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Autore: TheDreamSeller    06/03/2011    5 recensioni
La Speranza non sempre salva tutto e, tutti, un giorno, devono impararlo...
o no?
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Yu Kanda | Coppie: Kanda/Allen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Everybody’s gotta learn sometime.

                                                                                                                          

 

 

Era guardando fuori dalla finestra, immaginandosi di star seduto su una stella, che qualcosa aveva cominciato a pizzicare i suoi occhi;

lottando per lasciarli..

Come una triste colonna sonora che si libra da un pianoforte rotto, inutile, non più capace di dare qualcosa.

Avrebbe mai giocato con lui, se avesse saputo che lo avrebbe ferito?

Gli chiedeva una voce malinconica che, proveniente da chissà dove, lentamente, si diffondeva nella sua testa.

Piano:

come le luci dell’alba all’orizzonte,

come quando il sole tramonta dietro le calme superfici dei laghi e dei mari, lasciando solo un vago ricordo dei colori, che, una volta, aveva avuto.

Tossì.

Non seppe cosa fu a farglielo realizzare;

forse la consapevolezza che quelle luci dell’alba che indicavano la vita erano date dallo stesso sole del tramonto che, salutando, andava morendo.

Forse la fredda morsa dell’inverno che gelida sottraeva ogni tipo di calore al suo corpo.

Non seppe cosa fu, a farglielo realizzare, ma vedendo la mano coperta di sangue, appoggiato al vetro freddo di una casa morta ed inospitale, si ripetè che era triste morire così:

Perso, sostenuto a mala pena da una finestra sconosciuta di un posto a lui estraneo e abbandonato, in una notte fredda dove solo la luna, crudele e meravigliosa spettatrice di vite, illuminava i cadaveri che, sparpagliati sul campo di battaglia, parevano bambini dormienti su un letto che andava svanendo, estendedosi a perdita d’occhio, sfumando all’orizzonte.

Perdendosi,evanescente;

come un miraggio.

Se fosse stato il tramonto, pensò, illuminato dai colori caldi del sole, sarebbe potuto quasi parere, ad un occhio molto folle, che che cielo e terra si stessero incontrando, amando e fondendo di fronte a lui.

Unendo con suture invisibili i rossi feroci e rassicuranti del sole a quelli violenti e freddi che, quella notte, impregnavano la madre terra; nutrita dal sangue di una battaglia che non le apparteneva e che, onestamente, forse, non era mai appartenuta a nessuno.

Ma era notte.

Era notte; buia, fredda e cara notte.

Ma era notte, e tutto ciò che era possibile percepire, protetta dalla leggera ed effimera tenda dell’oscurità, era la morte.

Già, se solo fosse stato il tramonto..

Ma era notte;

e tutto ciò che i suoi occhi riuscivano a distinguere, illuminati dalla luce della luna, erano due o tre colori morti non meglio identificabili in quell’oscurità che, di ninna nanne, a quei combattenti morti in guerra,  non ne avrebbe mai cantate.

Provò a sorridere.

Sul serio, ci provò.

Un sorriso allegro, di quelli sinceri.

Un sorriso genuino, di quelli rivolti a tranquillizzare il mondo, ed a sussurrare “Buonanotte”.

Provò a sorridere, ma ebbe l’impressione che se qualcuno l’avesse visto in quel momento , vedendo una strana smorfia non meglio definita sul suo volto, non avrebbe mai pensato ad una persona felice.

Si chiese il perchè..

Ma, forse, le lacrime che continuavano a farsi strada sul suo volto, scendendo dai suoi occhi, erano una risposta più che sufficiente.

Si chiese come mai, ma, forse, le lacrime che gli bagnavano il volto gli suggerivano solo una cosa:

Forse, in realtà, non gliene importava di saperlo;

il perchè.

Perchè l’amarezza che in quel momento usciva dal suo cuore assieme alle sue lacrime era una risposta più che sufficiente.

L’avrebbe amato, si chiese, se avesse saputo che lo avrebbe ferito così?

Lo avrebbe amato, si domandò, se avesse saputo che nessuno,alla fine di quella loro strana storia d’amore, avrebbe sorriso?

“Mi avresti amato..?”

Ma quel pensiero fece così male che, pur raggomitolandosi e tentando di tenere per sè il suo calore, il gelo dentro di lui , così intenso da spezzarlo e così violento da dilaniarlo, non si affievolì, rifiutando, nel suo crudele orgoglio, di essere soffiato via da un gesto così.. così futile;

un gesto di così poco conto.

