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Autore: Marguerite Tyreen    07/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 Cuimhnì na Eirinn
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Ben trovati, miei carissimi!!!
Mi sono serviti un paio di giorni prima di aggiornare con il nuovo capitolo, ma sempre meno di quello che avevo messo in conto.
È parecchio lungo, come previsto, ma mi dispiaceva postare in due volte, anche se effettivamente si prestava a due suddivisioni.
Spero vi piaccia e non vi annoi.

Grazie a tutti, come sempre. Buona lettura!
Un bacione, vostra
Marguerite

 
 
Nota al capitolo XI
 
Nel raccontare le vicende di questo capitolo ho seguito soltanto due strade: quella della ricostruzione storica, attraverso la ricerca, e quella della ipotetica ricostruzione di comportamenti “umani” di personaggi del tutto fittizi, attraverso l’immaginazione.
Nessuna propaganda, quindi, e nessun giudizio di valore né sugli avvenimenti né sulle scelte di nessuno. Lungi da me peccare di giustificazionismo nei confronti di qualsiasi evento.
Lasciamo che a questo ci pensi la Storia e riflessioni più accurate e approfondite da sviluppare in altra sede.
Alla narrativa sia concesso soltanto il suo compito più lieve: quello dell’intrattenimento e della fantasia.

 
 



Capitolo XI – parte prima: Forgotten Nights


 
 
