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Autore: Dark Magician    14/02/2011    2 recensioni
Parte II (cap 13-?) - Dopo il Risveglio, la vita di Zack è costretta a cambiare bruscamente. Ospite nella Fortezza del Signore del Deserto, deve imparare a gestire il nuovo potere il prima possibile o soccomberà all'Anomalia.
Ed improvvisamente cominciano le visioni...
"Tu che leggi le mie parole devi però esser conscio che niente persiste immutabile per l'intera durata del tempo. Il Tutto è ciclico, come vedi essere il corso della vita: come sono nascita e morte, in un circolo eterno, così l'Ordine ciclicamente ricade su se stesso. Quello è il momento, quello è la fine e l'inizio. Quello, quello è l'Hibalah."
Genere: Drammatico, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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MEMORY #15 – PROVA

Dedicato alla mia “fan numero 1”, grande estimatrice del Generale Noone x3

Questo capitolo è lunghetto e pieno di azione, quindi… godetevelo! :D buona lettura ^w^

 

 

MEMORY #15 – PROVA

 

«I vostri nominativi?», chiese l’uomo in uniforme «Chi è il capogruppo?».

«Sono io», rispose Soragan scattando sull’attenti «Soragan Ineath, Heath Noval e Jemiah Laureen Enver, signore».

L’uomo appuntò qualcosa sul palmare che impugnava, poi tornò a rivolgersi a Soragan.

«Elementi e valori totali, Ineath».

«Luce, vento e cielo. I valori erano... mh... 13, 12, 11, 8, 7 e 3, signore».

«Perfetto, il vostro gruppo è approvato. Dirigetevi ora al capanno centrale per ricevere l’attrezzatura per la prova».

Soragan e Heath scattarono sull’attenti portando una mano alla fronte e poi si allontanarono, seguiti da Jemiah che si teneva aggrappata alla maglietta nera del primo.

«Porca vacca, sto congelando!», esclamò Heath, stringendosi nel giaccone mimetico «E siamo a giugno! Giugno! Ma come fai a startene sbracciato?»

Soragan si strinse nelle spalle «Boh. Al sole sto bene».

Alzò lo sguardo verso il cielo terso, poi lo abbassò su Jemiah.

«Come ti senti? Carica?»

«Sì», annuì la bambina «E poi mi piace qui. C’è un sacco di verde. Ci sono anche gli scoiattoli».

Soragan le scompigliò i capelli e osservò compiaciuto il bosco subito fuori dal campo base, respirando a fondo la fresca aria di montagna. Questa storia della prova gli piaceva sempre più ad ogni secondo che passava.

«Ehi, ascoltatemi...», disse «In qualunque modo si svolga questa cosa, io voglio vincerla. Voglio andare al vertice mondiale».

«E io voglio anche il premio in denaro», annuì Heath «Ci farebbe un sacco comodo».

«Io invece voglio vedere da vicino l’anima di Noone­», mormorò Jemiah, e i due ragazzi volsero lo sguardo verso di lei.

«E’ bella, ha la forma di una farfalla. Però in video non si vede bene».

Soragan sorrise «Bene, abbiamo tutti valide motivazioni. Dov’è che sta questo capanno centrale?»

«Di là, credo», gli rispose Heath, indicando l’est con un cenno del capo «... Spero. Per lo meno sta al centro».

«Una logica inoppugnabile», commentò Soragan, e si incamminarono tutti e tre verso un alto edificio in legno a qualche decina di metri di distanza.

Una piccola folla di ragazzi era assiepata all’ingresso principale, in attesa di entrare, e i tre si misero in fila.

«Senti, Sor», disse Heath, strofinando le braccia per riscaldarle «Secondo te che tipi sono Dio e Feng Sha? Che faccia hanno?».

Soragan si grattò il mento e mosse un passo avanti, seguendo la fila.

«Ho sentito dire che Dio è piuttosto imponente. Oh, e ha gli occhi gialli. Da quel che ho letto, sembra una pessima persona».

«L’avevo sentito anch’io» Heath annuì e strinse le mani sotto le ascelle.

«Feng Sha, invece... pare che sia molto giovane. Mi sembra assurdo, ma davvero, non so nient’altro! Non immagini cosa darei per poterli incontrare di persona... anche solo vederli in faccia».

«Feng Sha no di certo. Girano a volto coperto, non lo sai?», disse Heath, e Soragan aggrottò le sopracciglia.

«Scherzi? Non lo sapevo. Che peccato».

«Boh, però magari è possibile vederlo in faccia. Sarebbe figo! ... qualcosa di diverso dal solito, per lo meno».

«Già­», borbottò Soragan, e tacque.

 

Occorse loro più di mezz’ora per riuscire ad avvicinarsi ai soldati che distribuivano l’equipaggiamento.

Heath afferrò una delle piastre ottagonali e se la appoggiò all’altezza del cuore, mentre Soragan gliela fermava saldamente allacciando e regolando le cinghie che la sostenevano.

«Quindi questa roba dovrebbe controllare il nostro livello magico?», chiese poi al compagno, mentre allacciava la piastra anche a Jemiah.

«Deve far parte del sistema che hanno progettato per impedirci di farci male», gli rispose Heath «Non avrebbe senso permetterci di combattere con tutto il nostro potenziale, finiremmo per massacrarci!».

«Presumo che ci spiegheranno tutto dopo», disse Soragan. Heath annuì e lo aiutò a sistemare la piastra, poi si voltò verso la ragazza che gli sorrideva da dietro al banco.

«Posso rimettermi la giacca o c’è altro da indossare sotto? Ho freddo».

«Tranquillo, puoi rivestirti», lo rassicurò lei «Allora, i vostri bracciali...».

La ragazza si chinò a frugare in uno scatolone, e quando si risollevò teneva in mano tre buste di plastica opaca con i loro nomi scritti sopra.

«Ecco, Ineath, Noval e Enver. Indossate i bracciali, come accenderli vi sarà spiegato poi».

«Grazie mille».

Soragan afferrò le buste e si allontanò per non essere d’intralcio.

«Bracciali? Che dispiegamento di mezzi notevole!», osservò Heath prendendo la propria busta ed aprendola. Rimirò poi lo spesso bracciale bianco alto una manciata di centimetri che questa conteneva.

«No, sul serio... da dove si apre?».

Soragan gli indicò un bottoncino sul bordo superiore, e Heath lo ringraziò con un largo sorriso.

«Oh, c’è uno schermo», mormorò Jemiah sollevando un coperchietto di plastica che occupava quasi metà del bracciale «Che bello. Mi piace. Sor, come mi sta sta?».

«Benissimo, sciocca», le rispose Soragan scompigliandole i capelli «Bene, cosa ci manca? Oh, i caschetti!».

«Addirittura i caschetti, wow!», esclamò Heath «Saranno anche questi qualcosa di super misterioso e specializzato?».

Soragan rise «Direi di no. Da quel che vedo, sembrano normali caschetti da militare».

«Oh, peccato», borbottò Heath, e si allontanò per recuperarli.

 

«Riposo», disse il Generale Noone, rivolgendo un caldo sorriso ai giovani soldati sull’attenti che l’avevano accolto.

Scese dall’elicottero e si guardò attorno alla ricerca del Generale Alzmäjer, e lo avvistò a pochi metri di distanza.

«Mio caro collega!», esclamò. Lo raggiunse e gli strinse la mano con entusiasmo, e l’altro lo fissò perplesso.

«La vedo allegro, Noone. Ha ricevuto qualche buona notizia?».

«No, niente di particolare. Lei invece non mi sembra di ottimo umore... se ha altri impegni ora può andare e lasciare tutto in mano mia. Anzi, la ringrazio per avere sistemato tutto in mia vece, con gli ultimi contrattempi non sarei mai riuscito ad organizzare anche la prova di Strendahar in tempo».

«Non si preoccupi, non ho niente di particolarmente urgente. Piuttosto, mi parli di questi contrattempi. Hanno a che fare con gli Irrjiah?».

«Purtroppo­» il Generale Noone sbuffò e si aggiustò la benda «Ma rimandiamo a dopo questi discorsi, prima ho bisogno di un caffè ».

«Comincio a temere che questo vertice non porterà a nessun risultato», sospirò Alzmäjer «Per lo meno, non a parole. Non ho mai appoggiato Ayanne in pubblico, ma in fondo la penso come lui. Dio e i Feng Sha non sono persone con cui si possa ragionare».

«Lo so», confermò Noone, e Alzmäjer si volse a guardarlo stupito.

«Lo sa? E allora perché ha sempre avversato Ayanne?».

