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Autore: isachan    12/03/2011    8 recensioni
"Forse era stato in quell'istante... quando, passeggiando per le vie della sua Tokyo, Akito le aveva involontariamente sfiorato una mano.
Un gesto normale, ovvio per due fidanzati.
Forse fu proprio in quel pomeriggio che Sana Kurata pensò per la prima volta che la mano di Akito sarebbe stata quella che avrebbe stretto per tutta la vita."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salveeeeeeeeeeeee!!! E come ogni sabato.. Buona lettura.. ^^

 

 

CAPITOLO UNDICI: GIARDINO

 

 

 

Dopo aver girato a vuoto tra i cespugli e gli alberi spogli e ricoperti di neve per un bel po’ di minuti, finalmente la vide.

Se ne stava immobile con i gomiti poggiati ad una piccola ringhiera in legno e con lo sguardo rivolto verso il cielo stranamente limpido.

Aveva scelto l’unica zona di quell’enorme giardino priva di lampioni accesi, per questo ad illuminarla c’era solo il tenue bagliore della luna piena.

Gli sembrò bellissima. Talmente bella che restò per qualche secondo ad osservarla in silenzio, nascosto dietro il tronco di un albero come un bambino spaventato.

Non essere idiota, Akito. È Sana… da quando ti imbarazza parlare con lei?

Giusto. Lei era Sana. Nonostante tutto il tempo sprecato, in lei c’era sempre la bambina ficcanaso e rumorosa di cui si era innamorato.

Doveva essere lì da qualche parte, sotto quella pelle che non toccava da troppo tempo, in mezzo a quei capelli che si muovevano leggeri ad ogni alito di vento, dentro a quegli occhi che ormai avevano perso la capacità di brillare.

Si, doveva esserci. Ben nascosta dagli errori e dalle bugie, dall’egoismo cresciuto di pari passo con l’età,… lì, dove solo lui avrebbe potuto trovarla, doveva esserci la sua Sana.

Voleva rivederla, parlare con lei e prenderla in giro per farla incazzare. Ridere come uno stupido ad ogni sua ridicola gaffe. E baciarla fino a star male, fino a perdere il respiro per dividere con lei anche l’ultimo soffio di aria.

Su, Akito. Spostati da questo cazzo di tronco e và da lei.

Era finito il tempo delle attese e dei tormenti. Le continue domande della sua mente… quei “Chissà cosa sta facendo” o “Chissà se a New York è felice davvero.

In quel momento lei non era a New York, lontana migliaia e migliaia di chilometri. Era lì, a pochi passi da lui.

Bastava solo allungare una mano.

 

 

                                                                       ***

 

 

- Bella serata vero?

Voltò il capo con uno scatto improvviso e sussultò portandosi una mano sul petto non appena vide l’alta figura di Akito immobile di fronte a lei.

Lui, mani nelle tasche e aria imperscrutabile, mosse qualche passo fin quando non le fu abbastanza vicino per vederla in volto.

- C… cosa?

Balbettò, visibilmente frastornata per quell’inattesa presenza.

Lui continuò a camminare, oltrepassandola, fino a raggiungere la piccola ringhiera in legno dove lei stava poggiata fino ad un istante prima.

- Dicevo che è una bella serata. C’è un cielo stupendo.

- S.. si. Bellissimo.

Bellissimo il cielo. Bellissimo tu.

Lei lo imitò, poggiando i gomiti sulla ringhiera e cercando di concentrarsi sulla luna piena e non sul volto di Akito.

- E’ stato un bel matrimonio, non trovi?

Stavolta lo guardò, stupida per la sua insolita voglia di chiacchierare.

Ma guardarlo fu un errore imperdonabile.

Illuminato solo dalla luce della luna era fastidiosamente bello. Si, una bellezza fastidiosa, di fronte alla quale non poté fare altro che restare in silenzio, pregando intensamente che Akito non si accorgesse del suo imbarazzo.