Rifiutando di essere cancellato da un’azione così misera che nulla poteva;

nulla, se non quella di annebbiare i suoi sensi di dolore,

di odio,

di sconfitta.

 

E faceva male.

Faceva così dannatamente male.

Gli strappava i nervi, gli bruciava l’anima.

Eppure, nonostante facesse così male, non sapeva come mai, ma continuava a fissare fuori dalla finestra;

provandolo dentro di sè, eppure indifferente a quel dolore, a quella sensazione atroce che, lentamente, lo stava uccidendo dall’interno.

 

Sperava piovesse.

Lo sperava sul serio.

La pioggia, almeno, avrebbe lavato via il sangue dai suoi compagni.

La pioggia, almeno, avrebbe portato via da quel palcoscenico le scenografie vermiglie e cremisi che le due fazioni avevano deciso di mostrare.

Avrebbe ripulito tutto;

avrebbe ripulito le anime di chi, come lui, veniva chiamato, con parole vuote, Discepolo di Dio.

Avrebbe elevato le loro essenze al cielo.

Li avrebbe liberati da tutta quella sofferenza.

Dio stesso lo avrebbe fatto;

Dio stesso li avrebbe ripuliti.

Dio stesso li avrebbe accolti.

Dio stesso li avrebbe salvati.

Dio stesso avrebbe pensato a tutto;

sì, Dio, nessun’altro, se non Dio.

Era per quel motivo, per Nostro Signore, che lui si era rifugiato là dentro.

Era per per quel motivo, perchè, se mai fosse morto, non avrebbe mai voluto essere purificato dalla mano di chi, la vita, gliel’avrebbe rubata comunque.

Preferiva morire là, da solo.

Preferiva salvarsi così, da solo, con le sue stesse mani, da quei peccati che portava incisi nella pelle e ai quali si era dedicato, facendosi ferire;

così, come lui aveva ferito Akuma, con la pretesa di salvarli;

con la speranza di tornare a casa.

Già, casa.

Pensò a casa.

Pensò alla home.

Pensò alle sue parole.

E chiuse gli occhi, stringendoli forte, perchè, la consapevolezza di non poter mantenere la sua promessa, erà più dolorosa del sangue che, lentamente, piano piano, gli stava invadendo i polmoni;

riempiendoli,

colmandoli.

Soffocandolo.

 

Una risata roca, flebile, gli scappò dalle labbra;

Che morte assurda..

ucciso dal suo stesso sangue;

privato della vita dal suo stesso elisir vitale..

Che morte stupida.

Beh, in fondo, lui era stato stupido.

Era stato stupido, sì;

era stato ingenuo.

Era stato..

 semplicemente sè stesso, pensò con amarezza.

Perchè lui era così;

Lui era stupido.

Lui era ingenuo.

Lui era solo un ragazzino:

Uno stupido, dannato, ragazzino.

Tossì, nuovamente, e questa volta le lacrime gli impedirono di distinguere il nero della notte dal bianco alone della luna, assemblemblandoli in un insieme innaturale di colori che, senza volerlo, avevano fatto imboccare  alla sua mente un’altra via;

una via molto più lontana nel tempo;

una via triste, come loro.

Una via amara,una via dolce.

Una via strana.

Alcuni la chiamavano la via dei ricordi.

 

 

Ricordava bene, quel giorno.

Ricordava bene, le sue parole.

Pioveva, quel giorno.

Se lo ricordava chiaramente; pioveva.

Le gocce d’acqua cadevano senza sosta dalla volta celeste e, forse, avrebbe dovuto interpretarlo in modo differente, ma gli era piaciuto, quel giorno, vedere le lacrime degli angeli cadere a nutrire il terreno, preparandolo a nuova vita.

Avevano rispecchiato perfettamente le sue emozioni.

- E’ una missione suicida!- gli aveva urlato contro il corvino;

gli occhi spalancati, il battito accellerato.

Era scattato in piedi, incredulo, arrabbiato e del tutto noncurante del fatto che la sedia sulla quale era stato seduto fino a pochi attimi prima era caduta all’indietro, spinta violentemente via dal suo scatto, quando Allen gli aveva detto che, il giorno successivo, sarebbe dovuto partire per una nuova missione assegnatagli da Komui..

