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Autore: Akiko chan    12/02/2011    1 recensioni
Qualcosa interruppe bruscamente il profondo sonno di Benji. Un urlo straziante, proveniente da chissà dove, lo fece saltare a sedere sul grande letto della sua stanza. Benji sbatté gli occhi più volte, cercando di allontanare quel senso di confusione e angoscia che l’aveva colto. Lentamente fece vagare lo sguardo attraverso la stanza, rincuorandosi man mano che identificava tutti gli oggetti familiari.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2. IL POTERE DEI RICORDI (PARTE SECONDA)

Qualcosa interruppe bruscamente il profondo sonno di Benji. Un urlo straziante, proveniente da chissà dove, lo fece saltare a sedere sul grande letto della sua stanza. Benji sbatté gli occhi più volte, cercando di allontanare quel senso di confusione e angoscia che l’aveva colto. Lentamente fece vagare lo sguardo attraverso la stanza, rincuorandosi man mano che identificava tutti gli oggetti familiari.
-Si ci mancava solo questo…- borbottò indispettito il ragazzo sgusciando fuori dalle leggere coperte e avviandosi alla finestra. Con un movimento deciso spalancò le pesanti imposte, appoggiandosi al balcone per respirare a pieni polmoni l’aria tiepida della notte di Fujiawa.

-Ma che diavolo mi prende ora…-

Il ragazzo percepì nettamente l’oppressione al petto che pian piano diminuiva, mentre nella sua testa continuava a rimbombare, come un eco lontano, un indecifrabile richiamo.

Con un piccolo salto si issò sul balcone, appoggiando le ampie spalle muscolose alla fredda cornice di marmo della finestra. Piegò una delle lunghe gambe al petto abbracciandola, mentre l’altra, a penzoloni fuori dalla finestra, dondolava nervosa. Lo sguardo preoccupato donava a quel bellissimo viso una luce particolarmente tenebrosa. Trasse ancora due profondi respiri, facendo sollevare e riabbassare ritmicamente il petto scolpito.

Aggrottò la fronte, in parte coperta dai capelli arruffati, sforzandosi di ricordare il sogno che l’aveva svegliato. Ma per quanto si concentrasse non gli sovveniva assolutamente nulla. Per quello che ne sapeva lui, non stava assolutamente sognando.

Sorrise sprezzante alla luna che lo osservava silenziosa. Benjiamin Price rappresentava tutto ciò che un ragazzo di vent’anni avrebbe desiderato essere. Bello, ricco, famoso, sempre circondato da stuoli di ammiratrici disposte a tutto, grande promessa del calcio giapponese ed internazionale, uno dei pochi calciatori nipponici famosi all’estero.

Da due anni era il portiere titolare dell’Amburgo, uno dei più rinomati club calcistici a livello mondiale. Il suo contratto sarebbe scaduto a giorni e, ovviamente, l’Amburgo, restio a farsi scappare il suo rampollo, lo lusingava con proposte da capogiro. Lui, però, stava temporeggiando, e aveva chiesto di rimandare la decisione alla fine dei mondiali Juniores, che si sarebbero tenuti da lì a un mese. Proprio per gli impegni con la nazionale, era da poche settimane rientrato in Giappone.