Il professor Tòmas O’ Connor era rientrato a Dublino da pochi giorni, dimostrando anche in quell’occasione l’infallibile dote di preveggenza tanto decantata dagli amici.
In ottobre fonderemo l’Ira, aveva detto. Aisling lo ricordava ancora alla perfezione il sorriso con cui era tornato a casa dalla prima riunione del direttivo. Era il sorriso di un uomo che aveva ottenuto ciò che voleva.
- Ci siamo. La nostra organizzazione è nata. Adesso abbiamo bisogno di uomini fidati e coraggiosi, che abbiano a cuore la sorte di Erin più della loro stessa vita.
Più della loro stessa vita. Quelle parole le avevano dato un brivido.
Perché un conto era scegliere per se stessa, un altro obbligare le persone che amava ad assistere e a soffrire per il suo sacrificio.
- Quale sarà il tuo ruolo? – gli domandò a cena lei, la sera stessa del suo ritorno.
Faticava a credere che ad un personaggio del suo calibro non fosse stata assegnata una parte di spicco in quella vicenda.
- Cosa ti fa pensare che abbia un ruolo definito? – O’Connor aveva sorriso, versandosi nel bicchiere uno di quei vini rossi che aveva importato anni prima da un viaggio in Italia e che ora costituivano la sua riserva per le occasioni speciali.
- No, non inquietarti, mia cara. Non sono a capo di nulla, se è questo che ti fa stare in pena per me.
Ho un’immagine da salvaguardare e il modo per agire più liberamente possibile è proprio non espormi. Sarò uno di quegli oscuri teorici che si muovono nell’ombra.
Si protese per riempire anche il calice della figlia: - Avanti, Kathleen, si vede lontano un miglio che hai qualcosa da dire. Parla, tanto ti ho sempre concesso di esprimere qualsiasi opinione.
- E’ venuto il momento – disse lei con l’espressione più seria e cupa che egli le avesse mai conosciuto – Voglio dire, è venuto il momento di mettere da parte i sogni e le illusioni e di scendere in campo per davvero. Ho riflettuto molto in questi mesi, da quando me ne hai dato notizia.
È arrivata la fine dell’adolescenza, almeno per me.
- Intendi entrare nell’organizzazione? Quando parlavo della possibilità di farti ascoltare ed apprezzare, io intendevo un appoggio esterno: qualche articolo, qualche valida teoria filosofica e nemmeno necessariamente a tuo nome.
- Perché mai? Perché sono donna?
- No, Kathleen, perché sei mia figlia. E io sono seriamente preoccupato.
Fosse solo per la questione di essere donna, risolveremmo subito: saresti in buona compagnia.
- E Patrik, non è forse anche lui figlio tuo?
- Tuo fratello ha occupato Dublino nel ’16, sa come vanno queste cose. Mentre tu… tu hai visto le insurrezioni dalla finestra, le hai lette e descritte soltanto sulla carta.
- A Pasqua c’ero anch’io al Post Office, se ben ricordi.
- Certo, ma col cappellino sulle ventitrè e l’ombrellino. Ma l’ombrellino può proteggere dal sole, figlia mia, non dalle pallottole.
Lascia stare, questa volta è una questione che non ti riguarda.
- Tutto quello che riguarda Erin riguarda anche me. – sibilò con fierezza – Pensi forse di essere più portato tu per le rivoluzioni di quanto non sia io?
Lo sai che ti stimo, papà, ma lascia che te lo dica: sei un intellettuale, esattamente quanto me. La vita la conosci solo attraverso le opere e gli occhi di altri.
- Appunto. Io sono un intellettuale, Kathleen, e come tale voglio continuare a comportarmi.
Attraverso il tavolo, posò la propria mano su quella della figlia.
Lei avrebbe ricordato per sempre lo scintillio, sotto la luce impersonale della lampada, del suo anello, quello con il trifoglio inciso.
Non sapeva perché, ma anche negli anni a venire sarebbe rimasto il primo oggetto ad essere associato a lui nella sua memoria.
Forse perché lo aveva sempre visto, fin da bambina.
Anche ora, che suo padre lo incontrava sempre più di rado da quando si era sposata, lo rammentava così. Ancora relativamente giovane, come in quel dicembre del ’17, come se il calendario della sua vita si fosse arrestato su quei giorni.
Assurdo, davvero assurdo continuare a vederlo in quel modo.
Imponente, un bell’uomo, a conti fatti, dall’aspetto austero. Il ritratto più elegante e distinto di suo fratello Patrik.
Ora Tòmas O’Connor era invecchiato in fretta, molto più in fretta di quanto ella non si fosse aspettata. Non sapeva dire se fosse colpa degli anni della guerra d’indipendenza, delle fatiche dei viaggi, o della malattia ai polmoni che lo stava logorando.
Spesso gli toglieva persino la voce, permettendogli soltanto di scrivere e nemmeno più con la passione di un tempo.
Se non fosse riuscito a farsi scarcerare, dopo l’arresto in quei terribili e sanguinosi mesi del ’21, provando – non sapeva neanche lui come – la propria innocenza, forse non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da poter consumare i propri giorni in una clinica in Svizzera.
L’ultima volta che l’aveva rivisto, si era accorta che solo gli occhi erano rimasti gli stessi. Grigi, d’uno strano bagliore sidereo, indagatori, capaci di entrare nell’animo di chiunque avesse davanti.
Gli stessi che sentiva puntati nei propri durante quella cena, per quanta tenerezza egli avesse tentato di riporre nel suo sguardo.
- Lo so, Kathleen – aveva continuato – che noi non conosciamo la vita per esperienza diretta, che abbiamo sempre passato la nostra esistenza in una torre d’avorio senza comprendere davvero nessuno fino in fondo. E, tanto meno, senza comprendere questa città. L’ammetto: la colpa è mia.
E, forse, proprio per sopperire a questa mancanza, non ti ho mai imposto limiti. Un altro errore, per inciso. Ma ti ho mai negato la libertà? Ho mai soffocato il tuo amor patrio?
Era inutile che la riempisse di quelle domande retoriche davanti alle quali non le rimaneva altro da fare se non annuire.
- Hai continuato e continui tutt’ora a uscire la notte per partecipare alle vostre riunioni del mercoledì tra studenti ed ex tali. Il fatto è che le cose saranno molto diverse da questi vostri ingenui conciliaboli. L’hai detto tu, si tratta di passare all’azione.
Ma se è vero che dove c’è confusione c’è rivoluzione, è anche vero che la confusione bisogna crearla. Anche imbracciando le armi, quando necessario.
- Già, le armi. – lei aveva vuotato il suo bicchiere con una spavalderia troppo studiata per apparire, anche lontanamente, naturale – Cosa ti dice che non ne sarei capace?
- Sono obbligato, e non solo come padre, ma come patriota e membro dell’organizzazione, ad informarti dei rischi e delle conseguenze.
- Informami degli obiettivi, piuttosto. Sarà sempre e solo la libertà di Erin, vero? E mai un vostro interesse personale?
- Sempre e solo Erin, te l’assicuro.
- E allora sia. Voglio essere dei vostri.
- Se è questa la tua decisione, potrei solo ostacolarti, ma non impedirtelo.
- Certe cose non si decidono. Si sentono e basta. Sono pronta a qualunque sacrificio.
Girò attorno al tavolo, per abbracciare suo padre di spalle.
- Promettimi solo di essere prudente. Se solo tu sapessi quanto ti voglio bene, figlia mia e come non potrei nemmeno immaginare la mia vita senza di te, se ti perdessi.
Lei gli sussurrò con affetto, all’orecchio: - Non aver paura, farò attenzione. Ma non impedirmelo, sento che è giusto così. Dimmi solo cosa bisogna fare, esattamente.
 
