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Autore: Quintessence    17/02/2011    4 recensioni
Il suicidio. La vita. La sproporzione dell'amore. Questi sono i miei temi, quali sono i tuoi?
~
Cosa è successo ad Alessandra, perché Matteo decise di non amarla, come questo la uccise e come il contorno cambiò all'improvviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Uno ~ Cosa ha fatto Matteo


Non si vide più di qualche luce. E non si sentì più di qualche sirena. Più di qualche singhiozzo. Più di qualche mi dispiace. La madre della ragazza piangeva. Matteo no.
Le persone guardandola l'additavano, è stata colpa sua. Comunque qualcuno ci aveva provato, a chiamare l'ambulanza. E l'ambulanza l'aveva portata in ospedale. E dall'ospedale l'avevano spedita all'obitorio. Diagnosi: morta sul colpo. Poco dopo lo schianto.
I funerali li fecero a porte chiuse. Matteo guardò tutta la cerimonia dal cancello, attaccato con le mani nude alle sbarre fredde. C'era anche Federica. Lei pianse. Lui no. Fu una roccia, dicevano, nemmeno una lacrima. Più di una volta lo videro andare al cimitero e portare dei fiori, ma non pianse nemmeno una volta. Sulla lapide avevano messo una foto di lei sorridente, di quelle in cui mostrava le labbra al lampone e il sorriso smagliante, e i boccoli biondi disordinati. A Matteo piaceva.
*
Ma non gli sarebbe mai venuto in mente di poter fare qualcosa.
Non mangiava, non studiava, non prendeva 9, non dormiva, non usciva, non giocava a calcio, non si mangiava più le unghie.
Ma non gli sarebbe mai venuto in mente di poter fare qualcosa.
Gli venivano in mente molte cose che non aveva voglia di fare, ma niente da fare. Solo cose da non fare. Cose da non fare più. Se ne stava in casa, tutto il giorno, girava per i corridoi come un fantasma. Spaventava sua madre. Non rideva. A scuola non parlava più. Era come se fosse finito qualcosa, per lui. Fissava il banco vuoto di Alessandra. Per tre giorni lo lasciarono lì, come se fosse malata. Come se da un momento all'altro potesse tornare a scuola, porgere il libretto con una giustificazione qualsiasi. Ho avuto la febbre.
Il quarto giorno lo portarono via. Restarono le impronte per terra. La bidella strofinò per due giorni prima di riuscire a toglierle. Matteo pensò che doveva essere stata una faticaccia.
E alla fine, vedendolo così, spiacendosi di tutto quello che era successo, spiacendosi di tutto quello che avevano fatto per separarli seppure incoscienti, e sentendosi in colpa ovviamente, ma senza riuscire a dire più che "Mi dispiace" senza chiedere "perché", Loro invitarono Matteo al luna park.
Era il Luna Park di Ottobre, di quelli che marciano per tutto il pianeta senza sosta, ma una volta all'anno tornano nella tua città. Li riconosci. E anche se tu cresci, loro sembrano non invecchiare mai, con le stesse giostre, lo stesso odore di fritto d'ogni genere e la musica degli anni 50. A volte viene da chiedersi se non siano immortali. Forse venivano anche negli anni 30. Forse anche negli anni 20. Quanti anni hanno?
"No, Grazie" -Aveva risposto lui alla proposta, declinandola con gentilezza.
"Prima o poi dovrai deciderti a fare qualcosa" -Aveva detto Andrea.
"No, Grazie" -Aveva risposto lui di nuovo. E
avevano continuato così per una mezz'ora.
"Ma dai, se continui così ti uccidi anche tu" -La battuta non era piaciuta a nessuno dei due, ma forse aveva mosso qualcosa.
"E va bene. Ma solo perché sei veramente assillante" -Definitivo.
*
Il Luna Park sotto casa di Giovanni sembrava davvero avere cento anni. A Matteo spiacque di pensare che in effetti non lo faceva sentire meglio nemmeno un pochino. L'ottovolante lo fece quasi vomitare, e le patatine fritte erano crude dentro e bruciate fuori. Qualcuno gli aveva regalato un palloncino che era scoppiato poco dopo, alla pesca aveva ottenuto un magro premio di consolazione adatto a bimbi di tre anni, il colore delle luci era attutito da quelle fulminate e lo zucchero filato non era dolce nemmeno un po'. Si rese conto che tutti questi difetti erano sempre esistiti nel Luna Park di Ottobre. Anzi, per Matteo più che difetti erano sempre stati pregi. Come se si trattasse di affermare la sua imperfezione. Quando un anno era venuta anche Alessandra, e Matteo si era lamentato con lei di quanto lo zucchero di una frittella fosse appiccicoso, Lei aveva detto che il Luna Park era bellissimo per questo. Perché lo zucchero delle frittelle è appiccicoso. Matteo non aveva capito.
