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Autore: Ely79    01/03/2011    10 recensioni
1 gennaio 1996. Sirius si sveglia dopo i bagordi del Capodanno e di un matrimonio. Il suo! Ma può uno scapolo impenitente come lui aver deciso d'impalmare Hestia Jones?
Proseguo di "Una scelta difficile".
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'S&H'
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HSSB

HSSB


L’intera Grimmauld Place vorticava senza posa, esattamente come le stupide decorazioni sull’albero di Natale, sulla cornice del caminetto e sui davanzali delle finestre. Le pareti ballonzolavano intorno, chinandosi per guardarlo in faccia e fargli smorfie. Luci colorate danzavano nell’aria, tingendo di variopinti aloni la tenda bianca che gli stava cadendo addosso e che lui continuava a fissare inebetito.
«Sirius? Sirius, come ti senti?» domandò una voce dolce e lontanissima.
Black sbatté le palpebre più volte, mentre la figura nebulosa che gli stava di fronte riprendeva contorni nitidi. Chioma nera, viso tondo, guance rosate, sorriso gentile. Era la Jones, non una tenda. Come diavolo aveva fatto a scambiarla… Oh, certo. Le era sembrata un drappo per via dell’abito che indossava. Morbido e lucente, tempestato di minuscole pietre scintillanti, ondeggiava attorno a lei con eleganza e leggerezza. Faceva venir voglia di trasformarsi in quadrupede per rotolarcisi nel mezzo. Magari con lei ancora dentro.
«Devo chiedere a Mundungus dove ruba quei liquori. Questo mi ha spedito in paradiso…» sghignazzò, salendo e scendendo con sguardo affamato sul vestito bianco della donna.
«Ti avevo detto di non bere quella porcheria, ma figuriamoci se mi dai retta una volta!» obbiettò Hestia, spazientita ma tenera, guardandolo passarsi con forza le mani sulla faccia.
«Scusa, mammina! Prometto che non lo faccio più!» piagnucolò con un sorriso sbieco sulle labbra.
Gli occhi grigi saettarono fra le dita ed un’espressione di totale compiacimento cominciò a farsi strada sul volto rovinato dalla prigionia.
«Uh, ma guardatela. No, dico, che bel vestito, guancette di lampone! Sembri una principessa della fate».
Hestia chinò il capo, arrossendo. Era rarissimo che quello scapestrato si comportasse con un minimo di gentilezza: erano momenti preziosi, impagabili. Difficilissimi da gestire. Era un ragazzino nel corpo di un adulto provato dalla vita, che aveva slanci di ottuso coraggio e disarmante carineria. Veniva da chiedersi cos’altro si celasse dietro la scorza ruvida e alcolica dell’ex-detenuto.
«Ma guardati, sul serio, sei una meraviglia!» esclamò rapito, contemplandola sistemare una ciocca sfuggita all’elaborata acconciatura. «Se fossi fatta di panna ti mangerei. Ma ti vomiterei subito dopo».
«E questo dovrebbe essere un complimento?!» chiese allibita.
Lui agitò una mano, in un gesto che non sapeva esattamente di scuse e neppure di spiegazioni.
«Sto dicendo che ho lo stomaco a pezzi» bofonchiò, tirandosi a sedere in maniera composta e facendo schioccare la lingua sul palato riarso. «Non potrei godermi un bocconcino tanto delizioso».
Hestia stava per allontanarsi, quando la trattenne, tirandole la gonna.
«Come mai così carina?»
«Come… mai?! Ma… secondo te, cos’è successo qui, ieri sera?» domandò, allargando le braccia intorno.
Il salotto era sottosopra. Decorazioni, coriandoli, bicchieri, vassoi e bottiglie erano accatastati alla rinfusa su qualunque ripiano fosse in grado di ospitarne, dal pavimento al soffitto. C’erano briciole e avanzi di cibarie ovunque, posate sparse qua e là. Persino quella che sembrava della Burrobirra versata sul vecchio parquet tarlato.
«Un gran casino, direi» sbadigliò, allungandosi per afferrare un bicchiere poco lontano.
«Vuoi dire che non ricordi nulla?»
«Di cosa?»
«Del matrimonio e della festa subito dopo!» esclamò esasperata.
«Matrimonio?»  domandò perplesso, tornando ad esaminare il vestito della Jones con occhio più attento.
