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Autore: Beatrix Bonnie    10/03/2011    3 recensioni
Firenze, 1488. Una giovane ragazza di nobile famiglia, scappata di casa, si ritroverà coinvolta nella ricerca di un libro di preghiere, il Libro delle Ore, lasciatole da sua cugina sul letto di morte. Ma forse tutta quella storia nasconde qualcosa di più... con l'aiuto del suo ingegno e di un ragazzino brillante, costretto dal padre alla carriera ecclesiastica, riuscirà a risolvere il mistero?
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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La festa di carnevale


Caterina non aveva nessuna intenzione di vestirsi in maniera diversa dal solito per la festa di carnevale, ma vi fu obbligata quando una serva bussò alla porta della sua piccola stanza con un vestito donatogli da Giovanni de’ Medici. L’abito era molto elegante e Caterina era sicura che fosse appartenuto a Clarice. Lo indossò con fatica perché non era più abituata a vestito ingombranti e pieni di tessuti. Giovanni era stato così premuroso da farle dono anche di una bella maschera dorata in modo da coprire il viso e non essere riconosciuta. Caterina attraversò silenziosamente l’ala dedicata alla servitù, perché sicuramente se fosse stata vista così vestita passare per quei luoghi avrebbe destato molta curiosità.

Il salone dove si sarebbe svolta la festa era una gioiosa mescolanza di colori e voci. Per fortuna, buona parte degli invitati erano mascherati e in questo modo Caterina non attirava lo sguardo di nessuno. Vide venire verso di lei l’unico personaggio di tutta la sala che non indossava un abito da festa, bensì un vestito vescovile.

Salutò Giovanni con un inchino, mentre il ragazzino le afferrò la mano sottile per baciarla. «L’avete fatto apposta.» sibilò la giovane, indicando lo sfarzoso vestito che indossava. Giovanni rise. «Oh, avanti, non lamentatevi. Vestita come un uomo avreste attirato troppo l’attenzione.» le rispose, mente gli occhi vispi brillavano nella sua direzione. Come al solito il ragazzino aveva ragione.

«Potevate sceglierne un meno ingombrante, non credete?» si lagnò Caterina, osservando con costernazione il suo abito. «No, perché non resistevo all’idea di vedervi vestita come si conviene ad una dama del vostro rango!»

Caterina sbuffò e Giovanni sorrise compiaciuto. Girovagarono per la sala osservando i giocolieri, i musici e i poeti che si esibivano per dilettare i commensali. Caterina ebbe un sussulto quando riconobbe suo padre seduto al fianco di Lorenzo de’ Medici. Giovanni, avendo capito cosa avesse spaventato la cugina, la rassicurò dicendo che era impossibile che la riconoscesse, così vestita.


Al fianco del Signore di Firenze sedevano gli aristocratici, ognuno dei quali era impegnato in una conversazione più o meno interessante con il proprio vicino. Uno dei più intimi di Lorenzo, che stava osservando da lungo tempo la sala, gli si accostò e, indicando con un cenno del capo Giovanni, domandò: «Questa festa non è proprio adatta ad un giovane ecclesiastico. Non credete sia troppo mondana per colui che si occupa delle faccende di Dio?» Lorenzo distolse lo sguardo dalla sala e si voltò verso il suo interlocutore. «Giovanni è tanto giovane che mi sembra una crudeltà privarlo di questi piccoli svaghi.» rispose con noncuranza. Il nobile osservò per un attimo la figura femminile che accompagnava il vescovo e poi chiese: «Chi è la misteriosa dama con la quale Sua Eccellenza passa la serata?»

«Non saprei.» rispose Lorenzo anche se era quasi certo che sotto la maschera dorata di nascondesse il viso di Caterina. Sperava che il suo amico recepisse il messaggio implicito e lasciasse morire la conversazione, ma l’uomo sembrò non aver capito. «Bella non si più certo dire, è troppo magra e minuta; però ha un che di signorile, che la rende affascinante, non travate?» Lorenzo non rispose. Era vero che Caterina non rispettava esattamente i canoni di bellezza dell’epoca, però aveva un viso tanto dolce, tanto simile a quello della sua Clarice. Lorenzo lanciò uno sguardo verso Orsini e si rasserenò vedendo che era intento in una conversazione e che non aveva notato che sua figlia era nella sala. Il suo amico stava per aggiungere qualcosa, quando Granacci, da un angolo della sala, gli fece un cenno del capo e Lorenzo fu costretto ad alzarsi in piedi per reclamare il silenzio.

