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Autore: Sere88    08/03/2011    3 recensioni
Questa storia racconta l'avventura della fortuna, del talento, e dell'amore; la passione di due anime confuse tra destino e sentimenti, e quella di due corpi che si sono cullati e torturati in un intreccio di vite a cavallo tra cronache e fantasie. E' la storia che racconta della vita di un uomo vero, una stella mondiale della musica, adorato e criticato di nome MIchael Jackson e di una donna inventata che almeno nella mia fantasia gli ha regalato l'amore che meritava...
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 9


Dopo la morte di mia madre rimasi in Italia per circa due anni. Avevo bisogno di stare a casa, con la mia famiglia. Eravamo tutti devastati dal dolore ed avevamo bisogno del reciproco conforto per poter andare avanti ed imparare a convivere con la sua ingombrante assenza. Non fu facile.
Un cancro al seno in poco tempo me la portò via a quarantasei anni. Ero tormentata dai sensi di colpa perché sentivo che nel momento del bisogno non le ero stata vicina, non ero stata presente per sostenerla nelle sue sofferenze. Un’egoista presa dalla carriera, dai viaggi; questo fui e non me lo perdonerò mai.
Solo la nascita di mio nipote Giulio, un mese dopo il lutto, ci regalò un po’ di serenità. Giulio era un regalo di mamma dal cielo, lo sapevamo tutti.
In quei due anni non perdemmo mai i contatti e anche se a distanza e preso dai ritmi incontenibili che la sua carriera gli imponeva mi stette accanto, con il conforto di una voce rassicurante che percorreva milioni di chilometri attraverso una cornetta telefonica e con le righe di lunghe lettere su cui quella grafia tanto complessa e tanto scissa come la sua personalità, imprimeva le frasi del suo affetto. Leggevo e rileggevo quotidianamente le sue parole perché tra quei sentieri di inchiostro ritrovavo sprazzi di sollievo lunghi il tempo di alcune pagine.
Verba volant, scripta manent…Mi aggrappavo disperatamente alla saggezza dei latini alla ricerca della conferma che in fondo quelle lettere dimostravano che nel suo cuore c’era ancora spazio per una piccola ragazzetta di provincia senza arte né parte, che non aveva nulla da offrirgli se non il suo amore sviscerato ed incondizionato; ma quelle incomprensioni rimaste sospese, la lontananza, la sua vita che continuava a correre a velocità tripla rispetto alla mia fecero il resto.
Nel nostro rapporto non ci fu mai la tradizionale quotidianità di una coppia normale, né tantomeno potevo pretenderla allora con l’oceano di mezzo; ci sentivamo sporadicamente ma quando accadeva le nostre conversazioni diventavano vere e proprie spremute d’anima e nulla poteva la distanza contro quel legame quasi ancestrale che lui amava definire “di sangue acquisito”. Ma aimè i legami di sangue sono quelli tra fratello e sorella e io di fratelli ne avevo già in abbondanza, lui era altro per me; tuttavia in quel momento della mia vita non ebbi la forza di chiedergli nulla di più, io che fino ad allora sentivo di aver solo preteso incapace di godere pienamente ciò che mi veniva dato.
Perché c’eravamo lasciati?...Domandone da un milione di dollari a cui non ero in grado di dare una risposta concreta, ma quel difficile momento familiare fece passare i miei perché in secondo piano facendo in modo che il senso di colpa che mi lacerava dentro colludesse con l’incapacità di affrontare l’argomento “Noi”. Lui, forse per rispettare il mio lutto o forse perché troppo preso da altro, fece lo stesso e alla fine lasciammo che quel che era rimasto del nostro amore venisse inesorabilmente inghiottito dall’implicito.

