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Autore: Malia_    05/03/2011    5 recensioni
E finalmente... come promesso. New moon dal punto di vista di Edward.
Estratto dalla prefazione: -E io… un
mostro, un animale senza respiro, non avevo più alcun motivo
per vivere, nulla aveva più senso, niente sembrava
più avere una direzione. Guardai la luce del sole
abbracciare le figure rosse che affollavano la piazza e sorrisi appena.
Morte, unica compagnia, unica speranza. Ah quanto dolore, quanta
sofferenza...-.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Buonasera!!  Come promesso ecco l'aggiornamento del sabato. Ho fatto la brava, risposto a tutti i vostri commentini e ora passo ad aggiornare altro. Come sempre sono di fretta, è tardissimo. Grazie a tutti quelli che seguono questa fic, non smetterò mai di ripeterlo. BUONA LETTURAAAA!! Malia.

P.S. Questa foto è di Remember me, però, bo, aveva un visino così triste Rob che ho detto "sì, è proprio il visino giusto". Ma che scema.
P.P.S. Rob volevo dirti che Edward non ha la barba, tagliatela! (Poveretto, su, scherzo...)

Incontro strano.

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Non le persi di vista neanche per un attimo e ascoltai la loro conversazione fino a quando non ne ebbi davvero abbastanza. Jessica non faceva che parlare di sé, dei suoi amori adolescenziali e della sua vita monotona, senza stimoli. Ammirai la pazienza e l’attenzione con cui Bella riusciva ad ascoltarla. Io davvero non potevo più sopportarne la cantilena. Mi portai una mano alla tempia, massaggiandola, e abbozzai un piccolo sorriso.
-Basta-. Borbottai a me stesso. Un flusso di pensieri estenuante.
Dopo aver parcheggiato l’auto decisero di andare al cinema e poi a mangiare. Tirai un sospiro di sollievo. Non ero più abituato a simili menti confuse, dovevo ammetterlo.
La forzata solitudine che mi ero imposto aveva avuto come effetto quello di farmi chiudere in me stesso lasciando fuori il resto del mondo, ma ora il mio desiderio di sentire la loro conversazione mi aveva spinto ad aprirmi. Non avrei più commesso un simile errore: Jessica era un pericolo per la mia salute mentale.
Mi domandai se fosse il caso di seguirle anche al cinema e scoprii di non averne nessuna voglia. Guardai Bella attraversare la strada e ne intuii il profondo disagio. Desiderava solo scappare di casa per una sera, dimostrare a Charlie che stava bene, ma era perfettamente inutile mentire. La vedevo insofferente e svogliata, quasi che le pesasse persino respirare.
-Devo seguirla-. Mormorai e decisi di entrare insieme a loro.
Subito però mi guardai i vestiti e sospirai. Ero in condizioni a dir poco pietose. Entrare di soppiatto? Non se ne parlava. Avrei dovuto comunque fermarmi nel buio della sala, quantomeno sedermi per non essere linciato vivo da qualcuno. E non avevo neanche un soldo con me, altro piccolo problema non facilmente risolvibile.
Come fare? Non potevo certo rubare della moneta a qualcuno o, peggio, un paio di jeans decenti e una t-shirt da un povero malcapitato. Probabilmente avrei potuto prenderle in prestito da qualche sconosciuto, ma avevo come l’impressione che il concetto non era poi così diverso dal rubare.
-Ehi, amico-. Una voce assonnata improvvisamente mi chiamò e io mi voltai verso quella direzione.
-Lo sai che ti trovi vicino ad un cassone della spazzatura?-. Mi fece candidamente notare il tipo accanto a me.
Era un senzatetto. Gli sorrisi cercando di sembrare amabile. Non eravamo poi così tanto diversi in quella situazione. Più o meno i miei vestiti erano ridotti come i suoi, anche se forse più puliti: avevo la fortuna di non sudare.