 
- Dunque, professore, mi dica solo cosa bisogna fare, esattamente.
Alla fine ce l’aveva fatta, Aisling,  a convincerlo ad incontrare suo padre e, ora, Liam stava seduto di fronte a lui sulla poltrona del salotto, a suo agio come fosse stato su un rovo anziché su del broccato.
Aveva esordito con quella frase senza troppi preamboli, visto che oramai sapeva perfettamente il motivo di quell’incontro.
Si sentiva sotto esame mentre O’Connor lo fissava con quei suoi occhi da rapace, da sopra gli occhiali. E la cosa non gli piacque per nulla.
Come non gli piaceva il fatto di essere stato invitato senza Shannon. Aveva come l’impressione che il filosofo stesse cercando di valutare singolarmente la loro fedeltà alla causa, come fosse qualcosa che si potesse misurare. E la loro idoneità all’incarico che aveva in mente per loro.
Incarico che Liam non aveva cercato.
- Non sia tanto nervoso, signor Murray. Sembra uno studente impreparato davanti ad un’interrogazione a sorpresa. E dire che sono mesi, forse un anno, che chiedo a mia figlia di farci incontrare. - O’Connor aveva sorriso con espressione complice, nella speranza di farlo sentire meno fuori luogo: - Ho sentito molto parlare di lei, sia da parte di Patrik che da parte di Kathleen. Anzi, devo dire, che non ho fatto altro che sentir parlare di lei.
- Devo cominciare a preoccuparmi? – fece lui con un tono a metà tra la bonaria ironia e l’imbarazzo – Spero solo le siano arrivate all’orecchio cose positive.
- Positive è dire poco. Kathleen parla da donna innamorata e non è una fonte molto attendibile. – rispose, dando un’occhiata benevola al claddagh che era stato di sua figlia – Ma Patrik mi ha detto della sua fedeltà ad Erin, della sua intelligenza. Aveva previsto il fallimento dell’insurrezione di Pasqua, non è vero? “Senza l’appoggio della cittadinanza non si va da nessuna parte”. Sono parole sue.
- Già. Ma “previsto” mi sembra una parola grossa. Non mi si attribuiscano meriti che non ho.
- Eppure è lei che anima le famose riunioni del mercoledì dai tempi dell’università. Quello attorno al quale il gruppo si stringe per avere delucidazioni, indicazioni… Per quanto io non vi abbia mai preso parte, so molte più cose di quante lei possa credere.
- Non ne dubito. – Liam aveva riso appena di quella frase, non faticando a immaginarne la veridicità, con due simili messaggeri per casa.
- Per quanto siate su posizioni diverse, Patrik la stima.
- La stima è reciproca.
Si prese un lungo istante di silenzio durante il quale rifletté sull’opportunità o meno di rivelare quello che gli stava passando per la mente.
Aggiunse: - Ma, professore, non mi avrà certo invitato qui, a casa sua, per tessere le mie lodi.
C’è dell’altro?
- Ha fretta di andar via?
- No, affatto. Solo curiosità di sapere.
- Io credo che lei stia sprecando le sue energie, Murray.
- Le mie energie?
- Sì, esattamente. Da quanti anni si trascinano quei vostri incontri?
- Pressoché sei anni.
- Sei anni… - ripeté piano. Accese la pipa, si avvicinò con estrema lentezza alla finestra e rimase a lungo a guardare fuori, dopo aver scostato la tenda, in silenzio.
- Sei anni. E cosa avete concluso in sei anni?
- Nulla? – azzardò lui, sapendo che sarebbe stata l’unica risposta che O’Connor avrebbe gradito.
- Appunto, nulla.
- Nulla se si esclude l’aver discusso, capito, creduto e sperato assieme. Nulla eccetto le poesie, gli scritti, gli articoli che sono sorti per celebrare e spronare Erin! – si sentì stupido per aver tentato, fino a un momento prima, di compiacerlo.
- Questo è il nulla, Murray. – ribatté secco.
No, non lo credeva che fosse il nulla. Quella che il filosofo disprezzava con tanta leggerezza era stata la sua vita. Tutta la sua vita per sei lunghi anni.
- Nulla. Soltanto una settimana di insurrezione finita nel dimenticatoio.
- Eppure ce l’avevamo fatta a proclamare la repubblica, allora. E lei era con noi.
- Se questo le basta.
- No che non mi basta, ovviamente. Non avrò pace finché l’Irlanda sarà occupata dallo straniero.
E fino a quando avrò un filo d’aria in corpo combatterò per la sua libertà. – anche Liam si era alzato. Stava cominciando a perdere il controllo di quella discussione e non vedeva più all’orizzonte il porto nel quale O’Connor voleva approdare.
- E come pensa di farlo? Con la poesia, Murray? Con qualche tema in gaelico fatto scrivere ai suoi bambini? Non sono più sufficienti, ora. C’è altro da fare.
- Organizzarci, non è vero? È questo a cui vuole arrivare.
- Esattamente. Lo so che la cosa la spaventa.
- Mi spaventa la violenza umana, professore. È tutto ciò che mi fa paura. assieme alla possibilità di non sapere se riusciremo a controllare la nostra.
- Siamo persone, non animali, Murray. Non è l’istinto che ci guida.
- Lo so, professore. Ma spesso la luce dei nostri ideali diventa talmente forte da accecarci.
Ad ogni modo, è giusto che io rimanga ad ascoltare le sue ragioni. Potrebbe avere dei validi motivi per convincermi. Le chiedo solo di non disprezzare però quello che è stato il senso della mia esistenza per tutto questo tempo.
- Le chiedo di perdonarmi. – disse con sincerità, tornando a sedersi.
Erano rimasti a discutere per diverse ore, prima di stringersi la mano in segno di congedo.
- Mi lasci solo il tempo di pensarci. – aveva concluso Liam, sulla porta, prima di riprendere la strada verso casa.
 