- Hai perso la parola, Kurata?

Rispondi alle domande Sana! Non imbambolarti come al solito!

- Si, è stato un bel matrimonio. E sono molto felice per Aya e Tsu.

Rispose meccanicamente, tornando a concentrarsi sull’immenso manto di stelle.

Avere Akito accanto, a pochi centimetri di distanza, in una zona del giardino praticamente priva di illuminazione e abbastanza lontana dalle luci e dai suoni della festa, la rendeva particolarmente nervosa.

Non sapeva cosa fare. Non sapeva se dare ascolto a quella vocina nel cervello che le urlava di andare via e di tornare nella sala per raggiungere Naozumi, o se dare retta al battito accelerato del suo cuore che giovava della presenza di Akito come i polmoni giovavano di una sana boccata d’ossigeno.

Fu costretta ad assecondare il suo cuore, visto che anche i muscoli del corpo sembravano non avere la benché minima intenzione di muoversi.

Restò immobile accanto ad Akito per qualche secondo, fino a quando lui non parlò ancora; il tono di voce incredibilmente tranquillo.

- Come mai sei qui?

Oh, andiamo. Lo sai benissimo perché sono qui.

- Volevo prendere una boccata d’aria.

Akito ridacchiò, scuotendo il capo e lasciando che i ciuffi più lunghi della sua frangetta disordinata gli solleticassero la fronte.

- Una boccata d’aria? In una notte così gelida e nel bel mezzo di una festa?

- Ci trovi qualcosa di strano?

Su, Akito. Dove vuoi arrivare?

- Anche se credessi alla scusa della “boccata d’aria”, non riuscirei comunque a spiegarmi il motivo per cui non hai voluto che il tuo fidanzato venisse con te.

D’istinto, alzò lo sguardo verso di lui, come per fargli capire che sarebbe stato molto meglio chiudere il discorso in quell’esatto istante. E che se avesse continuato a farle quel genere di domande sarebbero di nuovo finiti a litigare. E lei ne sarebbe uscita annientata ancora una volta.

- Io non ci vedo proprio niente di strano.

Stavolta fu lui a guardarla e, non appena incontrò i suoi occhi, l’espressione tranquilla che aveva avuto fino ad un attimo prima lasciò il posto ad una smorfia che gli contrasse il viso in un indecifrabile mezzo sorriso.

- C’è qualcosa che ti diverte, Akito?

Lui ridacchiò ancora.. due volte nel giro di una manciata di secondi.

- Si, Kurata. In realtà trovo che il tuo tentativo di mentire sia molto divertente.

Sentenziò, stringendosi nelle spalle.

- Io non tento di fare un bel niente! Tantomeno di mentirti.

- Ne sei sicura?

Le chiese, avvicinandosi a lei, fino a lasciare lo spazio di appena qualche centimetro tra i loro volti.

Lei cercò di non fare caso alla scossa che sentì dentro il suo petto e provò ad assumere un atteggiamento composto e convincente.

- Certo che sono sicura.

Lui sorrise di nuovo, per la terza volta.

- Non puoi mentirmi, Sana.

Le sembrò di non avere più la terra sotto ai piedi, non appena le labbra di Akito pronunciarono il suo nome e lo riempirono di quell’antica e insperata dolcezza.

E senza terra sotto ai piedi sbandò, perdendo completamente l’equilibrio e la capacità di inventare qualsiasi parvenza di menzogna.

- Ok, hai vinto. Sono uscita dalla sala perché non riuscivo più a reggere il tuo sguardo. Soddisfatto?

Incredibile a credersi, ma Akito sorrise ancora. Stavolta però era un sorriso diverso. Un sorriso che non si fermò sulle labbra, ma che arrivò fin dentro agli occhi, accendendoli per qualche breve istante.

Lei lo notò, vide quella piccola scintilla, e sorrise a sua volta.

- E tu invece?