-Grazie, dell’informazione-. Tagliai corto e lo vidi scuotere la testa.
-Che roba hai preso? Deve essere forte. Mi sembri un po’ palliduccio-. Commentò, annusandomi con insistenza e facendo un gesto infastidito con la mano davanti al naso.
Non ero io a puzzare tra noi.
-Non prendo il sole-. Risposi insofferente e lo vidi scoppiare a ridere.
-Lo credo, amico, è sera. Il sole non c’è-. Sghignazzò come se fossi io il pazzo.
Preferii lasciar cadere la discussione, non era il caso di aggravare ulteriormente la mia situazione precaria.
-Ma perché guardi fisso il cinema? Vuoi vedere un film?-. Mi chiese allora intercettando il mio sguardo. 
Maledii il lampione sopra di noi, ma decisi comunque di rispondergli. -Sì, mi piacerebbe-. 
Tornai a chiudermi nel mio mutismo, sperando che non facesse ancora considerazioni su di me, ma la sua mente incuriosita cominciò a farsi domande sconclusionate sul mio conto. Pensava fossi un folle, un maniaco.
Trovarmi in situazioni strane non era mai stato il mio forte, ma quella superava ogni mia aspettativa.
-Mi servono dei vestiti puliti-. Gli confidai alla fine, senza comprenderne pienamente il motivo.
-Anche a me-. Sospirò con un’espressione nostalgica stampata sul viso.
Ma come mi era venuto in mente di dire una cosa simile? Mi complimentai per la mia fine stupidità e ignorai la sensazione di disagio che mi colpì.
Non avevo alcuna speranza di entrare al cinema in quelle condizioni. Persi le speranze.
-Mi sono sempre piaciuti i film, quando ero bambino guardavo quelli in bianco e nero-. Mi confessò l’uomo e io tornai a dargli la mia attenzione.
-Come ti chiami?-. Domandai allora, distratto.
-David-. Farfugliò portandosi un pezzo di pane stantio alla bocca. -Barbone di professione-. Sorrise divertito e io rimasi attonito a guardarlo.
Contento lui…
-Edward-. Commentai tendendogli la mano, che non strinse.
-Anche tu eh? La vita è dura-. Mi informò e io aggrottai la fronte, senza capire.
Meglio non dire più nulla.
-Ma sembri un nobile di quelli antichi-. Considerò masticando con gusto quella che probabilmente era la sua cena.
-Perché, come sono quelli moderni?-. Chiesi flebilmente controllando ossessivamente l’uscita del cinema.
Non volevo perdere di vista Bella. Nonostante i pensieri di Jessica starnazzassero anche a quella distanza, non ero affatto sicuro che il mio piccolo Bambi fosse ancora dentro. Non stavano parlando, probabilmente il film era già cominciato, però ero comunque in ansia. Dovevo darmi una calmata. Dove altro poteva essere? Certo non sarebbe fuggita via a piedi.
-I nobili moderni sono milionari-. Sentenziò con aria solenne. Sembrava aver scoperto una verità di importanza capitale.
-Capisco-. Tagliai corto.
Non riuscivo a distogliere l’attenzione dalla biglietteria.
-Sei ubriaco?-. Mi chiese dopo qualche minuto di silenzio.
La sua mente si stava domandando chi diavolo fossi  e perché mi comportassi in modo così strano.
-No-. Risposi ancora, con pazienza.
-Sì, vabbè-. Ghignò, per nulla convinto.
Forse sarebbe stato meglio spostarmi da lì. Non sarei stato una buona compagnia per David che sembrava aver assolutamente bisogno di parlare con qualcuno.
-Qui non viene mai nessuno-. Continuò sincero. Si stava aggrappando a quella possibilità di comunicare, non potevo biasimarlo.
-Come sei finito per strada?-. La mia domanda fu più sincera questa volta.
I pensieri di Jessica mi avevano appena confermato la presenza di Bella: era andata a prendere dei pop-corn, perciò ero più tranquillo.