 
Il tempo di pensarci erano state diverse settimane, fatte di riflessioni e di discussioni con Shannon ed Aisling. In separata sede, anche all’amico era stata rivolta la sua stessa proposta da parte di O’Connor. E, per una seconda volta, il professore si era sentito chiedere un periodo per pensare.
La verità è che non sapevano cosa fare, combattuti tra il portare avanti la loro battaglia di sempre, fatta di piccole vittorie e frequenti sconfitte e la possibilità di ottenere qualche risultato concreto per Erin. Aveva ragione O’Connor: non avevano ancora concluso nulla. Ed era inutile che continuassero a negarlo unicamente perché erano troppo legati a quelle vecchie memorie per lasciarle cadere nel vuoto della loro inutilità.
Eppure Liam sentiva che non erano state inutili, che qualcosa a lui avevano trasmesso, che avrebbero fatto parte per sempre della sua vita.
Ma, allo stesso tempo, sentiva egualmente di dovervi mettere un punto e ripartire daccapo.
Perché dopo sei anni, a forza di poesia e di riunioni, per Erin ancora la libertà non c’era.
- Stiamo davvero sprecando il nostro tempo. – aveva scrollato la testa Aisling – Possibile che non riusciate a capirlo?
- Riesco a capirlo, Aisling. – Liam camminava nervosamente lungo il perimetro della propria camera da letto – E proprio perché riesco a capirlo che, improvvisamente, mi sembra tutto così difficile e confuso. Mi sembra che sia stato tutto inutile ma, allo stesso tempo, non riesco a concepire come si possa… Oh, Aisling, sei tu a non comprendere che potremmo finire per sparare, per uccidere se dovesse esserci un’occupazione violenta della città.
- Allora te ne sei accorto anche tu, Liam, che stiamo scivolando verso la rivoluzione? –Shannon l’aveva guardato fisso, con espressione seria. Nei suoi occhi non c’era più la spavalda ironia che gli conoscevano.
- Sì, lo sento. Dai discorsi che comincia a fare la gente, da come si stanno organizzando i patrioti. Dalla nascita dell’Ira, adesso. Sono cose di cui ci si accorge, se si presta attenzione. È come se la rivoluzione avesse un odore. Un odore inconfondibile.
- E’ proprio per questo che dobbiamo essere preparati. Che dobbiamo unirci ad altri patrioti con il nostro stesso obiettivo. – Aisling aveva cercato di guardarlo negli occhi, nonostante Liam non riuscisse a stare fermo un solo istante – Da soli non possiamo fare niente. Dovete rassegnarvi a quest’ idea. Dovete capire che quello che è stato è stato, che adesso non basta più.
- Insomma, anche tu credi che tutto quello che abbiamo fatto, gioito e sofferto per Erin per sei lunghi anni non è contato nulla? Che eravamo degli illusi, allora? – nemmeno Shannon sembrava voler rassegnarsi.
- Non è questo che sto dicendo. Allora era importante, era giusto così. Era giusto sognare e affidarsi ad un’illusione. Ma adesso le cose sono cambiate. Siamo cambiati noi.
Siamo diventati adulti.
- Diventare adulti non significa necessariamente imbracciare le armi.
- Lo so, Liam. – lei aveva cercato di mantenere un tono indulgente – Ma significa sapersi assumere le proprie responsabilità. Decidere da che parte stare, una volta per tutte.
E quando scoppierà davvero la rivoluzione, voi dove starete?
- Perché, tu dove sarai, Aisling? – le aveva chiesto Shannon.
- Dove sarò? Con l’Ira. Ho deciso di entrare a farvi parte.
- Per via di tuo padre?
- No, per una decisione mia. Ho scelto cosa farne della mia vita. La metterò al servizio di Erin, costi quel che costi.
- E’giusto che tu scelga per te, ma non credere così facendo di influenzare la nostra decisione.
- Non pretendo di influenzare la decisione di nessuno. Saranno gli eventi a farlo. Quando scoppierà la rivoluzione, allora ditemi dove sarete? A farla o a raccontarla. Quando Erin sarà finalmente libera, e potrà raccontare i nomi degli uomini che l’hanno resa grande, voi non sarete nell’elenco se resterete a guardare.
Con che coraggio guarderete negli occhi i patrioti che hanno combattuto e rischiato per voi, con che coraggio omaggerete i martiri che sono caduti per voi? E come oserete abbracciarne le madri e le vedove ricordando loro e insultando con la vostra vita di codardi la loro morte da eroi?
Mi meraviglio di te, Liam, che accusavi Dublino di essere paralizzata. Qui gli unici ad essere paralizzati siete voi.
O paralizzati o vigliacchi. O indifferenti, il che sarebbe ancora peggio.
Non so dove sarete voi, ma so per certo dove sarò io. Con i miei fratelli, coi patrioti. Con l’Irlanda. Perché una vita senza libertà e senza un obiettivo non è degna di essere vissuta.
Siete con me? Vi ho chiesto, siete con me?
 
