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Autore: Marguerite Tyreen    01/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 Capitolo VII: The Kiss of the Dream


 
 L’immagine lontana di una scampagnata all’Howth Castle, sfuocata come una fotografia ad un soggetto in movimento, come quegli esperimenti futuristi che andavano tanto di moda in quel tempo, tornò alla mente di Aisling, mentre fissava senza convinzione la coppia di lettere che teneva tra le mani.
Non riusciva a credere che Liam fosse morto. Non poteva essere vero.
Ancora aveva davanti agli occhi il suo volto, quando si era presentato da lei quella notte, a rivelarle il suo terribile segreto.
Il volto di un uomo che aveva perduto se stesso.
Si era fermato fino all’alba successiva ed era ripartito, questa volta per sempre. Non l’avrebbe più rivisto. Ed ora era morto, senza che lei potesse svelargli il suo, di segreto.
Si chiese se non ne avesse avuto, in fondo, il diritto. Ma, diritto o meno, non ci sarebbe stato modo di contattarlo. Non avrebbe certo potuto immaginare che avrebbe scelto il Messico.
Avrei dovuto amarti di più, Liam. Abbandonò il viso tra le mani.
Avrei dovuto amarti e basta. Perché lo meritavi, prima di tutto questo. Perché, forse, se ti avessi amato non ti avrei trascinato in quella storia. Ti avrei lasciato andare. Avrei lasciato che tu e Shannon proseguiste la vostra battaglia per Erin pacificamente e spontaneamente come avevate sempre fatto.
Sarei uscita dalla tua vita in punta di piedi. Una cosa che non mi si addiceva, ma l’avrei fatto.
Per te. Per voi. Perché, in fondo, la colpa non è stata d’altri che mia. Del mio egoismo.
E, se mi fossi allontanata, avrei sofferto, certo, ma almeno vi avrei ancora qui, tutti e due.
Magari a bere lo sherry in salotto, a raccontarci di quando siamo stati ragazzi, a ricordare quanta strada Erin ha fatto da allora per essere, adesso, finalmente libera.
Non chiederei molto, soltanto quelle cose banali che i vecchi amici finiscono per fare, col tempo che avanza. Vi avrei qui, ancora una volta, a sfidare al bridge mio marito o a giocare coi miei bambini sul tappeto.
E invece no . Come faccio io a rassegnarmi, adesso, di avervi perso entrambi?
Come faccio ad accettare che il tempo, la storia, la nostra stessa follia cancelleranno pian piano il vostro ricordo? Cosa rimane a me, se tutta la mia giovinezza se n’è andata con voi?
Nulla, se non una vita che sembra non appartenermi più, un gomitolo intricato che è il mio matrimonio, nel quale non ho mai creduto e in cui fatico a dibattermi, persino a respirare.
Solo ora comprendo di averti dovuto amare, Liam, amare di più di quanto non abbia fatto.
Perché io ti amavo, Liam, te lo giuro, ora, che è troppo tardi.
Perché ti amavo e l’ho capito tardi e il tuo pensiero, saperti vivo seppur lontano, mi ha tenuta in vita per questi dieci anni. In vita, in attesa di un tuo ritorno, essendo certa che Shannon, invece, non sarebbe più tornato.
Ed ora, cosa faccio? Come posso immaginare di passare il resto della mia esistenza seduta al tavolo di questa cucina in attesa di vederti comparire alla porta come se nulla fosse, ora che non puoi più farlo?
O forse, Liam, ti ho amato solo perché eri lontano, perché eri la mia immaginazione che correva a te, salvandomi dal grigiore di questa vita, senza più ideali, senza una ragione per combattere.
Erin è libera ora. Sono arrivata, siamo arrivati, a quello che cercavamo di ottenere.
E adesso? Adesso non c’è più nulla da fare e si sprofonda, nella nebbia e nel nulla. Come Shopenhauer, ricordi?
Nulla, se non qualche vecchio, appassito ricordo.
Se così fosse, se ti avessi amato solo per un mio tornaconto, sarebbe solo l’ennesima volta che ti faccio del male, mio caro. Ti direi che sbagliavi tutto, sbagliavi ad idealizzarmi.
Se fosse così sarei davvero la donna volubile e incostante che pensavo. Incapace di pensare agli altri senza pensare a se stessa.
Se fosse così mi disprezzerei. Ma non lo so.
Non so più niente. Dannazione, Liam, so che ti amo! Che ti amo, che ti amo, che ti amo…
Che mi manca il respiro adesso che so di non poterti rivedere.
Che non mi rimane più nulla di te se non queste due lettere.
Niente o forse…
Si alzò di scatto e andò nel salotto.
Nella libreria, dietro i volumi di storia della filosofia scritti da suo marito, dietro i suoi saggi che non aveva più riaperto, lontano dagli occhi nella speranza che lo fosse anche dal cuore, alloggiava da anni quel quadernetto ingiallito, riempito in inchiostro nero con una fitta grafia.
Le poesie di Liam, quelle non erano state date alle stampe, per una sorta di delicato pudore. Come se avesse voluto proteggere il loro sentimento.
Quel volumetto le era stato dato l’estate del ’16. Per essere precisi, il 21 giugno del 1916, durante una festa da ballo in un locale di Dublino.
Lo ricordava perfettamente, perché era la sera che si erano baciati.
Chissà se Liam l’aveva rievocato quel momento, prima di… Soffocò nelle mani un altro accesso di pianto.
 
