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Autore: Marguerite Tyreen    05/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo X: Elegy in the Summer
 

 
Dublino, Giugno 1917
 
L’ Howth Castle li avvolse con la sua mole d’un biancore abbagliante.
Un anno dopo ed erano ancora lì.
Sembrava che il tempo non fosse passato, eppure ne erano cambiate di cose.
Non che stessero male, ora. Avevano trovato un loro equilibrio, si poteva dire.
La stessa strada, la stessa automobile che correva veloce: loro due davanti e Aisling sul sedile posteriore, abbracciata a entrambi.
Come un dagherrotipo, riprodotto più e più volte. Come un sonetto bucolico, un madrigale nelle sue mille, ma sempre simili varianti, al quale sembrava essere stata cambiata solo la data.
Rideva ancora, Aisling. Un po’meno spensierata, forse, ma la sua allegria, all’epoca inarrestabile, continuava a portare gioia anche a Liam e Shan.
Con qualche difficoltà, alla fine, erano riusciti a far tornare le cose come prima, sotterrando la gelosia e sopprimendo i rancori.
- E’stato un brutto inverno. – disse lei con un sorriso – Ma siamo ancora tutti qui, tutti e tre insieme. Come prima. Come ai tempi della nostra promessa.
- Credete sia ora di rinnovarla? – chiese Liam.
- Rinnoviamola, dopo tutto quello che è successo. – aveva confermato Shannon.
Aisling prese nelle sue le mani di entrambi: - Com’è che era? Ah, già, ma questa volta sarà un po’diversa. Io, Kathleen Aisling O’Connor prometto solennemente di essere fedele alla nostra amicizia e al nostro amore. Qui, davanti all’Howth Castle, prima meta della nostra prima scampagnata, giuro di amare ora e per sempre solo voi, William Murray e Shannon Donovan, fino alla fine dei miei giorni.
Promisero, in una sorta di insolito matrimonio profano.
- E, inoltre, - aggiunse Liam – do la mia parola, solennemente, di destinare la mia vita alla causa della libertà di Erin.
- Senza tradirla né disonorarla mai con la mia codardia né con la mia disumanità, né con la mia avidità. – concluse Shannon, che ricordava stralci del proclama praticamente a memoria.
 
