8. Epilogo
La campanella era suonata già da qualche minuto. Maya stava finendo di riporre i libri nella borsa. Touma la colpì leggermente sulla testa con le nocche.
«Pronta?»
«Ancora un secondo.» rispose lei, chiudendo la cerniera.
Poi, entrambi uscirono dalla loro classe. Gli altri samurai li stavano aspettando in cortile.
«Kunimi e Honda?» chiese Ryo.
«Ci raggiungono dopo.»
I sei ragazzi si incamminarono verso l’università. Lei rallentò lievemente, osservò i suoi cinque amici che scherzavano amabilmente fra loro e sorrise. Finalmente tutto era come doveva essere. Finalmente lei era tornata ad essere se stessa, e per questo doveva ringraziare loro, che l’avevano appoggiata in ogni momento, l’avevano consolata, protetta, e, perché no, anche un po’ viziata.
«Maya, muoviti!» la chiamò Xiu, facendole affrettare il passo.
Arrivati davanti al cancello dell’università, si accorsero che Akira li stava aspettando.
«Ne è apparso un altro?» domandò Maya.
La giapponese chinò il capo.
«Non ti lasciano in pace nemmeno il giorno del tuo compleanno!» si lamentò Shin.
«Il male non si prende ferie.» disse la ragazza, fermandosi accanto alla compagna.
Touma la tirò a se per il braccio.
«Sta attenta. E non fare tardi, mi raccomando.» le sussurrò, sfiorandole la tempia con le labbra.
Lei accennò di sì con la testa. Poi prese in mano la chiave d’ametista che teneva legata al collo ed indossò la sua armatura. I samurai la osservarono scomparire in un portale insieme ad Akira; poi, varcarono il cancello dell’università.