Anche Liam l’aveva ricordata quella sera, come aveva previsto Aisling.
Ma le immagini non erano più tanto lucide. Forse erano i suoi sensi che lo stavano abbandonando, portando con sé anche la sua memoria.
Poi, all’improvviso, rammentò che nemmeno prima, nemmeno pochi giorni dopo, lo erano state.
Tutto quello che aveva seguito sì, ma quella notte era così confusa.
Solo una nebbia vaga fatta della musica lontana di una quadriglia e dei lamenti gravi di una zampogna.
Si chiese quale fosse la causa, se la troppa birra, se lo stordimento della danza, se l’emozione oppure Aisling stessa. Troppo bella per credere di averla a pochi passi da lui, così vicina al suo viso.
Troppo bella per credere di aver baciato davvero lei e non una visione, un sogno.
 
Dublino, giugno 1916
 
Chissà come l’avevano convinto a partecipare a quella festa.
Di certo doveva essere stata Aisling a trascinarlo, a lei non aveva mai saputo dire di no, nonostante non amasse ballare.
Andiamo, Liam, è per festeggiare l’arrivo dell’estate. Gli aveva detto qualcosa di simile, come se l’estate che avanzava fosse stato un motivo più che sufficiente per fare festa.
Li aveva raggiunti senza troppo entusiasmo.
A gennaio avrebbe terminato l’università e ormai consumava le sue giornate tra la stesura della tesi – sulla poesia francese ottocentesca – e le assemblee per Erin.
- Dai, Liam, non puoi startene sempre rintanato in casa come un vecchio topo. Non vuoi proprio concedermi l’onore di un ballo?
- In realtà sarei io a dovertelo chiedere. Comunque, non so ballare.
- Come non sai ballare? Non conosci le danze tradizionali? Ma che irlandese sei, allora? Eppoi dicevi di me, solo perché non sapevo cos’erano le Banshee.
Se la ricordava, allora, quella sera che avevano trascorso insieme sotto la luna.
- Vengo solo per sedermi in un angolo, bere una birra in santa pace e sentire della musica, ma non mi vedrete ballare nemmeno se mi pagate. Ne approfitterò per scrivere, chissà che questo folklore non mi sia di ispirazione.
- Come sei noioso! – gli aveva fatto eco Shannon – Lo dicevo che la letteratura fa male.
- Appunto, e io potrei anche ritenermi offesa e non rivolgerti più la parola per tutto il resto della serata.
- Consolati, Aisling. Vorrà dire che balleremo noi.
- Non mi hai nemmeno detto se ti piace il mio vestito. – aveva continuato lei, facendo un giro su se stessa, con una certa vanità.
Era stupenda, a tal punto da fargli mancare le parole, proprio a lui, che sapeva sempre cosa dire.
La sera era calda, finalmente. E lei aveva potuto fare sfoggio di un abito di seta leggera, di un tenue azzurro pastello, ornato di balze sul fondo.
Il taglio svasato ne allungava la figura, come cominciava a essere di moda sul finire degli anni dieci, lasciando le caviglie scoperte, con quegli orli che iniziavano progressivamente ad alzarsi.
- Stai benissimo – le disse in un soffio.
 
