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Autore: Lady Vibeke    03/03/2011    8 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. LA LEGA

 

It's lost
So lost
The world you're in
The life you live

– Lost, Tristania –

 

 

 

Se non ci fossero state le braccia possenti di Lucius a sorreggerla, Regan sarebbe miseramente rovinata a terra. Le girava la testa in modo insopportabile e il suo stomaco minacciava di rimettere da un momento all’altro il cibo che aveva consumato assieme ad Angina. Non sapeva dove fosse né in che modo ci fosse finita, ma era solo grata di sentirsi di nuovo la terra sotto i piedi.

Nel momento stesso in cui Lucius la aveva trascinata con sé dentro all’albero cavo, era successo qualcosa di molto strano: era stato come se il terreno sotto i loro piedi si fosse spalancato e li avesse inghiottiti, risucchiandoli in un vortice che solo una manciata di secondi dopo sembrava essersi spalancato di nuovo, lasciandoli ricadere dall’alto su una superficie compatta ben diversa dal terriccio morbido del sottobosco.

­­– Tutto bene, cerbiattina? –

La voce profonda di Lucius venne in suo soccorso, avvolgendola come un rassicurante manto vellutato. Per di più si era appena accorta di essere letteralmente avvinghiata a lui.

– Benissimo – mentì, staccandosi malvolentieri dall’unico supporto fisico che avesse a disposizione. Restò in piedi per qualche miracolo, mentre, aprendo gli occhi scombussolata, si rendeva conto di essere finita in un vastissimo atrio scarsamente illuminato, il cui soffitto era così alto da perdersi in cieche nubi di oscurità, arrampicandosi su per pilastri scanalati di diametro impressionante che delimitavano la navata principale, separata dalle due minori da una fila di loggiati paralleli. In alto, incastonato sotto l’arco ogivale che disegnava la parete di fondo, une enorme rosone riluceva come un pallido diamante di tiepida luce invernale, che si allungava pigramente in mille fragili raggi fino a incontrare il marmo scuro del pavimento. Alle sue spalle, una imponente arcata finemente scolpita si adagiava direttamente sui blocchi di pietra della parete, contornando una nicchia semicircolare. Doveva essere da lì che erano appena usciti.

– Benvenuta alla sede primaria della Lega delle Sette Terre! – esclamò Lucius, compiendo un ampio gesto con le braccia. – Perdona la scarsa accoglienza, ma qui dentro il regime è piuttosto austero. –

– Il tuo corvo è rimasto dall’altra parte – le venne in mente all’improvviso.

– Rok non ama molto viaggiare attraverso i Portali. –

– Mi domando perché – borbottò lei fra sé, e così suscitando a Lucius una breve risata.

– Sarà lui a trovarci, quando lo vorrà, vedrai. –

Il rimbombo dei suoni era secco e pulito e persino il respiro pareva riverberare nell’immensità di quello spazio vuoto e fin troppo silenzioso.

– Chi va là? – tuonò un timbro grave da un punto imprecisato tra le ombre, non molto distante da loro. Un istante dopo, un uomo calvo e corpulento emerse nella pallida luce, la mano già pronta sull’elsa della spada che teneva agganciata alla cintola. Sulla veste nera che portava, ricamato in bianco al centro del petto, campeggiava un ettagramma, identico alla stella che Lucius portava al collo.

– Va tutto bene, Garlan, sono io. –

– Ah, Lucius. – l’uomo abbassò immediatamente la guardia. – Castalia aveva avvertito che saresti arrivato –

La sua attenzione indugiò su Regan con sospetto. Le sue labbra si contrassero, scoprendo leggermente i denti in una smorfia minacciosa, e la mano ritornò fulminea all’elsa.

Pahavehr! – urlò, sguainando la spada.

Regan fece un balzo indietro nel momento stesso il cui Lucius si parava davanti a lei. Era disarmato, ma bastò che alzasse una mano per bloccare a mezz’aria la lama lucente che Garlan era stato sul punto di abbattere su Regan, e la lasciò sospesa a mezz’aria, vibrante.

– Sei impazzito, per caso? – sbottò, a metà tra il furibondo e l’incredulo.

Garlan abbassò la spada, ma la sua smorfia non si cancellò.

– I suoi colori sono di cattivo auspicio! – ringhiò – È tinta di sangue! –

– È un’ospite, e come tale va trattata – mise in chiaro Lucius. Era fuori di sé.

Prese Regan per un polso e la trascinò via, lasciando Garlan a vegliare sul Portale d’ingresso. Lei gli andò dietro, cercando di tenere il passo. Non si era ancora ripresa dallo spavento.

– Che cosa significava quella parola? – bisbigliò timorosa, mentre salivano la piccola rampa di scalini che conduceva alla zona principale dell’atrio.

– Pahavehr – Lucius lo ripeté con una certa riluttanza. – È una parola antica, di una lingua che quasi nessuno conosce più. Significa all’incirca “sangue cattivo”. Dicono che si sia diffusa millenni fa, quando Lucifero disseminava il terrore con la sua follia. –

Regan conosceva l’antica storia, tramandata di bocca in bocca nel corso dei secoli da creduloni visionari o semplici fanatici: l’angelo più bello che il creato avesse mai visto, dagli occhi di giada e i capelli rubini, che vagava per il globo senza darsi pace, seducendo i cuori di giovani donne e giovani uomini – angeli, demoni e umani – che si sottomettevano a lui come docili prede prigioniere tra le fauci del predatore, e tale fine ciascuno di loro faceva, non prima che lui avesse cercato in loro qualche goccia di qualcosa che potesse dargli sollievo per  quel fuoco che si diceva lo consumasse da dentro, senza lasciargli tregua, corrompendo irrimediabilmente il suo spirito per ridurlo ad un mostro senz’anima. Mille amanti strappati alle loro vite con la cieca foga della disperazione. Mille amanti, e mai amore. E in questa sua furia aveva devastato villaggi, incendiato città, soggiogando interi eserciti di adoratori che lo avevano seguito ovunque, prendendo parte alla sua devastazione. A distanza di tanto tempo, quasi nessuno credeva più a quelle dicerie, ma il nome di Lucifero era rimasto sinonimo di crudeltà a terrore, con evidenti strascichi ancora ben radicati nel retaggio di certe religioni degli umani, che lo associavano al diavolo in persona.

– Lucifero è solo una leggenda. ­–

– Può darsi – fece Lucius, con un’alzata di spalle – Ma intanto una parola ispirata a lui e vecchia di migliaia di anni viene ancora usata dai superstiziosi, anche se i più ne ignorano le origini. –

Si fermò al centro dell’atrio, un lungo rettangolo vuoto dominato da una calma surreale.