Però quando la settimana dopo ci era tornato, come un bambino alla prima esperienza aveva capito cosa intendeva Alessandra. Che non ti accorgi di quanto le cose siano belle, se non le guardi da vicino. Se non metti il dito nelle imperfezioni. Se non ti tagli almeno una volta. Se non ti ci ferisci almeno un pochino. Ma quella volta il Luna Park era spento davvero.
E non era per i palloncini o per le luci o per lo zucchero appiccicoso. Era colpa di Alessandra.
Perfino la commessa sembrava avere i suoi stessi boccoli biondi e l'atmosfera, per Matteo, era delle più cupe. Così, stufo di starsene lì con la nausea da patatine e fritto e ottovolante fingendo di divertirsi per compiacerli, Matteo se ne andò dopo poche ore. Con grande scoramento di Andrea, in effetti, che aveva organizzato la cosa apposta per lui. Camminò per un po' senza meta, intorno al Luna park, mentre la musica si affievoliva, giurandosi varie cose, quali che non avrebbe mai più fatto nulla di cattivo, non avrebbe più detto niente di cattivo, non avrebbe mai più preso decisioni in funzione degli altri, non avrebb...
Stava proprio per oltrepassare il cancelletto finto che segnava definitivamente l'uscita dal parco con lettere luminose (Arrivederci, di cui la I, la D e la R erano fulminate. Adesso si leggeva ARR VE E CI. Matteo si chiese se una volta fulminate tutte qualcuno le avrebbe finalmente sostituite) quando per la prima volta in due settimane gli venne voglia di fare qualcosa.
"Desideri realizzabili e non" -recitava la scritta su una imperiosa tenda rossa e blu; Matteo si stupì, quasi si vide da fuori mentre si lanciava nel tendone, con una specie di ... qualcosa dentro. Non volle dargli un nome.
*
"E Tu che cosa ci fai qui?!" -Chiese subito Loretta, vedendolo entrare, i campanelli che trillavano divertiti sulla sua testa. Tutto era avvolto da una inebriante nube di incendio e per un secondo, uno solo, Matteo desiderò di non essere entrato. Si vedeva poco, ma abbastanza per dedurre che la donna stava tenendo gli occhi chiusi. Era vecchia, notò Matteo. Ed aveva un nonsoché di... Mistico.
"Ci conosciamo?" -Domandò comunque, subito, accigliandosi. Non gli andava di farsi trattare in quel modo. Almeno, dire Buonasera.
"No, ma conoscevo Lei. Povera ragazza" -Per un attimo Matteo si sentì mancare. Si accasciò su un pouf color rosso. Uno sbuffo di incenso lo fece tossire. Alzò la testa e guardò Loretta negli occhi. Adesso che ci faceva caso, aveva delle rughe. Solchi sulla pelle. Sembrava ancora più vecchia e stanca di prima.
"Cosa...? E come... Come la conoscevi?" -Nemmeno un nome. E non diede nemmeno del Lei a Loretta. Si sentì maleducato. Non aveva parlato di Alessandra per due settimane. Aveva zittito con rabbia chiunque gli avesse chiesto di lei anche solo per un secondo. Adesso, perché era lui a chiedere di lei? Si stupì di se stesso.
"Ah, anche lei aveva un desiderio" -Disse Loretta sommessa, inspirando l'incenso. Aveva ancora gli occhi chiusi.
"Immagino che ti abbia chiesto una pozione d'amore" -Si fermò un secondo e si sentì ancora più maleducato- "Beh, direi che non ha funzionato, arrivederci" -Si alzò e fece per uscire. Ma ristette.
"Non stavi andando via?"
"Certo, io... non ho tempo da perdere con le pazze. Nemmeno sai chi era, ci scommetto" -Sempre più maleducato- "Credete tutti di sapere tutto, vero?"