- Io cosa?

- Tu perché sei qui?

Mi spiace Akito. Non ti permetterò di lasciare a me il peso della verità.

Si preparò mentalmente ad ascoltare una stupida bugia, mentre già cercava nella sua testa la frase più idonea per rispondergli a tono.

E invece, inspiegabilmente, lui non mentì.

Le gettò addosso la verità, come una spinta inattesa dietro le spalle.

- Sono uscito a cercarti.

Ma la spinta era sull’orlo di un precipizio.

- P.. perché?

Bastava davvero poco,- un movimento sbagliato, un respiro di troppo-, per precipitare e schiantarsi al suolo.

- Perché volevo vederti da sola, senza Kamura a girarti intorno.

- Ora mi hai vista, no? Devi dirmi qualcosa?

Bisognava solo trattenere il respiro e restare perfettamente immobile.

- Io sono geloso, Sana. Non sopporto più di vederti insieme a lui.

Ma respirare era necessario e non muoversi era impossibile.

E allora respirò, si mosse e, inevitabilmente, precipitò.

 

 

                                                                       ***

 

 

Passarono alcuni lunghissimi secondi,- granelli di sabbia che scendevano a rilento nella clessidra-, prima che il suo cervello metabolizzasse le parole di Akito.

Quando finalmente la sua mente le assicurò che ciò che avevano appena udito le sue orecchie corrispondesse alla verità, si porto d’istinto una mano sul cuore. Un pugno chiuso, a premere forte sul petto in segno di protezione.

Protezione da chi?

Era da Akito che doveva proteggere il suo cuore?

O era lei stessa che continuava a pugnalarlo?

Perché erano pugnalate, lame aguzze sotto la carne, tutti i tentativi di mettere a tacere quel cuore che tanto cercava di proteggere,… di ignorare deliberatamente i ripetuti segnali di resa.. i battiti che diventavano sempre più flebili man mano che il pensiero di Akito si allontanava.

Ma non c’era più tempo per Akito. Basta batticuori improvvisi, o baci che mozzavano il fiato. O giornate di pioggia passate a fare l’amore sotto le coperte, a mischiarsi così tanto, così forte, fino ad avere sul corpo un’unica pelle, a sentire nel petto anche i suoi battiti, e a respirare nell’aria quel fortissimo odore di vita.

Basta.

Perché poi capita di svegliarsi un mattino qualunque e di rendersi conto che tutto quell’amore non era bastato.

 

- Cos’hai detto? Puoi ripetere per favore?

- Ora non fare finta di non aver capito.

Sapeva benissimo che Akito non avrebbe ripetuto quanto detto poco prima neppure sotto la minaccia della peggiore delle torture. Però voleva risentire quelle parole… era troppa la paura che aveva che lui non le avesse pronunciate davvero.

- Che diavolo vuol dire che sei geloso?

Lui si strinse nelle spalle, come se dalla sua bocca fosse appena uscita una frase qualunque.

- Secondo te cosa vuol dire? Quanti significati può avere un’affermazione del genere?

Quella risposta,- che in realtà era una mezza domanda-, le fece capire che le sue orecchie avevano sentito benissimo.

Akito aveva tranquillamente, limpidamente, inequivocabilmente ammesso di essere geloso.

E in lei si stava scatenando l’inferno.

- Non puoi essere geloso!

Quasi gli urlò contro, serrando forte i pugni lungo i fianchi, fino a sentire le unghie graffiarle palmi delle mani.

- A quanto pare invece posso.

Sentenziò con calma inaudita.

- M…. ma… ie… ieri.. mi hai… cacciata.

Balbettò, mentre inconsciamente abbassava il capo e cercava di trattenere la voglia di prenderlo a schiaffi. E di fargli male, molto, molto male. Perché non poteva restare impunito per quello che le aveva appena rivelato… non poteva sconvolgerla in quel modo, mandarla in paradiso e poi gettarla all’inferno, nel giro di pochi secondi.