«Non mi fraintenda. Dichiarare guerra aperta agli Irrjiah o a Dio, come vorrebbe quell’idiota, sarebbe un suicidio. Ayanne non considera il rischio di inimicarsi la Madre Terra stessa».

«Scherza? Addirittura inimicarsi la Madre?».

Noone annuì «A questo mondo, nulla accade per caso. Ci rifletta: la somma Madre non avrebbe dotato Dio di simili poteri se non avesse voluto renderlo una figura di stabilità, ad esempio. No, no, sono troppe le cose che non sappiamo, gli equilibri precari che rischiamo di sconvolgere. Non vogliamo di certo che il Nord muoia come gli altri continenti».

«Ma... allora...» Alzmäjer si grattò il mento, confuso «Che senso ha questo vertice?».

«Se come temo il parlare non risolverà niente... ho altre tre strategie in mente. E se nemmeno queste funzioneranno...».

«Se non funzioneranno?».

Noone scosse la testa «Non ne ho idea. Ma il Nord non potrà resistere a lungo, se non troviamo altri territori per sostituire quelli morti negli ultimi anni. Le confesso che sono davvero molto inquietato».

«E chi non lo è? Ho visto i dati sul continente averrhiano, agghiaccianti. E dire che per lo meno le coste erano ancora così floride! Crede che la Madre abbia deciso di investire meno potere nel tener viva la vegetazione per punirci?».

«Io temo l’abbia fatto per proteggerci».

Alzmäjer corrugò la fronte e fissò sconvolto il giovane collega.

 

Soragan fece segno a Heath e a Jemiah di fermarsi. Posò a terra lo zaino e fece qualche passo avanti, finché il bracciale non emise un trillo.

«Ok, direi che questo è il limite che non dobbiamo oltrepassare. Heath, che ore sono?».

Il ragazzo sollevò il coperchietto di plastica del bracciale ed osservò lo schermo.

«Sono leee... è l’una e cinquanta, più o meno. Abbiamo altri dieci minuti. Cosa facciamo nel frattempo?»

«Gli zaini sono solo un impiccio», borbottò Soragan osservando il proprio. Un secondo trillo gli ricordò che non era ancora rientrato nell’area destinata alla prova, e si affrettò a tornare sui propri passi.

«Dicevo... non possiamo portarceli dietro. Il sacco a pelo è troppo pesante per Jemiah, e rallenta troppo anche noi. Bisogna che li mettiamo da qualche parte».

«Perché non sopra a un albero?», propose Heath «Sono bravo ad arrampicarmi! Ah, però... se poi non riusciamo più a trovarli potrebbe essere un problema».

«La cosa migliore... credo sia dividerci. Lasciamo uno di noi tre qui, appartato con gli zaini, mentre gli altri due se ne vanno in giro a eliminare gli altri», disse Soragan «Così, se ci perdiamo, col bracciale possiamo ritrovare quello che è rimasto di guardia e non rischiamo di perdere gli zaini».

«Mi sembra perfetto!», esclamò Heath, e abbassò lo sguardo su Jemiah «Tu che ne pensi, Jem?».

«Io sto di guardia», mormorò la bambina «Girare sulla montagna mi fa paura. Però voi tornate spesso, vero?».

Soragan le sorrise rassicurante e le carezzò la testa «Certamente. Mi dispiace lasciarti da sola, però...».

«Non importa», lo interruppe Jemiah «La signorina Maliah mi dice sempre che devo diventare forte, e poi... so che per te è importantissimo tutto questo».

La bambina strinse i pugni e lo fissò con un’aria decisa che Soragan non le aveva mai visto. La guardò stupito per un attimo, e non poté trattenere un altro sorriso.

Era migliorata tanto.

«Grazie­­».

«E poi...», aggiunse Jemiah «Io sono forte. Non mi eliminerà nessuno!».

«Sor, il tempo stringe!», esclamò Heath, picchiettando lo schermo «Dobbiamo farci una strategia, prima di andare».

«Sì, hai ragione», annuì Soragan. Raccolse il suo zaino e lo cacciò in un cespuglio, spingendolo in profondità con un piede. Fece poi un passo indietro per valutare l’efficacia del nascondiglio.

«Perfetto. Heath, Jem, passatemi i vostri e p-».

Un lungo trillo proveniente dal bracciale lo interruppe. Sollevò lo sportellino, e vide che sullo schermetto ora c’erano, oltre a nome, cognome e ora, anche i numeri “100” e “3”.

«In tal caso, direi che si comincia. Gli zaini!»

 

Laetius Noone riempì la tazza di caffè ed afferrò un numero imprecisato di bustine di zucchero.

Quando si sedette al tavolo e le lasciò ricadere davanti a sé, Alzmäjer poté constatare che erano cinque.

«Le piace amaro, vedo», osservò con un sorrisetto, indice e pollice occupati a lisciare la barbetta.

«La prego, non infierisca!», sospirò Noone, passandosi una mano sul volto «Detesto i cibi amari, e non immagina che fatica trattenermi!».

Osservò le bustine con aria quasi malinconica, e dopo qualche istante ne mise due da parte.

Le altre tre le aprì e le versò nel caffè.

«Sa dirmi che ore sono?».

Alzmäjer scostò appena la manica e fissò l’orologio da polso «Le quattordici e qualche minuto. Piuttosto, dato che sembra procedere tutto senza intoppi, potrebbe illustrarmi quegli imprevisti di cui mi accennava prima? Ammetto che ha stuzzicato la mia curiosità».

«Gli Irrjiah sono una continua fonte di problemi» Noone sospirò e scosse la testa «Lo scambio epistolare che ho avuto con Lord Feng Sha... mi creda se le dico che mi ha mandato in panico più volte. Non ho intenzione di dare questa informazione anche ai nostri colleghi, ma sappia che quell’uomo è certamente malato di mente. Nell’ultima missiva che ho ricevuto, in risposta alla mia richiesta di informazioni riguardo i mezzi con cui sarebbero giunti, Lord Feng Sha mi ha comunicato di non potermi ancora dire niente dal momento che “gli Irrjiah si spostano con i cammelli, ma i cammelli gli stanno antipatici perché puzzano e gli sputano addosso”. Testuali parole».

«...Capisco. E quindi come pensano di arrivare al Nord?».

«Ho qualche spia infiltrata fra gli Irrjiah, e da ciò che mi è stato comunicato ho l’impressione che non l’abbiano ancora deciso. Ho ragione di credere che stiano valutando l’eventualità di usare un portale ed il rischio che questo possa cadere in mano nostra».

Il Generale Noone sorseggiò il caffè, pensieroso.

«In ogni caso, Lord Feng Sha mi ha assicurato che mi saprà dare ulteriori informazioni entro il prossimo mese», aggiunse poi, poggiando la tazza sul tavolo e alzandosi in piedi «La terrò informata».

«La ringrazio», disse Alzmäjer «Sta andando da qualche parte?».

Noone annuì «Ho dimenticato nel mio alloggio alcune carte che desideravo mostrarle. Mi perdoni, sarò di ritorno in pochi minuti».

E detto ciò abbandonò la stanza.

 

«Cazzo!».

Heath si tuffò a terra un istante prima che un proiettile di energia lo colpisse e rotolò dietro una roccia, raggiungendo Soragan.

«Che c’è?», gli chiese «Ti hanno colpito? Quanti punti hai perso?».

Soragan osservò i propri punti vita scendere di una manciata di cifre, e quando li vide fermarsi a sessantacinque tirò un sospiro di sollievo.

«Tutto a posto, ne ho persi solo una decina» si massaggiò lo zigomo, certo che il mattino dopo sarebbe stato viola «Cazzo, mi ha preso in faccia! Temevo mi avrebbe tolto di più».

«Meno male, se ti eliminano poi è un casino. Bene, ci sei? Lavoro di squadra?».

«Sì. Al mio tre! Uno...».

Soragan fletté le ginocchia, i palmi delle mani aperti davanti al petto.

«Due...»

Heath poggiò le mani sulla roccia e gli lanciò un’occhiata d’intesa.

«Tre! Attacca!».

Con un balzo Heath uscì dal nascondiglio. Compì un semicerchio davanti a sé con il braccio destro e quattro  piccoli proiettili d’energia comparvero fra le sue dita, sospesi a mezz’aria. Posò indice e medio della mano sinistra sulla destra, all’altezza dello spazio fra pollice e indice, e quando il ragazzo nascosto dietro un albero, pochi metri più avanti, si sporse per osservarlo, fece scattare fulmineo il braccio sinistro.

Il proiettile colpì il ragazzo dritto a una spalla, e questi si lasciò sfuggire un verso contrariato, tornando rapidamente a nascondersi.