-E chi se lo ricorda-. Borbottò sedendosi stancamente.
Mi offrì il suo pane, che rifiutai con gentilezza, e per un attimo pensai che avrei potuto aiutarlo. Una telefonata e tutto si sarebbe sistemato.
-Cocaina-. Confessò poi e io capii. -Senza soldi, senza casa, senza… e basta, sì, insomma-. Tentò di spiegarsi.
-E ora come va?-. Domanda sciocca.
-Come va… come va-. Ripeté cantilenante. -Va-. Annuì abbandonando la testa contro il muro.
Cos’altro avrei potuto chiedere?
-Non hai un soldo. Si vede dalla faccia-. Mi informò innocentemente e abbandonò entrambe le braccia sulle sue ginocchia, facendole dondolare avanti e indietro.
Non sapevo esattamente cosa dire. Cosa avrei potuto rispondere? La sua mente era stanca di pensare, avevo ormai intuito che avrebbe preferito morire. C’era qualcosa che lo tormentava: il suo fallimento, la sua solitudine.
-Non hai nessuno che ti potrebbe aiutare?-. Mi appoggiai anche io contro il muro e per un attimo fui tentato di ascoltare la sua storia. Sempre che avesse avuto qualcosa da dirmi.
-Aiutare? Sei ubriaco-. Confermò con una risatina sarcastica.
-Non so, in un centro di recupero, qualcosa di simile-. Commentai tentando di trovare qualche soluzione.
-Eh? Ma sei pazzo? Tu stai fuori-. Sbottò, seccato dal mio consiglio.
Probabilmente avrei fatto meglio a rinunciare nel mio proposito, non aveva voglia di cambiare nulla di sé e della sua vita. Non sarei mai riuscito a convincerlo, i suoi pensieri erano fin troppo chiari: credeva di non avere alcuna scelta.
-Scusa, era una possibilità-. Feci spallucce e tornai ad inginocchiarmi guardando tra i secchioni.
Ancora nulla, era troppo presto per la fine del film.
-Stai seguendo una donna-. Affermò con sicurezza, dandomi una pacca sulla spalla.
-Probabile-. Risposi, questa volta innervosito.
Cominciavo a non tollerare più quel tipo.
-Vuoi andare in galera? Posto caldo quello, ottima idea-. Confabulò alzandosi in piedi stancamente e pulendosi le mani sui pantaloni sporchi.
Storsi il naso, ma non feci nulla per scansarmi.
-Era la mia ragazza-. Sbottai sulla difensiva.
Oh, ecco fatto, adesso sentivo anche il bisogno di giustificarmi con un perfetto sconosciuto, per giunta con qualche problema di troppo.
-Sì? Vedo. Deve averti lasciato lei, non sei proprio ridotto benissimo-.
Il suo sguardo si fece scettico. Ma chi volevo convincere e perché?
-Nemmeno tu-. Ribattei sarcastico.
-Oh, cerchi rogna?-. Disse tra i denti in modo piuttosto minaccioso.
Non avevo proprio voglia di uccidere un malcapitato che non sapeva che farsene di tutta la sua esistenza, troppo confuso anche per sapere se sarebbe rimasto vivo il giorno seguente.
-Fatti curare-. Lo insultai e lo fissai senza paura.
-È arrivato Gesù Cristo!-. Imprecò guardando il cielo e scoppiando a ridere.
Per nulla divertente, stavo iniziando a perdere la pazienza.
Mi spostai, deciso ad andarmene senza dirgli nulla, ma sentii la sua mano sul braccio e per un attimo la rabbia mi accecò. Mi voltai, fulminandolo con lo sguardo, e lui deglutì, ora intimorito dalla mia espressione furiosa.
-Dammeli tu i soldi per curarmi-. Mi sfidò balbettando e io sorrisi. -Dio-. Mi canzonò poi.
