Come trovare guai quando questi stanno
alla larga
“Deserto, deserto… e ancora
deserto” commentò Bakura, guardandosi attorno. “Decisamente, Kaiba è un
imbecille. Cosa spera che riusciamo a fare qui?” Scoccò uno sguardo alle
montagne in lontananza. “Quella dev’essere la Valle dei Re…”
Marik, abituatosi facilmente a quel sole
caldo con il quale aveva sempre convissuto, si stava esaminando con curiosità
il guanto che gli avevano fatto indossare, domandandosi a cosa potesse mai
servire. Sperava che, in qualche modo, fosse collegato con la strada per il
ritorno a casa. In quel momento, il pulsante blu sul dorso si illuminò.
“Ehi, mi sentite?” uscì la voce di
Kaiba.
Titubante, Marik premette il pulsante, e
ne uscì immediatamente piccolo schermo proiettato, dal quale spuntava il viso
di Seto.
“Siete arrivati?” gli domandò lui,
spiccio.
“Si, ma… Dove cazzo ci hai
mandato?!” intervenne Bakura, che aveva una gran voglia di picchiarlo.
“Dovreste essere nel mille e trecento
ventotto avanti Cristo, non troppo lontani da Luxor” spiegò lui brevemente.
“La macchina del tempo non ha una precisione geografica. Adesso, ascoltatemi.
Questo schermo mi serve per comunicare con voi in caso di emergenza, ma non
solo. È anche la vostra macchina del tempo portatile. Lo vedi quel simbolo in
basso a destra?”
Marik osservò il fondo dello schermo,
dove appariva più nitido un quadratino con il disegno di una chiave. Lo toccò
leggermente, e l’immagina proiettata cambiò: divenne una cartina approssimata
dell’Egitto, con sotto una specie di contatore della data e dell’ora. “Si,
lo vedo”
“Ti basta cambiare direttamente lì per
spostarti dove vuoi, ma…” lo avvertì. “Io controllerò sempre la
situazione dalla postazione di controllo. Nel frattempo, cercherò anche di
scoprire esattamente in che punto sia avvenuta la distorsione, o almeno di
isolare una parte di tempo. A più tardi” E interruppe la comunicazione senza
nemmeno salutarli, facendo spegnere lo schermo.
“Ciao…” sospirò Marik scuotendo la
testa. aveva fatto un grosso errore a seguire Bakura, lo sapeva, ma ormai era
troppo tardi per rimediare. “Il problema è che non sappiamo nemmeno da dove
cominciare… Se solo conoscessimo il nome del Faraone, sapremmo dove
andare…”
“Io lo conosco” commentò Bakura con
un’alzata di spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Co-co-cosa?!” esclamò Marik,
guardandolo con occhi spalancati. “Tu conosci il nome del Faraone Senza Nome,
segreto che la mia famiglia custodisce da anni e che è- era tatuato sulla mia
schiena?”
“Frena, frena” Bakura incrociò le
braccia. “Sai bene che in Egitto c’è differenza fra nome proprio e nome
segreto. Quello che conosco io è il primo, ed è pure scritto sui libri di
testo, il secondo è quello che non conosce nessuno, nemmeno lui stesso” Gli
scoccò un’occhiata eloquente. “Come suppongo che “Marik” sia il tuo
nome segreto e “Namu” il tuo nome proprio…”
L’egiziano ignorò la seconda parte
della frase. “Basterà sapere il primo. Chi è?”
“Ramses” rispose l’albino.
“Ramses I, il capostipite della diciannovesima dinastia”
A sentire quel suono, Marik non potè
fare a meno di sorridere. Nel futuro, stavano chiamando con la parola “Yami”,
oscurità, qualcuno che, in realtà, era “il figlio della luce”: fortuna che
un nome aveva smesso di decidere un destino. “Siamo nel mille e trecento
ventotto, quindi sotto il regno di Horemheb… Anno undicesimo, direi, perciò
dobbiamo spostarci di-” Stava per premere di nuovo il pulsante, quando fu
interrotto da un leggero urlo che attraversò il deserto, espandendosi in tutte
le direzioni. “Cos’è?”
“Lascia perdere” tagliò corto Bakura.
“Dicevamo?”
