanotte, io starò a guardarti’ mi aveva sussurrato qualche ora prima quando ormai io ero in un coma profondo. Ma ero riuscita a sentirlo, e ancora adesso ricordavo il suono della sua voce perdonarmi mentre io ero senza sensi. Senza sensi, ma il mio cuore funzionava. Quello funzionava sempre per lui.
Appoggiò le mani sui manici della poltrona e con fare stanco si alzò, dirigendosi verso il comodino al lato opposto da me.
Lo seguii con lo sguardo ma lui non aveva la minima intenzione di fingersi interessato a me. Ed era giusto così.
Estrasse dal cassetto un pacchetto di pastiglie e me lo lanciò a livello della vita.
Senza aggiungere niente mi fece un cenno con la testa e tornò a sedersi sulla vecchia poltrona.
Lo guardai meglio; sul viso gli era cresciuto un lieve strato di barba che stonava con la sua solita pelle liscissima.
Aprii il pacchetto e con fare indifferente, ingoiai una grossa pastiglia verdognola. Non lessi nemmeno cos’era, di lui mi fidavo ciecamente.
-Che giorno è oggi- chiesi fredda quando finalmente il respiro mi tornò regolare.
-Undici Aprile- mi rispose altrettanto distaccato.
La mia testa si svuotò.
-Quanto tempo è che sono qua-
-Tre giorni-
affondò il viso tra le mani.
-Nessuno mi ha cercata- dissi quasi come se fosse un’affermazione.
-Nessuno- ripeté lui sottovoce.
Con l’ausilio delle braccia, mi sedetti sul bordo del letto e con una spinta mi alzai in piedi. In piedi per dire.
Non appena il peso del mio corpo si portò sulle gambe, caddi rovinosamente a terra.
Fu lo scatto di Michael a farmi cominciare a piangere.
Non provavo dolore fisico, solo la consapevolezza di aver trovato un uomo che invece che picchiarmi mi aiutava ad alzarmi da terra mi riempiva il cuore di disgusto. Io non mi meritavo un uomo come Michael.
Mi ripose sul letto. Allacciai le braccia intorno al suo collo e cominciai a piangere come non mai.
-Non mi sento le gambe. Michael non posso camminare- gli urlai nell’orecchio mentre la mia mente si annebbiava lentamente.
-Potrai camminare ancora- rispose sciogliendosi dal mio abbraccio.
-Non è vero! Non potrò mai più camminare! Le mie gambe non si muovono! Aiuto!- sbraitai tirandomi pugni sulle cosce. Niente, non sentivo niente.
Mi afferrò i polsi con fermezza e strinse. Non per rabbia, solo per paura.
-Smettila di far così. Non vorrai riempirti di lividi-
Ero fuori di me. I miei polmoni erano tornati a faticare ma poco importava, ora Michael era sul letto accanto a me e con fare serio mi sfilò i pantaloncini.
Tre bolli viola fecero la loro apparizione sotto i miei rossi occhi.
-Te l’avevo detto- disse massaggiandomi le gambe.
La sua mano sfiorava le mia pelle. Io non lo sentivo.
Ingoiai un boccone amaro chiamata lamentela e osservai le meravigliose mani di Michael accarezzarmi le gambe silenziosamente.
Niente di malizioso, nessun fine fisico. Solo terrore misto a prudenza.
-Sicura di non sentire niente?- mi chiese mostrando finalmente un minimo di terrore nel suo tono.
-Niente- ribattei.
Abbassai la testa e mi premetti la mano sul petto. Sentivo come un buco nei polmoni.
‘No, impossibile. Non ho mai fumato’ pensai mentendo a me stessa.
Le molle del letto si mossero non appena Michael si alzò e si diresse verso l’uscita della suite.
Lo seguii con lo sguardo e trattenni amare lacrime finché non richiuse la porta alle sue spalle.
Mi aveva perdonata? No, aveva solo pena per me.
Il rumore della porta attirò nuovamente la mia attenzione.
Una ragazza dai capelli lunghi e castani fece la sua comparsa nella stanza. Sola.
-Ciao! Tu devi essere Moon! Io sono Melanie piacere- si presentò raggiante.
Annuii senza nemmeno accennare un sorriso. Appoggiai le mani sulle gambe e avvertii come un formicolio. Poi più niente.
-Coraggio, ti riporto a casa- sospirò Melanie sorridendo affaticata.