Se tu fossi qui, mamma, sapresti consigliarmi, sapresti dirmi cosa fare.
Le disse in silenzio.
Avrei bisogno di sapere cosa ne pensi, di capire cosa vorresti da me.
Te ne sei andata con il nome di Erin sulle labbra, con l’anelito della sua indipendenza nel cuore.
Cosa dovrei fare io, adesso? Ti avevo promesso che avrei lottato per la nostra terra, mamma. Ti avevo promesso che sarebbe stata libera un giorno, che avremmo ballato e festeggiato per le strade, allora. E non ce l’ho fatta. Per tutto questo tempo, per quanto tu fossi stata orgogliosa di me, non ce l’ho fatta. Ed Erin è rimasta costretta, impigliata nel suo destino di schiavitù.
Cosa devo fare? Accettare di mettere da parte la purezza del mio idealismo ingenuo per entrare in un’organizzazione. L’Ira, mamma. Non ne hai mai sentito parlare, non ne hai avuto il tempo.
Si tratterà di difendere la patria con le armi, e non solo con un paio di rime.
È diverso, adesso. È tutto completamente e inevitabilmente diverso.
C’è odore di rivoluzione nell’aria, più forte di quando è scoppiata a Pasqua l’insurrezione.
Un odore più disperato e ineluttabile che avvolge questi tempi violenti.
L’Irlanda vivrà mesi, forse anni, di sangue e di combattimenti. Le cose stanno cambiando ed è giunto il momento di scegliere.
Bisogna scegliere, decidere da che parte stare adesso.
E se dovessi farlo, il mio patriottismo e il mio amore per Erin, mi porterebbero a fare qualunque cosa per essa, fosse anche combattere non solo con le parole e con il pensiero.
È solo che non so quanto questo possa essere legittimo, capisci?
Quanto la giustezza dei nostri ideali possa fornire un fondamento altrettanto giusto al passo che sto per compiere.
Non lo so, ma sento che Aisling ha ragione. Che non avrei il coraggio di camminare a testa alta fra la mia gente, che non avrei il coraggio di guardare la mia immagine riflessa se non avessi dato ad Erin tutto me stesso, la parte migliore di me e dei miei giorni.
Non so quanto tu sia d’accordo.
Non so come finirà tutto questo, forse davvero non mi riconoscerai più, dopo.
Non so se è quello che vuoi, mamma. Ma adesso è quello che credo più opportuno io, per l’Irlanda.
Ricordo che tu mi dicevi sempre che le cose vanno fatte perché giuste e non perché opportune. Ma la verità è che mi sembra che i confini si siano assottigliati, avvicinati fino a toccarsi.
Sto sbagliando, forse. Sto sbagliando, ma mi valga come giustificazione la buona fede.
Ho scelto, mamma. Ho scelto di entrare nell’Ira. Perdonami, se non era quello che volevi da me. Anch’io ho sperato, ed ho sperato fino alla fine, Dio solo sa quanto, che la poesia bastasse. Che bastasse l’idea e il pensiero, che le parole potessero muovere mari e monti, e commuovere il mondo permettendoci di conquistare la libertà.
Tuttavia non è bastato. E adesso altre strade mi si spalancano davanti e mi inghiottono. Mi costringono a seguirle verso luoghi che non credevo possibili.
Non lo sto facendo per lei e nemmeno per Shannon, se è questo che pensi. E nemmeno per me, non cerco la gloria, non me ne è mai importato nulla. Non ho mai inseguito nemmeno quella letteraria e mi sarei accontentato del mio ruolo di insegnante senza rimpiangere mai la mia esistenza.
Se ho scritto e ho pubblicato le mie opere è stato solo per baciare le mani e inginocchiarmi davanti alla mia unica musa, Erin.
Ecco, tutto quello che faccio lo faccio per Erin, per i suoi figli. Per vedere i suoi figli, i miei, se un giorno ne avrò, crescere liberi. Soltanto per questo. Soltanto per lei.
Non per denaro, non per amore, non per il cielo. Soltanto per lei.
Soltanto per il domani di Erin.
 
- Allora, sarete con me?
Liam aveva taciuto ancora a lungo, prima di rispondere.
- Non per te, ma per Erin. Eppure, allo stesso tempo, con te, Aisling.
 Il passo era fatto.
- Tu cosa farai, Shannon? – gli aveva chiesto poi, all’improvviso.
Cosa avrebbe dovuto fare? Lasciarli andare da soli incontro al precipitare degli eventi?
Non era giusto rispondere sulla base della loro scelta, meditò.
Ma la verità era che, messi da parte i sentimentalismi per i bei tempi passati con fin troppa facilità, Shannon era altrettanto convinto di dover servire L’Irlanda in altro modo.
- Dove vuoi che vada, senza di te, vecchio bardo? – poi aggiunse, serio – Non lo faccio per non abbandonarti. Ne sono convinto, per una volta. Lo faccio per Erin.
Il viso di Aisling si illuminò di un sorriso: - Per Erin. Insieme. Di nuovo insieme.
 