Un altro urlo, identico al precedente, li
interruppe nuovamente. Non sembrava qualcuno in pericolo, o il grido di una
persona spaventata, però era una richiesta di aiuto estremo, qualcosa di dolce,
triste e preoccupato allo stesso tempo.
“Viene da quelle rocce…” commentò
Marik, voltando leggermente la testa. Non l’aveva detto, ma dalla sua voce
traspariva chiaro il desiderio di recarsi per controllare la situazione.
Bakura sospirò, quindi, senza nulla
aggiungere, iniziò a comminare per dirigersi in quella zona, con il suo amico
che lo seguiva, sempre attirati dalle urla che proseguivano a intervalli
regolari. Affacciandosi da una delle pietre rotolate dalla cima della montagna,
scoprirono ben presto la causa di tutto quel baccano. Una donna, dai lunghi
capelli neri lucidi, stava sdraiata per terra, con le gambe aperte e piegate a
v, e l’addome gonfio completamente sporco di sangue per un parto che si
annunciava difficile.
“Dai, andiamocene” disse Bakura,
ritornando sui suoi passi. “Ti ricordo che noi siamo venuti a riportare il
passato al suo posto, non a modificarlo ulteriormente”
Certo, questo Marik lo sapeva molto bene.
“Però…” Come non ricordarsi che sua madre era morta nel farlo nascere? Da
un ricordo del genere, come poteva trovare dentro di sé la forza di abbandonare
una donna nelle stesse condizioni? Lui non era un bravo ragazzo, lo ammetteva,
ma in quel caso sentiva di dover fare qualcosa, solo per evitare che a qualcuno
potesse capitare ciò che era invece accaduto a lui.
“Oh, e va bene!” acconsentì infine
Bakura, sapendo come sarebbero andate a finire le cose. I due uscirono quindi da
dietro la roccia e si avvicinarono alla donna.
Lei, non appena li vide, alzò
leggermente la testa, e sorrise. “Gra… Zie…” disse solo, lasciando che
una delle tante gocce di sudore che le attraversavano il viso le scivolasse in
bocca.
“Adesso ci pensiamo noi” assicurò
Marik, che in realtà non sapeva esattamente che cosa fare. Si chinò
leggermente, giusto per vedere la vagina, completamente sporca di sangue, che si
allargava e restringeva a ritmo costante, cercando di spingere fuori quello che
si trovava all’interno del ventre. Scoprì in quel istante che non sarebbe mai
diventato medico.
“Se usassimo il metodo usato da Ace
Acchiappanimali?” propose Bakura. “Spingiamo sulla pancia e lo spariamo
fuori”
“Si, sicuramente” commentò Marik
senza prestargli ascolto. Allungò leggermente le mani verso la donna, quindi le
ritrasse. Fece così un paio di volte, finché Bakura non irritò il suo
orgoglio chiedendogli se stesse facendo una qualche danza propiziatoria. “Mi
vergogno… A toccarla lì” ammise infine.
“Sei proprio un incapace” Bakura alzò
gli occhi al cielo. “Lascia, faccio io” Si mise al suo posto e, senza alcun
problema, infilò le mani ai lati della vagina, cercando di allargala, quindi
spinse le dita un poco più in profondità, sentendo che toccavano qualcosa di
duro all’interno. Cercò di stringere più che poteva quell’oggetto viscido
e di estrarlo. Marik, solo per avere l’impressione di fare qualcosa, si
avvicinò alla donna e le asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto.
“Oh, spinga, signora!” esclamò ad un
certo punto Bakura. “Non è che posso fare tutto io!”
“Lo… So…”
Infine, il ragazzo sentì quella cosa
viscida fasti strada tra le sue dita, e diventare più grossa. Allora estrasse
le mani e cercò di allargare il varco più che poteva, finchè l’intera testa
del bimbo non spuntò all’esterno. Allora la prese, senza troppe precauzioni,
e iniziò a tirarlo con più grazia di quanta ne avesse finchè, con un ultimo
urlo, il neonato nacque del tutto, liberando il ventre della madre che si lasciò
andare ad un lungo sospiro.
Bakura, solo per il gusto di completare
un lavoro, liberò il collo del bambino dal cordone ombelicale che stava
rischiando di soffocarlo e glielo tagliò con il coltello a serramanico che
portava sempre nella tasca dei jeans bianchi.
