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Autore: Marguerite Tyreen    03/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 Cuimhnì na Eirinn
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 Capitolo VIII: Tears and Rain
 
 
- Mi sto ancora chiedendo perché tu mi abbia chiesto di incontrarti, Shan. Sono settimane che non ti fai vivo, e se non fosse per le riunioni del mercoledì, io nemmeno saprei come stai. E sono giorni che non degni Liam di una parola, alle assemblee. - lo aveva rimproverato seccamente Aisling.
Poi si era avvolta con un gesto elegante lo scialle che portava sul cappotto, scivolato inavvertitamente lungo la spalla.
Era la fine di febbraio del 1917, pioveva incessantemente e si gelava.
Dublino, plumbea sotto le nubi, sembrava avvolta in una luce innaturalmente abbacinante.
Accanto a lei, Shannon reggeva l’ombrello, senza dire nulla, proprio perché non c’era nulla da aggiungere. Aveva ragione, aveva perfettamente ragione lei. Le cose fra loro tre non erano andate molto bene da quando Aisling e Liam si erano messi insieme.
Esattamente come lui aveva prospettato, erano troppo impegnati a capire in che direzione stava andando il loro amore o a gioire dei loro, sempre più rari, momenti di felicità da ricordarsi del terzo incomodo.
Un po’ la colpa era anche sua, ma non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Dopotutto, avrebbe potuto smettere di fare il bambino e rassegnarsi all’idea che, prima o poi, Liam si sarebbe fatto una vita. Che non sarebbe stato per sempre quel pazzo di un bardo pronto in ogni momento a cacciarsi nei guai assieme a lui. O meglio, lo sarebbe stato, ma in modo diverso.
Ed anche Aisling si sarebbe innamorata e, come tutti, concentrata su un uomo pressoché stabilmente. Ma non aveva mai messo veramente in conto di vederli allontanarsi entrambi. Di vederli allontanarsi insieme.
E adesso era inutile, tentare di concentrarsi sugli articoli e su tutto il resto. Era inutile barricarsi dietro quel risentimento infantile: doveva cominciare ad essere felice per loro, com’era giusto.
- E adesso – aveva continuato lei – vorrei sperare sia di questo che desideravi parlarmi, perché non ho intenzione di sentire scuse Shan. Dillo chiaramente cosa non va . Anche se continuo a non capire perché non hai scelto di discutere con Liam.
- Perché era di te che avevo bisogno, Aisling.
- Sai quanto ti posso essere utile… Senti, Shan, mi dispiace, non avrei mai voluto che sia arrivasse a questo punto. Non avrei mai voluto essere io a condurre la vostra amicizia verso la crisi, nemmeno per un istante. Ecco, - continuò tormentandosi i capelli – io ho paura che tu possa pensare a me come ad una sciagura.
- In che senso?
- Lo so che cosa finiscono per pensare gli uomini. Prima che ci si mettessero in mezzo le donne, l’amore, prima di rincitrullirci dietro mille smancerie andava tutto bene: una bella e solida amicizia virile. Poi arriva lei e…
- Ma no, non è questo.
- Sì che lo è: avanti, Shan, non mi perdoni di avertelo portato via.
Non mi perdoni di aver mostrato a Liam la strada per crescere ed affrancarsi dal vostro mitico mondo dell’infanzia. Forse sei proprio tu che non vuoi diventare grande.
- E smettila di credere sempre di sapere cosa pensano tutti quelli che ti circondano, Aisling.
Non ti sopporto quando fai così! Guardati, piuttosto, fumi, leggi saggi di filosofia, ti dai arie da grande intellettuale e dalla vita ancora non hai capito niente.
- Ah davvero? Perché tu cos’hai capito? Quando vi ho incontrati, non eravate che due vaghi sognatori che credevano che Erin si potesse cambiare con la poesia.
- Non credevo fosse questo il problema. Ecco, lo vedi come sei fatta? Ci capisci talmente poco in materia di sentimenti che butti tutto sulla politica. E non usare il nome di Erin per giustificarti, porca miseria.