In effetti, quell’abito non sembrava adatto ad una festa. Di fine anno, se ben ricordava. Sì, doveva essere il primo di gennaio del Novantasei. E la Jones aveva l’aria di chi aveva festeggiato ben altro.
«Ah! Ecco perché sei vestita così! Ti sei sposata!» esclamò additandola. «Una cerimonia memorabile, a quanto pare. Chi è il fortunato?» scherzò, cercando di mettere a fuoco il suo riflesso sulla superficie panciuta di una bottiglia vuota.
«Sirius, smettila di fare lo stupido» lo rimproverò, strappandogli il vetro dalle mani.
«Dai, dimmi chi è. Kingsley? Bill Weasley? Il nipote di Lux? Sarà mica Remus? O Moody? Basta che non sia quel verme unto di Mocciosus… questo non te lo perdonerei. Dai, chi è? Voglio fargli le mie congratulazioni per la brillante idea» rise sguaiato, strabuzzando gli occhi su ogni angolo della stanza, in cerca di un’altra presenza. «Dove si è nascosto? O se l’è già data a gambe?»
«Il mio sposo ce l’ho davanti» ribatté seccata.
A quelle parole, Black si sollevò un po’, lasciando cadere indietro il capo. Alle spalle del sofà, però, non vide uomo o creatura di qualsivoglia tipo. Solo la parete opposta.
«Dove? Non c’è nessuno. È Occultato per non sfigurare di fronte al mio splendore?» ridacchiò, tornando mollemente a sedere.
«Ho detto» e gli prese il volto tra le mani, «che ce l’ho davanti».
Lui aggrottò la fronte. Chiaramente non voleva capire quello che lei stava inequivocabilmente dicendogli.
«Sirius, tu sei mio marito. Ci siamo sposati ieri sera, poco prima di mezzanotte. Prima che cominciasse l’anno nuovo!» puntualizzò.
Lo vide trasecolare. Il volto, solcato dai segni lasciati dalla permanenza ad Azkaban, perse di colore.
«C-come hai… come hai detto?» balbettò incredulo.
«Spo-sa-ti» scandì, sollevandogli la mano sinistra accanto alla propria e mostrando gli anelli, segno inconfondibile dell’avvenuta celebrazione.
«Chi?!» domandò nuovamente, sperando di aver capito male per colpa dei troppi liquori ancora in circolo.
Hestia incrociò le braccia, rivolgendogli un’espressione di vago disappunto. Gli occhi grigi di questo presero a dilatarsi a dismisura, man mano che l’alcol evaporava dalla mente annebbiata. Balzò in piedi, inciampando in un monticello di stelle filanti canterine, che attaccarono una melodia lamentosa con gli ultimi residui di magia che possedevano.
«No».
Lei levò gli occhi al soffitto, esasperata.
«E per chi mi sarei vestita così? Per Harry?» domandò.
«Beh, ha il fascino di suo padre, tutto sommato… e con un padrino come il sottoscritto, non può che venir su bene» glissò sarcastico, alla disperata ricerca di una bottiglia piena per schiarirsi le idee.
«Sirius! Stai parlando di un ragazzino di quindici anni!» sbraitò lei, inseguendolo per la stanza e levandogli da sotto il naso ogni possibile mezzo di stordimento.
«Sirius? Dov’è finito Black?»
«Da quando si chiama per cognome il proprio marito?» rimbeccò irritata.
Ci fu un mezzo tonfo, la figura di Black sparì in gran parte dietro ad uno dei divani.
Reggendosi all’altissimo schienale e scuotendo con forza la testa – col rischio di rotolare a terra per le vertigini – il padrone di casa cercò di rimettersi in piedi.
«No! No! Io non posso aver fatto una cosa del genere!» s’impuntò.
«Ne hai fatte di peggiori, a ben pensarci» concordò la strega, aiutandolo a raddrizzarsi. «Questa forse è la meno brutta di tutte».
Sirius prese un profondo respiro, reggendosi con entrambe le mani alla parete dietro di lui.
«E quando ti…»
«Ieri sera» ripeté laconica.
«Non ci credo. Non è possibile» mormorò.
«Mi rendo conto che tu sia un po’… perplesso? Lo ero anch’io. Merlino, lo eravamo tutti! Non è da te fare certe cose. All’inizio pensavamo…»
«Tutti chi?» la interruppe.
«Tutti. Molly, Arthur, Harry, i ragazzi. Kingsley. Persino Piton sembrava avere una cosa che somigliava ad un’espressione!» elencò.