Ma dietro quella facciata di notorietà e perfezione, si nascondeva un ragazzo con una vita per niente invidiabile. Benji, già da tempo, aveva preso coscienza dello stato di insicurezza e disagio che sempre più difficilmente riusciva a controllare. Era giunto a livelli di guardia preoccupanti, e il giovane campione temeva sempre più che quel problema interferisse con le sue prestazioni sportive.
Nessuno poteva immaginare che l’arrogante e freddo Benjiamin Price fosse in realtà così insicuro. Riusciva a mascherare le sue debolezze con tutti, ma non poteva più fingere con se stesso. Per questo motivo, dopo un’estenuante lotta interiore, aveva deciso di prendere un appuntamento con uno dei migliori psicanalisti tedeschi.
Aveva sborsato fior di quattrini per sentirsi dire che il suo problema aveva radici lontane, nella sua infanzia, nel rapporto coi genitori. Il loro comportamento, a dir poco disinteressato, nei confronti del figlio, avevano indotto in Benji una naturale diffidenza verso il prossimo.
Il problema principale era proprio la sua incapacità di instaurare rapporti duraturi e soddisfacenti. Si apriva a fatica, era introverso e taciturno, e anche con i suoi amici di infanzia arrivava sino ad un certo punto, per poi ritrarsi infastidito. Pochi erano riusciti a conquistarsi la sua fiducia e il suo rispetto, nessuno era riuscito ad avere le sue confidenze. Benjiamin Price era un compartimento a tenuta stagna: nulla di quello che vi era al suo interno poteva uscire all’aperto.
Col tempo questa situazione lo aveva logorato, andando ad inasprire lati del suo carattere già piuttosto critici. Con gli anni la sua arroganza e la sua strafottenza erano arrivati a livelli difficilmente sopportabili. Più di una volta i suoi compagni di squadra avevano ceduto alla tentazione di piazzargli un bel destro in faccia. Con Karl-Hainz Schneider, suo compagno nell’Amburgo, all’inizio i pugni erano stati il loro unico modo di comunicare. Ma col tempo quell’antipatia reciproca si era trasformata in indifferenza, per poi assumere sfumature di ammirazione e trasformarsi in qualcosa che poteva vagamente somigliare all’amicizia. Ma Benji non si illudeva, lui amici nel vero senso della parola, non ne aveva. E si sentiva terribilmente solo. E arrabbiato.

Una cieca collera lo invase anche in quel momento: piangersi addosso era una cosa che non sopportava e si odiava quando permetteva a quei momenti di debolezza di prendere il sopravvento.

Con furia balzò giù dal balcone atterrando a piedi uniti sul freddo pavimento di marmo chiaro della camera. A pochi passi, il biancore del pallone, l’oggetto che lui più amava e odiava, risaltava nella penombra della grande stanza. Ancora una volta Benji si sfogò nel suo modo usuale. Tirò un calcio di inaudita potenza, la palla colpì violentemente il pesante comodino accanto al letto, rovesciandolo a terra. La lampada di ceramica colorata cadde sul pavimento con un sonoro tonfo, rompendosi in tre pezzi, mentre tutto il contenuto dei cassetti, si sparpagliava sul tappeto color avorio.

-Ma bravo ora ti metti anche a sfasciare la casa!- esclamò Benji passandosi rabbiosamente una mano tra i folti capelli scuri. Continuando ad imprecare, rimise il comodino nella posizione originale. Guardò furioso tutti gli oggetti caduti attorno, qualche penna, un quaderno, un libro, chiavi, una foto…foto?

Raccolse quel quadratino colorato fissandolo incredulo. Non ricordava che quella foto fosse finita lì. Anzi, non ricordava neanche più di averla.

Un sorriso divertito piegò le belle labbra del portiere. L’immagine ritraeva un giovanissimo Benji con un’espressione alquanto imbarazzata, provocata dalla bambina che gli era letteralmente appesa al collo.

-Accidenti a te Tsunami! Lo sapevi che non lo sopportavo e lo facevi apposta per mettermi in difficoltà…-

Tsunami. Un ricordo lontano ma ancora doloroso.

-Vedrai Tsunami sarò il più grande portiere del mondo-
-Ma per me lo sei già Genshj-
-Si ma io voglio esserlo per tutti-
-Non ti basta esserlo per me?-
-No, tu non capisci niente di calcio-
-Ah e così? Io non capisco niente? E allora sai cosa ti dico? Che ha ragione Anego quando dice che sei il bambino più antipatico della città-
-Sai che me ne importa di cosa pensate tu e Anego-
-Sei cattivo Genshj. Anzi no vuoi far credere di essere cattivo. Ma son di far finta ti convincerai di esserlo davvero-
-Ma che dici, sei solo una bambina stupida-
-E tu sei…sei… un bunker!-
-Un cosa?!?-
-Un bunker... non sai cos’e?-
-Veramente no…-
-Sono dei rifugi in cemento armato, dove la gente si nasconde durante la guerra per sfuggire alle bombe dei nemici
-E che c’entro io?-
-Tu sei così. Neanche le bombe ti fanno male. Sei impenetrabile però…anche i bunker hanno una porta. Basta trovarla perché è nascosta bene…-
-E tu l’hai trovata la porta?-
-A volte me la fai trovare altre no-
-E quando la trovi che fai?-
-Ti voglio bene perché  mi mostri tante cose belle…-
-Cioè?-
-Non te lo dico… cosi impari a trattarmi male…-