– È sempre così tranquillo, qui? –

­– Tutt’altro – La mano di Lucius si accostò alla schiena di Regan e docilmente la invitò a incamminarsi. – Oggi è un’occasione straordinaria: sono stati quasi tutti sguinzagliati alla Corte e dintorni, il luogo dove ti ho trovata – aggiunse quell’ultima frase dopo un momento di esitazione. – Stanno scavando tra le macerie, recuperando corpi e materiali di una certa rilevanza. –

Regan non sapeva cosa intendesse per “materiali di una certa rilevanza”, ma poteva farsene una vaga idea.

– La gente dei villaggi vicini non si è accorta di nulla – proseguì Lucius. – Nessuno ha sentito niente, e questo non ci aiuterà a capire cosa sia successo lassù. –

Sia a destra che a sinistra, nelle navate laterali oltre i loggiati, si aprivano degli alveoli, tre da una parte e tre dall’altra, tutti chiusi da robuste porte rovinate dal tempo. Lesse distrattamente dei nomi inscritti a fini lettere maiuscole all’interno di piccole placche argentate, ma non ebbe il tempo di badarvi troppo: Lucius aveva fretta.

La condusse ai piedi del rosone, al cospetto della più grande delle porte che si affacciavano sull’atrio, che da lontano Regan nemmeno aveva notato, poiché immersa nella zona d’ombra lasciata dal fascio di luce. Su frontone che la sormontava era inciso un motto in una lingua che Regan non seppe decifrare: mors hostium, mihi vita.

– Morte dei nemici, vita per me – le tradusse Lucius, mentre già appoggiava una mano sulla pesante maniglia. – La Lega sa essere molto accattivante nel promuovere il proprio operato. – proseguì in tono civettuolo.

Aprì e le cedette il passo; la porta si richiuse alle loro spalle con un tonfo sordo.

Erano entrati in un corridoio lungo e stretto, costeggiato sulla destra da trifore ogivali vetrate alte quanto due persone, e sulla sinistra decorato da ritratti di persone dall’aria arcigna. Il nome di ciascuno di essi, riportato su una targa affissa sotto la cornice, era accompagnato da due date, presumibilmente quelle della durata della carica, e dalla dicitura Coordinatore di Corterra. Su più di cento quadri, nemmeno un quarto raffigurava delle donne. Alcuni di essi, inoltre, accanto alla prima targa ne avevano anche una seconda, che recava il titolo: Coordinatore Generale della Lega delle Sette Terre, e altre due date.

Uno di questi era proprio l’ultimo quadro, oltre il quale il muro proseguiva spoglio e grigio. Era il ritratto di una donna non più giovanissima dai capelli scuri, rappresentata in vesti militari all’interno di uno scenario tempestoso, con una mano fieramente posata su un fianco e l’altra che poggiava sull’elsa di una spada lunga e sottile conficcata nel terreno. La sua espressione era dura e aveva un retrogusto di malinconia.

Quando Regan lesse la sua targa, qualche tassello trovò un collocamento più preciso nella sua testa: Castalia Reis. Mancava la seconda data, quella che segnava la conclusione dell’investitura.

Quella era la donna che avrebbe incontrato a momenti. Non faticava a credere che Lucius dimostrasse così poca simpatia verso di lei.

Si allontanò dal quadro con un passo all’indietro e recuperò Lucius affrettando un po’ l’andatura, lasciando vagare gli occhi sulle volte a crociera sopra di sé. Checché ne avesse detto Lucius, non le sembrava di vedere un’austerità poi così eccessiva negli arredamenti: era tutto molto essenziale e rigoroso, ma un lungo tappeto rosso scuro rivestiva il camminamento del corridoio e le cornici dei quadri avevano tutta l’aria di essere placcate in oro zecchino, che brillava alla luce pulviscolare che a fiotti si riversava dalle finestre.

Benché tutto fosse stato palesemente ristrutturato e rimesso a nuovo più volte – era facile intuirlo dall’accozzaglia di diversi elementi stilistici di epoche differenti – era ancora evidente l’antichità dell’edificio.

Tutte quelle novità, però, ancora non riuscivano a distrarre Regan da una domanda che da un po’ le premeva sulle tempie, e se non la avesse tirata fuori, sarebbe scoppiata.

– Secondo te perché mi trovavo in quel posto… la Corte? E cosa poteva volere quell’uomo da me? –

Lucius sembrò momentaneamente sul punto di bloccarsi, ma non lo fece. Continuò a camminare, precedendola, la coda corvina che gli solleticava le spalle.

– È una delle cose che stiamo cercando di scoprire – disse, voltandosi. – Per la verità mi auguravo che tu potessi darci qualche informazione utile per aiutarci a fare luce sull’accaduto, ma a questo punto penso toccherà a noi aiutare te, in qualche modo. –

Lo disse con un sorriso, in un tono così premuroso che Regan si sentì come riscaldata da dentro.

– Non ti devi preoccupare – proseguì Lucius. – Hai sentito Angina, no? Finché sei con me, sarai al sicuro. –

Quello che preoccupava lei, però, era quel che sarebbe potuto capitare nel momento in cui non fosse più stata con lui. Era sola in un mondo in cui non ricordava di aver mai vissuto. In una parola, era persa.

– Castalia ti tratterà con molta supponenza, e puoi stare certa che non ti crederà quando le dirai che non ricordi nulla – disse Lucius mentre svoltavano in un corridoio più grande, privo di finestre, il viso teso in un malcelato tentativo di reprimere una smorfia infastidita. – Ma di questo non ti devi preoccupare, ci penserò io a spiegarle la situazione. –

Le arrideva ben poco la prospettiva di dover discutere con una persona che aveva già preso una posizione nei suoi confronti. Non fosse già stato abbastanza difficile per lei andare lì per rispondere a domande alle quali non aveva risposte da dare. Ma c’era Lucius con lei, e si fidava di lui abbastanza da sapere che finché lui fosse rimasto, tutto sarebbe andato bene.

– Ci sono tre cose che bisogna sempre tenere ben presenti con Castalia – la avvertì e sollevò una mano iniziando a enumerare. – Mai contraddirla; mai alzare la voce; mai dire nulla di più di quanto espressamente richiesto. Chiaro? –

– Chiaro – farfugliò Regan, un po’ confusa.

– Bene. Tienilo a mente, perché sarà più irritabile del solito, oggi, e irritare Castalia non è mai una buona idea. Nel dubbio, piuttosto taci –

Più passavano i minuti, più le veniva voglia di girare sui tacchi e fuggire via da lì, tornare al bosco di Angina e lì restare fino a che non le fosse ritornata la memoria, o se non altro fino a che non avesse deciso che cosa fare di sé.

Non le piaceva nemmeno il fatto di non aver incrociato anima viva, finora. Si sentiva, per qualche ragione, di trovarsi in un territorio ostile. Diversamente dalla dimora di Angina – dove, nonostante l’ingiustificato astio di Venena, si era subito sentita benvoluta – quel luogo le dava l’impressione di non volerla ospitare tra le proprie mura, e di certo il modo in cui era stata messa in guardia non la aiutava a convincersi di sbagliarsi.