Lei sbuffò d’insofferenza.
Ma l’aveva sempre saputo che Shannon non la stimava come la grande filosofa che lei credeva di essere.
Che le volesse bene come persona, di questo ne era sicura. Tuttavia non era l’idealizzazione che Liam aveva fatto di lei. Era un affetto più terreno, che non si perdeva nel turbinio di sonetti, discorsi e alti paragoni della sua figura con lo splendore di Erin.
Forse per questo Aisling ne era attratta.
- Lo so che non lo ami… - le disse ad un tratto.
- Chi? Liam? Lo amo più di me stessa.
- Sono cose facili a dirsi. La verità è che tu non hai ancora scelto, Aisling. Ho imparato a conoscerti.
Sei infatuata di entrambi e non riesci a decidere. E, anche quando credi di aver compiuto la tua scelta, non sarai mai felice: stando con lui penserai a me e viceversa.
Sei troppo affascinata da quello che non puoi avere per accontentarti di quello che possiedi.
Non è così? Ho imparato a conoscerti in questi mesi, mentre Liam era troppo accecato dal suo poetico sentimento per te da non vedere i tuoi difetti.
Non è felice ed io non posso farci niente, non posso dirgli che sei tu la causa della sua infelicità: lo distruggerei, capisci?
Aisling annuì, dolorosamente: - L’ho detto che, per voi, non sono che una catastrofe.
- L’unica catastrofe è amare sapendo di non essere riamati.
- Ma io amo Liam, per quanto ti riesca difficile pensarlo.
- Non parlavo di Liam, parlavo di me.
- Di te?
- Sì, di me. Non credo di essermi mai innamorato prima. Dicevo che la carriera per me fosse la cosa più importante, che non avevo bisogno di nessuno per vivere e, invece, mi sbagliavo.
Ma, dannazione, Aisling, perché proprio con te doveva succedere? Tu hai Liam, no? Sarebbe una ragione più che sufficiente per mandare tutto al diavolo e dimenticarti.
Invece il destino si diverte e non solo mi porta ad innamorarmi della donna del mio migliore amico, ma oltretutto lei non è perfettamente in grado di scegliere tra me e lui. E, a rotazione, si alterna la speranza col dolore, Aisling.
- L’immaginavo. Mi aspettavo che sarebbe successo.
- Mi aspettavo che sarebbe successo? È tutto qui quello che hai da dire?
- E cosa ti aspetti che dica? Che ti amo anch’io, ti butti le braccia al collo e ti giuri che non ci lasceremo mai più, Shan?
Si passò nervosamente la mano tra i capelli.
- Non ci pensi a me che devo scegliere? Oh, Shan, sono così confusa… non so più cosa devo fare.
Vi amo, accidenti. Vi amo e non l’ho chiesto io di essere tra due fuochi.
- Ma davvero poi ci ami entrambi? Oppure sei felice di essere corteggiata e stai troppo bene in questa situazione per mettervi fine?
- Felice! Se tu questo lo chiami essere felice… E tu, allora, mi ami davvero o solo perché sono l’unico mezzo per riavvicinarti a Liam? Scusami, - si affrettò ad aggiungere – non pensavo quello che ho detto. non volevo mettere in dubbio i tuoi sentimenti.
- No, scusami tu. Non riesco a immaginare come tu debba sentirti.
- Già… E’ tutto così strano. Ho bisogno di riflettere, Shan, di capire. Di decidere davvero. Ma tu devi promettermi una cosa: qualunque avvenimento arrivi a stravolgere le vostre vite, voi due non dovete perdervi. Di me non m’importa, dopotutto. Ma voi, Shan, io non ho mai visto due persone così profondamente legate.
Non vorrei mai farvi soffrire, so che la cosa più giusta da fare sarebbe allontanarmi, ma sono troppo egoista per lasciarvi andare.
Le lacrime scorrevano silenziose lungo le guance e non c’era verso di camuffarle fra le gocce di pioggia.
- Aisling – sussurrò lui, asciugandogliele con la punta delle dita – vorrei non avertelo detto.
- No, credimi è giusto così.
- Vieni, ti riaccompagno a casa.
- Vado da sola, ho voglia di fare due passi.
- Come vuoi. Ci vediamo mercoledì, come al solito.
- Sì, come al solito.
 