Non era possibile. Qualunque cosa avesse fatto,  di fronte a Mocciosus, no!
«E cosa avrei…?»
«Stavamo cenando, quando ti sei alzato e te ne sei andato, senza dire niente a nessuno. Dopo un po’ sei tornato, mi hai chiesto di alzarmi – chiesto, mi hai obbligata! –  e ti sei inginocchiato» raccontò arrossendo nuovamente.
«Ma per carità…» sbottò, scolando le ultime gocce di un liquido ormai insapore.
«Chiedilo ai tuoi pantaloni» disse, indicando due vistosi segni all’altezza delle ginocchia.
Difficile negare lo scontro tra la stoffa e le piastrelle della cucina. Il disegno impresso era riconoscibilissimo. Poi, a ben guardare, Black si accorse di indossare abiti non suoi. Erano troppo eleganti e vecchio stile, per i suoi gusti.
«Secondo Moody sono i vestiti che tuo padre usava durante le cene mondane» spiegò Hestia, indovinando la sua domanda.
«E chi avrebbe…»
«Volevi chiederlo a Moody, ma ronfava della grossa già alla fine della cena».
Dannazione, questo sì che lo ricordava. Malocchio appisolato in un cantuccio della cucina, che sbuffava tipo l’Espresso per Hogwarts e l’occhio stregato che girava come una trottola impazzita. I gemelli avevano cercato di sottrarglielo, scoprendo loro malgrado che fosse protetto da una Fattura Antimanomissione.
«Chi allora…?»
«Silente. Era venuto per parlare con Lupin e con Arthur e così ne hai approfittato. Essendo membro del Wizengamot ha questa facoltà. Ma se n’è andato subito dopo, prima ancora di festeggiare la fine dell’anno. Ha impiegato venti minuti per farti recitare la promessa».
«Perché non volevo!» protestò, battendo un piede per terra e barcollando contro la donna.
«No, perché ti sei scolato mezza bottiglia di Ogden per festeggiare il mio sì!» replicò.
«Non posso essere sempre attaccato ad una bottiglia!» obbiettò.
«Ah, no?» fece lei, abbassando gli occhi sulla sua mano sinistra.
Lui la imitò e scoprì di tenere per il collo un sifone di gin.
«Questa non è tecnicamente una bottiglia. Non è così, Rem?» chiese con un gran sorriso trionfante.
L’insperata apparizione del compare gli aveva risollevato di colpo il morale. La logica inappuntabile di Lunastorta lo avrebbe tratto d’impaccio, ne era certo. Ammesso che fosse davvero inguaiato. Non poteva aver fatto davvero quello che diceva Hestia. Un momento. Hestia? E da quando la chiamava per nome, se non era per prenderla in giro?
«Non me ne intendo. L’alcolizzato sei tu» ribatté Lupin, che fissava accigliato i due.
«Che sta succedendo?» chiese Tonks, litigando con la giacca che le si era impigliata nella cintura dei pantaloni.
«Io e Sirius ci siamo sposati!» trillò Hestia mostrando l’anello.
Fu una sorpresa veder inciampare simultaneamente nel tappeto entrambi i nuovi venuti. Di solito era solo l’Auror ad incorrere in quel genere d’incidenti.
«Come?!» domandarono in coro, increduli.

***

Arrancarono per la chilometrica scalinata, allo stesso modo di quando erano ragazzini ad Hogwarts, e si chiusero nella stanza di Sirius.
«Lunastorta, io non posso averlo fatto!» latrò, prendendo a camminare avanti e indietro lungo la parete ingombra di vecchi poster. «È ridicolo! Impossibile! Non posso essermi dichiarato a lei! Davanti a tutti! E poi sposarla? Lì? Subito? No, no. Non posso. Non ero io».
A quelle grida, Fierobecco, che dormiva beato accanto alla finestra, sfilò il capo da sotto un’ala e li fissò assonnato.
«Hestia dice di sì. E anche quell’anello» osservò Lupin, indicandolo.
Sirius prese subito a strattonare il dito, cercando di liberarsi dell’infausto monile.
«Piantala di startene lì a far niente! Dammi una mano, maledizione!» berciò, infilando la mano tra le gambe e ricominciando a tirare con quanta più forza aveva.