Qualche passo avanti a lei, intanto, Lucius si era fermato.

– Ci siamo. –

Regan gli si affiancò. Restarono a fissare il legno scuro della porta per un lungo attimo, nessun rumore a disturbare l’innaturale quiete che regnava attorno a loro, poi finalmente Lucius si decise a bussare.

– Avanti – sbottò dall’interno una voce femminile molto irritata.

Entrarono.

Regan rimase di stucco. La stanza era un quadrato così piccolo che la scrivania in fondo ad essa – che forse sarebbe stato più corretto definire tavolo – ne occupava praticamente metà. E non c’era altro, a parte una libreria, la sedia su cui sedeva rigidamente la donna del ritratto di poco prima e altre due disposte di fronte a lei. Non che si fosse aspettata una reggia, ma quello, più che lo studio di una personalità importante, sembrava uno sgabuzzino.

Gli occhi castani della donna si spalancarono nell’adagiarsi su Regan e la percorsero in lungo e in largo senza riuscire a mascherare un evidente stupore. Aveva qualche ruga in più e c’erano fili bianchi tra i suoi capelli, ma a parte quello era pressoché identica a come la mostrava il dipinto, solo un po’ meno spavalda, e Regan si compiacque di essere la causa di quel tentennamento.

– Mi trovate interessante? – disse, incapace di trattenersi.

Sentì Lucius reprimere a fatica un gemito impaziente. Era stata troppo sfrontata, decisamente.

Castalia batté le palpebre, come risvegliandosi da uno stato di trance, e riacquisì immediatamente la sua postura perfettamente eretta.

– Devo dedurre che sia lei la ragazza di cui mi hai parlato, Lucius? –

Lui assentì, scagliando a Regan un’occhiatina obliqua di avvertimento.

La donna, molto rossa in viso, sembrava oltraggiata.

– L’hai portata qui dentro così, senza precauzioni? –

– È solo una ragazzina – cercò di minimizzare Lucius, ma lei, la mandibola contratta, lo zittì con un’occhiata a dir poco tagliente e un sussurro rancoroso:

– Lo eri anche tu. –

Regan aggrottò la fronte a quell’affermazione e si voltò verso Lucius appena in tempo per vedere le sue labbra rigidamente serrate che si costringevano a distendersi in un accenno di placido sorriso.

– Io sono unico al mondo, per tua fortuna. –

Regan si morse il labbro per evitare di sogghignare.

– Basta chiacchiere – tagliò corto Castalia, torva. – Sedetevi, abbiamo molto di cui discutere. –

Regan imitò Lucius e si accomodò, ma aveva già capito che quella donna non le sarebbe mai potuta andare a genio, e che la cosa era del tutto reciproca.

Castalia appoggiò i gomiti alla scrivania, congiungendosi le mani al di sotto del mento. Regan notò che un vistoso anello d’argento occupava il dito medio della mano destra; su di esso era incisa una minuscola ma precisissima rosa dei venti.

Castalia fece per dire qualcosa, ma Lucius la precedette:

– Prima di cominciare, c’è una cosa che devi sapere, e non ti piacerà. –

Regan sarebbe stata pronta a scommettere che Castalia se lo fosse aspettata.

Permise a Lucius di esporle i fatti per come stavano, ma lo fece con una piega sulle labbra che dichiarava un manifesto scetticismo, proprio come lui aveva previsto.

Al termine delle spiegazioni, l’espressione della donna era rimasta pressoché la stessa dell’inizio: una maschera di impassibilità completamente priva di inflessioni.

Le rughe sottili e solo accennate che le solcavano la fronte e gli angoli degli occhi accentuavano i tratti spigolosi e duri del suo viso, il mento appuntito, gli zigomi affilati e scarni, fisionomie peculiari delle terre dell’Est – Astereis, Mauercast, e alcune zone di Asante.

Regan non si spiegava come potesse aver conservato con tale precisione certe nozioni e averne al contempo perdute tante altre di maggiore importanza. Era come un albero pieno di foglie e privo di radici: non poteva certo reggersi in piedi aggrappandosi al cielo.

– Dunque, Regan – Castalia pronunciò il suo nome con un’enfasi prolungata, lasciando un vuoto subito dopo. – Pare che, nelle tue condizioni, tu possa essermi di ben poco aiuto. –

Suonava terribilmente come un’accusa. Un’accusa che lei non gradì.

Lucius dovette notare il suo disappunto, perché si affrettò a prendere la parola:

– Io credo che le serva solo del tempo. È ancora debole e disorientata. ­–

– Naturalmente – convenne Castalia, con un’amabilità così falsa che non avrebbe convinto un sasso. – Ciononostante ci sono un paio di domande che ti vorrei porre, se non ti dispiace. –

– Risponderò là dove mi sarà possibile. –

– Possiedi poteri particolari? Sai sondare il futuro, o plagiare la volontà altrui, o qualche altra facoltà rara? –

– Io non… –

Regan interrogò le proprie capacità: provò a evocare un qualunque tipo di potere, ma non ci furono segnali di risposta. Non le riuscì nemmeno di spostare di un millimetro la penna d’oca nera dentro al suo calamaio.

– Non credo di avere poteri. –

Una risatina sarcastica si sprigionò dalle labbra sottili e pallide di Castalia.

– Tutti hanno dei poteri, angeli e demoni, grandi o modesti che siano. In quanto demone, dovresti essere in grado di leggere superficialmente nel pensiero e governare gli elementi, quantomeno. –

– Io non lo so fare. –

Si vergognava ad ammetterlo, soprattutto perché sapeva che la magia insita nella sua razza era riscontrabile già in tenera età, e lei ormai era quasi un’adulta.

Nemmeno lontanamente persuasa a crederle, Castalia adocchiò la candela consumata che stava in un angolo della sua scrivania. Bastò che stringesse appena gli occhi perché lo stoppino si accendesse.

– Spegnila – ordinò a Regan.

– Vi ho appena detto che non ne sono in grado! –

Devi esserne in grado! –

Regan iniziava a non tollerare quell’atteggiamento. Sentirsi dare della bugiarda, seppur indirettamente, da una che non sapeva un bel niente di lei non era accettabile. Così, non potendo fare d’altro, soffiò sopra la fiammella, la quale si spense all’istante.

– Non fare la sfrontata con me, ragazzina! –  la minacciò Castalia, oltraggiata, mentre Lucius soffocava una risatina in un colpo di tosse.

Regan era consapevole di essere venuta meno alla promessa di controllarsi fattagli poco prima e un po’ le dispiacque, ma il senso di colpa si volatilizzò quando, gli occhi di Castalia fissi nei suoi, si accorse che la donna stava tentando di leggere tra i suoi pensieri.