“Perché… non piange?” domandò
Marik tremando, mentre si avvicinava per controllare meglio la situazione.
“Che ne so, io” borbottò Bakura,
cercando di liberarsi dal cordone ombelicale che si infilava dappertutto.
“Forse è morto”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!”
Per non sentire ulteriormente le
lamentele del suo amico, Bakura iniziò a schiaffeggiare le guance paffute del
neonato, per farlo riprendere. “Ehi, sveglia, è ora di colazione”
Finalmente, il bimbo allungò le braccine e le gambine, muovendo i muscoli per
la prima volta, fece il suo primo vero respiro, che portò dentro di sé anche
il soffio della vita e, infine, iniziò a piangere.
La donna, nel frattempo, stava cercando,
con enorme fatica di alzarsi. “Presto… Bisogna dargli un nome! O i demoni lo
divoreranno…”
“Un nome?” commentò Bakura. “Ma
come…” Guardò il bambino. “A… A… At…”
“Athemu” terminò la parola Marik,
limitandosi ad aggiungere la parola egiziana che valeva per servo, semplicemente
perché gli sembrava che stesse bene con le prime due lettere trovate
dall’altro.
“Atemu? Ma che nome è?” Bakura fissò
prima l’amico, poi il bambino e infine dedusse che non gliene importava poi
molto di tutta quella storia.
“Atemu…” ripetè la donna, che era
riuscita finalmente ad alzarsi. “E’ un bel nome” Prese delicatamente il
bambino, e se lo appoggiò al seno, cullando per far cessare le lacrime. Poi
fissò i due ragazzi, sorridendo. “Tu sei egiziano…” disse a Marik. “Tu
invece no…” Bakura si astenne dallo spiegarle che, in realtà, lo era anche
lui. “Questi sono brutti tempi per venire nella nostra terra, visto che siamo
in guerra con gli Ittiti” Sospirò, guardando il piccolo Atemu che, ignaro di
tutto, si stava riaddormentando nelle sue braccia. “Anche se Akunakamon li
combatte da sempre, quelli diventano sempre più forti…”
“Akunakamon è il nome segreto di
Horemheb” sussurrò Bakura a Marik prima che quest’ultimo chiedesse
spiegazioni che avrebbero potuto insospettirla più degli strani abiti che
indossavano.
“Atemu sarà il suo nome segreto…”
riflettè lei, accarezzando leggermente una guancia al bambino, e passando un
dito sui capelli neri che aveva già folti. “Per il nome proprio, però,
vorrei qualcosa di più significativo… Qualcosa che ricordi Ra…”
Approfittando di questo momento poetico
in cui la donna si era immersa, Marik e Bakura, avendo portato a termine la loro
buona azione quotidiana, pensarono bene di defilarsi prima di essere coinvolti
ancora. Si allontanarono di un centinaio di metri, nascosti dietro un’altra
roccia.
“Allora, abbiamo detto che siamo nel
mille e trecento ventotto avanti Cristo” Marik premette il pulsante blu sul
suo guanto, facendo apparire la solita schermata. “Il primo anno di regno di
Ramses I risale al mille trecento quattordici… E la capitale era Menfi…”
Premette prima il tasto della città sulla cartina, quindi iniziò a scalare gli
anni nel contatore per riuscire a raggiungere la cifra esatta.
Prima che finisse, tuttavia, un uomo a
cavallo arrivò dietro di loro, galoppando silenziosamente. “Che state
facendo?” chiese, poiché nessun estraneo avrebbe dovuto avvicinarsi alla
Valle dei Re.
Preso alla sprovvista, Bakura per prima
cosa si spaventò, quindi, rientrato in possesso delle sue facoltà mentali nel
giro di cinque secondi, premette sulla schermata il tasto “invio” ancora
prima che Marik avesse completato di selezionare l’anno. La macchina del tempo
si mise in funzione ugualmente, portandoli nel luogo e nel momento che avevano
scelto a loro stessa insaputa.
*-*-*
Nel frattempo, circa tremila anni più
tardi, il gruppo di detective composto da Yuugi, Honda, Anzu e Jounouchi si era
recato in uno dei quartieri più poveri di Domino City, ovvero la periferia ad
ovest, dove il biondo ricordava si trovasse la casa di Hirutani.