«Eddai, venite fuori!», esclamò Heath «Sennò non è divertente!».

«Mi sa che tocca a noi scovarli», ridacchiò Soragan. Senza abbassare le mani, abbandonò il riparo offerto dalla roccia e mosse qualche passo verso il compagno. Un brivido gli corse lungo la schiena e Soragan ruotò veloce su se stesso, ergendo un piccola barriera circolare all’altezza del petto.

Un proiettile d’energia vi batté sopra e venne rifratto verso il basso.

«Heath, dietro!», gridò Soragan, e mentre Heath si voltava tornò a rivolgere la propria attenzione verso l’albero dietro cui era nascosto il ragazzo.

Come immaginava, l’avversario aveva sfruttato quello che credeva essere un momento di distrazione per uscire allo scoperto. Soragan chiuse il pugno e la barriera si infranse in frammenti di pochi centimetri; riaprì subito la mano, e l’altro ragazzo venne investito dalla miriade di piccoli proiettili di luce prima ancora di riuscire a prendere la mira.

Il ragazzo cercò di ergere una barriera per proteggersi, ma non riuscì a crearla grande abbastanza da parare completamente l’attacco e tornò a nascondersi prima di subire altri danni.

«Cambio!», gridò Heath, e Soragan si lanciò una rapida occhiata alle spalle.

«Cambio? Sei fuori? Quello là è da stanare, io sono troppo lento!», gli rispose. Scartò poi di lato, raggiungendo il riparo di un gruppetto di alberi e cespugli, e fece segno al compagno di raggiungerlo.

«Ma io non sono forte come te in difesa!», esclamò Heath, accovacciandosi davanti a lui «Se mi lancio allo scoperto verso quello là mi faccio massacrare! Non riesco a lanciargli degli attacchini preventivi, se uso il mio elemento per velocizzarmi!».

«Hai ragione. Ma finché non eliminiamo quello là dietro l’albero non posso coprirti...» Soragan rifletté un istante, poi schioccò le dita «Facciamo fuori prima lui, deve essergli rimasta giusto una manciata di punti vita. Da qui non credo possa vederci, e sono...» sporse di lato la testa per valutare la distanza, poi tornò a fissare Heath «Saranno cinque o sei metri, forse sette. Se ti velocizzi gli sarai davanti prima ancora che se ne accorga. Io intanto lancerò qualche attacco a quell’altro, così dovrei scoraggiarlo dal mettere la testa fuori. Quanta vita hai ancora?».

«Boh, attorno ai settanta. Posso correre il rischio».

«Perfetto. Sei pronto?»

Heath annuì e si preparò a scattare. Attorno ad ogni caviglia gli comparve un anello di energia azzurrina, e Soragan sbuffò.

«Cazzo, non puoi neanche immaginare quanto te la invidio», gli disse con un sorriso, e Heath rise.

«Me la invidierai, ma intanto se uso così la magia non posso fare altro o supero quel dannato limite di 0,5! Sono pronto, lumacone».

«Allora vai».

Soragan si sporse dai cespugli che lo riparavano alle spalle con tutto il busto, e cominciò a lanciare piccoli proiettili di energia a pochi secondi l’uno dall’altro.

Mentre Heath balzava fuori, diretto nella direzione opposta, vide un caschetto sbucare da dietro un masso, a diversi metri di distanza, e ritrarsi immediatamente non appena un proiettile lo sfiorò.

Sentì un trillo acuto alle proprie spalle, e pochi secondi dopo Heath gli fu di nuovo accanto, un largo sorriso sul viso lentigginoso.

«Eliminato un altrooo!», canticchiò, poi tacque un attimo per riprendere fiato.

«Non esaltarti tanto, siamo ancora quattro a tre per me», disse Soragan, e il sorriso di Heath si allargò ancora di più.

«Sì, ma il prossimo è mio! Dov’è che sta?».

«La roccia, quella piena di muschio giallognolo. E non credere di restare in parità per molto, dannato».

«Vedremo. Coprimi!».

Di nuovo le caviglie di Heath vennero circondate da un anello di energia, e balzò in direzione dell’avversario ad una velocità tale da lasciare sconvolto Soragan – e non era la prima volta che lo vedeva utilizzare quel potere.

L’avversario si sporse quel che gli bastava da poter vedere qualcosa e mosse rapidamente una mano, emettendo proiettili d’energia in tutte le direzioni.

Soragan utilizzò entrambe le mani per ergere una barriera e mantenerla davanti a Heath, cercando al tempo stesso di avere la migliore visuale possibile scoprendosi il minimo.

Un proiettile gli colpì di striscio l’avambraccio, e il bracciale emise un debole “pi”.

Trattenne a stento l’impulso di guardare quanti punti aveva perso e rimase concentrato a proteggere il compagno. Nel momento in cui Heath saltò sopra la roccia, il bracciale avvertì Soragan, con un suono più grave, che era vicino al limite di 0.5, e il ragazzo fu costretto a distruggere la barriera per non superarlo.

Si concesse un attimo per riprendere fiato, dato che non poteva essere di grande aiuto ad Heath.

Merda, controllarsi è più faticoso che combattere!, sbottò mentalmente, e per la prima volta nella sua vita ringraziò il fatto che trattenersi gli riuscisse così facile, a forza di farlo di continuo.

Conoscendo il suo carattere, se avesse avuto un potere normale non avrebbe mai avuto abbastanza buon senso da riuscirci a lungo, nonostante le decine di ore di allenamento a scuola.

«Sooor!», strillò Heath, e Soragan si lanciò subito in suo soccorso.

Raggiunse il compagno in una manciata di secondi, e lo vide seduto a terra dietro al masso a riprendere fiato. Dell’altro ragazzo non c’era traccia.

Si affrettò ad accucciarsi anche lui, in modo da avere almeno la schiena coperta, e allungò le mani davanti a sé, perlustrando il bosco con aria vigile.

«E’ scappato via», disse Heath «L’ho colpito, poi sono saltato via pensando che volesse contrattaccare, e invece lui è scappato! Ma dai, si potrà? Senza tu a coprirmi mica posso seguirlo!».

«Quanto danno gli hai fatto?».

«Boh. Abbastanza, credo, l’ho colpito in pieno petto. Cavolo, volevo eliminarlo io, non è giusto!».

«Così impari a gioire troppo in fretta, ti sta solo bene», ridacchiò Soragan, rivolgendogli un sorriso di scherno. Scoprì poi lo schermetto per vedere i punti vita rimasti, e notò con piacere che erano scesi solo di uno. Niente di cui preoccuparsi, quindi.

«Sor, secondo te in quanti siamo rimasti?», gli chiese Heath, sbirciando lo schermo «Non si è ancora attivata quella cosa che ci segnala gli altri?».

Soragan lanciò qualche occhiata davanti a sé, ma la situazione sembrava tranquilla.

«Aspetta, ora controllo...», borbottò, e pigiò il tastino verde brillante accanto allo schermo.

Tutte le cifre scomparvero, e dopo pochi secondi furono sostituite dalle parole “non ancora abilitato”.

«No, non siamo ancora sotto le dieci squadre. Mancano un paio d’ore prima delle sei e mezza... torniamo da Jemiah, poi vediamo se riusciamo a fare un altro giro. Non mi va di lasciarla troppo tempo da sola, non vorrei che si deprimesse».

«E poi magari mangiamo qualcosa», propose Heath «Io ho fame. Mi basterebbe anche una piantina di fragoline lungo la strada, magari, non sono molto esigente».

Soragan scosse la testa e lo ignorò.

«Spero che Jemiah non sia stata attaccata. Non è brava a controllarsi, si farebbe eliminare subito».

 

«Aretha», sibilò Jemiah, acquattandosi contro il terreno. Strisciò dentro una macchia di cespugli e aspettò che l’incantesimo per limitare il potere entrasse in azione.

Si era dimenticata di dire a Sor che aveva imparato la parola “limite”. Forse avrebbe dovuto farlo il prima possibile, o Sor si sarebbe preoccupato per niente.

Vide due piedi comparire e fermarsi davanti ai suoi occhi e deglutì, lo stomaco stretto in una morsa.

Non doveva pensarci. Doveva rendere Sor fiero di lei. Non doveva pensarci. Non doveva pensarci.

I piedi si mossero e scomparvero dalla sua visuale.

«Qui non c’è niente», sussurrò una voce femminile.

«Guarda meglio, Allie», sbottò un’altra voce, questa volta maschile «Ho visto qualcuno. Non me lo sono sognato».

«Ti dico che non c’è nessuno».