Non seppe dire, Aisling, quanto tempo passò a camminare sotto la pioggia.
Abbastanza da inzupparsi d’acqua, tremare dal freddo e piangere per quella rivelazione. Rivelazione non così inaspettata, comunque.
Quando rientrò a casa, tentando di scivolare oltre la porta dello studio di suo padre per non dare spiegazioni circa il proprio orribile stato, era quasi ora di cena.
Ma non c’era stato verso di passare inosservata. Lui, il professor O’Connor, leggeva il giornale nella stanza della figlia, contendendosi il posto sulla poltrona con il fagotto di abiti che ella sempre vi abbandonava.
La luce fioca della lampada stagliava la sua figura sul muro di fronte alla porta.
- Papà… sei tornato prima, oggi.
- No, sei tu che sei tornata tardi. Ti sembra questa l’ora di rientrare?
- Sono appena le sette.
- Sì, lo so – sorrise con benevolenza – ma ogni tanto devo pur tentare di fare il padre presente.
Non lo era stato e, ogni volta che vedeva Kathleen, ormai donna e così bella, il ritratto della sua povera mamma, e Patrik, già diventato uomo, si rendeva conto di quanto aveva irrimediabilmente perduto.
Non che non ci fossero bei ricordi di famiglia, nella sua memoria, ma quando pensava a cosa fosse stata la sua vita, solo due parole gli venivano in mente: la patria e la filosofia.
- Dove sei stata?
- Fuori con Shannon.
- Guarda in che condizioni sei! Cambiati o prenderai un malanno.
- Piove. – disse semplicemente.
- Di questo me ne sono accorto. Ma gli ombrelli esistono ancora. Cosa c’è che non va, Kathleen?
- Problemi, papà. Parecchi problemi.
- Con la filosofia?
- No, con l’amore.
- E allora temo di non poterti aiutare. – sospirò lui.
E non è che lo temesse, ne era proprio certo. Si era occupato dei suoi figli, li aveva cresciuti con affetto, ma provvedendo più alla loro educazione intellettuale che a quella sentimentale.
E, se è vero che nessuno può insegnare ad amare ad un’altra persona, almeno gli può sempre dare il buon esempio.
Invece, aveva fatto di loro un ottimo letterato e un promettente filosofo, ma rimanevano tuttavia due individui incapaci di affrontare con decisione il gomitolo arruffato delle loro emozioni.
Troppo abituati ai libri, non sapevano gestire la vita reale, come lui del resto.
Lo constatò con amarezza, guardando Kathleen che si struccava davanti allo specchio, dopo essersi asciugata e rifugiata dentro una vestaglia da camera.
- Non credo. Sono di quelle cose che o le si risolve da soli o nessun’altro può farlo in vece tua.
- Giusto. – commentò O’Connor, accendendo la pipa.
Tanto fumava anche lei, senza bisogno nemmeno di nasconderlo. Le aveva lasciato molta libertà e non solo dal punto di vista culturale. Andava e veniva da quella casa senza troppe limitazioni, leggeva qualsiasi libro desiderasse, attingendo senza permesso alla sua biblioteca, usciva con due giovanotti che lui nemmeno conosceva, nonostante qualcuno si ostinasse a definirlo un comportamento sconveniente.
Kathleen aveva avuto davvero meno restrizioni di quanto non fosse imposto a qualsiasi altra giovane donna della sua età. Anche solo concederle di frequentare l’università e studiare filosofia, quella materia quasi riservata agli uomini dalla notte dei tempi, era stata una decisione, per così dire, insolita e moderna.
Ma non voleva che Kathleen finisse per sposarsi con un uomo di cui non era innamorata, magari che lui stesso aveva scelto per lei, e a condurre una vita che non le sarebbe appartenuta. Quella che, comunque, era destinata alle sue compagne.
Anche per questo non aveva amiche. Le ragazze che avevano trascorso con lei l’infanzia, le poche volte che era a Dublino, ormai erano già mogli, qualcuna anche madre. Non c’era più nulla che potesse condividere con loro.
- A che pensi, Kathleen? Chi è che ti tormenta? Quel giovanotto con il quale ti frequenti? Quel Murray? – aveva detto “giovanotto” come fosse stata ancora una bambina alle prese con le prime simpatie.
- Liam? Oh, no, lui è la persona più cara che si possa incontrare. Ma…
- Ma c’è un altro, vero? – non sapeva neanche lui come avesse fatto ad immaginarselo. Forse perché per mesi, continuando a sentir parlare di Liam Murray e di Shannon Donovan quasi come una singola entità, non era stato poi tanto difficile prevedere cosa sarebbe accaduto, nemmeno per uno abituato a ragionare sull’iperuranio senza sapere cosa accadesse sulla terra.