Lessi nella sua mente la paura che io volessi attaccar briga sul serio. In fondo non era cattivo, solamente disilluso e per nulla in sé. Ero stato molto più feroce io in passato.
-Ascolta-. Cominciai, lanciando ancora un’occhiata all’uscita del cinema.
-Tu fai un favore a me e io lo faccio a te-. Gli proposi non sapendo che altro fare.
Non voleva liberarsi di me, nonostante fosse terrorizzato. Doveva averlo impietrito la mia occhiata raggelante.
-O… okay-. Rispose, stranamente docile.
Il potere di un vampiro aveva sempre e comunque la meglio. Istintivamente aveva capito che ero io il più forte.
Fu in quel momento che vidi Bella uscire di fretta dal cinema e trattenni il respiro. Dovevo seguirla. Ma dov’era Jessika? Panico. Era notte, avrebbe potuto incontrare qualche malintenzionato ed era già successo in passato. Conoscendo la sua fortuna avrebbe attirato qualche guaio.
-Ehi, amico, ehi-. Mi chiamò David, ma io ero completamente concentrato nell’osservare i movimenti di Bella.
Si sedette sulla panchina, vicino alla biglietteria, e reclinò la testa all’indietro, guardando il cielo. Sembrava piuttosto stanca.
-Uh… è lei?-. Mi venne vicino e la fissò con interesse. -Carina, sembra normale-. Concluse con aria assorta.
Bella scoperta, ovvio.
-Ed è per lei che devo farti un favore?-. Chiese contento.
-Non ti azzardare-. Ringhiai arrabbiato.
Si irrigidì e fece subito un passo indietro.
-Scusa eh, volevo solo darti una mano-. Si offese e incrociò le braccia al petto, stizzito. -Ma se vuoi conquistarla, seguirla non è la cosa giusta, di solito si spaventano-. Mi consigliò e io socchiusi le palpebre, esasperato.
-Senti… devo andare-. Nonostante desiderassi avvicinarmi a lei sentivo strani sensi di colpa, come se lasciarlo lì da solo non fosse la cosa più giusta da fare.
-Ma certo. Ci si vede, eh?-. Mi salutò alzando la mano e io sospirai.
-Vedi di farti trovare qui tra qualche giorno-. Lo ammonii e intercettai il suo sguardo perplesso.
-Verrà mia sorella ad aiutarti-. Conclusi e lo vidi strabuzzare gli occhi.
Sperai che Alice vedesse in qualche modo la mia decisione di aiutare quel ragazzo.
-Che? Senti…-. Iniziò, ora incredulo. Non credeva alle mie parole.
-Mio padre è un medico, saprà come aiutarti. Sta qui e non ti muovere-. Lo intimai ancora e lo minacciai con la mano. -Tanto questo è territorio tuo-. Conclusi lanciando un’altra occhiata sopra il secchione.
Jessica aveva raggiunto Bella e ora stavano parlando del film. Il mio cerbiattino era semplicemente stufa di continuare quella farsa, lo diceva il suo sguardo, ma non poteva fare altro che sopportare.
-Come fai a dirlo?-. Continuò David e io mi voltai verso di lui.
L’avevo letto nella sua mente.
-Ho tirato a indovinare. Sta qui, va bene?-. Ripetei ancora una volta, sperando che gli fosse chiaro il concetto. Mi sforzai di pensare intensamente alla mia decisione, confidando ancora in mia sorella.
Alice non avrebbe potuto ignorare la mia richiesta, da sempre lei vedeva tutto ciò che io provavo. David era ancora incredulo, ma non avevo tempo per spiegargli. Non appena vidi Bella alzarsi e cominciare a camminare mi mossi per seguirla.
-Ehi-. Mi chiamò d’un tratto David e io mi voltai.
-Stanno andando verso una zona non molto okay-. Mi informò e io annuii. -Pete il Guercio, il bar. Sono fecce, sta attento alla tua tipa-.
