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Autore: foxfeina    11/03/2011    8 recensioni
Non conservo un diario segreto da quando ero un bambino. Me l'aveva regalato mia madre, per Natale. Avevo sei anni. Mi ha detto “Tienilo con te e, adesso che sai scrivere, nascondi lì dentro tutti i tuoi pensieri. Anche i tuoi segreti.” Mi ha abbracciato, e miei occhi brillavano di gioia.
I primi giorni non sapevo cosa scrivervi. Mi sforzavo, mettendomi a pensare interi minuti: dovevo pur avere qualcosa che avevo voglia di dire! Adesso, ripensandoci, non mi biasimo troppo.
C'era così poco di strano, nella mia vita...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin | Coppie: Remus/Sirius
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Autore: foxfeina

Titolo: “Caro diario”

Pairing: Remus/Sirius

Citazione scelta: “Mi sento come un puzzle con un tassello mancante, e non so neanche quale sia

NdA: l'unica cosa che intendo specificare è che le mie intenzioni sono quelle di fare sembrare questa fic una pagina di diario a tutti gli effetti. L'eventuale frammentarietà, quindi, è dovuta a questo. Leggetela come tale :)


Caro diario



25 Febbraio 1977

Non conservo un diario segreto da quando ero un bambino. Me l'aveva regalato mia madre, per Natale. Avevo sei anni. Mi ha detto “Tienilo con te e, adesso che sai scrivere, nascondi lì dentro tutti i tuoi pensieri. Anche i tuoi segreti.” Mi ha abbracciato, e miei occhi brillavano di gioia.

I primi giorni non sapevo cosa scrivervi. Mi sforzavo, mettendomi a pensare interi minuti: dovevo pur avere qualcosa che avevo voglia di dire! Adesso, ripensandoci, non mi biasimo troppo.

C'era così poco di strano, nella mia vita...

Alla fine trovai una soluzione, dal momento che mi piangeva il cuore nel guardare quelle pagine tutte ugualmente bianche. Iniziai a presentarmi al diario, parlando di me. Scrissi che mi chiamavo Remus John Lupin, che abitavo nello Yorkshire e che avevo un cane di nome Billo. Scrissi anche che avevo una famiglia bellissima, che volevo tanto bene ai miei genitori. E che ero felice.

Tutto era diverso, quando avevo sei anni. E sette. E anche otto.

Le mie giornate erano un po' tutte uguali, forse: scuola, gioco, merenda, famiglia. Quali parole più belle di quelle che ci ricordano l'infanzia?

Presto iniziai a prendere confidenza con quel diario. Divenne depositario di progetti, racconti fantastici, barzellette appena sentite, scarabocchi fuoriusciti dalla piuma per puro passatempo.

Gli diedi un nome: pensavo fosse giusto che lo avesse. In fondo non era più solo carta, lo sentivo quasi come un amico. Non come quelli di scuola, con loro mi divertivo di più. Ma pur sempre un amico. Lo chiamai Eolo, come il Dio dei venti: la maestra ci aveva raccontato quel giorno qualcosa su di lui, e io avevo trovato il nome estremamente simpatico. Non più “Caro diario”, ma “Caro Eolo”. Sapeva di giusto, di intimo. Durò poco, comunque.

Una settimana dopo mi ero reso conto che un uomo non avrebbe mai ascoltato così di buon animo le mie confidenze. In fondo, papà si imbarazzava sempre un po' quando i discorsi ricadevano più sul personale. Per cui decisi che il mio diario sarebbe stato un'amica, anziché un comunissimo amico.

E quanto ero orgoglioso della mia scelta! Da quel giorno, iniziai a parlare con Amelia. Un nome scelto a caso, tra le persone che conoscevo. Sì, Amelia.

Dopo poco più di un anno cambiai ancora. Conobbi al parco una bambina, bella e dagli occhi chiari. Credetti di essermi innamorato. Il colpo di fulmine, sì, doveva essere quello. Con il cuore leggero e gli occhi sognanti tornai a casa, aprii il diario e lasciai due pagine in bianco. Sulla terza scrissi, a grandi lettere “DAISY”. E dal quel giorno, fino a che il diario non finì nello scatolone delle cose dimenticate, mi rivolsi a lei.

Non ricordo esattamente quando lo riposi per sempre. Prima di essere morso, ne sono certo.

In tutte quelle pagine il dolore più grande raccontato è stato forse quello di essere rifiutato da una ragazzina. Fatto sta che, ad un certo punto, smisi di scrivervi. All'inizio tentavo di non perdere l'abitudine, con grande sforzo, pur non trovando niente da dire. A volte mi limitavo a scrivere la data del giorno e una misera frasetta “Cara Daisy...nulla di nuovo”.

Poi abbandonai del tutto quel misero tentativo, e chiusi definitivamente il lucchetto.

Forse avrei avuto bisogno di quel diario, nei due anni che seguirono...sì, forse mi avrebbe aiutato.

Avevo nove anni quando la mia vita cambiò in maniera così radicale. E' inutile parlare di quello che vissi, l'ho esorcizzato abbastanza ormai.