Sostenne lo sguardo senza timore. Sentiva lo sforzo del potere di Catsalia premerle sulla fronte senza il minimo risultato. Per qualche motivo, era immune a quella tentata intromissione illecita.

Castalia non demorse in fretta, probabilmente troppo orgogliosa per ammettere anche solo con sé stessa di essere incapace di dominare una giovane mente inesperta come quella di Regan, e anche quando lo fece, non fu affatto un sintomo di resa.

– Vorrei sottoporre la nostra gentile ospite a una verifica più approfondita – dichiarò, asciutta. – Per semplice misura cautelare, beninteso. –

Il sorriso grondante di condiscendenza che elargì a Regan le fece prudere le mani.

Si stava troppo stretti, là dentro, e la piccola bifora chiusa non era sufficiente a dare l’illusione di dilatare lo spazio.

– Io non sto mentendo! – protestò, l’aria viziata che le annebbiava i pensieri.

– Regan, va tutto bene – intervenne Lucius, esortandola a riappoggiarsi allo schienale della sedia. –  Non ti sembra di esagerare? – disse poi a Castalia.

– Non direi proprio – rispose questa, imperturbabile. – Non siamo nelle condizioni di poterci fidare di nessuno, e tu dovresti saperlo meglio di me. –

– Che cosa avresti in mente, si può sapere? –

– Nulla di invasivo – promise Castalia.

Proprio mentre Lucius stava per ribattere, due colpi alla porta interruppero il discorso.

– Avanti – esclamò Castalia, con un bagliore soddisfatto negli occhi. Aveva già progettato qualcosa, prima ancora di aver incontrato Regan di persona. Aveva avuto in mente di torchiarla con ogni mezzo fin dall’inizio.

La porta si aprì con un cigolio sinistro. Ne entrò una figura sottile, con lunghi capelli di un biondo argenteo, finissimi e lisci, legati sulla nuca. Era un ragazzo – o una ragazza, forse, difficile a dirsi – dall’aspetto incredibilmente efebico e delicato. C’era un che di etereo nel suo corpo flessuoso, arti lunghi e affusolati fasciati in un’uniforme di raso grigio perla dai raffinati ricami. Aveva un portamento marziale, calibrato fin nel più piccolo movimento, ma c’era una strana grazia nel suo rigore. Due occhi neri come l’ossidiana illuminavano miti il viso armonioso di un candore molto simile a quello di Regan stessa. Una bianca statua di alabastro scolpita a regola d’arte, oltre ogni possibile concezione di talento artistico, perché quella bellezza inaudita – quasi dolorosa – era il riflesso materiale di una purezza inafferrabile dalla superficialità della mente.

Chiuse la porta, poi fece un passo in avanti e la sua mano salì a compiere il gesto di saluto che ormai Regan aveva imparato a riconoscere.

– Buongiorno. –

Se la voce di Lucius faceva pensare a un frusciare di caldo velluto, quella di quel giovane angelo ricordava la fresca, tenera delicatezza di un petalo di rosa.

– Benarrivato, Shin – salutò Castalia cerimoniosa.

Si alzò in piedi e aggirò la scrivania, andando ad accostarsi alla sedia occupata da Regan. Le sue dita si adagiarono sul bordo dello schienale mentre chinava la testa.

– Dimmi, Regan, quanti anni hai? –

– Non se lo ricorda quanti anni ha – si intromise Lucius, molto adirato. – Ho capito le tue intenzioni, ma francamente… –

Francamente, Lucius, hai ben poca voce in capitolo. –

Le nocche di Lucius sbiancarono da quanto forte stava stringendo braccioli della propria sedia, ma Castalia lo ignorò e si mise a girare attorno a Regan, valutandola attentamente.

– A guardarti, direi che dovresti essere appena sotto i quaranta. Sembri una bambina, ma i tuoi occhi sono adulti. Lo stesso non si può dire della tua impertinenza, devo dire. –

Regan cercò Lucius con lo sguardo, supplicando chiarimenti.

Che cosa volevano farle?

– Sta’ tranquilla – le disse lui. – Anche sei hai l’età per subire legalmente una violazione della mente, questo non significa che ci siano delle valide premesse che lo giustifichino. –

Scambiò un’occhiata malevola con Castalia, la quale non fece altro che fare cenno a Shin di avvicinarsi. Volevano scavare dentro di lei e cercare la verità là dove tutto era inscritto senza filtri volontari.

– Non intendo fare nulla senza l’espresso consenso di Regan. Se lei non ha nulla da nascondere, suppongo non abbia motivo di opporsi. Dico bene? –

Regan tentennò. Era vero che lei sapeva di non avere nulla da nascondere, ma c’era la possibilità che riuscissero a portare a galla informazioni che potevano metterla in una posizione compromettente. Poteva essere stata chiunque, in fondo, per quel che ne sapeva.

– Non ti farò del male – soggiunse il tono conciliante di Shin.

– Tu sei un angelo, non dovresti nemmeno essere in grado di leggere la mente – sottolineò lei, quasi accusandolo.

Lui sorrise. Un sorriso limpido e trasparente come l’acqua.

– Shin è un angelo un po’ speciale – le rivelò Lucius, improvvisamente più calmo. – Lui sa penetrare nella testa di chiunque senza causare dolore, senza danneggiare la memoria. Forse, viste le circostanze, potrebbe davvero esserti d’aiuto, dopotutto. –

Nonostante la paura di quel che avrebbero potuto scoprire, Regan decise che valeva la pena di tentare. Si fidava di Lucius e Lucius sembrava fidarsi di Shin, e questo per lei era più che sufficiente.

Le ci volle una notevole dose di coraggio per prevaricare l’impeto di codardia che stava lottando disperatamente per convincerla a tirarsi indietro, ma alla fine acconsentì.

– Eccellente – la compiacenza sfavillò attraverso gli occhi di Castalia, che, con un cenno, ordinò a Shin di farsi avanti. – Procedi pure. –

Shin le offrì una mano, che lei accettò, lasciandosi tirare in piedi. Le dita sottili dell’angelo sembravano fragile vetro, eppure in loro era insita una forza difficilmente indovinabile. Era molto giovane, molto più di quanto Regan avesse creduto. Più giovane di lei, senz’altro.

– Chiudi gli occhi. –

Era stupefacente quanto fosse semplice assecondare un ordine quando era impartito con tale gentilezza.

Quando tutto fu buio, sentì il tocco freddo delle mani eleganti di Shin che le si posavano ai lati del capo, racchiudendole il viso in una ferma carezza. Accolse il contatto con un lieve sussulto, inconsapevolmente distratta dal nero dei suoi occhi. Era troppo profondo e insondabile per potervi indugiare senza correre il rischio di perdere qualcosa di sé in quell’abisso senza confine.