Gli sorrisi e lo ringraziai. Ricevetti come risposta un gesto stizzito, ma non ci feci molto caso. Mi acquattai sul muro dell’edificio e mi avvicinai lentamente al mio cerbiattino facendomi scudo con il buio. Fortuna che era notte, tutto andava a mio favore.
Stavano andando a mangiare qualcosa. Jessika continuò a blaterare le sue considerazioni sul protagonista del film fino a quando i suoi occhi non incrociarono quelli di quattro ragazzi proprio vicino al posto che mi aveva indicato il mio nuovo amico.
Subito mi irrigidii e mi immersi nei loro pensieri. Non le avevano ancora viste, per fortuna.
-Tornate indietro-. Bofonchiai come se avessero potuto sentirmi.
Avevo uno strano presentimento, era come un déjà-vu. La mia mente tornò al passato, alla sera in cui avevo salvato Bella da ragazzi che volevano… meglio non ricordare.
L’angoscia mi fece respirare appena.
-Tornate indietro-. Ripetei.
Vidi Jessica fermarsi e ammutolire, spaventata, mentre Bella, ignara del suo timore, continuava a camminare. Sperai che si bloccasse e tornasse sui suoi passi.
Ma non andò come io avevo sperato. Gli occhi del mio piccolo Bambi si spostarono su Jessica e si rivolsero nella direzione del suo sguardo.
Maledizione, non sarebbe dovuto succedere. Trattenni il respiro in preda ad una strana sensazione. Perché avevo l’impressione che Bella si sarebbe cacciata in qualche guaio? Ormai la conoscevo bene.
Si voltò verso quella banda non troppo lontana che finalmente la notò. Impossibile non far caso a due ragazze sole, per giunta carine.
Fu un attimo. Il mio cerbiattino si mosse nella direzione dei quattro e io sgranai le palpebre, terrorizzato. No, non doveva farlo. Che stava facendo? Stavolta non potevo salvarla, non potevo più fare la parte del cavaliere nobile che salvava la damigella in pericolo. Non avrei dovuto essere lì, anzi io non c’ero.
Pregai che tornasse indietro, ma le mie suppliche non vennero esaudite.
-Bella, ma che fai?-. La voce di Jessica, strozzata dalla paura, mi riscosse.
Respirai sollevato. Per un attimo avevo temuto il peggio.
-Mi sembra di conoscerli…-. Rispose Bella e io tremai.
Lo sapevo. Sapevo che lo avrebbe detto. La sua speranza era di ripetere il passato, di tornare indietro. Era pura follia la sua.
I pensieri dei ragazzi si fecero fin troppo espliciti e la rabbia mi travolse. Certamente non avrei lasciato che le facessero del male, a costo di farmi vedere da lei.
Il mio piccolo Bambi avanzò verso di loro sulle gambe tremanti e io mi tesi, pronto all’attacco nel caso fosse successo qualcosa. Non l’avrei lasciata sola. Un passo lento dopo l’altro segnò anche gli attimi della mia agonia; il tempo si fermò improvvisamente e io trattenni il respiro.
Quei quattro non erano gli stessi dell’anno prima, ma le loro intenzioni non erano delle migliori. Strinsi i denti cercando di sopportare le loro fantasie.
-Bella, andiamo via!-. Gridò Jessika e io fui d’accordo con lei.
Sperai che la ascoltasse e invece Bella non reagì. Si fermò un attimo, come se l’avesse sentita, ma poi continuò a camminare nella direzione opposta all’amica.
Mi sembrava tutto assurdo. Erano questi gli incubi degli esseri umani?
Per fortuna, prima che io potessi gettarmi come un folle in mezzo alla strada, fu Jessica a farlo al mio posto.
-Bella! Non puoi entrare in un bar!-. Gridò presa dallo spavento.
Bella non voleva affatto entrare dentro, ma certo lei non avrebbe potuto immaginarlo.