Una missione totalmente folle;

una missione senza dubbio suicida.

- Sai che le missioni non possono essere rifiutate.-

Aveva detto l’albino quando aveva visto avanzare il ragazzo giapponese, indietreggiando a sua volta di un passo.

- E’ il nostro dovere.-

Il tono era piatto.

Non arrabbiato.

Non tranquillo;

piatto.

Era il tono di una persona che stava constatando un dato di fatto, niente di più, niente di meno.

E, nonostante il tono di quella prima frase fosse stato piatto, aveva poi abbassato il volto, rammaricato, tentando di non far uscire quel

-Di esorcisti- così pieno di amarezza, di rammarico e vicino alle lacrime come era uscito.

Perchè, a dire la verità, neanche lui sarebbe voluto partire per quella missione che prevedeva il recupero di un frammento di Innocence sospettato di essere il cuore da dentro il quartier generale dei Noah.

Entrare nella nuova arca con un numero così ridotto di persone era una condanna a morte.

Era una missione suicida, chiunque lo sapeva, e, persino lui si era sentito mancare l’aria quando Komui gliel’aveva riferito.

E avrebbe voluto sprofondare, andarsene o semplicemente non partire, ma Lui era un Esorcista.

E quello, beh, quello era il suo dovere.

Era ciò per cui era nato.

Era ciò per cui aveva vissuto e lui, beh, lui non si sarebbe tirato indietro.

Era l’unico modo che aveva per espiare le sue colpe;

l’unico modo che aveva per dare un senso alla sua esistenza.

L’unico modo per spiegarsi e giustificare la morte di Mana e quella maledizione che gravava su di lui, respiro dopo respiro.

- KOMUI NON PUO’ ESSERE COSì PAZZO-

Le parole di Kanda lo avevano riportato al presente, cogliendolo alla sprovvista, facendolo indietreggiare di un altro passo

- SA CHE E’ UNA PAZZIA-

La rabbia dell’altro esorcista lo aveva colto del tutto impreparato e, forse fu per quello, o forse solo per il cuore che gli martellava nel petto, che, sospeso fra il volere ed il dovere, oscillante fra mille emozioni contrastanti, come il filo di un rabdomante, era riuscito a formulare una risposta flebile, stentata, eppure chiara, concisa.

- E’ stato un ordine di Lvelliè.-

Aveva poi chiuso gli occhi, cosa si era aspettato?

Aveva forse sperato che Kanda lo avrebbe abbracciato? Che gli avrebbe detto “Non andare”?

Ci aveva sperato, e, forse, a modo suo, chiedergli di restare, era esattamente ciò che Kanda stava facendo.

Chiedergli di restare, sì, ma se si era aspettato lacrime e suppliche avrebbe potuto scordarsele.

Già,avrebbe potuto scordarsi anche quelle labbra che avrebbe voluto assaporare ancora una volta, perchè non era così che Kanda Yu era.

Yu Kanda era orgoglioso e, lui, a quell’orgoglio sarebbe rimasto attaccato per sempre;

per nulla al mondo lo avrebbe lasciato andare.

Allen aveva inspirato profondamente e, riaprendo gli occhi, i suoi di argento vivo avevano incontrato quelli color mezzanotte del samurai;

freddi,glaciali, eppure pieni di ira.

Pieni di rabbia.

Pieni di dolore.

Pieni;

pieni di paura.

E forse era stata solo un’illusione, ma, alla vista di quella persona così forte e al contempo così fragile Allen aveva avuto una tale voglia di sfiorarlo, di abbracciarlo, di tenerlo stretto a sè e sussurragli che andava tutto bene,di sussurrargli che sarebbe andato tutto bene e che non sarebbe successo niente, che non c’era mai veramente stato niente di cui preoccuparsi, che non si era neanche accorto di essere avanzato di un passo ed aver proteso la mano verso il volto del compagno, sfiorandolo solo leggermente con la punta delle dita.

E, nonostante quel contatto fugace avesse fatto passare una scarica elettrica lungo Allen, non era stata quella a spintonarlo all’indietro, mandandolo a sbattere contro la scrivania e sparpagliando per la stanza tutti i fogli che si trovavano su di essa.

- Non mi toccare- aveva ringhiato il samurai

- Non azzardarti a sfiorarmi con quelle tue luride mani.- aveva soffiato.