– Rilassati – le sussurrò.

Solo allora Regan si rese conto di essere tesa in ogni sua fibra.

Voleva davvero che un estraneo si mettesse a frugare nei recessi della sua mente, rovistando tra eventi di cui lei stessa non era padrona? Aveva un senso che un’altra persona potesse arrivare a conoscerla meglio di quanto lei non fosse in grado di conoscersi?

Ironico che qualcuno avesse già deciso per lei.

Si stava chiedendo se si sarebbe dovuta accorgere di qualche cosa, se quel sondarle la mente dovesse essere tangibile, quando accadde qualcosa: dai polpastrelli di Shin si propagò come un flusso di acqua fredda, che le penetrò le tempie senza incontrare resistenza. Non fu doloroso, ma nemmeno piacevole.

La spirale di energia si insinuò dentro di lei, serpeggiò alla cieca in quello che per lei era solo un insondabile vuoto. Era come se una scia di luce cercasse di farsi strada tra infiniti veli di tenebra pura: brandelli di immagini coperte venivano svelati da rapidissimi soffi luminosi che non lasciavano mai il tempo di decifrare forme e colori, voci, suoni e rimembranze remote di odori e sensazioni. E man mano che la luce si addentrava di più, si lasciava dietro una sensazione di bruciore, come un lungo graffio irregolare che feriva tutto ciò che toccava. Regan non lo sentiva solo nella sua testa, ma anche sulla pelle.

Iniziò a mancarle l’aria. Un dolore acuto si sprigionò in tutto il suo corpo, senza un preciso punto di origine. Era come se delle fiamme la stessero divorando, mordendo più aggressive in corrispondenza dei punti in cui le mani leggere di Shin aderivano su di lei, improvvisamente incandescenti come braci. Voleva sottrarsi a quella tortura, ma i muscoli non rispondevano agli impulsi disperati del cervello, soggiogato dal dolore.

Le sembrava di impazzire. Qualcosa si ruppe, in una dimensione di lei che con il suo corpo non aveva che una fragile connessione, e fu come se dalla crepa formatasi iniziassero a scaturire pigre gocce di sangue vivo.

Poi, di punto in bianco, tutto cessò.

Si ritrovò carponi per terra, il respiro affaticato e irregolare, le membra tremanti in ogni loro centimetro. Il fuoco invisibile era scomparso.

– Cosa diavolo è successo? – esclamò la voce rabbiosa di Lucius, accanto al suo orecchio. Un braccio le avvolse le spalle.

– Non lo so – balbettò Shin, sconvolto.

Lo stordimento interferiva con la vista e l’udito, attutendo e distorcendo ogni cosa. Ci volle un po’ prima che anche quel disturbo svanisse e lei riuscisse a tornare a respirare normalmente.

– Regan? –

Il viso di Lucius davanti al suo era una maschera di ansia.

– Sto bene – rispose lei, la voce arrochita in gola, cercando di rialzarsi.

Lucius le diede una mano.

Anche Shin, frastornato quanto lei, si adoperò per aiutarla, ma non appena la sfiorò, quel dolore urticante risorse repentino.

– Non toccarmi! – strillò, ritraendosi di scatto.

Shin fece lo stesso, desolato. Era difficile credere che una creatura così limpida potesse ferire, seppur inavvertitamente, qualcuno.

– Ma cosa ti prende, ragazzina? – sbuffò Castalia.

– Mi fa male! –

– Sciocchezze! Shin non ha mai… –

– Questa volta sì – intercedette Shin di fronte al chiaro scetticismo di Castalia.

Cercò lo sguardo sperso di Regan e quanto lo incontrò, lei si sentì pervasa da uno strano, tiepido senso di quiete.

– Non so come, ma le ho fatto del male. Ho sentito il suo dolore, appena prima che il contatto tra di noi si interrompesse. –

Lucius fece rimettere Regan a sedere.

– Ti avevo detto che è ancora debole – disse a Castalia in tono accusatorio, poi si rivolse a Shin. – Di’ alla signora Coordinatore Generale che cos’hai visto nella testa di Regan e facciamola finita con questa buffonata, per favore. –

La chiamata in causa sollevò superbamente il mento e attese.

– Sta dicendo la verità. –

Castalia accolse il decreto con l’aria di una che era appena stata schiaffeggiata e stava facendo di tutto per ingoiare l’onta e il dolore.

– Ne sei assolutamente sicuro? –

Un cenno assenziente del capo di Shin tolse definitivamente ogni residuo di colore dal suo viso, e con esso si dissolse ogni sua disponibilità alla cortesia formale.

– In tal caso, credo che sia superfluo proseguire la conversazione. –

Quel commento fornì a Regan un’ulteriore conferma a quel che già aveva intuito da sé su quella donna: una burattinaia che trattava chi le stava intorno come né più né meno che marionette, pedine di vetro da muovere a proprio piacimento sulla sua scacchiera personale, e se poi qualcuna dovesse risultare inutile ai suoi scopi, poteva benissimo essere gettata via, o semplicemente lasciata in un angolo a prendere polvere, in attesa di poter essere sfruttata in caso di necessità. E, a giudicare dalla faccia di Lucius, Regan non era la sola a pensarlo.

Shin se ne stava in disparte, le mani giunte dietro alla schiena, ritto e sinuoso come un cigno.

– Ci stai forse elegantemente congedando? –

– Ho altro da fare che stare qui a perdere tempo con voi – fu la rude risposta di Castalia, ma Lucius sembrava non aver atteso altro.

– Molto bene. ­–

Fece per alzarsi in piedi, ma lo fermò con impazienza.

– Prima che ve ne andiate, vorrei scambiare due parole con te, Lucius. –

Lui si rimise a sedere con una certa riluttanza che non si curò di nascondere.

– In privato – aggiunse Castalia, allungato un’occhiata eloquente a Regan, seduta lì accanto, e poi a Shin.

– Aspettami qui fuori ­– le disse Lucius. – Non ci vorrà molto. Shin rimarrà con te. –

 

 

Il corridoio era deserto quanto lo era stato prima, con la sola differenza che la luce del sole si era notevolmente affievolita, cedendo le tonalità dorate diurne per acquisire quelle violacee e bluastre della sera. Il cielo era terso, un infinito campo di blu in cui lentamente stavano sbocciando le prime, timide stelle. La luna, appesa là in mezzo come un gioiello celeste, era tonda e bianca, ancora priva della luminescenza lattea che la notte le avrebbe portato.

Le lampade a olio affisse alle pareti si erano accese e ora piccole fiammelle gialle danzavano placide dietro alle loro prigioni di vetro, gettando fievoli ombre sugli arabeschi dei tappeti e degli arazzi.