26 Novembre 1991.
Lo chiamai non appena seppi del’uscita in Italia del suo ultimo capolavoro discografico. Fu allora che mi propose ti tornare in America per lavorare con lui alla preparazione del prossimo tour. All’inizio fui titubante; cercò di convincermi dicendo che mi avrebbe fatto bene riprendere a lavorare e che lo faceva non solo per risollevarmi il morale ma anche perchè stimava profondamente il mio lavoro quanto io stimavo il suo; la nostra non fu solo una stupenda “amicizia”, ma anche una preziosa e continua occasione di arricchimento professionale.
Non gli diedi subito una risposta, avevo bisogno di rifletterci perchè quella situazione così troppo simile al passato in cui eravamo stati più che semplici amici mi parve una prova troppo ardua da affrontare. Ma il mio cuore mi sfidò a singolar tenzone e dovetti riconoscere che anche se avessi rifiutato quella proposta non avrebbe comunque rinunciato ad infliggermi il suo tormento.
Carpe diem…Mi affidai ancora una volta alle parole degli antichi, convincendomi che almeno quel dannato liceo classico mi era stato utile a qualche cosa, e così colsi quella occasione per ricominciare a vivere e forse anche per riprendermi ciò che fino a qualche anno prima era stato mio.
Mi apprestavo a rimettere piede in terra americana, più insicura e meno speranzosa di quando vi approdai ventunenne.
Prima che partissi mi chiamò dicendomi che avrebbe fatto trovare una limousine in aereoporto al mio arrivo e che per il resto si sarebbe occupato di tutto lui. Quelle parole mi lasciarono perplessa ed emozionata.
Le porte scorrevoli si aprirono al passaggio del mio carrello con i bagagli e non appena vidi l’auto mi prese un fuoco alla bocca dello stomaco.
Mi sentivo una ragazzina stupida.
Perché prendere una limousine se poi dentro quella macchina dovevo starci solo io?
Nessuno c’era lì ad attendermi a parte l’autista, che per quanto fosse una persona simpatica non era proprio colui che desideravo incontrare; venni accolta da un bigliettino solitario poggiato sul sedile che diceva “Anche se non ci sarò per alcuni giorni, vieni a stare da me. Quando torno vorrei trovarti a casa…Bentornata, Michael”.
Me lo aspettavo…niente sarebbe stato più come prima.
L’attesa del suo ritorno fu un misto di strazio, gioia e confusione.
Prima del suo arrivo trascorsi due giorni da sola nella sua sconfinata tenuta, rappresentazione concreta delle fantasie di quel bambino imprigionate nel corpo così terribilmente attraente di un uomo; una casa piena di confort, di lusso, di divertimenti ma che in quelle quarantotto ore fu anche stracolma della sua assenza e di uno stato di sconforto e solitudine che si prendeva gioco di me e della trepidazione con cui attendevo il suo ritorno.
Trascorsi quelle giornate passeggiando tra quei viali immensi con la sola compagnia dei ricordi dei due anni indimenticabili in cui mi dissolsi in lui in una fusione perfetta di corpi e di anime.
Avevo una voglia matta di rincontrarlo, di stringerlo e di tuffarmi nell’odore speciale del suo corpo che invadeva di buono ogni cosa che indossava, toccava, abitava.
Il giorno in cui era previsto il suo ritorno andai a fare shopping, cercavo qualcosa di carino tanto per rendermi presentabile; in fondo non ero poi così diversa da come mi aveva lasciata a parte un paio di chiletti in più e i capelli un tantino più corti, ma avevo tanta voglia di piacergli.
Ebbene si, le cose erano davvero cambiate, qualche anno prima non mi sarei fatta questo tipo di problemi perché ero certa di piacergli sempre.
Mi preparai di tutto punto e attesi in salotto il fatidico momento in cui vedendolo entrare da quella porta avrei perso ogni barlume di razionalità e abbassato ogni difesa mostrandomi in tutta la mia vulnerabilità.
Seduta sul divano in una posa abbandonata, persi i miei occhi nella penombra di quella stanza appena illuminata ad intermittenza dalle luci della tv accesa e che avevo zittito per evitare che disturbasse il flusso dei miei pensieri. Nello spazio intermedio tra fantasia e realtà la mia mente diede forma all’immagine del suo viso dai tratti particolari, quel volto un po’ maschio e un po’ bambino che con una espressione di gratitudine, dolcezza e tenerezza sapeva guardarmi dentro e fuori dopo che i nostri corpi un po’ sudati e un po’ discinti avevano giocato all’amore. Il brivido della nostra prima volta mi percorse in un flashback di eccitazione, richiamando alla mia memoria l’infinito ricordo delle sue parole che come l’ultimo ritocco dell’artista perfezionista resero quel momento un capolavoro senza tempo. “Grazie Susie…- mi sussurrò mentre raggomitolata in lui mi lasciavo cullare dal battito cadenzato del suo petto-…grazie per avermi regalato la tua innocenza…”
Un vocio insistente mi distolse bruscamente dal mio mondo sognante.
Un brulichio di persone e di passi smuoveva il selciato; mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Tre macchine avevano appena parcheggiato nel viale mentre scendevano una, due, tre, quattro, cinque…ma quanta gente ci sta?- pensai mentre nella mia mente si sbiadiva lento il quadretto idilliaco che mi ero costruita: io, lui, una cenetta intima e la voglia di recuperare il tempo perso.
I miei occhi si gettarono in una ricerca convulsa della sua figura tra quelle sagome sconosciute, e quando finalmente lo riconobbi in quella folla sprofondai senza via di scampo in una voragine di piacere doloroso…Lo amavo, lo amavo ancora…purtroppo.
Fu l’ultimo a scendere dall’auto e lentamente si avvicinò all’ingresso intrattenendosi di tanto in tanto a scambiare qualche parola con uno di quei dieci tizi che lo accompagnavano.
Come avrei voluto che quel volto appena nascosto dalla falda del capello, quel collo e quelle spalle, quelle gambe disegnate per assecondare il suo modo particolare di incedere, fossero stati solo elementi della comune anatomia umana e non il ricettacolo delle mie fantasie quotidiane.
Le mani mi iniziarono a sudare.
Salivazione azzerata.
Il cuore…va bè quello me lo ero giocato da un pezzo.
Era finalmente arrivato il momento di riabbracciarlo.
Mi scaraventai alla porta. Aprii.
Spalancai l’uscio con un sorriso che mi circumnavigava il viso e venni accolta da una serie di occhi sconosciuti che risposero con cordiali buonasera, salve, ciao e quant’altro a quell’ apoteosi di denti con fossetta sulla guancia annessa che avevo tatuati sul viso.
Il desiderio di corrergli incontro, di saltargli al collo e di tramortirlo con i baci che avevo riservato solo per lui in quegli anni di lontananza si divertivano a pogare nel mio stomaco come in un concerto metal.
Indifferente dinanzi a quei saluti sconosciuti, mi feci largo tra la gente che affollava l’ingresso per raggiungere Mike poco distante, che di spalle stava parlando con una persona.
Mi avvicinai lentamente così che non si accorgesse di me, e arrivata dietro di lui gli coprii con le mani gli occhi.
Interruppe bruscamente la sua conversazione.
Mi tastò mani e polsi.