Remus tentò una volta, due, ma per quanto tentasse di avvicinarsi all’amico, quello si muoveva troppo per potergli dare l’aiuto che pretendeva. Propose di usare un Evanesco, un Oliante, ma era impossibile applicarli fintanto che l’Animagus insisteva a zampettare qua e là per la stanza come un forsennato.
«Insomma, Sirius, calmati! Sarebbe tanto male mettere la testa a posto con una come Hestia? È carina, affettuosa, educata» sottolineò, prima di aggiungere mesto. «E dopo tutto, hai un’età. Sarebbe ora che ti sistemassi, tu che puoi».
Improvvisamente la sporcizia sul pavimento era divenuta un allettante soggetto di studio per il licantropo.
«Ma tu senti, che razza di fesserie… non prendo lezioni da te, eunuco peloso e mandrillo nudo!» protestò, additandolo con l’anulare ormai gonfio ed arrossato per i colpi subiti.
«Eh?»
Che Circe lo trasfigurasse in un maiale, se avesse capito una sola sillaba di quel che voleva dire.
«Pensi che sia sordo?» chiese, riuscendo a farsi spuntare allusive orecchie canine. «Guarda che lo so che te la fai con Ninfadora quando sei così… umano! Ovviamente la pelliccia deve darle fastidio o è allergica, altrimenti ti sarebbe saltata addosso anche con la scorsa luna piena. Non provare a negarlo, li riconosco i tuoi rantoli, galante seduttore della sala comune!» ringhiò, ricordando il soprannome che alcune ragazze avevano affibbiato all’amico ai tempi della scuola.
Punto sul vivo, il licantropo s’irrigidì, prendendo le distanze per darsi un contegno.
«Posso spiegarti» replicò, appiccicato alla parete.
«Spiegami come levare questo coso!» urlò, agitando il braccio all’impazzata.
Udirono il fruscio dell’ala di Fierobecco che grattava sul pavimento mentre questi ne rassettava con cura le penne. Un’idea assurda prese forma nella mente del novello sposo.
«Becco? Qui bello, qui! Un colpo secco, su!» chiamò, inchinandosi profondamente e tendendo la mano.
«Sei ammattito? Vuoi farti staccare un dito da Fierobecco, piuttosto che portare un anello?» esclamò Lupin, afferrandolo e trascinandolo lontano dall’animale.
«Sì! Becco! Allora, stupido ronzino pennuto! Alzati di lì e obbedisci, se non vuoi finire allo spiedo!» latrò liberandosi e tornando ad allungare il braccio.
L’Ippogrifo inarcò il collo ed annusò forte la mano. Aprì un poco il rostro, sfiorando appena la punta delle dita protese e starnutì, tornando alla mansione, certamente più gratificante, che era la pulizia dell’ala.
«La prossima volta che ti alzi di lì, giuro che ti azzanno i garretti, stupido pollastro scalciante» mugugnò sconfito.
«Neppure lui vuole rompere questo vincolo. Rassegnati: la vostra è un’unione consacrata».
«Vincolo un corno! Devo fare tutto io!» sbraitò, addentando il metallo.
Scrollando le spalle, Remus prese posto sull’angolo del letto, deciso a godersi lo spettacolo di Felpato che si martoriava inutilmente la mano. Avrebbe ceduto prima o poi. Probabilmente poi. Era ridicolo vederlo succhiare e sbavare a quella maniera, neanche fosse stato il peggior randagio di Londra alle prese con un osso troppo duro.
Quando lo vide fermarsi di colpo, sperò avesse deciso di accettare la situazione. E, magari, di domandargli scusa per non averlo richiamato dalla ronda perché gli facesse da testimone di nozze.
«Annusa» disse Black, tendendo la mano fradicia di saliva.
«Senti, Felpato, non ci tengo granché a…»
«Annusa!» insisté, mettendogli quasi il palmo sulla faccia.
«Mi hai preso per un cane? Quello sei tu!» obbiettò risentito il licantropo, cercando di allontanarlo.
«Sta’ zitto e annusa!»
Sbuffò affranto. Conosceva fin troppo bene le lagnanze dell’amico per tentare di calmarle. Si arrese e fece come gli diceva. Inspirò un paio di volte, arricciando il naso per via del disgustoso miscuglio di odori, prima di ritentare una terza volta. Ed ecco, sentì qualcosa di veramente strano.
«Cosa senti?» s’informò Sirius, con tutta l’aria di chi sta facendo una domanda retorica.
Il licantropo ripeté l’indagine olfattiva, per essere certo di non ingannarsi.