– Ti prego di perdonarmi. –

Assorta nell’ammirazione dell’ambiente, Regan aveva quasi scordato la silenziosa presenza di Shin al proprio fianco. Dovette piegare la testa all’indietro per riuscire a vederlo in viso, tanto era alto. Possedeva un’eleganza diversa da quella mascolina di Lucius; somigliava a una libellula: sottile, leggero, quasi impalpabile, e la dolcezza di cui era dipinto il suo volto a tratti sembrava sbiadire, lasciando posto per fugaci attimi a ombre fredde e scure che poco gli si addicevano.

– Non era mia intenzione farti del male, mi dispiace. –

La sua voce era un aperto contrasto con la sua immagine, morbida e maschile alle orecchie di chi, guardandolo, lo vedeva così androgino e raffinato.

Regan finalmente capì a cosa si stesse riferendo.

– Non fa niente – mormorò. Preferiva non ripensare a quel dolore terribile che le aveva strappato via l’aria dai polmoni per lunghi, interminabili secondi.

– Non so come sia potuto succedere – il tono accorato di Shin la fece sentire in colpa, come se avesse scelto lei di soffrire, per fargli dispetto. – È la prima volta che causo dolore a qualcuno, scrutandogli la mente. –

Regan ripensò a quanto era successo e si rese conto che, effettivamente, non era stata l’intrusione di Shin nella sua testa a scatenare tutto. Il dolore non era venuto da dentro, ma da fuori, dal tocco della mani rispettose di Shin sulle sua pelle.

– Non è stato quello. Era… eri tu – Scosse la testa, sottolineando la propria perplessità. – Non so, è stato come se le tue mani fossero diventate di fuoco. –

Perfino lei trovava quell’idea alquanto insensata.

Shin doveva pensarla pressappoco allo stesso modo, perché una serie di lievissime righe superficiali gli increspò la fronte candida al di sotto dei sottili ciuffi biondi. La sua anima immacolata vibrava di un’aura così intensa e luminosa da diventare quasi un disturbo per il normale flusso di pensieri.

– Forse ha ragione Lucius – suppose. – Forse sei semplicemente ancora troppo debole. Dopotutto, potrebbe esserti accaduto di tutto, prima che lui ti trovasse. –

Lei preferì non rispondere. Lucius era stato vago, quando aveva provato a chiedergli qualcosa in merito, e adesso cominciava a persuadersi che non fosse stato per mancanza di risposte, ma quanto piuttosto per la natura delle risposte stesse.

Le tornò in mente quello che le aveva detto Angina.

“Mi chiedo se il tuo cervello non abbia deciso di privarti della memoria per il tuo bene.”

Forse, dopotutto, era davvero meglio non sapere.

 

 

Riusciva quasi ad avvertire l’estremo disappunto di Castalia, mentre lei, forzatamente compita, lo fissava con quella sua aria da grande sovrana con il peso del mondo sulle spalle. Nonostante ce la mettesse tutta, però, Castalia non possedeva la grazia e il contegno di una nobildonna quale pretendeva di essere: era di modeste origini e la sua carriera se l’era sudata con l’impegno e il talento, e una buona dose di ambizione che si era saputa giocare bene. Diversamente da molti membri dei ranghi alti della Lega, non aveva avuto parenti o amicizie influenti, né un discreto patrimonio che le consentisse di aspirare a cariche importanti in cambio di generosi finanziamenti. Si era fatta da sola, come del resto avevano fatto i suoi colleghi Coordinatori, sebbene chi più e chi meno aiutato da fama e natali.

Nonostante l’ammirazione che le concedeva per la tenacia, tuttavia, Lucius provava una discreta avversione per quella donna, forse come contrappasso naturale per la stessa avversione che lei nutriva per lui, o forse, più prosaicamente, perché le persone sterili e calcolatrici come lei non avevano mai avuto spazio nelle strette gerarchie della sua considerazione.

– Che cosa intendi fare con quella ragazza? –

Lucius inarcò un sopracciglio, sorridendo a fronte dell’originalità della domanda.

– La sedurrò, violerò la sua virtù e ne farò per sempre la mia schiava personale, naturalmente. –

L’occhiataccia malevola che ebbe in cambio gli fece capire che non era aria di burle. O meglio, lo era ancora meno del solito.

– La terrò con me, fino a che sarà necessario – dichiarò. – La poterò a casa, le darò da mangiare, un posto in cui dormire… –

– Lucius – lo interruppe Castalia, stizzita, una vena che pulsava minacciosa sulla sua tempia. – Stiamo parlando di una persona, non di un cucciolo randagio. Una persona che fra l’altro, secondo il tuo resoconto, sembrava risultare particolarmente importante per un ignoto che veste insegne ignote, e che aveva tutta l’intenzione di farti fuori per potersela prendere. –

– E ci è andato fin troppo vicino – disse Lucius, tranquillo, ben memore dello stato in cui versava il suo fianco destro.

– Gliene sarei stata immensamente grata – gemette Castalia, sfregandosi la fronte tra l’indice e il pollice.

– Oh, ne sono assolutamente convinto. ­­–

Erano ormai dieci anni che quella donna passava ogni singolo giorno della propria vita a pregare che qualche malvivente abbastanza potente da esserne in grado le togliesse dai piedi una seccatura come lui. Lucius non dubitava minimamente che dovesse essere stata una bella delusione, per lei, venire a sapere che non era rimasto tragicamente ucciso in quel valoroso duello contro l’uomo misterioso.

La sua ilarità non scalfì nemmeno lontanamente la solennità di cui ostinava vestire Castalia. Non lo perdeva di vista un solo istante, nemmeno per battere le ciglia.

– Io lo so perché ti dai tanta pena per lei. –

Le sorrise con tutta la bonarietà di cui era capace.

– Sono convinto anche di questo. –

– Concedimi solo di rammentarti che tu, a differenza di altri, non rivesti un ruolo che ti consenta di fare di testa tua, come del resto fai in ogni caso. –

Lucius non aveva bisogno di informarsi su chi sottintendesse quel vago “altri”.

– Lascia che mi occupi io di lei – la pregò, cosa che di norma non si sarebbe sognato di fare nemmeno sotto tortura. – Con me è al sicuro. Sai bene che sono il più indicato. –

– Sei il più indicato perché vuoi essere il più indicato. –

Un angolo delle labbra di Lucius ebbe l’ardire di arricciarsi furbamente.

– Tant’è. –

– E, dimmi, ti sembra appropriato che un gentiluomo si porti a casa una ragazza come quella, come nulla fosse? –

– In primo luogo, sarei curioso di sapere quand’è che hai iniziato a considerarmi un gentiluomo, dato che, correggimi se sbaglio, l’ultima volta che ci siamo incrociati l’epiteto più benevolo che mi hai riservato è stato cafone.