«Miei cari ospiti! È un vero onore presentarvi, per il vostro piacere e divertimento, Il Trionfo di Emilio Paolo, ad opera de Francesco Granacci!»

Nella sala risuonò un forte applauso e l’artista si inchinò varie volte. Al suo cenno entrarono a passo di marcia degli attori vestiti da soldati romani e altri da asiatici. Si disposero in mezzo alla sala formando un corridoio per il quale passò un centurione con un grosso elmo piumato, evidentemente Emilio Paolo.

Caterina e Giovanni assistevano divertiti alla rappresentazione della guerra storica. La giovane osservò per un attimo le armature asiatiche dei soldati e si rivolse sussurrando al cugino: «Non dovrebbe trattarsi della vittoria del console romano Lucio Emilio Paolo?» Giovanni annuì pensoso. «Si, la battaglia con la quale si concluse la guerra macedonica. Perché me lo chiedete?»

«Esattamente, guerra macedonica. Queste armature sembrano un po’ troppo asiatiche.»

Giovanni annuì con aria indulgente. «Avete ragione, però fanno molta più scena queste.» disse accennando con il capo ai soldati.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi il giovane ecclesiastico alzò una mano come illuminato da un’idea improvvisa.

«Com’era quell’indovinello? Macedone e Africano o qualcosa del genere?» domandò rivolto alla cugina. Caterina ripeté a memoria le prime righe: «Una sola volta nato, eppur due padri gli diede il fato, macedone e africano.» Giovanni alzò un dito come ammonimento e esclamò: «Lucio Emilio Paolo, detto il Macedonico!» Caterina rifletté un attimo sulle parole del cugino, ma c’era ancora qualcosa che non quadrava. «Ma quell’africano che centra con Emilio Paolo?» domandò. Giovanni abbassò il capo: la giovane aveva ragione.

Rimasero ancora per qualche attimo in silenzio, ognuno concentrato sulla falsa speranza che avevano avuto di risolvere l’indovinello. Poi una nuova idea colpì Caterina come una doccia di acqua fredda. «Aspettate un attimo… come si chiamava il figlio di Emilio Paolo?» chiese in un sussurro. «Non aveva figli… oh no, aspettate! Ma certo! Cornelio Scipione l’Emiliano!» rispose esultante Giovanni.

Si allontanarono dal centro della sala per non destare troppe attenzioni e cercarono di riordinare le idee. Giovanni iniziò ad analizzare pezzo per pezzo l’indovinello: «Eppur due padri gli diede il fato. Ovvio! Emilio Paolo, il padre naturale, da cui deriva il cognomen Emiliano…»

«E il padre adottivo Cornelio Scipione, suo cugino, figlio maggiore di Cornelio Scipione l’Africano Maggiore.» concluse Caterina. «Già.» confermò Giovanni «Da cui prende il cognomen Africano Minore.» La giovane ripensò un attimo all’indovinello e si consultò con il cugino sulla parte che diceva Scopri il nome del duce profano. Giovanni rifletté un attimo, poi rispose con sicurezza: «Mia madre era profondamente cristiana e deve aver giudicato immorale Cornelio Scipione, per aver raso al suolo Cartagine e Numanzia senza pietà.»





Scusatemi per il ritardo nell'aggiornamento... mi ero riproposta di aggiornare ogni martedì ma in questi giorni sono stata aggredita da una folla di impegni!

Spero che il capitolo sulla festa di carnevale, realmente svoltasi a Firenze in quegli anni, proprio con uno spettacolo di Granacci, vi abbia soddisfatto. I due cugini sono riusciti a scoprire il significato dell'indovinello e ora ci avviciniamo alla fine del mistero!

Alla prossima,

Beatrix


   
 
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