Aveva poi alzato lo sguardo e, per un attimo, anche lui si era sentito morire quando, aveva incontrato per la seconda volta nel giro di attimi quelle orbite argentee che parevano pregarlo di fermarsi e di farsi toccare;

anche solo per un attimo;

anche solo per sbaglio.

- Non ti azzardare- aveva ripetuto, mosso più dall’espressione tranquilla, sfumata da una punta di delusione, che il suo fidanzato portava dipinta sul volto che dalla rabbia provocatagli dalla situazione in sè.

Odiava tutto questo.

Lo odiava.

Lo odiava così dannatamente tanto.

Lo odiava così fottutamente tanto.

- Non ti azzardare-

Ma, forse, questa volta, l’ammonimento era rivolto più a sè stesso che ad Allen.

Kanda aveva fissato l’albino che aveva proteso nuovamente la mano; come per raggiungere il viso del ragazzo giapponese.

Come se, sfiorandolo, avesse potuto rubare a quella creatura il suo dolore;

come se, illuso, avesse potuto alleviarlo.

- Perchè non gliel’hai detto che era una missione suicida?- suonava più come un ringhio.

E, solo quando quelle parole ebbero lasciato la sua bocca, Kanda si rese conto di quanto realmente fosse caduto in basso.

Rise, internamente.

E anche se gliel’avesse detto?

Cosa sarebbe cambiato?

Nulla.

Non sarebbe cambiato assolutamente nulla.

E questo, lui, lo sapeva fin troppo bene anche senza sentirlo uscire dalle labbra dell’esorcista più giovane.

Lo sapeva, come sapeva che, anche se Allen avesse provato a dirglielo, non sarebbe cambiato assolutamente niente.

-Kanda...-

Il ragazzo albino era avanzato di un passo, ma il samurai era stato più veloce ed aveva sfoderato Mugen, puntandogliela contro.

- Ti ho detto di non avvicinarti.-

E quelle parole erano così gelide che tutto ciò che Allen avrebbe voluto fare in quel momento era sprofondare.

Sprofondare perchè, magari, da qualche parte nei meandri del mondo, una clessidra di vite permetteva di portare indietro il tempo.

Fra tutte le persone alle quali Allen aveva dovuto dare la notizia Kanda era stato quello del quale il quindicenne aveva temuto di più la reazione.

L’abbraccio e il sorriso triste di Lavi, assieme alle sue parole “Non morirmi, eh!” erano stati laceranti;

le lacrime e le grida di Linalee lo avevano dialaniato e annullato dai meandri della sua persona, ma era stata la reazione di Kanda, che in quel momento aveva abbassatto la spada e il quale si stava limitando ad osservarlo  in silenzio, a farlo sentire come se avesse ingoiato acido.

Acido che lo aveva ustionato, bruciato e consumato;

uccidendo le sue cellule e la sua anima finchè, di Allen Walker, non era rimasto altro che un guscio vuoto, tormentato e distrutto.

- Quando parti?-

Nonostante Kanda si trovasse a qualche mero passo di distanza da lui le parole gli erano parse lontane, distanti, ovattate dal silenzio e dalla tensione venutisi a creare fra di loro.

- Domani.-

Erano state parole confuse, nella sua mente, impastate, difficili.. ed altrettanto distanti.

Aveva proteso nuovamente la sua mano verso il ragazzo corvino facendo un passo avanti e prendendogli la mano destra con la sinistra, sperando di non essere respinto ancora una volta, prima di appoggiare l’altra mano sul volto del suo fidanzato;

come se il ragazzo giapponese fosse stato di vetro.

Come se una stretta più forte avesse potuto farlo implodere in mille cristalli di polvere di diamante.

Aveva sgranato leggermente gli occhi quando la mano calda di Kanda si era posata sulla sua mano umana, stringendogliela a mala pena.

Forse era stata una sua impressione, ma aveva sentito qualcosa di umido solcare la guancia di Kanda.

Il cuore gli si era stretto nel petto e, prima che lui avesse potuto realizzarlo, lacrime trasparenti stavano solcando il suo di volto, lasciando sulla loro scia solo una sensazione identica a quella che aveva lasciato la loro gemella che era scesa lungo il volto del giapponese.

La vista gli si era appannata ed Allen aveva sentito le sue labbra distendersi in un sorriso.

Un sorriso amaro.

Un sorriso triste.

Un sorriso genuino.