- Lo so.

Sentì una rabbia cieca impossessarsi di lei… la tranquillità con la quale Akito le stava parlando era insopportabile.

Serrò i pugni ancora di più e alzò il viso in uno scatto d’incontrollabile ira.

- Lo sai? Che accidenti vuol dire che lo sai? Si può sapere dove vuoi arrivare?

Urlò a pochi centimetri dal suo viso.

- So di averti cacciata. Ma so anche di aver sbagliato a farlo.

Oh, perfetto.

Dov’era finita tutta la rabbia? Possibile che fosse già sparita? Che se ne fosse già andata, sciolta come neve al sole, di fronte alle parole di Akito?

Complimenti, Sana. Davvero molto coerente.

- A.. Akito.. i.. io.. non capisco cosa vuoi dirmi.

Era vero. Non capiva niente. Né il motivo della sua presenza lì in giardino, né le sue parole, né tantomeno lo sguardo con cui la stava di nuovo immobilizzando.

Vedendola ferma e silenziosa, incapace di formulare anche la più semplice delle risposte, Akito mosse qualche passo e le si avvicinò al punto tale da poter sentire il suo respiro divenire irregolare e il battito del suo cuore aumentare d’intensità.

- Davvero non capisci, Sana?

Lei lo guardò in silenzio, scuotendo appena la testa, come a supplicarlo di non prolungare oltre quella maledetta attesa e di dirle quello che doveva, in fretta e senza ulteriori indugi.

- Ieri ero arrabbiato. Si sbagliano molte cose, quando si è arrabbiati. Lo sai anche tu, no? La rabbia, la delusione, il risentimento, sono sentimenti che ti spingono a fare cose che non vorresti mai fare.

Si fermò un attimo per prendere un profondo respiro. Anche tutta la tranquillità che l’aveva accompagnato fino a qualche istante prima, era completamente scomparsa.

- … quindi, Sana.. ho capito che io…

- … mi ami?

Gli chiese d’istinto, mentre si rendeva conto di non voler affatto sapere la risposta. Di non doverla sapere. Perché saperlo l’avrebbe sconvolta. Avrebbe distrutto tutti i suoi nuovi equilibri.

E lei non voleva cadere mai più.

- … Sana, io…

- NO, AKITO!

Urlò, fissando lo sguardo sull’erba perfettamente tagliata di quello splendido giardino, e scuotendo forte il capo.

- … Non voglio saperlo! Non mi interessa… non mi interessa più.

Desiderò scappare, andare via il prima possibile da quella situazione. E allora non appena terminò la frase, scattò per tornare nella sala dei festeggiamenti e per raggiungere Naozumi.

Ma riuscì a muoversi solo di pochi centimetri, perché Akito la bloccò, stringendole un polso con forza e costringendola a tornare sui suoi passi.

- Perché stai scappando?

Le chiese, mentre i suoi occhi la imploravano di restare.

- Io…io gli ho chiesto di sposarmi.

Glielo disse così, senza giri di parole, senza inutili tentennamenti.

Di getto, improvvisamente, con la stessa violenza di un temporale nel bel mezzo dell’estate.

- Cosa?

- Si, Akito. Io e Naozumi ci sposeremo presto.

Dirgli quelle parole fu come infliggere un colpo mortale. E anche come riceverlo.

Descrivere quello che vide negli occhi di Akito, sarebbe a dir poco impossibile.

Di certo ci vide sorpresa,… quella sorpresa cattiva, che ti toglie l’aria e ti fa perdere la forza per stare in piedi.

Poi ci vide rabbia, nera, folle e accecante. Quella che ti fa venire voglia di spaccare ogni cosa, di prendere a pugni ogni parte di mondo.

Infine, e fu questo che la uccise, ci vide disperazione. Quella che ti disintegra, che ti spacca in mille pezzi…, che ti colpisce quando perdi un’occasione che sai bene non capiterà più e ti rendi conto che quell’occasione era proprio l’unica cosa che non dovevi perdere.