“Io sono sempre più convinto che non
può essere stato lui” commentò Honda, mentre i quattro ragazzi salivano le
scale sporche e lise di uno dei tanti condomini popolari che componevano quella
zona. “D’accordo, vi odia, ma da essere così scaltro da andare addirittura
nel passato…”
Jounouchi non lo ascoltò minimamente. Si
limitò a proseguire il suo cammino fino ad arrivare davanti ad una porta
anonima in legno, completamente rigata, che dava l’impressione di dover cadere
da un momento all’altro. Bussò, ma non ricevette alcuna risposta. Allora,
senza nemmeno aspettare, prese una rincorsa e sfondò la porta con una spallata.
“Jounouchi!” esclamò Anzu. Anche
Yuugi non lo riconosceva più: certo, non era mai stato particolarmente calmo di
carattere, ma ne passava di acqua sotto i ponti fino all’arrivare allo
sfondare una porta solo perché non qualcuno non aveva risposto.
Il ragazzo, cercando di ignorare i giusti
commenti dell’amico, entrò per primo nella prima stanza della casa, un ampio
salotto completamente occupato da riviste porno e vestiti smessi, sparsi nel
pavimento assieme a scarti di cibo, lattine di birra vuote e altra spazzatura
varia. L’odore di chiuso e di marcio gli penetrò nelle narici, e dovette
portarsi una mano sulla bocca e stringerla forte per non vomitare. Riconobbe
anche un altro puzzo: quello dell’alcol, che caratterizzava anche la sua
stessa casa, a causa di quell’ubriacone di suo padre al quale, tuttavia,
voleva ancora un poco di bene.
Hirutani era completamente stravaccato
sul divano, con i piedi appoggiati ad una pila di riviste davanti a lui. In
mano, stringeva ancora una lattina di birra vuota, e un filo di quel liquido gli
usciva ancora dalla bocca. Avvicinandosi a lui, potè notare i vestiti sporchi e
i capelli unti, segno che era passato molto tempo dall’ultimo bagno.
“Non entrate” ordinò Jounouchi, con
una voce così seria da farsi ubbidire immediatamente. Vedendo il suo ex-amico,
era divenuto subito chiaro anche a lui che non si trovava di fronte il
colpevole. “Che diavolo stai facendo?” gli domandò.
Hirutani staccò per un attimo gli occhi
dal televisore spento che stava guardando. “Ah… Sei tu…” Ma sembrava che
non l’avesse riconosciuto veramente.
“Ti ho chiesto che diavolo stai
facendo” Lo afferrò per un braccio e gli sollevo la manica, scoprendo il
livido blu sulla vena, rimasuglio di numerose iniezioni. “Che cazzo stai
facendo, eh? Che cazzo fai?!”
“Eh… Eh…” Sorrideva, ma senza
alcuna gioia o soddisfazione. Sembrava uno spasimo di morte.
Il biondo sospirò, quindi lo rigettò
sul divano con forza. Si diresse verso il bagno, una piccola stanzetta buia e
ancor più soffocante, e iniziò a cercare nei cassetti e negli armadietti,
finché non trovò quello che cercava: delle siringhe e una serie di boccette
contenenti un liquido trasparente. Le afferrò con l’intenzione di gettarle
via, ma, prima che potesse farlo, Hirutani lo afferrò per un polso, senza
alcuna forza.
“Tu… Che cazzo stai facendo?” Ma
Jounouchi lo scaraventò contro la parete opposta con un calcio. Hirutani cadde
in ginocchio, quindi si trascinò lentamente fino ai suoi piedi e gli strinse le
gambe. Piangeva. “Per favore… Dammelo… Ne ho bisogno… Dammelo…” lo
supplicò, cercando una forza che non possedeva più.
Jounouchi gettò tutte le boccette nel
water, stando bene attento a romperle nell’impatto, quindi tirò lo
sciacquone. Poi se lo scrollò di dosso e lo abbandonò nel bagno, ancora in
lacrime pietose, e uscì con sollievo da quella terribile casa. “Chiamate
un’ambulanza” disse solo ai suoi amici, prima di scendere le scale del
palazzo.
Anzu prese il suo cellulare e fece come
le era stato chiesto, mentre, assieme a Yuugi e Honda, seguiva il ragazzo fino
in strada. Jounouchi continuava a camminare senza aspettarli. “Mi domando
perché si senta così in colpa” commentò una volta terminata la telefonata.