- Un altro? Già, un altro. E non uno qualunque. Ma proprio Shan. Non so davvero cosa fare, papà. L’amore non è come la filosofia, dannazione. Non è solo ragionamento, non potrà mai essere un perfetto sillogismo in cui ogni premessa torna necessariamente a combaciare. È mistero puro e semplice. E non c’è niente che noi possiamo fare contro di esso, per fermarlo o per stornarlo da noi.
- Mi addolora sentirti parlare in questo modo, ma spero che tu riesca a guardare dentro te stessa con sufficiente sincerità. Ricordati che non sempre la soluzione migliore è quella più facile.
- Può voler dire tutto e niente. – rispose con un sorriso tirato. Non aveva mai saputo come servirsi di quei consigli che sembravano piuttosto responsi di un oracolo apollineo.
Continuava a parlarle da intellettuale, quando lei aveva bisogno di un padre.
- A proposito, Kathleen, quand’è che me li porti a far conoscere? Alla fine sono curioso di incontrare questi famosi e coraggiosi patrioti.
- Se tu venissi alle riunioni del mercoledì ti saresti tolto la curiosità ancora prima. Ma già, - disse con una punta di risentimento – tu non ami mescolarti con noi studenti. E dire che qualche buona idea la troveresti anche lì.
- Solo chiacchiere. Come quest’articolo che ha pubblicato il tuo amico Shannon nell’edizione della sera. Dovrebbe stare più in guardia e non esporsi così. E anche tu.
Piuttosto, anziché rischiare la reputazione per qualche bella parola buttata al vento, dovrebbero pensare ad agire seriamente se vogliono davvero servire Erin nel migliore dei modi.
- Cosa intendi dire?
Tòmas O’ Connor chiuse con un pesante sospiro il quotidiano, lasciandolo scivolare sul bracciolo della poltrona. Si alzò in piedi con l’aria di chi si sentiva le ossa intorpidite dall’umidità di Dublino e dalla noia di una vita sedentaria dopo tanto peregrinare.
- Voglio dire che ci siamo quasi. Non siamo molto lontani dal mettere in piedi un’organizzazione che, questa volta, non sbaglierà dove le altre hanno fallito.
- Un’organizzazione?- Aisling inarcò il sopracciglio. Il filosofo poteva vederne l’immagine perplessa del viso rimandatagli dallo specchio. – Di che natura?
- Un’organizzazione di tipo militare di rivoluzionari. Ormai siamo vicini, credo che entro ottobre riusciremo a metterne le basi. La chiameremo Ira, Irish Repubblican Army.
- Di nuovo sangue? – lei tormentava le pagine del Patriottismo di Bakunin, posato sul suo mobile da toeletta.
- Di nuovo liberi. – aveva sorriso O’Connor, cingendole le spalle con un braccio – E tu, se vorrai, ne farai parte con me. Sei diventata una donna meravigliosa, Kathleen, forte e intelligente. Saprai farti ascoltare e stimare da molti, un giorno.
Lei rimase a guardare la sua immagine riflessa, cercandosi nel volto i segni di quelle qualità che suo padre tanto decantava e di cui non era più così sicura.
Dove vedeva quella donna forte e intelligente? A lei pareva soltanto di essere una ragazzina viziata e frivola che per tutta la vita non aveva fatto altro se non essere sopravvalutata.
E, ora, stava facendo soffrire Liam, l’unico che, forse – suo padre escluso – non vedeva le sue piccolezze e le sue meschinità.
La soluzione migliore non è sempre quella più facile, aveva detto.
Già, ma cos’era facile, adesso? Lasciarli o amarli entrambi? Scegliere uno di loro, sceglierne un terzo, forse?
E lui, pur vedendo che sua figlia aveva il cuore più gonfio di lacrime che quelle nuvole di pioggia, continuava a parlarle dei propri piani e dei progetti che aveva per lei.
Che andasse al diavolo tutta quella filosofia! Imigh sa diabhal! Gridò nella sua testa.
A cosa le era servita se poi, nella vita, non poteva nemmeno utilizzarla per soffrire meno?
Anzi, più si ragiona e ci si crogiola a riflettere nel proprio dolore, più si soffre.
- Non dire nulla ancora a quei ragazzi. Voglio parlargliene io a cose fatte: vedrai che a me non diranno di no . – aggiunse.
E lei, che aveva sperato di sentire qualche parola di conforto per i suoi crucci, fu nuovamente delusa.
Chiuse con uno scatto il libro che aveva tra le mani.
- Come vuoi. – rispose con freddezza – Adesso esci, per favore, devo cambiarmi d’abito per la cena.
 
 
 ________________
 

Nota dell’autrice:
 
Ciao carissimi!
Lo so, è un capitolo di transizione, questo e me ne scuso. Ma ahimé anche questi sono necessari.
Cercherò di postare al più presto il successivo per riportare la storia all’azione, oltre che al dialogo. Diciamo che è stata una puntata piena di chiacchiere, quella che avete appena letto :)
Come sempre, un ringraziamento sentitissimo a tutti: lettori, casuali e non, pubblico affezionato e recensori.
Un abbraccio, sempre vostra
Marguerite

   
 
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