Ci vide tutto questo, insomma. E un sacco di altre cose.

Lo lesse così bene, quello sguardo, perché l’aveva portato sul volto anche lei, per moltissimo tempo. Forse, ogni tanto, ce l’aveva ancora… ogni tanto tornava prepotente ad impossessarsi dei suoi occhi.

Ogni tanto… , ogni volta che non c’era Akito.

- Ora è meglio se torno dentro o Naozumi tra poco uscirà a cercarmi.

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, diede le spalle ad Akito per andare via. E per la seconda volta lui la fermò. Stavolta con meno calma, con molta meno freddezza. La afferrò per le spalle e, con una forza inaudita, la costrinse di fronte a lui, facendola indietreggiare di qualche passo, fino a far scontrare la sua schiena con il tronco dell’albero dietro il quale, poco prima, lui stesso si era nascosto.

- Tu non vai da nessuna parte.

Ordinò, stringendo ancora di più la presa intorno alle esili spalle di lei. Lei che tremò e lo guardò, quasi terrorizzata.

- A.. Akito.. mi fai.. mi fai male…

Lui neppure la ascoltò, perché non allentò la presa neanche di un millimetro e mosse in avanti il capo, fino a far scontrare le loro fronti.

- Possibile che tu non capisca? Non lo capisci che mi uccidi ogni volta che gli permetti anche solo di sfiorarti? Non vedi che impazzisco se gli sorridi? Davvero non te ne accorgi?

Era disperato. E lei desiderava solo morire… porre fine a quell’agonia, non vedere più il suo Akito tremare quasi fino alle lacrime.

-… preferirei strapparmi la pelle con le mie stesse mani piuttosto che vederti all’altare insieme a qualcun altro... Non sposarlo, Sana… ti prego.

 Non riuscì a capire quello che le scattò nel cervello… sentì solo una scossa fortissima, un calcio violento nel petto, che la portarono a sollevarsi sulle punte e a raggiungere le sue labbra, aggrappandosi alla sua schiena con tutta la forza di cui era capace.

Quando lui rispose al bacio, quasi stritolandola contro il suo torace, si rese conto di non avere via d’uscita.

Era come se qualcuno le avesse iniettato nelle vene l’odore di Akito. E avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, imprecare contro qualsiasi Dio, dare vita alla sua migliore interpretazione da attrice, ma Akito sarebbe sempre stato dentro di lei. Scorreva nelle sue stesse vene, all’interno del suo stesso sangue. 

- … non sposarlo…

Ripeté meccanicamente, non appena lasciò le labbra di Sana, giusto il tempo necessario per respirare.

Lei non rispose, perché non voleva sprecare neppure un solo istante a fare qualcosa di diverso dal baciare Akito. Baciarlo al punto tale da non sentire nient’altro se non il suo sapore… da non far caso al gelo che aleggiava in quella freddissima notte o al senso di colpa per aver tradito Naozumi ancora una volta.

C’era solo Akito, e le sue mani che scendevano frettolose e tremanti ad accarezzarle la schiena, provocandole brividi che partivano direttamente dal cuore.

Serrò le braccia intorno alle sue spalle, mentre infilava una mano tra i suoi capelli biondi e chiudeva gli occhi per estraniarsi completamente da tutto il resto, anche se sapeva bene che in quel momento non c’era assolutamente niente che avrebbe potuto attirare la sua attenzione.

Akito si strinse a lei ancora di più, fermandosi con le mani sui suoi fianchi e raccogliendo la morbida stoffa blu del vestito fino a lasciarle scoperte le gambe perfette.

In quel momento, gli sembrò di non essere più in grado di ragionare. Il suo corpo si muoveva da solo, guidato dal suo cuore, mentre la sua mente veniva messa a tacere.