«Formaggio?» chiese, incredulo.
Le labbra di Sirius si distesero in un sorriso perfido.
«Da quando in qua, un anello nuziale odora di formaggio?» chiese.
«Quesito interessante. Vogliamo discuterne?»
«No. Non con te, almeno» sogghignò, rimirandosi nello specchio e lisciando i vestiti spiegazzati.
Annodò con calma una cravatta ripescata dal fondo della cassettiera e sistemò il colletto della camicia.
«Conosco quel muso pelato. Cos’hai in mente, Felpato?»
«Io? Nulla» ma l’aperto scetticismo di Remus lo spinse a fornire un’adeguata spiegazione al suo cambio d’umore. «Voglio solo essere un bravo maritino per la mia sposa».

***

«Quando hai intenzione di dirglielo?» chiese Tonks, sentendo la porta della camera sbattere violentemente.
«Dirgli cosa?» domandò ingenuamente Hestia.
«Che non siete sposati sul serio».
La Jones sprofondò esausta nella poltrona alle sue spalle.
«Come fai a dirlo?» domandò, osservando il brillio della pietra nell’anello.
L’Auror prese posto sul bracciolo del divano lì accanto.
«Quell’anello era nel sacchetto di Gommobisce al formaggio che stava in cucina. Ce l’ho trovato io ieri pomeriggio, prima di uscire di ronda con Remus» spiegò. «L’avevo dato ad Hermione per farci giocare il micio, ma è sparito quasi subito. Pensavamo l’avesse mangiato, ma Grattastinchi non è così fesso. E poi, mio cugino era già ciucco marcio alle sei, quando sono uscita io; come fa ad averti sposata qualche ora dopo? Giusto per il Capodanno? Conoscendolo, dopo aver gattonato sul pavimento della cucina in cerca della sua coda, avrà dormito come un Troll tutta notte, limonandosi una bottiglia di Whisky Incendiario. Mai che gli resti incastrata una volta quella linguaccia canina nel collo della bottiglia…» commentò.
La donna la fissò a lungo, meditando.
«Sei un fenomeno, Tonks» rise infine. «Sì, lo ammetto, è tutta una messinscena. È come hai detto tu: l’anello era quello delle Gommobisce. Con un Gemino ho fatto il mio. Black era talmente ubriaco che prima di cena ha indossato i vestiti di suo padre, poi è andato in giro a quattro zampe per tutta casa facendone l’imitazione. Dopo si è messo su quel divano e ha dormito tutto il tempo. Harry non mi è parso molto entusiasta della cosa. Poveretto, è così avvilito, quel ragazzo… Ma è solo colpa di Black se ho fatto tutto questo! Non doveva permettersi di…»
«State sempre a farvi la guerra» la interruppe, lasciandosi cadere sui cuscini e battendo la testa su un vassoio abbandonato. «Se non fosse per finta, penserei che vi siete sposati davvero. Vi vedo bene come marito e moglie» mugolò, liberando la chioma rosa dai resti di un tramezzino.
«Tonks!»
«Dove l’hai preso? È schiantesimante!» chiese, indicando il vestito.
La strega si alzò e fece una giravolta, mostrandolo all’altra in tutto il suo candido splendore.
«La mia amica Meredith ha un atelier di abiti da sposa. Di tanto in tanto indice delle sfilate e mi chiede di farle da indossatrice. Con i tempi che corrono fa comodo arrotondare un po’. L’altro ieri ne abbiamo fatta una e le ho chiesto di prestarmi quest’abito. Le ho detto che mi serviva per un ballo in maschera» spiegò, facendole l’occhiolino.
«Astuta. Devo quindi dedurre ci fosse premeditazione, nell’atto?» chiese, imitando la voce di Kingsley.
«Ovviamente, signor giudice» ribadì scherzosa, aggiustando il velo. «Così forse tuo cugino la smetterà di allungare le mani e dire oscenità di fronte a tutti!»
«Preferiresti che te le dicesse in separata sede? Deve essere uno fantasioso, sai? Quando dorme dice certe porcherie che alla povera Molly, prima o poi, cascheranno le orecchie per la disperazione! Ma devo ammettere che dà degli spunti interessanti. Tipo, quando l’altro giorno diceva che anziché usare il burro di latte di cavallo alato per cucinare i pancake, sarebbe stato meglio per…»
«Tonks!» la zittì rapida. «Non voglio sapere. Non m’interessa!»