Era davvero rimasto a guardarli seduto a un tavolo del pub, attorniato dal fumo e dall’odore caldo del whisky e da quello amaro della birra.
Il boccale di Guinness da un lato e il manoscritto dall’altro, tuttavia gli riusciva difficile scrivere, se non impossibile, mentre l’attenzione si concentrava soltanto sul set di coppie in cui danzavano Shannon e Aisling.
Lei si moveva con grazia, lui si vedeva che aveva passato gran parte delle sue serate, quando non era insieme a Liam, a corteggiare le ragazze fra una giga e una quadriglia.
Formavano una bella coppia, oggettivamente.
C’era aria di allegria.
Erano scesi dalla pista per raggiungerlo e, accaldati, avevano entrambi abbondantemente attinto dal suo boccale.
- Prego, fate pure!
- Tirchio come uno scozzese! – aveva scherzato Shannon – Accidenti, Liam, ma è birra o brodo? Ma come fai a bere questa roba calda?
- Sta’ a vedere che adesso è colpa mia. Fa un caldo maledetto, stasera. Non si riesce a stare da nessuna parte. Mi chiedo come facciate voialtri a ballare.
- Certo che sei cattivo, Liam. Davvero crudele, a non aver mai voluto fare con me nemmeno un giro di quadriglia.
- Per carità! Sono un totale disastro per queste cose, Aisling. Non azzecco un solo passo. Finirei per rendermi ridicolo davanti a tutta questa gente.
- Perché, tu credi che questa gente stia a badare a te? – aveva fatto lei alzandosi in piedi.
- A me no di sicuro, ma quando si ha una dama simile, è inevitabile.
- Che galante! – prese a strattonarlo – Avanti, Liam, andiamo. Un ballo solo, con te. Per favore… Guarda, se vuoi mi metto anche in ginocchio.
E lo fece, veramente.
- Ti prego, ti prego, ti prego…
- Matto di un bardo, non ci si fa pregare dalle signore.
- Ma cos’è? Un complotto? – rise Liam, divertito – E va bene. Una sola quadriglia, che è l’unica di cui mi ricordi qualcosa. Ti avverto, Aisling: ti farò fare brutta figura e, forse, ti pesterò anche i piedi.
- Poco male: non ci farà caso nessuno. Ne vedi forse qualcuno di perfettamente sobrio?
Lo trascinò in un set con un’altra coppia.
Era decisamente disastroso come aveva garantito, ma si divertirono comunque.
 
- Fa davvero un caldo terribile – gli aveva detto lei, scostandosi i capelli dal viso – Usciamo un momento?
L’arrivo all’aria aperta fu accompagnato da qualche sospiro di sollievo di Aisling, che tentava di farsi vento con le mani.
- Allora, ti sei convinta che sono un pessimo cavaliere?
- No, sei stato perfetto. Assolutamente perfetto. Ed io avevo voglia di stare un po’ con te. Mi sfuggi ultimamente, Liam, e la cosa non mi va .
- Davvero? Sai, la tesi, le riunioni, tante cose…
- Così tante che non c’è più nemmeno un posticino per me, nella tua mente?
- Aisling… - sospirò.
- Sì?
- Nulla.
- Avanti, Liam, cosa devi dirmi? Coraggio, non ti mangio mica. Ti do noia, forse? Avresti ragione, sai. Tu sei così serio, responsabile ed io così frivola, invece. Lo riconosco di avere un brutto carattere, incostante.
- Ma che dici? Aisling, il fatto è che… Ma come faccio a dirtelo? – si tormentava le mani, senza trovare le parole – Quel posto che tu mi chiedi, nella mia mente, nei miei pensieri è…
- Occupato? C’è un’altra? Oh, Liam, io non mi offendo, sai?
- No, cosa vai a pensare? Intendo dire, quel posto è già tuo, solo tuo, da tanti, troppi mesi. Ed io non te l’ho mai detto per paura che anche Shan… Ecco, intendo dire che… Diavolo, che disastro. Non ci avrai capito niente nel mio discorso, immagino. Il fatto è che avevo nella testa un ragionamento perfetto, ma le parole si sono confuse ed è… un gran casino. E pensare che basterebbero cinque parole. Tá grá agam duit, Aisling. – le disse d’un fiato – Io ti amo, Aisling.
So che non è stata una gran dichiarazione, non quella che mi ero preparato almeno. Ma se tu…
Gli aveva impedito di dire altro, chiudendogli le labbra con un bacio.
 