Iniziò ad accarezzarle le gambe, senza lasciare le sue labbra neppure per un istante.

Stretta tra lui e il tronco dell’albero, lei sentì il respiro diventare sempre più affannato e infilò le mani sotto la giacca di Akito, sfiorando la sua pelle dal sottile tessuto della camicia scura che stava indossando.

Le loro labbra si scontravano, avide e instancabili, come se in quei pochi minuti volessero recuperare tutto il tempo perso. Perso a fare altro, a vivere lontani migliaia di chilometri, a dannarsi per cercare di stare meglio, quando invece sarebbe bastato solo mettere da parte l’orgoglio e la paura e capire che l’unica cosa da fare era semplicemente tornare indietro.

- Akito…

Gli sussurrò, avvicinandosi al suo orecchio e invitandolo a continuare.

Lui gli si gettò impaziente sul collo nudo, affondando con il viso in quella pelle morbida, inspirando il più a lungo possibile quell’odore mai dimenticato.

Dal collo arrivò in fretta alla scollatura, depositando una scia di baci fino all’incavo tra i seni, mentre con una mano la liberava dal piccolo copri spalle di pelliccia e afferrava la sottile spallina del vestito, lasciandola cadere fino al gomito, per permettere ai suoi occhi di poter rivedere quel seno piccolo e perfetto.

Si concesse qualche secondo per ammirarla meglio. Teneva ancora gli occhi chiusi e le sue guance si erano colorate di un accesissimo rosso. Rosso come le sue labbra socchiuse, con le quali, sempre più spesso, pronunciava il suo nome.

Riuscì a resistere solo pochi istanti, prima di gettarsi sul suo seno e baciarlo con passione e dolcezza.

Infilò una mano sotto il vestito risalendo lungo il ventre sottile, per riscendere poi, in una lentissima carezza, fino all’orlo in pizzo degli slip. Si soffermò qualche secondo a giocherellarci, spostando le dita dal tessuto ricamato alla morbida pelle del basso ventre, fino a quando non si decise a scostare quel piccolo pezzo di stoffa per scendere ancora più in basso, con estenuante lentezza.

Quando lei lo chiamò ancora, quasi urlando il suo nome, infilandogli le mani sotto la camicia e accarezzandogli la schiena con le unghie, capì che non avrebbe potuto attendere ancora.  Con un gesto secco e improvviso si liberò della cintura e dei bottoni dei pantaloni e portò le braccia sotto le cosce di lei per sollevarle le gambe. Lei non oppose resistenza e lasciò che lui la sollevasse da terra avvinghiandogli le gambe intorno al bacino e poggiando meglio la schiena al tronco dell’albero, senza neppure far caso ai graffi che quella corteccia ruvida poteva causare alla sua pelle quasi del tutto scoperta.

Bastò un attimo appena e lo sentì dentro di lei. Le ci volle tutto l’autocontrollo di cui era capace per non mettersi ad urlare di gioia.

Quando lo sentì muoversi in lei, entrarle non solo nel corpo, ma  anche nell’anima, fu come essersi risvegliata da un sogno.

E le venne spontaneo chiedersi cos’aveva fatto in quegli ultimi quattro anni…

Come aveva passato le giornate, con quale spirito si era alzata ogni mattina, pur sapendo di non poter vedere i suoi occhi?

Dov’era stata,… chi era stata, se non l’aveva avuto accanto?

Ora l’ho capito…E’ solo al tuo fianco che posso essere me stessa.

Poteva sentire il battito accelerato di Akito così distintamente che le sembrava che il suo cuore battesse nel suo petto.

E tutto tornò ad avere un senso.

Come le tessere mancanti di un puzzle che non riusciva a finire da troppo tempo, o come un indovinello dispettoso che sembrava non avere soluzione.

Perché mentre si lasciava andare felice e stanca tra le sue braccia, mentre lo sentiva emettere un ultimo lunghissimo sospiro, capì che le tessere mancanti del puzzle erano solo finite sotto il letto.