-Chissà che ci vedevi di bello in me, Tsunami…-


Un sospiro uscì dalla bocca di Benji. Quella bimba era cresciuta assieme a lui. I parchi delle loro ville erano confinanti e avevano frequentato lo stesso nido sin dalla tenerissima età. Lei gli si era molto affezionata nonostante, neanche da piccolo, avesse avuto un carattere facile. Ma quella bimba era un vero e proprio “tsunami” e travolgeva come un turbine tutti quelli che la circondavano. All’inizio proprio non la sopportava, sempre sorridente e casinista, quel soprannome che le aveva dato, per farla arrabbiare, le stava proprio bene! Ma col tempo si era reso conto che la sua compagnia gli piaceva, e sempre più di frequente la invitava a giocare a pallone.

-Ma sei bravissimo. Non te ne scappa una-
-In effetti voglio diventare un grande portiere-
-Sei un fenomeno… Genshj. Si, sei Genshj-

E divenne la sua tifosa più accanita. E guai a chi metteva in discussione le doti di Genshj! Tsunami aveva fatto a botte con tutti i bambini della città, soprattutto con Anego, per la quale aveva un’aperta antipatia. Anego infatti non sopportava Benji e, di conseguenza, Tsunami non sopportava Anego. Ah! Quanti graffi e quante sbucciature aveva dovuto disinfettare mentre Tsunami scalciava infastidita.
Quando lei partì non si rese pienamente conto di quello che stava accadendo. Era convinto che sarebbe tornata. Come dalle vacanze. Si stava via un po’ di tempo e poi si tornava a casa.

Quando capì che non l’avrebbe più rivista, cancellò il suo ricordo per non soffrire…Tsunami l’aveva lasciato… come i suoi genitori…

-Parto Genshj-
-E dove vai?-
-In America-
-Ed é lontana?-
-Sì-
-E tornerai presto?-
-Non tornerò più-
-Tornerai-

No, non era più tornata. Erano passati dieci anni e lui non aveva più saputo niente di lei e della sua famiglia.

Un inevitabile senso di solitudine strinse il petto del ragazzo. Un bruciore agli occhi lo innervosì. Stava per piangere? No mai, lui non sapeva piangere. Distolse lo sguardo dalla foto, ma l’immagine della bimba gli si era ormai impressa nella mente. Gli occhi chiari pieni di allegria, i biondi capelli stretti in due simpatici codini e la manina bianca protesa verso di lui.

Quando la vita sembra vuota e insulsa, e vivere é più una sofferenza che una gioia, una mano, giunta da chissà dove, ci indica la via per ritrovare la felicità.

-Ti voglio bene perché  mi mostri tante cose belle…-

Benji iniziò a parlare con quell’apparizione -Perché non torni Tsunami?-

-Parto Genshj-

-Perché?-

-Non lo so l’hanno deciso mamma e papà-

-Ma ora perché non torni? Io ho bisogno di te. Torna-

-Io ci sarò sempre quando tu avrai bisogno di me-

-TSUNAMI-

Il suono della sua voce destò Benji dallo stato semionirico in cui era scivolato. Con stizza gettò la foto nel cassetto richiudendolo con un pugno -Bene ora ho le visioni e parlo da solo… Mi sa che dovrò intensificare le visite dall’analista appena torno in Germania- borbottò, gettandosi a peso morto sul soffice letto, addormentandosi, però, solo molto tempo dopo. 
 

  
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