“Dopo tutto quello che Hirutani gli ha fatto…”
“Ti sbagli” la contraddisse Honda.
“Non è senso di colpa, è paura. Jounou si è appena reso conto che avrebbe
potuto fare la sua stessa fine, se fosse rimasto con lui… Se non avesse
conosciuto te, Yuugi”
Il ragazzo, sorpreso da quelle parole,
distolse per un attimo lo sguardo dalla schiena del suo migliore amico, che
camminava qualche metro davanti a lui.
“Tu ci hai salvato” aggiunse Honda,
sorridendo.
“Ehi, muovetevi, lumache!” chiamò
Jounouchi. “Qui, il tempo non solo manca, ma cambia anche! Dobbiamo
sbrigarci”
Yuugi sorrise debolmente alle frasi dei
suoi amici, ma in fondo al cuore non riusciva del tutto a crederlo. In realtà,
erano loro che avevano salvato lui, sempre, a partire dall’altro sé stesso.
Era solo un ragazzino debole e magrolino, che tutti scambiavano per uno studente
delle elementari, il cui unico pregio era elaborare delle strategie a Magic&Wizards.
Quello che aveva chiesto al puzzle erano degli amici… E li aveva trovati. Da
solo, ci sarebbe mai riuscito? Ricordando la visione della dimensione
alternativa che aveva visto la mattina, non ne era affatto convinto. Ma non gli
restava che proseguire sulla via che aveva tracciato, riprendendosi la metà
della sua anima, pensando solo che aveva voglia di rivederla. Dopotutto, a
nessun essere umano dovrebbe essere concesso di vedere il “se avessi fatto
questa cosa al posto di un’altra”, perché generalmente si finisce per
pentirsi delle proprie scelte.
Nella
prossima puntata… Hola!
Passi
che sono agli ordini di Kaiba. Passi che sono in compagnia di Marik. Passi che
sono qui a perdere tempo. Passi che sto per salvare il mio peggior nemico. Ma il
baby-sitter non lo faccio nemmeno morto, capito?!
Prossima
puntata: “Meet the little pharaoh” Non perdetela!
Ringrazio
tutti per aver letto la mia storia e soprattutto bnr (sono contento che lo stile
ti piaccia e che, soprattutto, si capisca che cosa sta succedendo… Visto tutti
i personaggi che bisogna far interagire assieme…), Death Angel (grazie dei
complimenti, ma non preoccuparti, so che non posso competere con Harry Potter!
^_-), Evee (grazie mille, sono contento di non aver fatto OOC, è una delle mie
più gradi preoccupazioni… Spero che questo capitolo non ti abbia delusa,
nonostante l’anticipazione forse un po’ esagerata), Ita rb (non preoccuparti
se non hai recensito la scorsa volta, sono comunque contento che la storia ti
piaccia e sarà un onore entrare nei preferiti, ci mancherebbe!), Ayu chan (Seto
dice che lasciare Bakura nel passato potrebbe sconvolgere il corso della
storia… Tranquilla, Yami apparirà nel prossimo capitolo, anche se forse non
alle dimensioni consuete… E mi fa piacere che tu abbia apprezzato l’idea
delle anticipazioni ^^), Eli (ti assicuro che il film è molto meglio della mia
storia… Guardalo e poi mi dirai ^_- Mi fa piacere che le anticipazioni ti
piacciano, così in stile anime) e Ishizu (anche se non ho ben capito cosa
volessi dire… Vuoi fare anche tu una storia su “Ritorno al futuro”?)
Come
Death Angel e Evee mi hanno consigliato, metto la traduzione dei termini
giapponesi:
Mou
hitori no boku: l’altro me stesso (Yuugi indica Yami)
Mou
hitori no Yuugi: l’altro Yuugi (gli altri indicano Yami)
Bonkotsu:
uomo comune (Kaiba indica Jounouchi – la traduzione migliore sarebbe
“insignificante”)
Kun:
non ha nessun significato in italiano, è solo un vezzeggiativo che si usa
Credo
di averli messi tutti… Se così non fosse, avvertitemi. Grazie ancora a tutti,
ci vediamo alla prossima, spero presto.
Hui
Xie