 
Senza tradirla né disonorarla mai con la mia codardia né con la mia disumanità, né con la mia avidità. Tradirla e disonorarla. Tradirla.
Tradimento.
Quelle parole rimbombarono nella testa di Liam come provenienti da un baratro profondo, fatto di colpe e di oblio. Pronunciate da Shan si coloravano di un’ombra inquietante.
È davvero crudele come il destino si diverta a illudere gli esseri umani, a farli convincere per anni interi di essere ciò che in realtà non sono, atterrando le loro convinzioni nel modo più meschino e ingrato che si possa immaginare.
La pena del contrappasso non è prerogativa dell’inferno, allora. Raccolse il coraggio per un sorriso tirato. A volte la si sconta anche sulla terra, che forse è il vero e proprio inferno.
Il contrappasso. Ti fa promettere fedeltà anima e corpo alla tua causa e ti costringe a tradirla ignobilmente. Non per causa tua, ma perché gli eventi si avvinghiano a te con le loro spire, stringendo, stringendo forte, assurdamente forte, da non lasciarti respirare, da non lasciarti scegliere. Da non lasciarti vivere.
Bisogna scontare giorno per giorno ogni istante felice che si ha vissuto, ogni risata, ogni momento in cui si è riusciti a dimenticare la sofferenza, la morte, gli errori.
Ed è tutto talmente assurdo, a volte, che la vita ti presenta il conto ancora prima della fine.
O forse sbagliava ad attribuire tutte le responsabilità al destino.
Forse non esisteva né il destino né la sorte né Dio, in qualunque modo lo si volesse intendere.
O forse il destino esisteva ma era così in alto, così lontano da quello sputo di universo in cui gli uomini si arrabattavano come formiche, da non prestare orecchio alle loro pochezze, alle loro inutili beghe.
La responsabilità, allora, era solo dell’essere umano. Solo sua in quella fattispecie, pur non avendo il coraggio di ammetterlo. Perché, dopotutto, mandare al diavolo la sorte che ti ha sbattuto a terra con violenza, lasciandoti privo della dignità necessaria anche solo per guardarti allo specchio, era un modo come un altro per sgravarsi la coscienza.
Eppure, prima di morire, qualcosa di buono l’aveva fatto, Liam. E che smettessero di dire che dalla storia e dagli errori non s’impara nulla.
Non s’impara nulla se si sceglie di voltare la testa e fregarsene, adducendo il pretesto che, in fondo, era così che doveva andare, che la vita va avanti e non sta ad aspettare che ricomponiamo i pezzi del nostro cuore, se l’abbiamo in frantumi. O della nostra anima.
Ma per uno che, per quante miglia avesse messo fra sé ed il suo passato aveva continuato a viaggiare con un malato, che aveva preso al volo un treno, un piroscafo eppoi una motocicletta per fuggire da se stesso senza riuscirci, la vita non poteva andare avanti.
L’esistenza, può darsi, ma la vita no .
Quando si arriva a quel punto, stava dicendosi, s’impara dagli sbagli, a forza di portarseli dietro, peggio di una valigia, più ingombranti di una valigia, ché nel bagaglio non ci stanno e nemmeno nella mente. S’impara. S’impara eccome.
E, per una volta sola da quando aveva lasciato l’Irlanda, aveva fatto qualcosa di giusto.
C’era un medico, con loro, coi rivoluzionari messicani. Il dottor Morales, uno dei loro teorici.
Ebbene, era stato catturato dai regulares, massacrato di botte per fargli fare i nomi dei capi, ed infine rilasciato come ringraziamento. Fino all’ultimo Murray aveva pensato di fargliela pagare, dopo che quella sua vigliaccheria era costata la vita a molti dei suoi compagni.
Poi si era ricordato di ciò che era successo e aveva saputo fermarsi in tempo.
Morales era morto comunque, ma in un’azione, da grande e glorioso eroe come, in fondo, era giusto che venisse ricordato.
Ma se c’era qualcosa di importante in tutta questa storia, era che lui aveva saputo perdonare. Aveva compreso quanto le persone fossero fallibili, quanto lui stesso lo fosse, ragion per cui non gli spettava il compito della vendetta.
Era tutto ciò che avrebbe voluto dire ad Aisling, prima di morire.
Dove diavolo era andato Pedro? Doveva ricordarglielo, doveva essere sicuro che l’avrebbe scritto nella lettera. Doveva.
Lei meritava di sapere che, nella lontana ipotesi che l’avesse mai amato o l’amasse ancora, lui non era l’uomo spietato che aveva creduto. Meritava di conservare di lui un’immagine diversa, quando ne avrebbe parlato ai suoi figli, se mai ne aveva.
Quando ne parlava con Patrik, magari, il quale alla notizia della sua morte avrebbe certamente commentato: meglio così.
Come si può perdonare un assassino?
Si chiese se davvero non meritasse nemmeno una lacrima sulla sua tomba. Se davvero non si potesse dire nemmeno una preghiera per lui, senza che risultasse indirizzata ad un’anima empia.
Dopotutto, dopo la pena che già aveva scontato, più dura della legge e del carcere, quanto solo può esserlo la vita  per un uomo che non la desidera più, adesso veniva la condanna più grande.
Morire senza il conforto di sapere il proprio corpo accolto e coperto dalla terra di Erin.
La vedeva nitidamente davanti a sé la fossa comune, come se gliel’avessero già scavata. E del resto, cosa poteva pretendere in guerra?
Ma quello che di lui avrebbe avuto suo padre, sarebbe stata solo una tomba vuota. Un nome, una lapide sulla quale non valeva nemmeno la pena piangere, tanto lui non ci sarebbe stato.
- Pedro – chiamò con la forza che gli rimaneva.
Che la smettesse di andare alla ricerca di qualche praticone che si dava arie di medico, tanto lo sapevano entrambi che per lui era finita. Anzi, si meravigliava di star impiegando così tanto tempo a morire.
Non sapeva nemmeno sparare, quell’idiota.
Se devi morire ammazzato, augurati almeno che sia per mano di qualcuno che sappia dove colpire.
Che la smettesse e tornasse da lui. L’unica cosa che poteva fare ormai, era tenergli la mano e raccogliere le sue ultime volontà, che non aveva né voglia né possibilità di sprecare la voce.
 