Un sorriso dovuto al fatto che, questa volta, era stato lui ad essere colto di sorpresa dalla sensazione della mano calda di Kanda sulla sua guancia ed era stato il suo turno di aggrapparsi a quella mano ruvida e forte come se fosse la sua ultima ancora di salvezza in quell’oceano di disperazione.

Per cosa si disperava, poi?

Era o non era quello il suo scopo nella vita?

Non lo sapeva.

Sapeva solo che, in quel momento, stretto fra le forti braccia dell’esorcista più anziano e a contatto con il suo petto duro come roccia, tutto gli era sembrato perfettamente al posto giusto.

Ed era per questo che aveva continuato ad abbracciarlo, a tenerlo stretto a sè.

Come se abbracciarlo avesse potutto cancellare tutto quello.

Come se stringerlo forte avesse potuto permettere alle loro anime di fondersi, di unirsi, impedendo così alla guerra di separarli.

E ricordava di aver sentito Kanda sollevargli il viso e guardarlo negli occhi prima di unire le loro labbra in un bacio che tutto era fuorchè dolce.

Tutto era fuorchè felice.

Perchè non era stato nè dolce nè felice, quel bacio.

Era stato un bacio doloroso, un bacio violento.

Era stato un bacio forte, un bacio desiderato.

Era stato un bacio triste.

Era stato un bacio che urlava “Non andare” ed uno che prometteva “Ci riincontreremo”.

Era stato un bacio d’amore.

Era stato un bacio d’addio.

E, nonostante ciò, Allen si era staccato per prendere aria;

le labbra arrossate e gli occhi gonfi di lacrime.

- Tornerò- aveva promesso

- Ci riincontreremo;

te lo prometto.-

Avevano fatto l’amore, quella notte.

Avevano fatto l’amore e, seppur avesse fatto male per la rabbia ed il dolore, era stato dolce.

Avevano fatto l’amore, quella notte;

più e più volte.

E, seppur fosse intriso di tristezza, era stato bello.

Era stato Amore.

Avrebbe voluto dirgli “Ti Amo”, quella notte, ma era stato in silenzio, stretto contro il petto di Kanda, ad ubriacarsi della sua presenza ed ad respirare il suo odore;

ad assimilarne il calore, la presenza ed a giocare con i lunghi capelli sciolti.

Avrebbe voluto dirgli “Ti Amo”, quella notte, ma era rimasto in silenzio.

Perchè sapeva che le parole non erano necessarie.

Perchè sapeva che il sentimento era ricambiato.

Perchè, tutte le volte che si erano detti “Ti Amo” quelle parole erano state la formula che aveva sigillato la promessa che, il giorno dopo, si sarebbero riincontrati ed amati di nuovo, ancora, come mille altre volte avevano fatto, in una qualche stanza dell’ordine.

 

Si era svegliato presto, la mattina successiva, Allen.

Si era svegliato presto, la mattina successiva, ed era andato via.

Era partito;

aveva preso il treno al volo ed era andato incontro a quella che tutti dicevano essere la sua morte.

Era partito;

non aveva lasciato niente al samurai.

Niente, se non un biglietto.

“Ti Amo” diceva, perchè, anche se non il giorno successivo, loro due si sarebbero riincontrati ed, in un futuro, si sarebbero amati di nuovo.

“Tornerò, te lo prometto.

E, te lo prometto;

quel giorno, non vedrai più i fiori.”

Non sapeva perchè avesse scritto quelle parole, ma qualcosa, dentro di lui, gli diceva che sarebbe stato così.

Perciò le aveva scritte, così, per istinto.

Perciò le aveva scritte e, poi, era partito.

 

Tossì, ancora, il sangue, questa volta, uscì dalla sua bocca, andando a macchiargli una mano già sporca e lasciandogli in bocca un sapore salato simile a quello del ferro.

Si fissò la mano, divertito:

la mano che si era macchiata era quella sinistra;

La mano dedicata agli Akuma.

Sorrise ancora, tornando a guardare fuori dalla finestra ritrovandosi sorpreso dal pensare che, in fondo, quell’accozzaglia indefinita di colori, non era poi tanto male, filtrata dalle lacrime.

E forse fu più veloce il suo cervello;

forse il suo corpo, ma fu con un immane sforzo che riuscì a sollevarsi dalla rientranza sottostante la finestra sulla quale era stato seduto.

Fu con un immane sforzò, ma si alzò.

Si alzò e fece l’unica cosa che sapeva avrebbe dovuto fare:

Camminò.