Con tanta forza di volontà, la ragazza prese le mie gambe e mi girò verso il bordo del letto e, afferrandomi sotto il braccio, mi sollevò di peso facendomi sedere su una sedia a rotelle che aveva portato in stanza lei.
Accarezzai le ruote. Era forse questo il mio futuro? Ragazza su di una sedia a rotelle?
Mi asciugai un ultima lacrima che era fuggita dal mio occhio e mi sforzai di sorridere. Niente.
-Scusa, ma io vorrei rimanere qui con Michael-
Melanie sorrise.
Si posizionò alle mie spalle e cominciò a spingere fuori la carrozzina.
Uscimmo in corridoio e una nuova luce ci invase travolgendoci.
Eccolo, appoggiato al muro con il viso coperto dalle proprie mani. Piangeva.
Melanie diede una forte ed uniforme spinta passando davanti a Michael.
Sollevò lo sguardo e si stropicciò la faccia mentre io mi allontanai con l’alta ragazza dai capelli castani.
-Quanti anni hai Moon?- chiese interessata Melanie mentre cambiava la marcia della sua Mercedes.
-Diciassette-
-Hai già superato tante difficoltà per essere solo una diciassettenne! Complimenti!-
disse sarcastica.
Momento terribile per il sarcasmo, ma non la minacciai con lo sguardo, in fondo voleva solo rompere il ghiaccio, ma era evidente che non ne era capace.
-Dicevamo, da quanto conosci Michael?-
-Due anni-
già, proprio due anni. Maledetta notte ad Hollywood.
-Wow! Io conosco tante ragazze che fanno a botte per lui e conoscendolo, nemmeno dopo sette anni avrebbe il coraggio di portarsele in Hotel. Sei una ragazza speciale per lui-
-Non più- sussurrai coprendomi il viso.
-Lo sei ancora- mi rassicurò lei tirando il freno a mano.
La mia villa si estese imponente davanti ai miei occhi. Ora cosa dicevo ai miei genitori?
-Comunque io ho ventisette anni. Conosco Michael da quando eravamo bimbi di cinque e tre anni. Devi fidarti di me, lui ci tiene davvero a te- disse aiutandomi a sedermi nuovamente sulla sedia a rotelle.
Annuii. Forse ancora un po’ di speranza.
Robert fece il suo ingresso nella scena con i pugni chiusi. Ciao ciao speranza.
-Ciao Robert! Sono venuta per riportarti Moon. Mi prendo tutte le responsabilità possibili ed immaginabili. Sai, l’ho incontrata nella hall dell’Hotel e l’ho invitata nella mia suite, poi tra una chiacchera e l’altra l’ho convinta a rimanere con me per qualche notte ed eccoci qua. Io e Moon, su una sedia a rotelle. Ha avuto un malessere, cosa da niente. Si riprenderà subito.- inventò sicura Melanie.
Gli occhi di Robert erano spalancati. Sorpreso?
-La porto in casa io- aggiunse in fine lei.
Con una spinta superammo Robert ed entrammo nel giardino di casa.
-Ti accompagno dai tuoi genitori. Meglio non rischiare con quel tiranno nei paraggi- sussurrò divertita lei.
-Come fai a sapere tutte queste cose di me?- chiesi spaventata.
-Indovina- rispose. Michael.
-Moon! Dove eri finita?- sbraitò ansiosa mia madre.
-Signori Davis giusto? Io sono Melanie, Melanie Bennet. Perdonatemi, ho trattenuto vostra figlia in Hotel con me. E’ stata male, quindi ve l’ho riportata a casa. Tempo qualche giorno e splenderà come un fiore.- disse radiosa lei.
Sul viso di mia madre viveva un misto tra stupore e felicità.
-Perdonatemi ma io devo scappare. Ho un amico che mi aspetta per pranzare- mi strizzò l’occhio.
Mia madre annuì e fece un cenno con la mano.
-Ricordati che Michael ti vuole. Ora come non mai. Non sparire se no ti vengo a cercare io, e stai certa che ti trovo- mi sussurrò in preda ad un attacco di ridarella Melanie.
Sorrisi distrattamente. Michael mi voleva, ora ne ero certa.
L’affidabile seppur strana ragazza mora svanì nella sua Mercedes e fece un’azzardata inversione ad U imboccando la strada per il Golden Hotel.
Le mani di Robert si appoggiarono pesanti sui manici della sedia.
-Io e te facciamo i conti più tardi- chiusi gli occhi. Il viso di Michael mi apparve sorridente. Robert? Nemmeno la traccia, ne nella mia mente, ne nella mia vita.

  
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