"Anche tu" -Disse lei senza rispondergli. E lui si sentì giustificato ad essere stato maleducato, visto che lo era staa anche lei.
Le voltò le spalle per uscire con un gesto -se possibile- ancora più maleducato.
"Ma stai migliorando"
Abbassò il capo
"O non saresti entrato qui"
Si voltò di scatto. Di un tratto si era reso conto che tutta la situazione non era per niente uno scherzo. Che una persona era morta. Non era una cosa di cui discutere. C'era Lei, e poi non c'era più. A che serviva parlarne?! Sapere quello che gli altri pensavano di lei?!
"Che cosa ne sai tu, di lei?" -Chiese risoluto, con una punta di rabbia nella voce. Avrebbe voluto aggiungere che doveva solo chiudere il becco. Ma non lo fece.
"Che ti amava. E che un quinto piano con la vostra complicità l'ha uccisa" -Rispose lei tranquilla.
Lui si risedette. Era lineare. Nessuno in effetti l'aveva spiegato meglio. Il prete aveva parlato per due ore, ma non aveva detto quello che Loretta aveva puntualizzato in un secondo. Che erano stati loro ad ucciderla. Che non si era suicidata. Era stato il quinto piano. E Matteo l'aveva aiutato. D'improvviso aveva la gola secca. Deglutì mentre lei ricominciava a parlare.
"...E che allora hai visto questo tendone, e che hai un desiderio così forte e disperato che sei stato disposto perfino ad entrare. So che non hai vie d'uscita e-" -Ma lui la interruppe con veemenza.
"VOGLIO... Che torni. Perché l'amavo. La amo. Voglio tornare indietro. Voglio salvarla"
Loretta rise. E rise forte. Una risata che di una vecchia aveva molto poco.
"Non dire mai più voglio. E non dire mai più amore. Hai comprato il tuo benestare con la sua Vita. Non hai saputo rinunciare nemmeno a falsi amici per Lei. L'amore è Sacrificio. Se non sei disposto a farlo, rinuncia" -Lui si mosse nervosamente sul pouf.
"E per la cronaca, Lei non ha mai desiderato pozioni d'amore. Non avrebbe saputo che farsene di falsi sentimenti"
Matteo aggrottò le sopracciglia. Se non di conquistarlo, allora che cosa aveva domandato? Che cosa aveva potuto volere?
"...Dunque non conosci il segreto" -Matteo ebbe appena il tempo di scuotere la testa.
"Allora è bene che tu sappia, prima di decidere cosa desiderare. Per non essere di nuovo infelice" -Matteo ebbe appena la forza di annuire.
"Perché ogni desiderio ha un prezzo, lo sai questo? Dovrai pagare. Come ha pagato lei"
Matteo pensò ad Alessandra. A come era fragile. A come si vestiva di giallo limone e si profumava di lillà. La immaginò seduta al buio di quella tenda, a domandare chissà che cosa per cercare di mettere a posto chissà quale casino. Con il suo pronto ottimismo che risolve tutto. La immaginò in una stanza buia a piangere, mentre nessuno la vedeva. Raggomitolata su se stessa a leccarsi le ferite. La immaginò proteggersi con le sole mani da una scopa. La vide nella sua testa aprire un armadietto di medicamenti con le mani tremanti e rabbrividire di dolore disinfettando ferite da coltello. Pensò a quanto poco sapeva di lei.
Qualcosa si sciolse, dentro di Lui, e finalmente cominciò a piangere.



Questa ff è una delle prime originali che scrivo. Ho scritto molto su molti fandom, soprattutto quando ero più giovane, e oggi sento il bisogno di costruire nuovi personaggi e nuove situazioni per non costringermi in cose già inventate. Inutile dire che mi piacerebbe ricevere pareri su quello che faccio, e che scrivo, e che dico. Per cui, se arrivate in fondo, vi chiedo di lasciare un commento di qualsiasi tipo.
Su Alessandra dico che ha una situazione tormentata, ma nasconde parecchi segreti. Che anche Matteo ha molti scheletri nell'armadio. Che per arrivare ad un amore così forte da spingerti al Suicidio ci deve essere un contorno di deserto. E che se avete voglia di andare avanti, vi spiegherò perché ha deciso di farlo... ma attenti, potreste riconoscervici. Nella vittima intendo. O peggio, nei carnefici.
   
 
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