Jemiah trattenne il fiato. Le serviva il contatto visivo, se voleva attaccarli, ma non poteva muoversi o avrebbe fatto troppo rumore. Poteva provare con “silenzio”, che era piuttosto efficace nel coprire i suoni, ma non era tanto brava a capire quanto potere le occorreva per ogni parola. Doveva aspettare che “limite” finisse di attivarsi, così, se “silenzio” avesse avuto bisogno di più energia di quella che poteva usare, non avrebbe funzionato e basta.

“Limite” sprecava talmente poca energia che neanche lo sentiva, però era davvero troppo lento.

Un altro paio di piedi passò davanti ai suoi occhi, e di nuovo Jemiah sentì lo stomaco stringersi.

Si morse un labbro e si trattenne dall’istinto di strizzare gli occhi – sapeva che ogni volta che lo faceva poi era peggio, perché rivedeva quelle scene più chiaramente e...

Si morse più forte il labbro.

Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci.

Sentì un debole calore all’altezza del cuore, e capì che “limite” doveva aver finito di attivarsi.

«Lithia­», sussurrò allora, e grattò appena il terreno con una mano. Nessun rumore.

Scivolò fuori dal cespuglio in completo silenzio e sgattaiolò al riparo di un tronco senza che i due si accorgessero di lei.

Appena raggiunto il nuovo nascondiglio bisbigliò “Atte” e “silenzio” si disattivò. Sollevò il coperchietto del bracciale, e vedere che non era cambiato niente la rassicurò. Non era comparsa nessuna ammonizione, quindi doveva aver spento “silenzio” in tempo. Era certa che consumasse abbastanza energia, però era utile. Doveva chiedere alla sua insegnante di misurare il consumo anche di questa, prima o poi.

«Eppure io sono convinto di aver visto qualcuno!», insisté la voce maschile, e la ragazza sbuffò.

«Che palle che fai. Io mi fermò un attimo a riposarmi, mi fa male una caviglia».

Jemiah prese un respiro profondo.

Cosa doveva fare? Attaccarli e sperare che fosse rimasta loro poca vita, così da eliminarli magari con un colpo solo?

Si sporse per lanciare ai due un’occhiata.

Il ragazzo era in piedi e le dava le spalle; la ragazza invece si era seduta su una sporgenza e si stava osservando una caviglia.

Forse avrebbe potuto colpirli anche due volte.

«Mate», sussurrò, e un dardo di energia della forma di una foglia le comparve davanti, all’altezza degli occhi. Rifletté un attimo, poi aggiunse «Fhe», “dieci”, e ne comparvero altri cinque.

Sentì come un pizzicore all’altezza del petto, e comprese che sei dardi alla volta dovevano essere il massimo che le era consentito.

«Ti­-».

«Ho sentito un rumore», disse la ragazza, costringendola a bloccarsi.

Un attimo dopo un proiettile d’energia colpì il ragazzo ad un fianco, e questo si lasciò sfuggire un grido per la sorpresa.

«Porca vacca!», esclamò la ragazza, affrettandosi ad ergere una barriera.

Jemiah rimase immobile, in ascolto, e quando sentì la risata di Heath si lasciò sfuggire un sorrisetto.

«Tisse», bisbigliò, e i dardi saettarono verso gli avversari.

 

Il fuocherello scoppiettava allegro, e Soragan vi lanciò sopra qualche bastoncino.

«Madre, mi sento a pezzi!», esclamò Heath, frugando selvaggiamente nello zaino «Cavolo, io ho ancora fame! Non ci sono piantine di fragoline, qui attorno?».

«Ma sei proprio fissato con queste fragoline», osservò Soragan «Ti piacciono così tanto?».

«A dire il vero preferisco i lamponi. Però le fragoline mi ricordano una gita in montagna che feci con mio padre, prima che se ne andasse».

Heath smise di frugare e fissò per qualche istante l’interno dello zaino, in silenzio.

«Uffa. Mi sa che la fame mi tocca tenermela».

«E’ la prima volta, da quando ci conosciamo, che ti sento parlare di tuo padre», disse Soragan «Il che è strano, visto quanto parli tu. Ce l’hai con lui?».

«Oh, figo, una mela!», esclamò Heath, e alzò lo sguardo verso il compagno «Eh? Oh, no, a dire il vero no. Dev’essere perché non ne è mai capitata l’occasione, non è che ci sia poi molto da dire. Se n’è andato di casa poco dopo la nascita di mia sorella, e io ero ancora piccino. Tra l’altro, dev’essere ancora in galera per traffico di droga o roba simile» addentò la mela e aggiunse, la bocca piena: «Gnon mi tange».

«Il mio papà aveva paura di me», borbottò Jemiah, e i due ragazzi si voltarono a guardarla basiti.

«E come mai?», chiese Soragan, passando una mano sulla testa della bimba.

Il tono di voce gli era uscito abbastanza normale, ma in realtà era sconvolto. Da quando la conosceva, era la prima volta che sentiva Jemiah parlare della sua famiglia.

A onor del vero, era convinto che avesse rimosso tutto per via di quel misterioso shock.

«Perché so usare le parole», sussurrò la bambina, poggiandosi contro Soragan.

«Quindi tu sapevi di essere un oisier?», chiese Heath, e lei annuì.

«Lo era mamma. Lo sa anche il governo che mamma mi ha passato il potere. Li tengono segnati tutti da qualche parte, quelli come me».

«Non credevo», borbottò Soragan. Ora capiva meglio il motivo dell’ammissione di Jemiah all’Accademia.

«E... il tuo papà ti trattava male?», chiese Heath, e Soragan gli lanciò un’occhiata glaciale, della serie “complimenti per il tatto”.

«Era gentile, anche se aveva paura», borbottò Jemiah, stringendosi alla vita di Soragan «... Per un po’».

La bimba strizzò gli occhi e scosse la testa.

Tacque qualche istante, poi aggiunse: «L’occhio viola è un incantesimo di mamma. Me l’ha fatto mentre ero nella pancia».

«Figo!», esclamò Heath «Io credevo che ci fossi nata! Cioè, ci sei nata, però, nel senso... credevo che fosse naturale, ecco. Anche se, a ben pensarci, la tua capacità non è tanto naturale».

«Se è un incantesimo, allora dovrebbe essere possibile toglierlo», osservò Soragan.

Jemiah lo guardò e scosse la testa «Non voglio, mi piace. Però voglio imparare la formula per togliere il tuo, prima o poi».

«Il mio cosa?», chiese Soragan, inarcando un sopracciglio, e Jemiah corrugò appena la fronte.

«Il tuo incantesimo, quello che hai addosso. Non lo senti?».

«Io non ho-».

Soragan si interruppe e si portò una mano al mento. Era un po’ che non ci pensava, ma in effetti su madre aveva accennato ad un incantesimo, nel video.

«Non riesco bene a capire dove sia», borbottò Jemiah «Però lo sento quando ti tocco la faccia, quindi credo che sia lì».

«E’ agli occhi­», disse Soragan «Durante la guerra... mi è sfuggito di mano il mio potere, una volta, e hanno cambiato colore. Prima erano marroni, non blu».

«Ti è sfuggito il tuo potere?», ripeté Heath, e Soragan si morse la lingua. Ecco cosa succedeva a entrare troppo in confidenza, poi gli scappavano le cose.

«Avevo l’impressione che tu non me la raccontassi giusta», continuò l’altro con un sorrisetto divertito «Sei sempre lì, tutto super controllato, e poi di tanto in tanto migliori di un punto, all’improvviso. Mi puzzava di bruciato, la cosa. Su, sputa il rospo».

Soragan sospirò «A dire il vero, non c’è molto da dire... il mio potere è strano. È... tanto. E secondo Jemiah la mia anima ha una forma strana, rispetto a quella delle altre persone. È come un alone, non assume un aspetto sensato».

«E tutto ciò è dovuto a...?».

Soragan scosse la testa «Non ne ho idea».

«Uhm, capisco», mormorò Heath, incrociando le braccia pensieroso «Eee... dimmi... sono mesi ormai che viviamo nella stessa stanza... come mai non me ne hai mai parlato?».

Soragan si mordicchiò un labbro «Ecco...».

«Forse», continuò Heath serio «Non ti fidi di me?».

«No, è che...! Io...» Soragan si grattò la testa e abbassò lo sguardo.

Pensava di essere immune ai sensi di colpa, ma probabilmente era solo perché evitava di stringere legami abbastanza stretti da causargliene.

«Non...», tentò di giustificarsi, ma Heath lo interruppe scoppiando a ridere.

«No, ok, basta, non ce la faccio a fare l’arrabbiato!».