 
 
 - parte seconda: An Heartless Winter
 
 
Era cominciata così la loro vita da rivoluzionari.
Non che le cose fossero molto cambiate dall’ingresso nell’Ira, a parte qualche impegno in più e l’abbandono delle loro antiche riunioni. Del resto, eccetto qualcuno che non aveva voluto rischiare, tutto il resto della compagnia era confluito nella nuova organizzazione.
James Murray non sapeva esattamente cosa stesse accadendo nell’esistenza del figlio. Non avevano mai parlato del suo patriottismo e Liam sapeva bene quale sarebbe stata la sua reazione.
Finché Gobnait era stata in vita, il vecchio Murray aveva avuto qualche barlume di ardore nel sostenere la riuscita dei progetti del figlio e della moglie, ma ora che erano rimasti soli, sarebbe arrivato a denunciare l’organizzazione agli inglesi pur di tenerne fuori e salvaguardare tutto ciò che  era rimasto della sua famiglia.
Aveva capito che qualcosa stava cambiando. Si accorgeva che Liam usciva sempre più spesso, a volte per l’intera nottata, e la causa non poteva essere solo una ragazza conosciuta chissà dove.
C’era dell’altro, c’era la questione nazionale in mezzo, ma più di consigliargli di fare attenzione e di non immischiarsi in faccende più grandi di lui, altro non poteva fare.
Era un uomo, dopotutto, aveva il suo lavoro, la sua vita, aveva fatto le sue scelte.
Non possiamo impedirglielo, gli diceva sempre la moglie, o meglio, non dobbiamo.
Non per queste cose, almeno. Per quanto potesse tentare, sarebbe stato comunque inutile.
Non gli era rimasto molto altro da fare se non aspettare. Aspettare che, se mai un giorno fosse tornato sconfitto, avesse di nuovo bisogno di lui.
Che fosse fuori casa parecchie notti era vero, si ritrovavano sempre di nascosto in un pub sulla Baggot Street, dopo l’orario di chiusura. Il proprietario era uno dei loro e li lasciava andare e venire quando volevano.
Il solito basco di tweed, la solita sciarpa avvolta mollemente al collo, apriva la porta, lasciando che ai suoi occhi si presentasse la consueta scena che per tutti quegli anni di attività patriottica l’aveva accompagnato.
In piedi, al centro della sala, Shannon distribuiva i giornali clandestini stampati in proprio, i primi fogli ciclostilati e altri mezzi per far circolare le loro idee. Incitava qualcuno, convinceva qualcun altro, propagandava le sue posizioni con la stessa sicurezza con cui l’avvocato di un innocente arringherebbe la corte.
Sorrideva Liam, compiaciuto dalla sua sicurezza. Avrebbe fatto strada e, anche in quell’occasione, gli avrebbe rubato la scena, senza che lui se ne curasse.
Lui, come sempre, d’altra parte, stava in un angolo e ascoltava. A volte passava ore intere ad ascoltare, senza dire una parola se non alla fine della riunione.
Shannon sapeva attirarsi le attenzioni e la fiducia come una calamita. Tuttavia, quando Liam parlava, riusciva a portare sul sentiero delle proprie convinzioni chiunque, con solo una mezza frase.
Proprio come un bardo celtico, che sapeva risvegliare con la sua poesia le emozioni che la gente credeva sopite, scherzava Shannon.
Ma ormai, il tempo della poesia era finito.
Dal punto di vista sentimentale, non c’erano state troppe variazioni. La storia con Aisling andava assurdamente avanti, con annesso il triangolo amoroso del quale ancora Liam faticava a capacitarsi.
Dopo l’incontro con O’Connor che aveva sdoganato il loro ingresso in casa dell’austero professore, ora circolavano liberamente nella sua villa, soprattutto durante i suoi lunghi periodi di assenza.
Che ci fosse del chiacchiericcio sul fatto che due giovanotti continuassero a far visita alla signorina Aisling, talvolta insieme e talvolta a giorni alterni, era oramai indubbio.
Ma nessuno sembrava farci caso. Almeno da quando nelle loro menti si era affacciato il tarlo ben più serio e urgente della politica.
Non si poteva dire certamente che la loro fosse una situazione usuale, ma col tempo avevano fatto l’abitudine agli sguardi delle concittadine più puritane, alle proteste del consorzio delle corteggiatrici di Shannon che a parer loro da quando frequentava la O’Connor “faceva vita di monastero”, fino ai sospiri disillusi delle pretendenti di Liam.
Quello a cui quest’ultimo, però, faticava a rassegnarsi era la mancanza di stabilità. Perché, a conti fatti, a ventisei anni, con un buon lavoro e una donna innamorata accanto, cominciava a sentire la necessità di impegnarsi più seriamente in una relazione.
Sapeva che Aisling non sarebbe stata la donna giusta per un simile progetto. Anzi, da quando era entrata nell’Ira, si era fatta, se possibile, ancora più indipendente e fiera della propria libertà.
A volte, Liam aveva paura che quella situazione fosse stata messa in piedi solo per un capriccio di lei, che poteva abbondantemente crogiolarsi nelle attenzioni di entrambi.
Ma per quanto non fosse la donna giusta per mettere su famiglia, sentiva che era quella giusta per lui, l’unica che qualsiasi cosa fosse accaduta avrebbe continuato davvero ad amare.
E non avrebbe avuto senso mettersi alla ricerca di un’altra ragazza con la quale costruire un amore più solido e più convenzionale, dal momento che avrebbe continuato a pensare a lei.
Non sarebbe stato giusto.
Avevano passato così un altro anno.
 