-Finalmente sei tornata!-esclamò, e voltandosi mi abbracciò calorosamente baciandomi una guancia.
Mi cinse le spalle con il suo braccio ed entrammo in casa con tutto quel seguito di persone che non avevo ancora ben identificato.
Quella sera non ci fu nessuna cenetta romantica o chiacchierata in intimità, tutt’altro. Come bentornato mi aspettava una vera e propria riunione di lavoro. Eh si, perché tutti quei signori non erano altro che gli organizzatori e parte dello staff che lo avrebbe accompagnato nel tour che lo aspettava, anzi che ci aspettava.
Arrivati in casa procedette con le presentazioni.

-Ragazzi questa è Susie…una mia carissima amica italiana. È stata via per un po’ ma adesso è tornata per darci una mano con il tour…Susie per me è fondamentale, è stata il mio portafortuna e quindi non poteva non accompagnarmi anche in questa avventura e sono certo che anche voi tutti vi troverete benissimo a lavorare con lei…
Non mi diede il tempo di dire una parole, fece tutto da solo “sponsorizzandomi” in maniera ineccepibile.

- E’ una bravissima ballerina con un curriculum fenomenale; viene dalla danza classica, balletto russo, poi Brodway, ha già lavorato con me…insomma sta ragazza è un talento e ci tenevo a presentarvela.

Uno di quei signori intervenne.

- Quindi Mike vuoi farci credere che oltre ad essere così bella è anche brava?- esclamò in modo ironico tra le risatine dei presenti.

Mike si girò verso di me; con una mano si strofinò il mento inclinando un po’ la testa, guardandomi come fossi un quadro appeso alla parete, di quelli che hai in casa da tanto tempo ma che non ti soffermi mai ad osservare.