Soragan corrugò la fronte, perplesso «Non... sei offeso perché non mi fido di te?».

«Ma figuriamoci! Avrai le tue buone ragioni. Mica sono la tua fidanzata» gli sorrise divertito e si alzò in piedi «E poi so che ti fidi di me. Non si sceglie come compagno di squadra qualcuno di cui non ci si fida. Ora scusami, ma certi impellenti bisogni mi costringono a separarmi da voi».

Heath si allontanò, canticchiando fra sé e sé qualcosa che suonava come “oh mia pianta di fragoline”, e Soragan si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.

Abbassò lo sguardo su Jemiah e vide che si era addormentata contro di lui.

«Quello lì è davvero stupido», borbottò, e si passò una mano fra i capelli.

 

Picchiettò il bicchiere di vetro con l’indice, e i cubetti di ghiaccio all’interno scricchiolarono.

«Oh, santa madre! Ho scordato il portafogli a casa!», esclamò sua madre, frugando nella borsetta.

Una cameriera si avvicinò, un’espressione sospettosa sul volto «C’è qualche problema signora?».

«Maledizione, che figuraccia... senta, abitiamo giusto a neanche duecento metri. Le spiace  se lascio un attimo il bambino qui e vado a prendere il portafogli? Le prometto che sarò di ritorno in pochi minuti».

«Certo, nessun problema».

La cameriera tornò dietro al bancone, e Soragan alzò lo sguardo verso la madre.

«Torni presto, mami?».

Leanen gli sorrise triste e gli carezzò la testa.

«Sì, torno presto».

 

«Soragan!», strillò Heath, scuotendolo con violenza.

Soragan batté gli occhi, cercando di scacciare la sensazione fastidiosa che l’aveva assalito – colpa sia del sogno, sia dell’essere stato risvegliato così. E poi c’era un fastidioso “pi pi pi” che gli stava mandando in palla i neuroni.

«La testa...», borbottò passandosi una mano sul viso.

«Soragan, c’è qualcosa che non va», disse Heath, un’espressione preoccupata sul viso. Anche Jemiah, accanto a lui, aveva l’aria inquieta.

«Aah? Cosa?».

«Questo è il segnale di allarme!», esclamò Heath, battendo l’indice sul bracciale «E’ quello che significa “fate subito ritorno alla base”».

«Stai scherzando? Perché dovremmo tornare alla base?» Soragan alzò la testa e scrutò i brandelli di cielo fra le chiome degli alberi. Non c’era nemmeno una nuvola.

«E che ne so?», borbottò Heath «Magari hanno un guasto alle attrezzature e non riescono a sistemarlo prima che ricominci la prova».

«Giusto, non ci avevo pensato. Che ore sono?».

Heath guardò lo schermetto «L’una e qualcosa. Ho già tirato fuori le torce».

«Va bene. Raccogliamo la roba e incamminiamoci, non ha senso aspettare ancora. E poi questo rumore è terribile».

«Aspetta, forse si può spegnere...», disse Heath, pigiando a caso i pulsantini colorati accanto allo schermo. L’allarme tacque, e il ragazzo sorrise.

«Ecco, visto? Sono un piccolo ge-».

Heath si interruppe, lo sguardo fisso oltre le spalle di Soragan e il viso contratto in una smorfia spaventata.

«Che succede?», gli chiese Soragan voltandosi. Non c’era niente dietro di lui, solo bosco – come in tutte le direzioni.

«Si è mosso qualcosa».

«Lo sapevo che sarebbe finita così. È inutile che tu mi chieda di raccontarti storie dell’orrore, se poi ti impressioni!».

«No, no, sul serio. Ho visto una testa, giuro».

Soragan sbuffò «Ma ti pare?». Scivolò fuori dal sacco a pelo e vi si inginocchiò accanto per piegarlo. «Che tasto hai premuto per spegnere l’allarme, quindi? Mi urta».

«Quello gia-».

Una sfera di energia colpì Heath in pieno petto, mozzandogli il fiato, e lo scaraventò diversi metri indietro. Batté con la schiena contro un albero e cadde in avanti a terra con un gemito.

Soragan scattò verso di lui, e una seconda sfera di energia lo sfiorò.

«Jemiah!», gridò, ma la bambina non diede segno di averlo sentito. Rimase ferma in piedi, paralizzata.

«Jemiah!­ Una barriera!», gridò ancora, e questa volta la bambina parve sentirlo.

«Dio!», strillò la piccola, e un’ampia barriera le si materializzò davanti.

 

«Mancano all’appello poco meno di venti ragazzi», osservò il Generale Noone, scorrendo lo sguardo sui monitor della sala di controllo «E’ necessario recuperarli. Sergente Mills, mi raduni rapidamente i maghi migliori. Le do cinque minuti, non uno di più».

Un soldato scattò sull’attenti abbandonò la stanza, e nello stesso instante entrò il Generale Alzmäjer, l’aria confusa di chi è stato appena svegliato e non riesce a capacitarsi bene di ciò che lo circonda.

«Noone, cosa succede?».

«Poco fa ho ricevuto una chiamata da uno dei miei informatori. Qualcuno si è introdotto nell’area della prova. Ho fatto richiamare tutti i ragazzi, ma molti potrebbero metterci anche ore a raggiungere il campo base, perciò sto organizzando dei gruppi per recuperarli».

«Qualcuno si è introdotto nell’area?», ripeté Alzmäjer, lisciandosi la barbetta «E a che scopo?».

Noone assottigliò l’occhio e incrociò le braccia muscolose.

«Mh, credo di avere intuito», disse Alzmäjer «Ci saranno dietro gli altri tre?».

«E’ una possibilità».

Il sergente Mills rientrò di corsa nella stanza e scattò sull’attenti.

«Generale! Purtroppo i maghi delle nostre truppe qui presenti sono solamente sei. Posso cercare fra i ragazzi».

«Non importa, sei sono più che sufficienti. Ordina loro di dotarsi di un dispositivo di localizzazione, e di presentarsi qui per ritirare un dispositivo di rilevamento. Oh, ne procuri uno di localizzazione anche a me».

«... mi scusi?», borbottò il sergente, la fronte corrugata.

«Noone, vuole andare anche lei?», chiese Alzmäjer perplesso, e Noone annuì.

«Sette maghi sono meglio».

«Non crede che sia pericoloso?», obiettò Alzmäjer.

Noone gli rivolse un sorrisetto sicuro.

«Faccia un po’ come le pare. Ma sappia che non è una cosa furba».

Noone si strinse nelle spalle «Non c’è molta scelta. I ragazzi si muoveranno con i loro compagni di squadra, e le squadre rimaste sono sette».

Afferrò un plico di fogli con segnati tutti i nominativi, ed evidenziati quelli dei ragazzi che i computer segnalavano essere ancora nei boschi.

«Vediamo, quale posso prendermi io...?».

Scorse rapidamente tutti i nominativi con l’indice, e fermò il dito a metà del secondo foglio.

«Loro», disse, e per un istante gli comparve sulle labbra un sorrisetto divertito.

 

«Mi fa... male la schiena», piagnucolò Heath, disteso prono a terra «E il petto».

«Non muoverti», sibilò Soragan muovendo le mani sulla sua spina dorsale «Ora ti curo. Stai tranquillo».

Lasciò che il potere fluisse verso il compagno, e lanciò uno sguardo a Jemiah.

A un passo da lui, la bambina sostituì la barriera che si era appena infranta con una nuova.

«Sor», pigolò Jemiah «Cosa vogliono? Ho paura».

Si passò una manica sul viso e tornò a rivolgere le braccine alla barriera per sostenerla meglio.

«Non lo so, porca troia!», sbottò Soragan «Merda, Heath, la tua velocità di guarigione fa cagare! Va bene che sono di elemento luce, ma non sto studiando da guaritore!».

«E io che colpa ne ho?», borbottò Heath «Te l’avevo detto che c’era qualcosa!».

«Va bene, va bene» Soragan chiuse gli occhi e lasciò sgorgare una maggiore quantità di energia.

Ormai secondo il bracciale doveva essere eliminato, ma ormai la cosa non aveva più tanto senso.

«Soooor!», lo chiamò Jemiah «Sor, dev’essere un fuoco o ombra più forte di me, non ce la faccio!».

La barriera si infranse, e strillando “dio” la bambina la fece riapparire nuovamente.

«Dammi mezzo minuto, solo mezzo minuto», sibilò Soragan. Lanciò un’occhiata infastidita al proprio bracciale e si morse un labbro.

Se solo...

«Jemiah!», esclamò, colto da un’illuminazione. Le porse il polso, e la bimba lo guardò confusa.