«Andiamo, Hestia!» la esortò divertita. «Siamo tra donne. Che male c’è a spettegolare di fantasie sessonomiche?»
«Fantasie sess… sess… oh, Morgana! Non riesco neppure a dirlo! È così… imbarazzante! Ma come ti vengono in mente certe cose?!»
«Oh, povera, casta driade!» scherzò l’altra. «Se avessi un ometto, cambieresti idea. Parleresti di continuo di queste cosucce stuzzicanti e stuzzicose!» ammiccò.
«E tu? Nemmeno tu hai “un ometto”, ma ne parli di continuo!» l’accusò.
Per un attimo i capelli della Metamorphomagus presero una strana sfumatura grigio-bruna.
«Vero, vero. Io non ho un ometto» fece lei, sibillina.
Hestia troncò il discorso e nascose il viso tra le mani. Se solo ripensava a quel che Black le aveva detto si sentiva male: “Hestia, ti prego, toccami un po’ che non ce la faccio più a guardarti le mani” ed aveva cercato di trascinargliele verso la cinta mezza slacciata. Inutile dire che aveva bevuto parecchio, aveva litigato con Molly e Piton, e che, intorno a loro, c’era l’Ordine della Fenice al gran completo. Poco importava che nessuno – eccetto Molly – prestasse più attenzione a quelle sue uscite estemporanee. Perché toccava sempre a lei finire in quelle situazioni assurde? Cosa aveva fatto di male per meritarsele? Essere stata una delle sue avventure sentimentali a Hogwarts significava doverlo sopportare a vita?
«Credi che si berrà la storia? Lui che si dichiara, i vestiti di suo padre, il matrimonio tenuto da Silente… insomma, non che sia una cima, ma proprio un cervello di ratto, non direi…» soggiunse, imitando il ghigno beffardo di Piton.
Hestia ci pensò su un attimo. Aveva pianificato per giorni e giorni quello scherzo, oltraggiata e imbarazzata oltremodo. Aveva studiato ogni cosa nei minimi dettagli e, a completare il tutto, Black ci aveva messo del suo. Una fortuna insperata, quella degli abiti del signor Black addosso al suo presunto sposo.
«Beve cose peggiori di un paio di balle, non vedo perché non dovrebbe cascarci con tutta la sua amata motocicletta» ridacchiò.

***

Il fruscio dell’organza ed il pavimento che spariva da sotto i piedi la colsero impreparata. Volteggiò per un istante in aria, incapace di orientarsi nel salone che pure conosceva piuttosto bene.
Sirius si era Materializzato alle sue spalle e l’aveva sollevata tra le braccia come il più ligio dei consorti. Al suo fianco, Remus aveva fatto appena in tempo ad afferrare Tonks, prima che finisse travolta dalle numerose sottogonne di tulle.
«Che stai facendo, Black?! Mettimi giù!» strillò Hestia, tempestandogli le spalle di pugni, ma l’uomo si diresse alla porta del soggiorno tenendola ben stretta al petto.
Da fuori attaccò la salmodia degli strepiti di Madam Black, prontamente zittiti da un paio di incantesimi insonorizzanti. Il figlio non aveva voglia di mettersi a litigare con quella crosta e le sue tende piene di Doxy e tarme.
«Come sarebbe a dire “che stai facendo”? Siamo sposati, no? Allora, andiamo ad adempiere ai nostri doveri coniugali… credo che noi si sia un po’ in ritardo su questo punto della nostra splendida unione».
La strega sgranò gli occhi, impallidendo. Stava scherzando. Doveva essere impazzito. Lupin doveva averlo morso. Forse Fierobecco l’aveva preso a calci in testa. Le pulci! Forse erano state le pulci, o le zecche! Black era l’antitesi del marito perfetto! Lui non voleva essere sposato! Non con lei per giunta!
«Smettila di dire idiozie e mettimi giù! Non ho alcuna intenzione di venire a letto con te!» protestò scalciando nel vuoto.
«Spiacente, nuova Madam Black, ma la legge è legge. Bisogna rispettarla» si giustificò, sottolineando il tutto con un eloquente sguardo al decolleté. «Adesso smetti di agitarti davanti ai nostri ospiti. Avrai tutto il tempo per farlo sotto le coperte, nella mia stanza. Pardon, nella nostra stanza».