Era successo. Era accaduto davvero. Aisling l’aveva baciato ed era rimasta lì, tra le sue braccia, senza fuggire. Dopotutto sono i sogni che fuggono, non la realtà. Quella resta, come il suo sapore sulle proprie labbra. Sarebbe rimasta per sempre, scolpita nel ricordo.
E anche adesso, che stava per andarsene, e questa volta per sempre, lei era quanto di più nitido e più vicino gli restasse.
Ti amo, Aisling, ti amo ancora e non ho mai smesso di farlo. Anche quando credevo di averti perduta per la colpa che ho commesso. Credimi, Aisling, mai nella vita il rimorso mi ha abbandonato. Mai sono riuscito a conservare un solo istante intatto, libero di questo macigno che mi ha oppresso la coscienza. E nemmeno ora, nel momento più estremo, sento di aver espiato. Ho combattuto per la libertà del Messico nella speranza che questo potesse farmi ritrovare me stesso. Ma l’omicidio non si cura con altri morti. Non si cura e basta. Non si cura nemmeno con l’amore.
Per quanto alto e puro e sincero sia stato il mio sentimento per te, non è stato sufficiente per salvarmi dalla mia stessa follia.
Dalla nostra follia, Aisling.
Perché, se prima di partire ti ho accusato di essere stata responsabile di averci trascinato nell’Ira, anziché lasciarci a credere e sperare pacificamente nel risveglio di Erin, purtroppo lo credo ancora.
È anche vero che non si può imputare tutto a te, quando in realtà noi avremmo potuto rifiutare.
Ma eravamo giovani e incoscienti e di certo non credevamo che la nostra vita potesse degenerare a tal punto da scivolare lungo una china senza ritorno. Eravamo troppo ingenui per capirlo.
Eppure, Aisling, ho paura che non ci sia redenzione per me. Non dopo quello che ho fatto.
Perché un conto è tentare di liberare la propria terra, un altro è calpestare tutto per un obiettivo, persino l’amore, persino l’amicizia.
Aisling, potrai mai perdonarmi per questo? Potrai mai capire perché l’ho fatto?
No che non capirai, perché non lo capisco nemmeno io. E più ci penso, più non capisco dove fosse la mia mente, da cosa fosse ottenebrata mentre premevo quel grilletto.
Mi chiedo se davvero un uomo può erigersi a giudice di un altro uomo privandolo della vita.
Mi chiedo se davvero si può perdere se stessi tanto da non riconoscere più nemmeno i valori in cui ti sei sempre rispecchiato per tutta la tua esistenza.
Ma, mia adorata Aisling, io sono arrivato al punto di non riuscire nemmeno più a strisciare davanti allo specchio senza che il mio sguardo non mi rimandi l’immagine del mio peccato.
Ho paura, Aisling, paura di morire.
Anni fa la morte mi era sembrata l’unica soluzione possibile. Una vita per una vita.
Col tempo, invece, ho imparato a comprendere che la morte sarebbe stata soltanto una vigliaccheria, un modo di sfuggire al rimorso.
La pena peggiore a cui potessi condannarmi era la vita. E ho vissuto, ho scontato giorno per giorno il peso della mia esistenza, per dieci lunghi anni.
Chissà cosa avrai fatto tu in questo tempo, se sei riuscita a ripartire daccapo, se ancora vivi, se la sorte si è abbattuta su di te con ancora più violenza.
Chissà se mi hai aspettato, tremando di gioia e di timore, ogni volta che sentivi bussare alla porta.
Non lo so perché non sono tornato, a parte la banalità della legge inglese a cui non avrei per nessuna ragione voluto sottostare. Fossero state le leggi di Erin sarebbe stato diverso.
Non sono tornato perché non avrei retto il peso del tuo giudizio.
Ti sei perdonata, Aisling? Ammesso che tu abbia qualcosa da doverti perdonare?
Sei felice, per quanto sia possibile? Cosa ti rimane di me?
Vorrei soltanto che ti rimanesse un ricordo degno di ciò che sono stato prima. Soltanto questo, altrimenti me ne sarei andato senza che nemmeno tu lo sapessi.
Forse non t’importerà più nulla. Forse non mi ami, Aisling, non mi hai mai amato.
Nemmeno quando stavamo insieme: ti sentivo sempre tanto lontana.
E adesso ho paura, paura di morire, eppure non ho nulla da perdere.
Nulla a parte il tuo ricordo, che si è cristallizzato nel tempo e nella memoria.
Per quanto rancore possa esserci stato, odio forse, per quello che era successo, per me non è stato altro che una faccia diversa dell’amore. Un amore che non aveva saputo mantenersi puro e limpido come quando era nato, perché noi non eravamo più puri e limpidi come allora.
Il tuo ricordo è tutto ciò che lascio, morendo. Nient’altro. E sembra così poco.
Ma quello è rimasto puro e perfetto come quando eravamo ragazzi.
Troppo puro e troppo perfetto. Troppo importante per non temere di perderlo.
Non voglio lasciarlo, Aisling. Non voglio lasciarti.
Mi ha tenuto aggrappato disperatamente alla vita, il frammento di memoria dei tuoi occhi, del tuo viso.
Non voglio andarmene prima di averti rivista. Non voglio perderti, Aisling.
Ma è la morte adesso, che aspetta ch’io esaurisca questi antichi ricordi irlandesi per portarmi via. Lontano da tutto, lontano da te.
Questa volta per sempre.
 