«Rompilo. Usa una scossa elettrica e rompimi il bracciale. Senza questo non possono misurare il mio livello di magia».

«Ma...», borbottò la bambina, e Soragan scosse la testa.

«Niente ma. Fallo».

Jemiah annuì e sfiorò il bracciale con una mano.

«Viera», mormorò, e l’apparecchio sfrigolò ed emise una terribile puzza di bruciato.

«Bravissima», disse Soragan, e tornò a dedicarsi a Heath «Okay, così si fa prima».

Sul viso del biondino comparve un’espressione sollevata.

«Va meglio?», gli chiese, e Heath annuì.

«Ora sto bene, mi posso alzare».

«No, rimani a terra e non muovere un muscolo. Non peggiorare le cose», sbottò Soragan. Era quasi sicuro che il compagno con avesse niente di grave, ma nel caso si fosse sbagliato... preferiva non rischiare.

«Jemiah!», gridò alla bambina, alzandosi in piedi. Allargò le braccia e una cupola vibrante di energia comparve su di loro «Vi schermo io. Contrattacca!».

La bambina annuì. Allungò un braccio davanti a sé, sfiorando la cupola con la punta delle dita.

«Dammi un secondo, ti apro uno spiraglio», disse Soragan. All’altezza della mano di Jemiah si aprì un piccolo cerchio, e la bambina vi poggiò il palmo.

«Leit», disse, e dalla sua mano si dipartirono scariche d’energia in tutte le direzioni.

Soragan intravide un bagliore a diversi metri di distanza, sulla sua sinistra, e rapido dissolse la barriera e lanciò un attacco in quella direzione.

Un grido si dolore gli confermò che era andato a segno.

Scattò quindi in direzione della voce, ma l’unica che cosa che riuscì a vedere fu solo una schiena che si allontanava, e non riuscì neanche a prendere la mira che questa era scomparsa dalla sua visuale.

«Merda», sbottò. Se fosse stato solo l’avrebbe inseguito, ma non poteva abbandonare Heath e Jemiah. E poi dividersi sarebbe stato solo più pericoloso.

Tornò dai due e scosse la testa.

«Andato. Ma chi cazzo era? Non uno dei nostri, di sicuro».

«Magari non aveva cattive intenzioni», disse Heath, e Soragan gli lanciò un’occhiata scettica «Okaaay, come non detto! Aiutami a mettermi a sedere, su».

«Non devi muoverti, te l’ho detto».

«Vorrà dire che rimarrò fermo da seduto. No, davvero, non ho proprio voglia di passare ore steso per terra. Chissà quanto ci metteranno i soccorsi ad arrivare».

Soragan sbuffò, e Heath aggiunse: «Guarda che se non mi aiuti faccio da solo, eh».

«Va bene, va bene, ho capito».

Sostenendolo per le ascelle, Soragan lo aiutò a sollevarsi quel poco che gli bastava per mettersi a sedere contro un tronco. Heath gli rivolse quello che per lui forse doveva essere un sorriso rassicurante, ma in realtà gli uscì più come una smorfia di dolore.

«Hai male?», gli chiese Soragan «Dammi un minuto, guardo se c’è qualcun altro attorno poi riprendo a curarti. Voi due intanto mandate segnali di soccorso a ripetizione, magari servono».

Heath alzò il pollice, e mentre Jemiah si inginocchiava accanto a lui Soragan si inoltrò fra gli alberi.

Allungò il braccio davanti a sé e una sfera di energia gli comparve sulla mano, illuminando ogni cosa in un raggio di un paio di metri.

Ruotando il polso la spinse via, e questa rimase a volteggiare a mezz’aria seguendo i movimenti della sua mano.

Con qualche scatto del polso l’allontanò di alcuni metri, in modo da non rendersi un bersaglio perfetto, e con lenti movimenti delle dita la fece spostare da destra a sinistra e da sinistra a destra, continuamente.

Sembrava di nuovo tutto tranquillo.

Chi cazzo era quello?, pensò, senza smettere di perlustrare la zona, Ha messo in difficoltà Jemiah, dev’essere un mago potente. Che cazzo ci fa uno del genere per i boschi?

Un piede gli scivolò, e si poggiò ad una roccia per non cadere.

Di sicuro non potevano tornare al campo base, non di notte e non con Heath ridotto male. Oltretutto era certo che fosse piuttosto lontano.

Forse posso salire su un albero e vedere. Magari ho sbagliato ad orientarmi e siamo più v-

Un dolore lancinante alle scapole interruppe i suoi pensieri. Cadde a terra e rotolò già per un paio di metri, graffiandosi contro le rocce che sbucavano sotto il terriccio.

Si puntellò con le mani, cercando di rialzarsi, ma una vampata di fuoco lo colpì a un fianco prima che riuscisse anche solo a pensare ad una barriera.

Gridò per il dolore e cadde sull’altro fianco, e riuscì ad erigere un debole scudo qualche istante prima di essere colpito da una seconda fiammata, che venne deviata verso l’alto.

Le chiome di un paio di alberi presero fuoco, e Soragan si affrettò ad erigere una barriera più potente.

Questo doveva essere minimo minimo un livello 5, se non di più.

«Merda!», gridò frustrato, portando una mano al fianco ustionato. L’energia cominciò a fluire e a guarire la ferita, ma non velocemente come avrebbe voluto.

Una terza fiammata colpì la barriera, che la respinse e la rifletté tutt’attorno.

Il quarto attacco venne rivolto direttamente alla vegetazione.

«Fottuto piromane!», gridò Soragan, mentre il bosco attorno a lui prendeva fuoco.

Erano nella merda, dannatamente nella merda fino al collo.

Strinse i denti e si alzò in piedi, badando a mantenere la barriera attorno a sé per proteggersi il più possibile, e nonostante il fianco che doleva da impazzire si affrettò a tornare sui propri passi.

«Sooor, che succede?», chiese Heath non appena lo intravide, la voce tremolante per il terrore «Dimmi che quella luce laggiù non è fuoco».

«Una... una barriera», balbettò Soragan «Dobbiamo fare una di quelle barriere cilindriche, il più alta possibile. Quella... nel manuale, quella nel manuale! Aperta in alto per non finire l’aria!».

«Ommadre santissima», piagnucolò Heath «Lo sai che una roba così non la reggiamo a lungo, eh? Eh?».

«Porca vacca, lo so! Ma non possiamo muoverci!».

«Ommadre. Questa volta ci rimango».

«Ora non pensarci, cazzo!».

Soragan si guardò rapidamente attorno. Lo spazio più ampio, con meno ingombri nelle immediate vicinanze, era il punto dove avevano cenato poche ore prima, e afferrato Heath per un braccio lo aiutò a raggiungerlo.

«Mettiamoci giù, schiena contro schiena!», esclamò, afferrando una mano di Jemiah e spingendola a sedere di fianco a Heath.

Si sedette anche lui ad allungò le braccia dinnanzi a sé.

«Andiamo!», gridò, e davanti ai suoi palmi apparve una barriera. La fece scivolare in avanti di diversi metri, e si lanciò un’occhiata alle spalle.

«Okay, ora allargatela in modo da unirle, e cercate di metterle all’altezza della mia!», esclamò, allargando le braccia. Mentre le barriere si univano, Soragan sentì la schiena pizzicargli nei punti in cui veniva a contatto con quella degli altri due; era un buon segno, si stavano amalgamando bene.

«Perfetto! E ora verso l’alto!», gridò ancora, e la barriera si allungò verso il cielo, superando le chiome degli alberi.

«Santissima madre, speriamo che regga», piagnucolò Heath.

«Certo che reggerà!», sbottò Soragan. Si mordicchiò un labbro, e si rese conto di avere gli occhi caldissimi.

«Che merda di morte!», esclamò Heath, e Soragan gli mollò una gomitata.

«Smettila! Concentrati lì e taci!», sbottò, tornando a tormentarsi il labbro.

Il crepitare delle fiamme riempì rapido il silenzio, e Jemiah si lasciò sfuggire un gemito.

«Sor, fa caldo», pigolò.

«Lo so, lo so, non possiamo farci niente. Continuate a tenere la barriera così lontana, per lo meno dovremmo evitare di cuocerci» Soragan si morse il labbro ancora più forte «Ce la faremo, in un modo o nell’altro».

«Madre, ti prego, aiutaci», mormorò Heath «Giuro che se questa la scampo andrò più spesso alle cerimonie. Lo giuro, siete testimoni!».

«Va bene, siamo testimoni. Risparmiate le energie! E... e quando non ce la fate più...».

«Preghiamo?», disse Heath con una risatina isterica.