– Dovevo essere in vena particolarmente caritatevole. –

– Regan non ha dove andare. È sola, senza memoria, senza riferimenti, e io non intendo certo lasciarla alla tua mercé. ­–

Le mani di Castalia poggiavano intrecciate sul legno scuro della scrivania, su cui verteva anche il suo sguardo assorto; lo risollevò poco dopo, inspirando a fondo. Non aveva replicato direttamente, segno di una tacita resa.

– Posso almeno sapere, rivisitazioni di episodi di vita personale a parte, perché ci tieni così tanto? – si riservò di chiedere.

Lucius scrollò svogliatamente le spalle. In realtà, non sapeva esattamente nemmeno lui il perché. O, per meglio dire, lo sapeva, ma non poteva certo portare un’intuizione istintiva a sostegno della propria causa.

– Se la lasciassi a te, finirebbe rinchiusa in una stanzetta anonima, lasciata a sé stessa fino a chissà quando. Il che, converrai con me, non è il massimo per una ragazza sola e spaventata. Io voglio prendermi cura di lei, aiutarla a recuperare la memoria e, possibilmente, restituirla alla sua famiglia, se da qualche parte ne ha una. Magari nei suoi ricordi esiste qualche traccia che possa spiegare qualcosa di questo mistero in cui tu e i tuoi, perdona la brutalità, state letteralmente brancolando senza risultati. –

Castalia incassò il colpo con la maestria di chi aveva fatto dell’incuranza un’arte vera e propria.

– D’accordo – sospirò stancamente, come a voler liquidare il più in fretta possibile una faccenda estremamente noiosa. – La piccola sconosciuta è ufficialmente affidata a te. Mi auguro che questo onere non interferisca con il tuo lavoro. –

Per la verità Lucius non aveva ancora pensato a come avrebbe fatto a conciliare i suoi incarichi professionali con la sua ospite, ma non era necessario che Castalia lo sapesse. A suo tempo se ne saperbbe preoccupato.

– Non succederà – le garantì, racimolando qualche residuo di affabilità da sotto i troppi strati di sensazioni negative che parlare con lei puntualmente gli procurava.

– Contatterò il Consiglio dei Coordinatori personalmente per informarli di questa faccenda – gli comunicò lei. – Ma non voglio che tu prenda iniziative di alcun tipo. Penso sia superfluo sottolineare che, per la sicurezza comune e della tua amica, meno persone sapranno da dove arriva, meglio sarà. –

Stranamente, Lucius la pensava come lei.

– Mi inventerò una scusa che giustifichi la sua improvvisa comparsa. –

Quando fu certo che non ci sarebbero state ulteriori repliche e che dunque la conversazione era chiusa una volta per tutte, si tolse finalmente la soddisfazione di congedarsi.

– Arrivederci, Coordinatore Generale. –

Un inchino cerimonioso, e, senza aspettare di essere contraccambiato, si dileguò, lasciandosi Castalia e le sue grane alle spalle.

Trovò Regan seduta su una panca del corridoio a giocherellare con la punta della sua treccia. Shin era in piedi davanti alla finestra, subito accanto a lei, e la osservava senza dire niente, pensoso. Il cielo oltre il vetro dietro di lui era già di un soffice blu scuro punteggiato di stelle.

– Esattamente, cerbiattina, quale parte della frase “irritare Castalia non è mai una buona idea” non ti era poi così chiara? –

I due alzarono di scatto lo sguardo. Shin tornò retto e impettito con meccanica prontezza. Regan imbronciò le labbra, sostenuta.

– Scusa – farfugliò a mezza voce, con una faccia che tutto era, fuorché colpevole.

Lucius fece schioccare la lingua.

– Il tuo temperamento focoso ci caccerà entrambi nei guai – la ammonì, ma con una nota di compiacimento. – Mi piace. –

Rise per il modo in cui Regan si sorprese di sentirgli proferire quelle parole, poi aggiunse:

– Grazie per essere rimasto con lei, Shin. –

Il giovane angelo sorrise.

– Nessun problema. –

Lucius indugiò sul pallore di Regan, sul grigio che orlava i suoi occhi gonfi.

– Immagino che tu sia esausta. –

Lei negò.

– Perdona l’accanimento di Castalia. Il popolo è in festa per la caduta della Corte e la Lega, invece, trattiene il fiato dalla tensione. Stanno brancolando nel buio, non hanno nessuna spiegazione riguardo a quanto è successo e so che lei riponeva in te tutte le sue speranze di cavare qualche ragno dal buco. Potrai ben immaginare la sua delusione quando ha ricevuto conferma che non ricordi un bel niente –

– Che cosa ti ha detto? – volle invece sapere lei. Sembrava nervosa.

– Niente di che. Mi ha accordato il permesso di tenerti con me, fino a eventuali nuovi sviluppi. –

Il viso tirato di Regan si illuminò.

– Davvero? –

Lucius ammiccò. Quella ragazzina dai colori innaturali gli piaceva.

– Cosa credevi, che ti avrei abbandonata a te stessa all’angolo di una strada? –

Lei arrossì, perché quella era stata all’incirca la sua supposizione.

– Rimarrai con me fino a che sarà necessario, o fino a che lo vorrai. Nel frattempo cercheremo di indagare un po’ su di te, tra un incarico e l’altro. –

– Incarico? – fece lei, perplessa.

– Su, avanti, diamoci una mossa – come non l’avesse sentita, Lucius batté le mani per spronarla ad alzarsi. – Siamo già in ritardo. –

Lasciarono Shin con un saluto informale e ripercorsero a ritroso la medesima strada dell’andata.

L’atrio dell’ingresso principale era ormai illuminato per  la notte, grosse torce e crateri di braci fiammeggianti erano disposti ovunque lungo le navate e riverberavano sulla lucidità del marmo moltiplicando il proprio bagliore in mille tremuli riflessi.

Non c’era più Garlan a montare la guardia: al suo posto vegliava un giovanotto robusto che accolse il loro passaggio battendo i tacchi con un piccolo inchino rispettoso.

Una volta che furono in prossimità del Portale dell’arco, si volse verso Regan, allungandole un palmo aperto.

– Devo chiederti di nuovo di concedermi la tua mano. –

– Perché devi tenermi la mano per attraversare questi passaggi? –

– La cosa ti disturba? – le chiese Lucius, con un falsissimo cipiglio offeso, un bieco sorrisino abbozzato sul viso chiaro, gli occhi luminosi nella semioscurità. Le sue mani erano ruvide, mani che nella vita non avevano avuto paura di lavorare e rovinarsi, e il loro effetto sulla pelle tenera di Regan era tutt’altro che disturbante.

– Era solo una curiosità. –

Lui rise.

– Devo tenerti per mano perché tu non sai dove siamo diretti. Inoltre non sei un membro della Lega, e dunque non hai questa. –

Si indicò il petto, dove luccicava la stella a sette punte che lei aveva già notato.