-Eh si…è bella Susie, lo so che è bella…lo avevo quasi dimenticato…

Buttò lì quella frase con una leggerezza che mi lasciò inebetita. Il Mike che ricordavo io non avrebbe mai fatto certi espliciti apprezzamenti su di me in pubblico, non si sarebbe mai esposto così tanto; arrossendo avrebbe glissato su quella considerazione per evitare di dare nell’occhio, per proteggere quello che c’era tra di noi da sospetti e pettegolezzi. Ma quella naturalezza la diceva lunga sul fatto che ormai non c’era più niente da proteggere e tenere nascosto, o meglio non c’era più niente.
Rimasi senza fiato.
In quel momento compresi la realtà dei fatti. Tutto era cambiato. La sua “piccola ragazza normale”, la sua “giovinezza spensierata” ormai era solo una “carissima amica italiana” di cui aveva dimenticato la bellezza, mentre io, povera illusa, di lui ricordavo ancora tutto.
Quelli che seguirono furono per noi anni di grandi cambiamenti; eravamo cresciuti, probabilmente eravamo diversi rispetto a quando ci conoscemmo, o molto più probabilmente queste furono le uniche giustificazioni che seppi darmi dinanzi al fatto che lui non mi guardava più con gli occhi di prima.
Non per questo ci allontanammo, anzi. Mi feci forza e cercai di affrontare quell’ennesima batosta. Se l’unico modo per stargli vicino era essere una sua carissima amica lo avrei fatto, era il male minore. Non avevo scelta dal momento che il pensiero di stargli lontana mi procurava una sofferenza che in quel momento non mi sentivo di sopportare, e così mio malgrado decisi di indossare quei panni che a lungo mi calzarono stretti.
I primi anni furono i più duri ma allo stesso tempo anche i più felici, perché compresi che la mia vicinanza lo faceva stare bene e a quel punto fui anche pronta a sacrificare il mio amore.
L’ingenuità e la spensieratezza con cui mi confidava i suoi pensieri più intimi mi lasciavano esterrefatta. Quello era davvero un bambino vestito da uomo, senza malizia, senza cattiveria. Ingenuo e spietato come solo i bambini sanno essere. E per questo lo odiavo e lo adoravo.

-Tu per me sei più di un’amica Susie- mi disse una sera facendomi balzare il cuore in gola-…Si ti può sembrare strano quello che sto per dirti, ma io lo penso sul serio…-continuò ridacchiando.
Non capivo dove volesse arrivare.
-…Tu per me non sei nemmeno una sorella Susie…

E più andava avanti meno capivo…

-…Tu sei un vero amicO...- sbarrai gli occhi-… si Susie hai capito bene…cioè io con te posso parlare di tutto tutto, pure di cose che ad una amica donna non diresti mai…Per questo sei speciale, specialissima. Sei bella e materna come solo una donna sa essere, ma sei anche genuina, spontanea e a volte un po’ scurrile come uno scaricatore di porto…

A quel punto misi da parte le mie pretese romantiche da donzella svenevole e non riuscii a trattenermi dal ridere.

- Mike mi stai elegantemente dicendo che sono una “terrona” come si dice da me…

-Eh…non lo so come si dice da te…ma se si dice così allora tu sei la mia “terrona”!