Ricordava ancora, Liam, quando avevano fatto l’amore per la prima volta.
Forse non esattamente il giorno, ma era accaduto quell’estate, un tardo pomeriggio, a casa di lei, quando non c’era nessuno.
Ciò che ne rimaneva era una strana sensazione confusa di felicità e la consapevolezza che era sempre stata lei a guidare il gioco.
Si era addormentato tra le sue braccia, sussurrando che l’amava.
E non l’aveva mai detto a nessuna prima. E se l’aveva detto, di certo allora non conosceva che cosa significasse davvero amare.
Era stata una strana relazione, la loro. Una di quelle che non si sentivano di definire fidanzamento. Lui sapeva di starle regalando tutto se stesso, ogni suo respiro, ogni sua emozione, senza riceverne nulla in cambio se non una minima parte.
Era fatta così, Aisling, incapace di darsi completamente a qualcuno. Sapeva farsi amare, esigeva di essere amata, ma non riusciva a ricambiare se non con un affetto distaccato, che non era niente di paragonabile all’assolutezza dei sentimenti di lui.
Con il tempo, i mesi che avevano passato assieme, l’affetto amicale che aveva provato fin da subito nei suoi confronti, si era trasformato in un legame più forte, forse perché sentiva che egli lo meritava. Che meritava che i suoi pensieri, il suo cuore, la sua vita gli appartenessero, ma non riusciva a sentirsi davvero serena.
La verità era che aveva scelto Liam con la consapevolezza di non essere completamente immune al fascino di Shannon. Lui si era dichiarato per primo, forse l’aveva scelto per questo.
Forse aveva davvero una predilezione per lui, fra i due, ma senza sapere nemmeno lei come gestire  la situazione.
Forse avrebbe preferito non dover decidere, poter amare entrambi, così, semplicemente come ad entrambi aveva dato la sua amicizia.
Ma Liam l’amava con tutto se stesso e un affetto simile, disinteressato e sincero, poteva essere ricompensato solo con un sentimento analogo.
In caso contrario avrebbe sofferto.
Avrebbe sofferto comunque: era troppo incostante, lei, troppo frivola e indecisa per renderlo felice.
Sapeva che non vi sarebbe riuscita e ne soffriva. perché, in fondo, teneva a lui, in modo profondo e schietto. E più soffriva, più desiderava, senza riuscirvi, di allontanarlo da sé.
Ma Liam sembrava, pur sapendo che ella l’avrebbe distrutto, lasciandolo solo e ferito, dopo avergli sottratto l’illusione dell’amore eterno, non desiderare nemmeno di allontanarsi.
Avrebbe affrontato tutto con rassegnazione. Avrebbe lasciato che la sua vita rotolasse in balia della fortuna verso quella china che sarebbe stato impossibile risalire.
 