– È il simbolo della Lega e delle Sette Terre. La portano tutti i membri ufficialmente investiti. Colloquialmente le chiamiamo Stelle, non c’è bisogno che ti spieghi il perché. Lo vedi questo? – aggiunse, passando un dito sulla piccola gemma levigata incastonata nel mezzo della stella.

– È un rubino? – indovinò lei.

– È sangue. –

Regan lo guardò storto, pensando a uno scherzo.

– Il mio sangue, per la precisione – specificò Lucius. – Vedi, entrare nella Lega non è facile, le selezioni sono molto oculate e non basta il formale giuramento di fedeltà prestato all’investitura come garanzia. Per questo ciascun aspirante, durante la cerimonia, dona una goccia del suo sangue che viene cristallizzata sulla sua Stella, in modo che essa possa essere associata a un’unica, inconfondibile persona e solo da essa utilizzata. Tra le altre cose, funziona da chiave per i Portali speciali che mettono in comunicazione certe aree dei vari Nuclei. Ce ne sono sette in tutto – aggiunse, dato che lei non dava segno di comprendere. – Uno per ognuna delle Terre, ciascuno… –

– Ciascuno ha il rispettivo Coordinatore ad amministrarlo e tutti fanno a capo al Coordinatore Generale – completò Regan, con una strana cadenza mnemonica, come se stesse recitando una poesia conosciuta di cui però ignorava l’esatto significato.

– Ossia la deliziosa donna che hai conosciuto poco fa. – Lucius le allungò una pacca soddisfatta sulla schiena. – Qualcosa te lo ricordi, allora. –

– Non ho memoria di me stessa – mormorò lei, la fronte aggrottata. – Ma ho altri ricordi, cose come questo, che riguardano il mondo… mi sforzo di ricordare anche il resto, ma è come se sfogliassi un libro troppo sbiadito… –

– Hai smarrito il tuo passato,  ma hai ancora un presente e un futuro, no? Poteva andarti molto peggio. E poi non è ancora detto che la tua memoria non torni. –

Con un sorriso incoraggiante, Lucius le offrì nuovamente la mano. Lei non sprecò inutili ritrosie nell’obbedirgli: ricambiò il sorriso, poco convinta, e la sua mano, fredda e malferma, trovò quella di lui.

– Dove stiamo andando? –

L’espressione che Lucius le restituì mentre si affacciavano alla parete, scomparendovi oltre, era un enigma giocoso.

– Ti porto ad assaggiare la migliore cucina delle Sette Terre. –




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A/N: eccoci qui, secondo capitolo arrivato. Qualcuno si è stupito della velocità di aggiornamento... e ha ragione. Il fatto è che penso serva qualche capitolo per capire bene come ci si sente verso una storia, quindi per aiutare i lettori a entrare nel vivo, sto cercando, almeno per i primi capitoli, di postare frequentemente, dato che comunque sono già pronti, bisognosi solo di una rilettura prima della pubblicazione.
Grazie a tutti voi che avete letto, e soprattutto un grazie particolare a:
VesiSchwartz: ovviamente le tue domande troveranno risposta al momento giusto. :) Intanto grazie dei complimenti, e... lo spero tanto anche io che prima o poi potrai trovare Century Child in libreria!
Hellister: sono felice che ti piaccia questo mondo, soprattutto perchè abbiamo appena iniziato a esplorarlo e di strada da fare e luoghi da vedere ce n'è ancora un bel po'. ;) Chi è Regan... prima o poi lo scopriremo, e lei anche. XD Per quel che riguarda Lucius... non so perchè, ma avevo la sensazione che avrebbe attratto le gentili donzelle. ;)
Maharet: intanto ne approfitto per complimentarmi con la scelta del nick, dato che sono un'estimatrice di Anne Rice e ho sempre nutrito particolare simpatia per il personaggio tuo omonimo. ;) Come ho già detto nella risposta alla tua (stupenda! *-*) recensione, Lucius e le sue cicatrici hanno un passato che si svelerà pian piano, un pezzettino per volta, ma arriverà, promesso! Per le età, inoltre, direi che sei stata decisamente precisa nell'indonvinare!
Hillary: è davvero un piacere per me averti come lettrice! Sono le persone che sanno scrivere accurate e oneste come te che aiutano davvero chi scrive una storia. Non sembra, ma il punto di vista esterno è utilissimo per capire cose che "dall'interno" è difficilissimo individuare. Mi dici che trovi le atmosfere e lo stile un po' potteriani, e io francamente mi trovo ad ammettere con un pizzico di orgoglio che, a quasi 24 anni, la saga della Rowling resta tra i miei amori letterari più grandi (e se tu ami Sirius, io sono decisamente e seriamente innamorata persa del suo amicone mannaro <3). Harry Potter è stato il motivo primario che mi ha iniziata al mondo delle ff e da lì, poi, c'è stato il decollo della mia passione sfrenata per la scrittura, quindi, sì, direi che ci hai preso. ;)  A dire il vero, anzi, ci hai preso un po' su tutto, tanto che min sono chiesta se tu per caso non abbia hackerato la storia dal mio computer. XD La lunghezza dei capitoli è tale perchè ad essere sincera non ho cominciato a scrivere Century Child pensando di pubblicarlo su EFP, ma solo in veste di "forse romanzo" da poter un giorno mandare a qualche buonanima che per miracolo decidesse di pubblicarlo. Poi ho deciso di "testare" un po' la cosa, giusto per capire appunto cosa ne potesse pensare la gente (anche se una cavia già la sto usando XD). Insomma, non so come ringraziarti dei complimenti, quindi mi fermo qui e aspetto trepidante una nuova recensione. :)

Per tutti gli altri, l'invito a lasciare il vostro parere è sempre rinnovato, lungo o breve che sia. ;)

Prossimo capitolo: La Città-Gioiello

Kauneus rifulgeva di luce anche nella densità delle ombre della sera. Bastava un nonnulla: anche il più lieve bagliore della più piccola fonte luminosa veniva catturato dal kival, il marmo delle cave dei monti di Norden, che si diceva benedetto dalla Madre per via della sua capacità di catturare anche i raggi di luce più minuscoli durante il giorno e restituirli in mille splendidi riflessi dopo il crepuscolo. Il centro della città era quasi interamente costruito in questo materiale, dai lastricati delle strade alle facciate dei palazzi e degli edifici alle statue che li abbellivano.

Era da togliere il fiato, percorrere per quelle vie.

Lucius, che le stava seduto accanto, teneva le mani in tasca, e aveva lo sguardo perso nel vuoto al di fuori del finestrino. Era ora di cena: gli abitanti dei palazzi dovevano essere già tutti a tavola, chi riunito in una sala da pranzo a consumare un lauto banchetto, chi rifugiato in qualche taverna a fare baldoria con gli amici.

   
 
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