«No, idiota!», sbottò Soragan «... voi ditemelo. Qualcosa mi inventerò».

«Aha, la cosa mi incoraggia proprio», ridacchiò Heath, la voce tremante.

«Taci e concentrati», sibilò Soragan.

 

«Generale, la situazione è critica!», esclamò una giovane soldatessa seduta davanti a uno dei monitor «Il Generale Noone non risponde!».

Alzmäjer fissò il monitor con un’espressione talmente tranquilla da stupire la ragazza.

«Generale... quali sono gli ordini?», chiese lei, e l’uomo si lisciò la barbetta fra pollice e indice.

«Aspettiamo che Noone ci contatti. Nel frattempo... faccia preparare l’elicottero. Anticiperemo quel disgraziato».

La ragazza corrugò la fronte «Ma... il Generale...? L’incendio si...».

«Ha dieci vite come i gatti, quello. Voglio l’elicottero pronto in tre minuti».

«Signorsì!», esclamò la soldatessa, e si affrettò a dare istruzioni via radio.

 

«Mi... mi sta venendo un crampo, accidenti!», balbettò Heath «Soragan, non ce la faccio più!».

«Stringi i denti», sbottò Soragan.

Quanto tempo era passato? Gli sembrava quasi fossero trascorse ore – ma in realtà doveva trattarsi di una manciata di minuti.

«Sor», pigolò Jemiah.

Soragan vide la parte di barriera della bambina restringersi, e si affrettò ad allargare la propria per evitare fessure.

«Stai tranquilla», la rassicurò «Ci sono qui io».

Una fitta di dolore partì dal fianco ustionato e gli risalì lungo la schiena, ma si mordicchiò forte il labbro per evitare anche il minimo gemito.

Non poteva mostrare cedimenti. Gli altri due stavano basando tutta la loro forza sui suoi incoraggiamenti. Non poteva cedere.

Gli veniva quasi da piangere.

«... Sor?», lo chiamò Heath terrorizzato.

«Resisti ancora un secondo! Mi serve un attimo per-».

«No, no!», lo interruppe Heath «C’è... c’è qualcosa!».

«Qualcosa cos-».

Soragan voltò il capo e la voce gli morì in gola. Vide un’ombra avanzare rapidamente fra le fiamme, e pochi istanti dopo la barriera cominciò a sfrigolare, emettendo bagliori biancastri lungo una linea verticale.

La linea si divise poi in due, che si allontanarono in direzioni opposte per non più di un paio di metri, come una porta; e mentre ciò accadeva, una figura avanzò all’interno della barriera, che si richiuse poi alle sue spalle.

Soragan osservò la figura per qualche secondo, il cervello appannato.

Non poteva essere il Generale Noone.

Scosse la testa e rinsaldò la barriera, che nel momento di distrazione si era affievolita.

«Generale?», pigolò Heath con voce strozzata.

Laetius Noone sorrise e accostò un qualcosa di quadrangolare alla bocca.

«Li ho trovati, stanno ancora bene. Raggiungetemi con l’elicottero, nel frattempo provvederò a liberare il campo sopra di noi».

Il Generale ripose l’oggetto – doveva essere una radio – e si avvicinò ai ragazzi, sempre sorridendo allegro.

«Sono sbalordito! Questa barriera è spettacolare, deve costarvi molta fatica... coraggio, ancora qualche minuto e sarà tutto finito».

«Generale», mormorò Soragan «Lei come... come ha...».

“Come è riuscito a raggiungerci?”, voleva chiedergli, ma sentì la barriera indebolirsi di nuovo e la voce gli morì in gola.

«Non distraetevi, ora», disse il Generale, portandosi proprio accanto a loro. Doveva essersene accorto.

Guardò in alto per qualche istante, poi alzò le mani.

«Okay, ci sono troppi rami in mezzo. Giù le teste e chiudete gli occhi».

Soragan incassò la testa fra le braccia tese e strizzò gli occhi. Approfittò della posizione per strusciare il viso contro una manica e si mordicchiò la lingua – erano anni che non gli capitava più, ma non vedeva l’ora di chiudersi in bagno per sfogarsi.

E ora che si sentiva più sollevato il fianco gli doleva da impazzire.

Stava valutando se rivolgere parte delle energie ad attutire il dolore quando Jemiah emise un gemito strozzato.

L’attimo dopo la sua parte di barriera cedette del tutto, e spostando le braccia distese ai lati del corpo Soragan allargò la propria per rimpiazzarla.

«Cazzo!», esclamò, strizzando gli occhi ancora più forte. I muscoli delle braccia gli tremarono per il dolore.

«Tutto bene?», chiese Noone, e Soragan udì il rumore di legno che si spezzava e poi dei tonfi sordi.

Qualcosa gli rimbalzò sulla testa e gli ricadde a fianco.

«Tutto... tutto a posto», mormorò, e voltò il capo a osservare Jemiah.

La bambina era chinata in avanti e ansimava; poteva vedere la sua schiena alzarsi e abbassarsi ad un ritmo frenetico.

«Scusa», squittì la piccola, e Soragan le sorrise anche se lei non poteva vederlo.

Si guardò poi attorno, e notò ovunque frammenti di alberi. Lanciò un’occhiata veloce verso l’alto: fra i confini luminosi della barriera c’era solo cielo.

«State perdendo terreno», osservò Noone.

Soragan tornò ad osservare la barriera dinnanzi a sé. Prese un profondo respiro, concentrando le energie, e la spinse più avanti.

Una fitta partì a livello del cuore e si espanse su per il collo e anche lungo tutto il braccio destro, ma si sforzò di ignorarla.

Ancora pochi minuti. Ancora pochi minuti.

Con la coda dell’occhio vide la barriera di Heath indebolirsi per un attimo. Anche lui doveva essere al limite.

«Ragazzi, mi sembrate un po’ provati. Riuscite a resistere ancora?», chiese Noone.

Soragan annuì, e Heath gemette qualcosa che pareva essere un sì.

«Bene», disse Noone con un tono poco convinto «Ci siamo».

Tutti i rumori si attutirono. Soragan scosse la testa più volte, e i suoni tornarono intensi. Poteva sentire chiaramente, sopra il crepitio dell’incendio, il rumore delle pale di un elicottero che si avvicinava.

«Generale, siamo in posizione, passo».

Noone prese la radio e l’accostò al viso «Calate l’imbracatura. Mando su per prima la bambina. Lo spazio è sufficiente? Passo».

«Dovrebbe esserlo, Generale. Diamo inizio alle manovre di recupero, passo».

«Bene, ottimo lavoro. Voi due, ragazzini... chi di voi mando su prima?».

«Heath», disse Soragan «E’...».

Avrebbe voluto dire “è ferito alla schiena, è più debole, è al limite”, ma non riuscì ad aggiungere neanche una parola.

Anche Heath sembrava troppo esausto per ribattere.

Soragan tornò a strizzare gli occhi. Non sentì più Jemiah posata contro di lui, e ciò gli strappò un sorriso.

Poi realizzò che avrebbe dovuto prendere su di sé la barriera di Heath, e non aveva idea di come riuscire a mantenerla da solo per più di dieci secondi.

Una morsa di terrore gli attanagliò lo stomaco.

Come avrebbero fatto a recuperare sia lui che Noone?

«Ragazzo, al mio via preparati a sostituire la barriera del tuo amico», disse il Generale. Dal tono di voce sembrava essere tranquillissimo.

Forse aveva in mente qualcosa. Doveva avere in mente qualcosa. Laetius Noone aveva sempre la soluzione a tutto.

«Pronto... via!».

La parte di barriera di Heath cominciò a ridursi rapidamente, e Soragan la sostituì con la propria energia.

Un rigurgito acido gli bruciò la gola, e cercò di raggruppare un po’ di saliva per mandar via la sensazione spiacevole. Purtroppo aveva la bocca tanto secca che gli sembrava fosse sul momento di sgretolarsi.

La barriera perse una manciata di centimetri e la testa cominciò a girargli.

«Okay, basta così», disse Noone. Gli poggiò una mano sulla spalla, e Soragan volse appena il capo per vederlo inginocchiarsi accanto a lui.

«Ora devo mandarti su. Lascia lentamente la barriera, la sorreggerò io».

«Ma... Generale...! Lei non...!», tentò di ribattere Soragan.

«Ragazzino, non sarei diventato Generale così giovane se non fossi stato il miglior mago di Hymn. Sciogli la barriera».

«Io... Generale, non..».

«Stai tranquillo, andrà tutto bene».