Se possibile, Hestia divenne ancor più pallida. Fu solo un attimo. L’idea che lo scherzo le si fosse ritorto contro la fece impazzire di rabbia almeno quanto il bacio appassionato che Black le schioccò sulle labbra ed il passo spedito con cui si era lanciato verso le scale.
«Scordatelo! Non metterò mai piede in quella discarica!» gridò, puntellandosi come poté alla parete.
«Va bene, mia cara signora mogliettina capricciosa. Ci sono tanti comodi ripostigli adatti all’esigenza, che il mio socio e mia cugina hanno precedentemente provveduto a spolverare per benino. Ah, a proposito. Grazie ragazzi! Ottimo regalo di nozze!»
Dal soggiorno non giunse risposta: Tonks e Lupin li fissavano esterrefatti e sordi alle richiesta d’aiuto della strega. Hestia sgranò gli occhi sull’amica. E così, le aveva mentito? Lei stava con un uomo, mentre prima aveva negato tutto! O forse, la licantropia che tanto affliggeva Lupin, per lei era una nota di merito? Non ebbe tempo di chiederle spiegazioni: ora doveva lottare contro la stretta del padrone di casa e le sue pretese.
«Piantala di fare lo stupido! Sirius! Sirius!» gridò.
«Che bellezza, finalmente non sono più il tuo Black!» rise perfido, assestandole una sonora pacca sul fondoschiena che la fece strillare di frustrazione e vergogna.
L’Auror ed il licantropo sporsero un poco la testa nella tromba delle scale, ascoltando le opposizioni della Jones che si affievolivano di gradino in gradino.
«Mai tentare di farla ad un Malandrino, se non sei un Malandrino» sentenziò Remus, quando sentirono una porta sbattere.
«Lupetto, pensi che Sirius potrebbe… insomma… con Hestia… Non è meglio se andiamo a fermarlo?» azzardò preoccupata Tonks.
Hestia poteva essere anche una in gamba, ma sapeva fin troppo bene che se quel pazzoide macchinava qualcosa, era capace di metterla in atto senza pensarci due volte. Nessuno riusciva a fermarlo, nemmeno Silente o Harry.
«Credo che Hestia sia in grado di cavarsela da sola. Se appellerà tutta la frustrazione per essere stata scaricata ai tempi di Hogwarts, chi se la passerà male sarà qualcun altro. E comunque, dubito che Felpato si ricordi come si fanno certe cose, dopo tanto tempo da solo» osservò Lupin distrattamente.
Voltandosi trovò Tonks intenta a squadrarlo dalla vita in giù. La sua faccia sarebbe stata tutta un programma, anche senza la punta della lingua che sporgeva tra le labbra.
«Non ci provare. Niente allusioni equivoche» l’ammonì, sollevandole il viso con due dita.
«Ma se non ho detto un Bubotubero!»
«L’hai pensato, però. Me ne sono accorto».
«E da cosa?»
In risposta, le tirò una ciocca di capelli fin davanti agli occhi: da rosa e liscia, era diventata rosso scura e riccioluta.
«Sesto senso mannaro, direi» azzardò lui, l’aria di chi la sapeva lunga.
Tornarono nel soggiorno e, nonostante la stanchezza per la ronda, cominciarono a riordinare lo sfacelo della festa di Capodanno con rapidi colpi di bacchetta. Ad entrambi dispiaceva l’idea che la povera Molly dovesse accollarsi l’intero carico delle pulizie. Aveva già abbastanza da fare.
«Sai una cosa? Mia madre e le sue sorelle, da piccole, stravedevano per Sirius. Addirittura la cara zietta Bellatrix, che era pure un pezzo più vecchiotta di lui, aveva inventato una canzoncina» sghignazzò Tonks, quando ebbero dato una parvenza di decenza alla stanza.
«Ah, sì?» fece Remus, versando da una bottiglia nascosta un po’ di Burrobirra e offrendone alla strega.
«Sì. Lo prendeva sottobraccio così, poi cantava» ed infilato il braccio sotto quello dell’uomo, prese a saltellare intonando: «“Ho sposato Sirius Black! Ho sposato Sirius Black!”».
S’interruppe bruscamente, quasi fosse sul punto di vomitare una lumaca particolarmente grossa.
«Che c’è?»
«Non saprei…» mormorò lei, fissando il soffitto come se cercasse di trapassarlo per scorgere il cugino. «Detta da mia madre era divertentissima, ma adesso… mi dà i brividi».

   
 
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