-Non sto entrando-. Disse, assente, scrollandosi dalla sua presa. -Volevo soltanto vedere una cosa...-No, non poteva vedere nulla, io volevo che si allontanasse da lì, lei doveva farlo.
-Sei pazza? Vuoi suicidarti?-. Urlò Jessika fuori controllo. Io avrei fatto lo stesso, non l’avrei lasciata andare, non le avrei permesso di fare un altro passo avanti.
-No, certo che no-. Il viso di Bella si storse in un’espressione confusa. C’era qualcosa che la bloccava, ma qualcos’altro che la invogliava. Era questo a sconvolgermi. Mi aveva promesso che si sarebbe tenuta lontana dai guai, sperai che lo ricordasse, ma con tutto quello che era già successo, dubitai del suo giudizio.
-Vai a mangiare-. Mormorò il mio piccolo Bambi, indicandole il fast food. -Ti raggiungo tra un minuto-.
Non riuscii a rimanere fermo. Mi avvicinai nel buio e mi portai all’angolo della strada, guardandomi intorno e sondando i pensieri di quei ragazzi. Non riuscivano a capire il motivo di tanto interesse nei loro confronti, ma sembravano piuttosto interessati a ciò che stava accadendo.
Male.
Il teatrino stava li divertendo molto. Non potevo ucciderli, non potevo torturarli e mi maledii per la promessa fatta a me stesso di non fare mai del male a degli essere umani.
Con Bella più volte avevo rischiato di mandare in fumo i miei buoni propositi.
Tuttavia non potevo assolutamente permettere che le facessero del male.
Finalmente mi decisi. Mi portai lontano dal muro che mi celava ai suoi occhi e mi fermai appena dietro Jessica. Avevo ancora il favore delle tenebre, ma un lampione illuminava appena il mio corpo.
-Bella, piantala immediatamente-. Sibilai tra i denti, quasi senza parlare.
Avrebbe letto le mie labbra senza alcun bisogno che io parlassi ad alta voce, ne ero convinto.
Dannazione. Mi ero scoperto e non avrei dovuto farlo. Gli occhi di Bella si sgranarono, sconvolti, e il suo respiro si fece veloce.
Ero sicuro che avrebbe pianto se non ci fosse stato nessuno a vederla. Avevo sbagliato.
Tornai a nascondermi nell’oscurità, mimetizzando la mia presenza. L’emozione mi stringeva lo stomaco, ma era più forte la paura che potesse succederle qualcosa.
Si guardò attorno, sbattendo le palpebre, cercandomi. Voltò la testa da una parte all’altra, insicura.
Che fare? Agii d’impulso e tornai alla luce, questa volta più distante dalla sua amica.
-Torna da Jessica-. ordinai, fuori di me dalla rabbia. -L'hai promesso, niente di insensato o stupido-.
Non avevo idea di cosa sarebbe successo, ma i miei occhi la supplicavano, la amavano. Ero così felice che lei mi stesse guardando. Tuttavia non era quello il mio primo pensiero.
Scosse la testa, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì io non mi feci più trovare. Ero indeciso.
Tornare da lei oppure farle credere come avevo già fatto che ero solo una sorta di illusione?
Non appena barcollò verso il bar io non resistetti. No! Alzai la voce, che si perse immediatamente non appena parlai.
-Mantieni la promessa-. La scongiurai.
Jessica continuava a stare lì, impietrita dalla paura che la sua amica potesse fare qualcosa di sciocco o sbagliato. Non mi aveva nemmeno sentito.
Bella rimase immobile per alcuni minuti. Un’eternità. Il suo sguardo si incupì e il suo cuore aumentò la velocità dei suoi battiti. Non sapeva se credere o meno a ciò che aveva appena visto e sentito. A me non importava quello, in realtà, volevo solo che si allontanasse da lì. Avrei fatto qualsiasi cosa.



   
 
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