 
- Allora! Vi farete battere da una donna? Come siete lenti! – aveva gridato Aisling, abbracciando, ansante, il tronco d’albero che segnava la meta della loro corsa.
Il nastro del suo cappello di paglia sventolava come un aquilone, come una bandiera, che, forse, voleva indicare loro la strada.
Si sorpresero a giocare e a rincorrersi come bambini, adesso che il tempo dell’adolescenza era già lontano e, piuttosto, era venuto quello dell’impegno.
Ma la risata di Aisling, allora, risuonava come un fresco invito.
L’orlo della sua gonna, le gambe candide e veloci, erano il presagio più vivo e lieto che avessero mai incontrato. C’era ancora vita e c’era ancora amore, in quel giugno carico di promesse.
La raggiunse, Liam, molto prima di Shannon. La strinse alla vita, tenendola stretta tra l’albero e il proprio petto. La baciò con l’anima sulle labbra. Era il momento più bello di tutti, quello, quando sentiva sulla propria la bocca setosa e tiepida di Aisling. Quando il tessuto dei suoi capelli s’impigliava tra le dita, nel tentativo di scostarli dal viso. Quando le proprie mani percorrevano ad occhi chiusi il suo viso, come per imprimersi ogni lineamento, ogni espressione di lei nella mente.
Le mani, quelle di Aisling, invece, si muovevano lente sulle sue spalle.
Scivolò con le labbra sulla sua guancia, adorava baciarle le gote: profumavano di rose e di gioventù.
- Dimmi che mi vuoi bene, Aisling. – le sussurrò piano all’orecchio.
- Oh, Liam, come se non lo sapessi… - gli rispose lei, ridendo appena.
- Dimmelo comunque.
- No, non te lo dico. – fece, con malizia – Però ti do un bacio.
Shannon li aveva raggiunti, mettendosi diligentemente a dare di gomito all’amico, perché gli facesse spazio.
Liam aveva approfittato degli ultimi momenti per stringersi ad Aisling prima che lei, con un mezzo giro leggiadro su se stessa, finisse tra le braccia di Shan, sulle labbra del quale l’attendeva il bacio.
Lui non le chiedeva mai di parlargli d’amore, gli bastava sentirla, viva e ardente, aderire al proprio corpo, dimenticando nei laghi dei suoi occhi e nel miele della sua bocca ogni sentimentalismo.
Aisling respirava piano, ad occhi chiusi, vicinissima al viso di Shan, quella sensazione di completezza. Non aveva mai pensato di poter amare due uomini contemporaneamente, eppure era accaduto. Entrambi erano troppo diversi, troppo complementari, troppo importanti per rinunziarvi.
E, nonostante tutta la sua tenerezza fosse riservata a Liam e alla purezza dei suoi sentimenti, sapeva che non avrebbe potuto rinunciare alla spavalda, quasi egoistica, passione di Shannon.
Erano riusciti ad essere felici, quel giorno. Constatava Liam mentre si schermava gli occhi dal sole, guardando il cielo. C’era un’aria serena e elegiaca, intorno, dolce come potevano esserlo solo i prati verdi di Erin, quella morbida coltre d’erba su cui stavano distesi.
Una nube passò veloce sopra di loro, macchiando il blu col suo candore.
Gli occhi di Liam avevano lo stesso colore del cielo, pensò Aisling, mentre gli tormentava dolcemente i capelli sulla fronte.
Erano riusciti ad essere ancora felici. Forse era stato l’ultimo momento di spensieratezza, di gioia assoluta, fatta di cose semplici, di una corsa nei prati, una chiacchierata, un ruzzolone nell’erba e il ricordo. Il ricordo della luminosità di quel pomeriggio di giugno, degli occhi sinceri di Liam, delle mani di Shan che, accompagnando le sue parole, disegnavano immagini del loro futuro.
Il futuro c’era, allora, e sembrava non essere nemmeno più tanto lontano e fuggevole.
Ma dopo, tutto quello che era venuto dopo, era un’assurda, tragica e lunga notte che sarebbe stato meglio dimenticare.
 