La solitudine, il dolore e l'infelicità di quei momenti si dissolsero lentamente quando raggiunsi Hogwarts. Quando incontrai loro.

Tutt'oggi non sono ancora sicuro di aver dimostrato ai miei amici tutta la gratitudine che ho nei loro confronti, per avermi accolto nel gruppo, per non avermi considerato diverso.

Se i miei genitori – mia madre in particolar modo, in quanto strega – avevano tentato di tutto per curare la mia Licantropia, quei tre ragazzi dall'aria malandrina riuscivano spesso a farmene dimenticare. Ed è così anche adesso, dopo sette anni insieme.

James, con il suo spirito allegro e quella noncuranza sfacciata nel parlare del mio “piccolo problema peloso”. Peter, con le sue domande sempre un po' fuori luogo e il suo profondo desiderio di essere come noi. E poi...Sirius.

Ho evitato di pensarci, fino ad ora, ma in fondo so che questa pagina di diario – la prima, dopo così tanti anni – nasce per colpa sua. Colpa, non merito.

Eppure...in fondo non è colpa sua, se è nato con quella maledetta bellezza.

Non è colpa sua se ha gli occhi più accattivanti che io abbia mai visto.

Non può essere colpa sua se è così dannatamente...speciale.

Che colpa ne ha, lui, se sento lo stomaco formicolare quando si avvicina? Cosa può farci se ogni pacca sulla spalla risveglia in me il desiderio di un abbraccio, una carezza, un bacio leggero?

Lui non si rende nemmeno conto, nella sua noncuranza, nella sua euforia verso l'intero mondo.

Per Sirius Black, tutto è semplice. Guarda e conquista, desidera e ottiene. Almeno in amore.

Noi, i Malandrini, sappiamo cosa c'è oltre quella scorza che si ostina ad ostentare a mo' di maschera, conosciamo il suo passato in tutte le sfumature più dolorose.

E come posso non amarlo ancora di più, conoscendo così a fondo la persona meravigliosa che è?

Sì. Per quanto io possa tentare di nasconderlo persino a me stesso, è così. Lo amo.

Stento ad immaginare quale potrebbe essere la sua espressione, se leggesse queste parole. Forse corrugherebbe la fronte, guardandomi confuso. Eviterebbe una faccia schifata giusto perché sono uno dei suoi migliori amici e non vorrebbe mai offendermi. Poi, magari, scoppierebbe a ridere, complimentandosi per uno scherzo così ben riuscito. Eppure quei due dovrebbero averlo capito, ormai, che non sono affatto bravo con gli scherzi...

E' difficile esprimere quello che provo, adesso. In parte sconforto perché, rileggendomi, mi rendo conto di aver dato più spazio al ricordo, che al momento attuale: ed è male. In parte desolazione, perché so già che queste parole sono e resteranno sempre un inutile sfogo di un ragazzo dai troppi pensieri, che ancora – dopo tutto questo tempo – non può fare a meno di nascondere qualche segreto ai suoi amici. Come posso farglielo capire? Come posso...come? Sapendo già come andrebbe a finire, poi.

Imbarazzo, raffreddamento dei rapporti e un inutile tentativo di “metterci una pietra sopra”.

Mi sento come un prigioniero che si aggrappa alle sbarre della sua cella, nella speranza che qualcuno lo aiuti a scappar via.

Come un bambino che cerca di fare qualcosa che è troppo grande e difficile per lui, e se ne rende conto. Però continua a provare, perché i bambini sono caparbi; o almeno, io lo ero.

Mi sento come un puzzle con un tassello mancante, e non so neanche quale sia.

Sono bugiardo ancora una volta, anche con me stesso. So benissimo che è lui, il mio tassello mancante. Chissà, forse tra qualche anno mi limiterò a riderci su...

Ed eccomi qui. Seduto a questa scrivania dall'aria malandata, a scrivere parole inutili di un passato che mi fa sorridere e del presente che mi vede più confuso che mai.

So che questa vecchia agenda dalla copertina in pelle, regalatami da Lily al mio ultimo compleanno, non si trasformerà mai in diario: resterà un insieme di fogli pieni di promemoria, come è giusto che sia. Non so cosa ne sarà di queste pagine. Forse domani stesso le farò scivolare tra le fiamme del caminetto, in Sala Comune. O forse le nasconderò semplicemente, finché non mi dimenticherò della loro esistenza. Se di una cosa sono sicuro, è che nessun altro poserà gli occhi su di loro.

Non finché non sarò pronto, almeno.

Daisy era una bambina bellissima. Ricordo solo questo, di lei.

Le ho voluto dedicare tanti piccoli pezzi di me stesso, che resteranno per sempre suoi. Anche se non lo saprà mai. E, anche se non sto scrivendo un diario, sento la necessità – il bisogno puro ed impellente – di rivolgere a qualcuno le mie parole, come mi sono ormai irrimediabilmente abituato a fare. E non è la mia Daisy, stavolta.

Sono sicuro del nome che avrebbe il mio diario, adesso, se non mi sentissi troppo grande per possederne uno. Sirio.

La stella più brillante del cielo. La più bella.



Remus

   
 
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