Il tempo e gli altri uomini mi aiutarono a sopportare meglio questo nuovo ruolo nella sua vita; riuscì a conoscere di lui cose che non pensavo esistessero, e se questo era il prezzo da pagare per scoprire le parti più belle e profonde di quel tesoro di persona che era Michael Jackson, non mi pento di averlo pagato anche se questo ha significato soffocare per anni i miei sentimenti.
Ma il destino continuava a fare brutti scherzi cercando a tutti i costi di strapparmi dalla faccia la maschera di confidente tutta affetto fraterno.
“Il matrimonio del mio migliore amico” non è solo il titolo di un film, aimè è quello che mi accadde nel maggio del 1994.
Era arrivato il momento fare i conti con il fatto che purtroppo io non potevo rimanere l’unica donna della sua vita.
Sopravvissi quasi indenne per anni alle costanti dicerie sulle sue presunte storie con tipe ricche e famose, ma il suo primo matrimonio fu una mazzata tra capo e collo.
Mi trovavo in Italia per un breve soggiorno di una settimana in occasione del compleanno del mio nipotino quando ricevetti quella maledetta telefonata. Era Mike che a bruciapelo mi disse che il giorno seguente si sarebbe sposato.
Rischiai di morire con la cornetta ancora attaccata all’orecchio.
Sposato? E me lo dice il giorno prima? Non sapevo cosa pensare.
Adesso le cose si facevano complicate; per quanto io gli potessi stare vicino una moglie è una moglie, dovevo accettarlo.
Quelli furono anni pesantissimi per lui, che resero il suo carattere ancora più difficile e il suo comportamento ancora più imprevedibile e infatti non mancarono litigi, allontanamenti e riappacificazioni a speziare i nostri rapporti; alle volte mi faceva incazzare come una bestia ma poi mi trattenevo dal fare delle discussioni perché sapevo che cosa stava passando e volevo solo essergli d’aiuto e non di intralcio nella sua vita.
Non condivisi parecchie sue scelte di quel periodo, tra cui quella del matrimonio che mi sembrò azzardata, frettolosa e quasi dettata obbligatoriamente dal fatto che poiché lei era la figlia di un defunto mito della musica doveva per forza stare insieme a lui che era un mito della musica vivente. Se non c’è amore non ci si deve sposare e sono convinta che non si amassero. Conoscevo sulla mia pelle il Mike innamorato e sono certa che non fosse quello.
Ma come può una che ha divorziato da qualche mese dopo un matrimonio in cui sono nati anche dei figli, risposarsi così. In questo sono all’antica e sono meridionale in tutto e per tutto, certe cose non le ho mai concepite e Mike sapeva come la pensavo sull’argomento. Era questo il reale motivo per cui non mi disse niente del matrimonio fino al giorno prima.
Lei poi non la tolleravo proprio. Questo fu un altro motivo.
Bella quanto antipatica; finta, anaffettiva e costruita. Così la etichettai in occasione di una nostra discussione accesa, proprio il giorno in cui Mike me la presentò. Come inizio della nostra conoscenza non fu dei migliori.
Pranzammo insieme e a tavola si aprì tutta una questione riguardo le proprie origini e le tradizioni del mio paese. La signorina “sono nata nella bambagia” storse il naso un paio di volte di fronte a delle mie considerazioni, il che mi fece scoppiare come una pentola a pressione. Alzai i tacchi e me ne andai. Mike mi seguì e tentò di convincermi a tornare a tavola, per la qual cosa ebbe anche da ridire con lei. Mi scusai per la mia impulsività che lui conosceva così tanto bene. Lo salutai con un “ci sentiamo”, ma non avrei mai immaginato che mi avrebbe chiamata per darmi quella notizia.
Ebbene, io a quel matrimonio non andai, non ce la potevo fare ad assistere a quella scena.
In quel periodo, nel rispetto di Mike e del suo rapporto con quella donna, tentai di non essere mai eccessivamente invadente e cercai di starmene per conto mio, lontano da lui ma soprattutto lontano da lei, innanzitutto perché non volevo dare ulteriore adito a voci che giravano tra alcuni membri della sua famiglia secondo cui io lo plagiavo e lo raggiravo a mio piacimento, e poi perché non mi andava di pressarlo. Infondo ormai ero solo una cara amica e sulle sue scelte sentimentali non potevo mettere bocca.
Ma a questo provvide la madre.
Lei e Janet erano le uniche persone della famiglia di Mike con le quali avevo dei rapporti più stretti e confidenziali.
Una sera io e Katherine assistemmo ad una discussione telefonica tra Mike e la neo-sposa. Non comprendemmo il motivo della litigata, tuttavia lui apparve particolarmente infastidito e chiuse la comunicazione sbuffando ed imprecando.

-Lo dicevo io che quella donna non me la conta giusta…Non va bene per te Mike, non ce la vedo proprio…-intervenne la madre con tono rassegnato al termine della telefonata.
-Mamma per favore…e finiscila con questa storia! Mi stressi ancora di più di quanto non lo sia già…

-Dai Mike, non la prendere a male…tua madre sta solo dicendo la sua, non rispondere così…Ognuno è libero di pensarla come vuole. Io in merito mi avvalgo della facoltà di non rispondere…-intervenni cercando di placare gli animi.

-Ecco i rinforziii! …Lo so, lo so bene come la pensi…non c’è bisogno che aggiungi altro e che contribuisca anche tu a farmi incazzare…-mi rispose lui infastidito.

-Questa ragazza parla bene Mike. Ha sempre la parola giusta al momento giusto, lei si che ha il senso della famiglia, delle cose di casa... Ma dico io, ma perché non ti sei sposato lei, ormai sono anni che vi conoscete e che vi volete bene, state sempre insieme, lavorate insieme. Mi facevate pure un nipotino ed eravamo tutti più contenti

A quel punto divenni rossa come un peperone e calò il silenzio nella stanza. Io e Mike ci guardammo in un lungo momento di complicità e sorridemmo imbarazzati.
Dovevo uscire da quella impasse e come mio solito non trovai modo migliore per farlo che incasinare ancora di più la situazione. Tentai di metterla sull’ironico.

- Katherine, sa qual è la questione? Suo figlio non mi vuole perché dice che sono uno scaricatore di porto…

-Dice questo? – rispose lei non cogliendo il mio tentativo di fare una battuta- Maleducato, irriverente. Questo ti ho insegnato?...Susie…ascolta i consigli di una che ne sa più di te; lascialo stare quello lì, non capisce niente. Si vede che non ci sono più gli uomini di un tempo. Ma non vede che sei bella come un fiore?

Sorrisi e guardai Mike facendogli una linguaccia. Lui mi ricambiò allo stesso modo. 
  
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