Ottobre, 1917
 
- Condoglianze, James. – Frank Donovan si era mestamente tolto il cappello, nell’entrare in casa Murray, non senza un senso di imbarazzo, quell’imbarazzo che si ha solo davanti al dolore, accorgendosi di non avere alcun rimedio per farvi fronte.
- Grazie, Frank. – aveva risposto l’altro, che pareva ormai l’ombra di se stesso, nonostante non fosse passato che un giorno. Ma un giorno senza di lei era un’eternità, anche quando sapeva che l’avrebbe rivista. Ora, invece, diventava insostenibile. Un inferno.
- James, sapevamo che negli ultimi tempi non era stata bene – prese a dire Eiliònor con la voce incrinata – Ma non ci aspettavamo certo che… - si coprì il viso con il fazzoletto, accorgendosi di non essere di nessun aiuto. Anzi, di star peggiorando solo le cose, probabilmente.
In fin dei conti, era stato come perdere una sorella. I loro mariti si conoscevano da quando erano ragazzi e i rispettivi matrimoni le avevano fatte incontrare e diventare ottime amiche, avevano cresciuto i figli insieme, come se fossero stati di entrambe. Avevano creduto di poter anche invecchiare assieme, se lo erano dette, un giorno, fra le chiacchiere, un paio di ricette e di segreti di bellezza. Perché il loro legame, in fondo, era fatto di piccole e semplici attenzioni. Sapeva bene, Eiliònor, di non essere all’altezza della cultura dell’altra, da non poterla accompagnare lungo i sentieri della conoscenza, della storia e del patriottismo in cui ella amava avventurarsi. Ma non si erano perse d’animo, cercando subito qualche passione che potesse tenerle vicine.
I loro figli erano stati l’elemento più importante.
E, adesso, se n’era andata, Gobnait. Troppo presto.
- Da molti anni era malata di cuore, ma ultimamente la situazione si era aggravata e ieri mattina… - Murray non ebbe la forza di continuare.
- Liam? – chiese lei, timidamente.
Povero ragazzo, adorava sua madre, sarebbe stato un duro colpo.
Shannon era andato ad avvisare Aisling, nella speranza che, stringersi attorno a lui, le cose sarebbero state appena di poco più semplici.
- E’ di sopra.
S’infilò veloce e silenziosa lungo la scala che portava al primo piano.
 