- Sei felice, Aisling? - le aveva chiesto un pomeriggio di fine agosto, mentre, distesi sul prato del parco, all’ombra ancora tiepida degli alberi, lei era stretta a lui, col viso appoggiato sul suo petto.
- Felice? Sì, credo di sì.
- Voglio dire: sei felice con me?
Aisling annuì: - Ho paura che tu non lo sia.
- Io? Io quando sono con te sento di aver trovato il mio posto nel mondo, Aisling.
- Sai, te lo chiedo perché ho paura di non amarti abbastanza, Liam. Ho paura a volte di non essere la persona giusta per te.
- Ma che dici? Mi ami, Aisling? È tutto quello di cui m’importa. Tutto il resto non ha nessun senso.
- Tengo molto a te.
- Ma non mi ami, vero?
- Non lo so… so che ti voglio bene, che sei importante.
Non lo so se è questo l’amore, Liam. Non lo so perché non l’ho mai veramente provato. E se ti dicessi che ti amo, forse mentirei.
- Non importa, non fa nulla, Aisling. Io non cesserei di vivere, di respirare, di scrivere per te. Continuerei ad amarti e basta, irragionevolmente, irrazionalmente, come ho sempre fatto per tutti questi mesi.
- Dire ti amo, mi sembra tanto scontato: come se lo si dicesse troppe volte a al punto da fargli perdere di significato.
Hai mai pensato piuttosto che noi potremmo essere legati da qualcosa di più alto che dall’amore, quello comune di tutti gli altri?
Potrebbe essere un legame che trascende tutto questo, fatto di ideali e di memorie, un legame che ci terrà uniti per tutto il resto della nostra vita, indipendentemente da ciò che accadrà.
- Io sono legato a te, Aisling. So di esserlo.
- Anch’io, Liam. E perdonami se non è con l’intensità che vorresti. Ma sappi che senza di te io non vivrei, ecco tutto.
- Nemmeno io so se è questo l’amore. Ma sento che è giusto viverlo finché ce ne sarà data la possibilità. Se tu lo vorrai.
- Liam, per te, con te, farei qualunque cosa. – l’aveva baciato, affinché quel gesto fosse una garanzia alle sue parole - Finché ci sarà concesso, io sarò accanto a te. Ti amerò come posso, come so fare, sperando che il tuo amore possa bastare per entrambi, se il mio non sarà sufficiente.
Aveva taciuto a lungo e poi: - Chiudi gli occhi, ora.
- Perché?
- Tu chiudi gli occhi e basta.
Aisling si era sfilata l’anello che portava per metterlo al dito di Liam.
- Ora puoi aprirli.
- Il tuo claddagh… - aveva sorriso. Sapeva che quell’anello aveva tradizionalmente un importante significato. Era il pegno d’amicizia e d’amore eterno. Com’era strano che gliel’avesse donato lei, proprio lei che non era nemmeno sicura di ciò che stava provando.
O, forse, era lui che non riusciva, come sempre a comprenderla. Lei sapeva vedere più lontano e, probabilmente, già era consapevole che il loro legame non si sarebbe fatto incatenare dalle convenzioni degli uomini. Solo perché non si sarebbe lasciato chiamare amore nel senso più stretto del termine, non voleva dire che non fosse altrettanto profondo.
Più alto e indissolubile, aveva detto lei, di ciò che unisce comunemente le persone.
Liam stava cominciando a crederlo.
Ma perché le cose non potevano essere semplici? Perché con Aisling si finiva sempre per complicare tutto.
- Ecco, portalo così: nella mano destra, rivolto verso di te. Ed ogni volta che lo guarderai, rammenterai di avere il cuore impegnato, come l’ho io.
Apparteneva a mia madre. Ora voglio che lo tenga tu, in mio ricordo.
E sappi che, comunque vadano le cose, io ti sono legata con una promessa, quella promessa che ci siamo fatti a Pasqua. E che, se un domani non dovessimo più amarci come in questi giorni, saremo sempre uniti dall’amicizia e dall’onore, e dall’amore comune per Erin.
Me lo prometti, non è vero?
- Te lo prometto. Sempre insieme, Aisling, fosse anche solo per Erin.- le aveva risposto.
Eppoi, portato l’anello alle labbra, l’aveva baciato con solennità, a suggello della promessa.
 

 _________________
 
Nota dell’autrice:
 
Carissime,
un grazie come sempre a tutti i lettori abituali e di passaggio; a tutte voi che avete inserito la mia storia tra le seguite/ ricordate/ preferite.
Un ringraziamento di cuore a Piemme per la cara e accurata recensione.
Al prossimo capitolo!
Un bacione e un saluto a tutte.
Sempre vostra

Marguerite.

 
 
 
 
   
 
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