 
Il 1918 se n’era andato, fra amori incomprensibili, riunioni e dinamite.
Non faceva che pensarvi, Liam, a come era davvero tutto diverso, ora. Ora che erano entrati ufficialmente nella guerra d’indipendenza dal gennaio del ’19, aveva assistito alle sparatorie per le strade. Vi aveva preso parte, a volte, alle barricate contro gli inglesi.
Era diventata quella la sua vita, fatta di armi, di esplosivo, di incursioni per procurare altre armi, di attentati, la notte. E, di giorno, quella dell’insegnante, come sempre, insospettabile.
E, intanto, quando le riunioni segrete e gli addestramenti clandestini non gli sottraevano il resto del tempo, continuava a chiedersi dov’era finita l’innocenza di allora. Di quando erano ragazzi lui e Shannon, poco più grandi dei suoi studenti, e che credevano di aver cambiato il mondo solo per aver tenuto testa al professore d’inglese. L’innocenza di quelle notti dimenticate del mercoledì.
Se n’era andata. Aveva ragione Aisling, erano loro ad essere ormai diversi. Il passo, la loro trasformazione in rivoluzionari, era stata quasi inevitabile. Per la violenza dei tempi, forse.
O perché quell’innocenza, per quanto si ostinassero a cercarla, in loro non ve n’era più traccia.
Aveva davvero ragione, Aisling, quando lo diceva.
Aisling, quella sera, dormiva accanto a lui, respirando piano. Non era la prima volta che rimaneva a casa degli O’Connor, in assenza di suo padre. Anzi, ormai era diventata un’abitudine, a tal punto che non si preoccupava nemmeno più di sapere se la notte avanti o quella successiva, c’era o ci sarebbe stato Shannon al suo posto, nel letto che adesso occupava lui.
La sua stanza era avvolta nel suo profumo e nell’odore dolciastro del trucco.
Nel sonno, Aisling si stringeva a Liam, come non volesse lasciarlo andare.
- Ho paura, sai – gli aveva detto all’alba, credendo che egli non la udisse – Ho paura di perderti, Liam. Tutte le volte che esci di qui, che ti so impegnato in qualche missione e sento bussare alla porta, ho sempre il terrore che mi vengano a dire che non sei più con me.
- Cosa vai a pensare, Aisling? Io e te vedremo assieme il risveglio di Erin, è una promessa.
- Questa sera sarà la data stabilita, non è vero?
Lui aveva annuito in silenzio: - Tornerò, te lo assicuro. Tornerò da te, Aisling. Ora che ti ho incontrata non posso permettermi di perderti tanto facilmente.
L’aveva baciata sulla fronte.
- Se vi perdessi, Liam, non so cosa farei. Giurami che farai attenzione.
- Amore mio, non è la prima volta che…
- Lo so, ma non significa nulla. Ogni volta la sorte potrebbe essere in agguato.
- La sorte non esiste. E, in ogni caso, il mio amore per te sarebbe più forte da piegare anche il destino.
Lei sorrise per la dolcezza di quelle parole. Un cattivo presentimento la stava tormentando da giorni, da quando aveva saputo di quella nuova, pericolosa azione che avrebbero dovuto compiere.
E, sempre più forte, sentiva il rimorso di averli convinti a entrare nell’Ira. Doveva immaginarlo che sarebbe scoppiata l’insurrezione. Che trascinarli in quella storia sarebbe stato mettere a repentaglio la loro vita. Ma allora Erin era più importante, più importante di tutto.
- Ad ogni modo, se io non dovessi più tornare, non piangere per me, Aisling. Sarò morto per un’idea ed è la fine più dignitosa che possa spettare a un patriota.
- Non dirlo nemmeno. Io non posso neanche immaginare la mia vita senza di te, adesso.
E aveva detto “di te”, non “di voi”, senza nemmeno pensarci.
Era stata la prima volta, dopo tanto tempo, che egli ebbe la consapevolezza che Aisling era sincera.
Intrecciò le proprie dita con quelle di lui: - Morirei con te, Liam.
- Vivrai con me, invece. Presto tutto questo sarà finito, vedrai. E saremo stati noi a dare un futuro a questa terra.
- Ho come l’impressione di aver sbagliato tante cose con te, Liam. Troppe. Meritavi di essere amato in modo esclusivo e più profondo di quanto non abbia fatto io.
- Non rimpiango nulla, Aisling. I giorni passati con te sono quanto di più bello possa chiedere alla vita. E se anche dovessi morire, tu sarai stata la fonte e la cagione principale della mia felicità.
Lei nascose il viso nella sua spalla, respirando forte il suo profumo.
Le sfuggì una lacrima. Egli l’amava veramente ed era sempre più convinta di non averlo saputo ripagare. Bisognerà mettere in chiaro le cose, una volta per tutte. Dire a Shannon che, per quanto bene gli voglia, ho deciso.
Questo tempo che ci costringe a vivere nel sangue e nella violenza, a tremare ogni giorno per la nostra vita e quella dei nostri cari, almeno ha saputo spartire le cose importanti da quelle fatue.
E la passione per Shannon non è stata che una frivolezza, un timore di perderli entrambi.
Ho capito che non potrei vivere senza Liam, che per quanto abbia sottovalutato il sentimento che ci legava, per quanto abbia tentato di fuggire, il cuore mi ha sempre portato da lui.
Stava per dirglielo, prima che il rumore di una chiave che girava nella serratura, da basso, li interrompesse.
- Liam, devo parlarti. Devo parlarti di noi.
- Credo sia rientrato tuo padre. È meglio che vada. Lo sai che mi imbarazza incontrarlo.
- E perché mai? Lo sa che ci frequentiamo. Gli piaci e sarebbe felice se restassi per colazione.
- Devo incontrare gli altri, prima di questa sera, per fissare gli ultimi dettagli del piano. Non prendertela, parleremo presto. È qualcosa di molto importante?
- Sì, perché riguarda te. E tu sei molto importante per me. Ma posso aspettare.
- Sei in collera perché non rimango?
- No. So che Erin viene prima.
Lui sorrise. Nel raccogliere la giacca, dalla tasca scivolò a terra una rivoltella con un tonfo sordo.
- Sei armato? – gli chiese lei senza scomporsi.
- Sì. Sono mesi che giriamo armati. – raccolse la pistola da terra con imbarazzo – Non avrei voluto che tu venissi a saperlo così.
- Non mi sconvolgo. Fai attenzione, Liam. Dillo anche a Shan. Abbiate cura di voi.
- Lo farò.
- Liam- gli era corsa incontro per abbracciarlo con slancio – Dammi un bacio, prima.
Gli passò una mano sul viso: -Beannacht Dé leat, mo ghra . Che Dio ti protegga, amore mio.
- Non stare in pena, fra qualche giorno sarò di nuovo da te. Sai che per un po’ è prudente restare lontani, dopo un’incursione.
 