- Liam, mo rùn… - nella penombra della stanza sua madre aveva teso a fatica le mani verso di lui.
Era accorso prontamente, prendendogliele nelle proprie, avvicinando il viso alle sue labbra per sentire meglio quelle parole. Era arrivato il momento di affidare a lui i suoi ultimi pensieri, il suo ultimo canto d’amore, il suo testamento per non essere dimenticata.
- Liam, non ho fatto in tempo… non ho fatto in tempo a vedere Erin libera. Non ho vissuto abbastanza, figlio mio.
- Mamma, la vedrai la sua indipendenza. Perché tu vivrai, non è vero? E scenderemo assieme nelle strade di Dublino, a cantare e a inneggiare alla libertà. Sarà bellissimo allora, e tu sarai con me.
- Veglierò su di te da lassù, amor mio. Ringrazio ogni giorno il Signore per avermi concesso abbastanza tempo da vedere l’uomo che sei diventato. Sono orgogliosa di te, della tua generosità, del tuo talento, delle tue idee. Speravo, un giorno, di tenere tra le braccia i tuoi bambini. Ma è andata così. Me ne vado in pace, sai. La mia vita l’ho vissuta, per quanto sia. Ed è stata anche felice: tu e tuo padre mi avete resa felice.
Una sola cosa devo chiederti.
- Tutto… tutto quello che vuoi – rispose a stento, trattenendo le lacrime.
- Abbi cura di te. Ed abbi cura della nostra causa. Di Erin. È quanto di più bello, oltre all’amore, ci ha tenuti uniti.
Erin go bragh. Erin per sempre. Erano state le sue ultime parole.
 
Liam aveva sussultato al rumore di passi alle sue spalle.
Senza dire nulla, Eiliònor se l’era abbracciato. Aveva atteso che piangesse, che versasse tutte le sue lacrime col viso nascosto tra il suo collo e la sua spalla.
- Scusami.- le aveva sussurrato lui.
- Non preoccuparti, ci sono io adesso. – rispose sfiorandogli i capelli con un bacio – Avrò cura di te come fossi mio figlio, come fossi fratello di Shan.
Si strinse a lei appena un po’ più forte. Aveva un odore dolce e buono, lo stesso di sua madre.
Ne era certo. Avrebbe avuto cura di lui come fosse davvero stato parte della sua famiglia. Lei era stata la donna più importante, dopo Gobnait. Sarebbe rimasta sempre un punto di riferimento. Non meritava di soffrire, non lei.
Come aveva potuto, lui, solo pochi mesi dopo, toglierle ciò che aveva di più caro al mondo? In quale oscuro e folle fondamento aveva trovato la ragione del suo gesto?
Ma ancora non lo sapeva, Liam.
Non sapeva e lasciava lenire il dolore tra le parole care e l’abbraccio caldo di Eiliònor.
 
 
_______________

 
Note dell’autrice:
 
Mie carissime,
scusate la nota melodrammatica, ho come l’impressione di esserci andata giù pesante, in questo capitolo. Lo so, il melodramma è nel mio temperamento, ma non preoccupatevi: sono una persona molto più positiva di quello che traspare dalle mie storie XD
Anzi, spero di non avervi intristito troppo o abbattuto di noia. A volte temo che voi lettori possiate- come dire-  non sentirvi a vostro agio nella storia. I personaggi sono piuttosto insoliti, il periodo storico non è dei migliori, e il dramma è di casa, ma spero comunque di continuare ad appassionarvi. Anche perché secondo i miei calcoli, mancano quattro capitoli al termine.
A proposito di capitoli, il prossimo sarà quello storicamente e quantitativamente più impegnativo, per me. Quindi se per un paio di giorni non mi faccio viva, sapete che sono in fase produttiva ;)
 
Passiamo ai ringraziamenti. Un caloroso e sincero grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite (AlexandraRoses,  Cerridwen Shamrock,  fruttina89, Littlejane, Martina97, Olthir_84, Sereko), tra le ricordate (minimelania) e tra le preferite (piemme).
Di nuovo un sentito grazie a piemme per le recensioni.
 
Se volete farmi sapere un vostro parere, o qualsiasi altra cosa, non abbiate paura: non mordo e non vampirizzo ;) In compenso sarei molto felice di scambiare qualche parola!
 
Buon weekend!!! Un bacione e alla prossima.
Sempre vostra

Marguerite

   
 
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