Camminò;

Perchè lo aveva promesso a Mana.

Perchè non voleva morire,

Perchè sapeva che sarebbe morto e, che, questa volta, la sua Innocence non lo avrebbe salvato.

Camminò per Kanda che si sarebbe arrabbiato da morire se avesse saputo che si era arreso così, che aveva buttato la spugna prima ancora di provarci.

Camminò per Linalee e Lavi che, se un giorno lo avessero visto tornare, gli sarebbero saltati addosso e forse lo avrebbero quasi soffocato, ma avrebbero riso tutti insieme;

perchè sarebbe stato bello morire così, dal ridere.

Camminò per i suoi compagni, per i suoi amici;

Per Crowley che, senza di lui, non sarebbe mai stato in grado di recuperare i suoi vestiti persi in una partita di poker, per Miranda che finalmente era riuscita a trovare un lavoro nel quale riusciva, per Komui, perchè se lui avesse fatto piangere Linalee lo avrebbe riportato in vita pur di fargli patire le pene dell’inferno, per Cross.

Perchè non avrebbe mai perdonato a quel bastardo di avergli fatto passare anni infernali passati a saldare i suoi debiti.

E per tutti i morti in quella guerra senza senso.

Camminò per sè stesso, perchè non avrebbe mai voluto morire in una casa morta senza vita.

Camminò;

ancora e ancora.

E fu solo quando sentì le fini gocce di pioggia sulla sua pelle che realizzò che, la pioggia di qualche tempo prima, non era caduta per nutrire il terreno, ma aveva pianto per loro.

Perchè, anche lei, sapeva che sarebbe finita così.

Perchè, anche lei, era consapevole del fatto che quella, in fondo, era stata una missione suicida.

E non fu umiliante, quando le forze gli vennero meno, cadere in quella poltiglia mista di sangue e fango che, creatasi a terra, ora impregnava i candidi abiti di Crown Clown, rubando al Clown Bianco il suo candore.

E non fu amaro sorridere.

Perchè, sì, sorrise.

felice.

Sorrise.

Triste.

Sorrise,

e volse lo sguardo al cielo.

E nessuno, guardandolo, sarebbe stato capace di riconoscere sul suo volto le lacrime confuse alla pioggia;

indici di una comprensione che, forse, per lui, era stata eccessivamente dura da raggiungere.

O che gli era parsa sempre eccessivamente distante ed improbabile.

Ma ora, chiunque ci fosse, lassù, non si doveva preoccupare.

Anche lui, ora, l’aveva capito.

Era stata dura, ma anche lui, infine, l’aveva imparato:

Che la vita non è sempre come la si colora e che, tutti, prima o poi, avrebbero dovuto impararlo.

Perchè non era veramente una tua scelta se volevi o meno impararlo;

prima o poi imparavi.

Dovevi.

E, forse, era per questo che, steso nel sangue degli umani e bagnato dalle lacrime degli angeli, aveva continuato a sorridere.

“L’ho imparato, sai?” aveva mormorato.

“L’ho imparato.”

Che la speranza non sempre colora tutto,

non sempre ti salva.

Non sempre è là, per te.

Chiuse gli occhi;

Sereno, rammaricato.

Era un peccato non riuscire neanche più a sentire la pioggia sul suo corpo, o il dolore dei suoi muscoli, o il sapore del sangue che gli colava dalla bocca;

quelle sensazioni, almeno, sarebbero state indici di vita.

Chiuse la mente;

triste, deluso, contento.

E l’ultimo pensiero che ebbe, prima di perdere i sensi, fu che, in fondo, fu veramente bello sentire dei passi avvicinarsi.

Fu veramente una bella illusione quella di due forti braccia che lo sollevavano e lo stringevano, tenendolo contro un petto solido ed altrettanto forte.

E fu strano, avrebbe osato dire buffo, trovare tanto piacevoli quelle parole strane;

un po’ tenere,

un po’ dolci,

un po’ dure,

un po’ tristi.

E fu buffo, avrebbe osato dire strano, trovare tanto belle quelle parole amare.

-Sai, Moyashi?

Avevi ragione;

Non vedo più i fiori.-

 

 

And Everybody’s gotta learn Sometime.. or not?

Perchè tutti, prima o poi, devono imparare.. oppure no?

 

La Speranza non sempre salva tutto e, tutti, un giorno, devono impararlo...

o no?

 

 

 

  
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