Soragan annuì appena. La barriera iniziò lentamente a dissolversi dal basso, ma se la sua energia non fosse stata coinvolta Soragan non si sarebbe nemmeno accorto del cambiamento.

L’energia di Noone sostituiva e si amalgamava talmente bene con la sua da rendere la transizione praticamente invisibile.

E Noone gli stava ancora tenendo una mano sulla spalla.

«Ma... come...», borbottò, ma un conato lo costrinse a interrompersi. Cadde su un fianco e vomitò, e il resto della barriera si infranse nel giro di pochi secondi.

Noone non sembrò farvi particolarmente caso, però. Con nonchalance si alzò in piedi e distese un braccio; la barriera si completò, e Soragan la osservò ergersi brillante e resistente.

Poi la vista gli si appannò e gli scomparve, e svenne l’istante successivo.

 

*

«Lei è un uomo molto avventato, Noone», disse Alzmäjer, fermo a braccia incrociate sulla soglia del bagno.

Laetius Noone gli diede le spalle e si chinò sul lavandino. Con una mano si sfilò la benda e la lasciò ricadere a terra.

«Ho bisogno di una doccia», osservò. Aprì il rubinetto e si sciacquò il viso, poi afferrò un asciugamano e se lo tenne premuto sulla faccia qualche istante «E di un paio d’ore di sonno. È la seconda notte che passo in bianco».

«Mi correggo, lei non è avventato, è solo estremamente sicuro di sé. Non avevo dubbi che ne sarebbe uscito senza un graffio, ma mi chiedo da dove derivi tutta questa sua sicurezza».

Noone si strinse nelle spalle. Frugò in una bustina nera poggiata sul lavandino e ne estrasse una nuova benda del medesimo colore.

«E’ solo una questione di esperienza, Alzmäjer», disse, aggiustandosi la benda sull’occhio destro «Piuttosto... a questo punto credo che la prova sia da considerarsi annullata. Crede che sia il caso che scelga io il gruppo vincitore?».

«Ha già un’idea?».

«Mh, può darsi. I tre ragazzi che ho recuperato... voglio confrontare i loro punti vita rimasti con quelli degli altri non eliminati. Nel caso risultassero in buona posizione...».

Noone si girò e sorrise «Quella barriera era proprio niente male. Sarebbe una vittoria meritata».

«Se sarà lei stesso a deciderlo, nessuno avrà niente da recriminare, presumo», disse Alzmäjer, e si arrotolò la barbetta attorno all’indice.

 

Soragan aprì gli occhi e subito li strizzò, accecato dalla luce del sole che gli inondava il viso.

Si portò una mano alla fronte per schermarsi, e nel muoversi gli parve di sentir male a tutti i muscoli del corpo, dal collo alle gambe.

«Sor, sei sveglio!», esclamò Heath.

Soragan mosse appena la testa per guardarsi attorno, e vide il compagno disteso nel letto accanto. Jemiah era seduta in una poltroncina fra di loro, le gambe raccolte al petto. Rivolse a Soragan un sorriso caldo e allungò una manina a sfiorargli una guancia.

«Come stai?», chiese Heath «E’ un po’ che dormi».

«Credo... credo di stare bene», mormorò Soragan. Rotolò su un fianco, ma una fitta di dolore gli ricordo che era meglio non poggiarvisi sopra, e ritornò supino «Sono solo un po’ stanco. Voi due, invece?».

«Alla grande!», esclamò Heath. Alzò il pollice e distese le labbra in un sorriso larghissimo «Anche perché sono vivo, e non è una cosa di secondaria importanza».

«Anch’io sto bene», mormorò Jemiah «La guaritrice ha detto che dobbiamo riposarci».

«Ha anche detto qualcosa sul tuo fianco», aggiunse Heath «Del tipo che hai una velocità di guarigione molto buona, anche se forse ti rimarrà un segno. Però era una roba non tanto grave, insomma».

«E la tua schiena?».

Heath scosse la testa ed assunse un’espressione affranta «Il dottore ha detto che non potrò più andare al torneo nazionale di lancio del cuscino. Mi spiace, partner, ma dovrai raggiungere il podio con le tue sole forze!».

«Ma smettila! E io che mi preoccupavo sul serio!», sbottò Soragan, e Heath rise. Anche Jemiah si lasciò sfuggire un risolino.

«Okay, scherzi a parte, non è niente di grave. Devo solo starmene buono un paio di settimane per recuperare tutta l’energia che abbiamo speso. Ha detto che ci vorrà un po’».

Puntò l’indice verso Soragan e aggiunse «A te soprattutto. Già che continuo a chiedermi come hai fatto a non rimanerci secco, con tutta la fatica che abbiamo fatto il pomeriggio e tutta quella per la barriera. E poi avevi anche curato me, mi ero scordato!».

«Ho molte riserve», ridacchiò Soragan «Ti prego, non farne parola con nessuno. Non voglio casini».

«Bocca cucita!», esclamò Heath, chiudendo una cerniera immaginaria fra le sue labbra «Ma, Sor... è solo una mia impressione, o i tuoi occhi sono diversi?»

«Diversi?», chiese Soragan. Si guardò attorno, ma non vide nessuna superficie in cui potesse specchiarsi.

«Sono più chiari», mormorò Jemiah «Te l’ho detto che c’è un incantesimo sopra. Gli ha fatto cambiare colore».

«Cheppalle, spero che non ci faccia caso nessun’altro».

«Naah, tranquillo, non è che ci sia tanta differenza rispetto a prima. Me ne sono accorto io giusto perché sono un acuto osservatore».

«Acuto osservatore tu? Ma figuriamoci!», rise Soragan. Si passò una mano sul viso e sospirò.

Aveva bisogno di dormire ancora un po’, sentiva il cervello annebbiato.

«Chissà poi com’è finita la prova», borbottò Heath «Ci tenevo a vincere».

«Anch’io», sospirò Soragan «E dire che eravamo messi bene. Se scelgono i vincitori a tavolino, forse abbiamo qualche possibilità».

La porta si aprì ed entrò una donna di mezza età con lo stemma dei Guaritori sul petto.

«Oh, vedo che siete tutti svegli. Generale, può entrare».

La donna si sposto di lato e lasciò passare il Generale Noone, che sembrava essere in piena forma.

Ora indossava una canottiera nera attillata, e Soragan poté constatare che non aveva nemmeno un misero graffietto o una scottatura.

Qualche ora prima era troppo concentrato per darvi peso, ma ora non poteva fare a meno di chiedersi che controllo straordinario dei propri poteri dovesse avere quell’uomo. E anche che livello di magia, dato che aveva innalzato una barriera enorme senza scomporsi.

Quanto avrebbe voluto essere come lui.

«Noto con estremo piacere che, nonostante la brutta avventura, siete tutti e tre in buone condizioni», disse Noone, incrociando le braccia. Con la coda dell’occhio, Soragan vide Jemiah arrossire appena.

Era divertente vederla reagire come una ragazzina normale.

«Vi concedo ancora qualche ora di riposo, dopo di che sarò mio malgrado costretto a farvi fare qualche domanda a proposito dell’attacco che avete subito. Qualsiasi informazione ci sarà utile per identificare i colpevoli».

Soragan boccheggiò. Avrebbe voluto chiedergli se aveva qualche idea sul perché li avessero attaccati, ma si sentiva troppo in soggezione.

Come se gli avesse letto nel pensiero, Noone continuò: «Non riusciamo ancora a spiegarci le motivazioni di un simile gesto, ma per il momento mi rallegra il fatto che nessuno ne sia uscito ferito in modo grave».

Noone tacque qualche istante, pensieroso, poi sul suo viso comparve un sorriso raggiante.

«In ogni caso, i miei complimenti! Poiché la prova è stata ovviamente annullata, ho visionato di persona tutti i dati relativi ai gruppi rimasti in gara prima di stanotte, e ho il piacere di annunciarvi che siete risultati i migliori. Quindi... riposatevi in vista di settembre».

«Si... sissignore!», balbettò Soragan, tentando un saluto militare.

Era andato tutto meravigliosamente come sperava, quasi non riusciva a crederci.

Gli sembrava troppo bello per essere vero.

 

Laetius Noone abbandonò la stanza e si avviò lungo il corridoio che conduceva all’esterno.

La sfortuna lo aveva tormentato per anni, ma a forza di tentare in qualche modo doveva averla ingannata.

Quel ragazzino era identico a Leanen, non aveva dubbi sul fatto che fosse suo figlio.

Sorrise a se stesso e si passò una mano fra i capelli.

Nonostante gli imprevisti, questa volta era andata come aveva programmato.

«Strano», borbottò, e si lasciò scappare una risatina.

 

   
 
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