 
- Oggi, 20 marzo 1919, alle 23 precise attaccheremo il presidio dell’esercito inglese. – uno dei dirigenti del gruppo di Dublino aveva spianato sul tavolo del pub la pianta della città.
- Questo è il punto più debole dell’edificio: le cariche esplosive andranno piazzate esattamente sul lato est. Ma ne avevamo già discusso. Murray, è tutto chiaro?
- Perfettamente. – aveva risposto Liam, non staccando gli occhi dalla carta.
Sarebbe spettato a lui guidare il manipolo di uomini che gli era stato affidato, durante l’attentato.
Era diventato uno dei più abili con gli esplosivi, senza che nessuno, nemmeno lui se l’aspettasse.
Non sapevano dire da dove fosse derivato quell’inquietante talento, soprattutto in un uomo che credevano tutti mite e dedito all’arte. Liam era rimasto spaventato da se stesso, dal lato oscuro che si nasconde in ogni essere umano, pronto ad emergere quando meno lo si aspetta.
Non era più lo stesso, se ne accorgeva giorno per giorno. Si era fatto più lucido, più calcolatore, forse più spietato. E con lui anche Shannon. Il vecchio bardo e lo scribacchino erano sepolti in un angolo remoto del loro cuore, soppiantati e seppelliti dalle loro nuove figure di rivoluzionari.
L’addestramento intensivo di quei dieci mesi l’avevano reso un valido elemento per l’organizzazione.
Non sarebbe stata la prima volta, quella. Ormai, in due mesi, cominciavano ad aver perso il conto delle azioni.
- Di quanta gente pensi di avere bisogno?
- Di due uomini, oltre a me. Uno che mi aiuti con la dinamite e uno per guardarci le spalle.
Non di più, altrimenti finiremmo per dare nell’occhio.
- Hai ragione. Chi vuoi?
- O’Connor – Patrik fece un passo avanti – E… - per un attimo Liam desiderò di non dover fare quel nome. Fosse stato per lui avrebbe tenuto Shannon lontano da ogni pericolo. Ma sapeva che desiderava seguirlo, anche quella volta, come tutte le precedenti.
- E Donovan.
- Bene. Che Dio vi aiuti, ragazzi.
- Erin go bragh. – disse Liam prima di uscire, seguito dai suoi due compagni, sfiorandosi appena la tesa del cappello in cenno di saluto
.
Dublino quella notte fu svegliata dal fragore infernale dell’esplosione.
L’attentato era riuscito, come sempre. Gli altri membri dell’Ira lo avrebbero appreso l’indomani con soddisfazione. Ancora non sapevano, nemmeno loro che avevano preso parte all’azione, però, che qualcosa era andato storto.
Qualcosa era andato dannatamente storto, quella mattina stessa.

   
 
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