E che la soluzione dell’indovinello era sempre stata sotto al suo naso.

 

 

 

                                                                       ***

 

“- Pronto?

- Si, Fukachan, sono Sana. Ti disturbo?

- No, no, Sanachan, dimmi pure.

Con la mano a stringere forte il suo nuovo telefonino, si siede sull’enorme letto della sua camera, prendendo un profondo respiro.

- E.. ecco.. io… volevo confessarti una cosa…

Balbetta, mentre con la mano libera tormenta i lunghi capelli rossi, appena lavati.

- Dimmi allora. Ti ascolto.

- Non è… così semplice..

Dall’altro capo del telefono, sente Fuka sbuffare sonoramente.

- Sanachan si può sapere cosa succede? Qualcosa di grave?

Scuote vistosamente la testa, come se Fuka potesse vederla.

- No, no! Và tutto bene.. anzi.. benissimo!

Dopo qualche istante di silenzio, Fuka inizia a ridacchiare divertita.

- Ah.. ho capito. C’entra Akito, non è vero? È successo qualcosa tra voi?

Al solo sentire il nome di Akito, avverte distintamente i battiti del suo cuore diventare frenetici e le guance colorarsi di un accesissimo rosso.

- Ecco… io… cioè.. ieri sera, come sai, è.. è venuto a casa mia e… poi.. si insomma.. eravamo soli e…

- O MIO DIO, SANACHAN! AVETE FATTO L’AMORE?

Ecco. La solita Fuka che non conosce mezze misure. D’altronde è risaputo che se avesse dovuto aspettare una confessione di Sana, la sedicenne più imbranata e goffa del mondo, avrebbe potuto anche attendere una giornata intera.

- E.. ecco noi…

- Oh, andiamo Sanachan! Rispondi chiaramente.. si o no?

- S… si…

- WOW! Voglio sapere tutti i dettagli! Com’è stato? Cosa ti ha detto lui? Oddio, Sanachan, DIMMI TUTTO!

Sana si porta una mano sulle guance, per evitare che si surriscaldino troppo. Le sembra di andare a fuoco se solo le immagini della notte appena conclusa le passano indisturbate per la mente.

- E’ stato… bellissimo.

- E ti aspetti che io mi accontenti di così poco? I dettagli, Sanachan! I DETTAGLI!

In realtà, Sana sa benissimo che neppure raccontando ogni minimo particolare, riuscirebbe a spiegare a parole quello che è stato, fare l’amore con Akito.

Non saprebbe descrivere quei brividi lungo la schiena, quel subbuglio nello stomaco, quella vertigine… quella paura irrazionale di farsi male, chetata in fretta da quel “ Non avere paura”, sussurrato da Akito vicino al suo orecchio.

Per non parlare poi della scossa che le scombussolava ogni cellula del corpo, mentre Akito si muoveva paziente dentro di lei.

Non potrebbe mai spiegare quella magia… la magia di sentire i loro respiri fondersi e i loro cuori battere insieme, mischiarsi così tanto da sentire un unico battito. O la sensazione di toccare il cielo con un dito, di avere la più grande felicità tra le mani, nel sentire quel “Ti amo”, sussurrato sulle sue labbra.

No. Non saprebbe proprio trovare le parole per rendere giustizia alla sua prima notte con Akito.

- Fukachan.. non so spiegartelo.

- Eh, no! Ora facciamo così… mi metto qualcosa di presentabile e vengo da te. Sarò lì tra circa mezz’ora!

- Ma…

- Niente “ma”, Sanachan! Voglio sapere tutto!

Sana si lascia scappare una piccola risata. È pienamente consapevole del fatto che Fuka desisterà tanto facilmente. E allora tanto vale assecondarla.

- Come vuoi, Fukachan. Ah… chiama anche Ayachan e portala con te! Lei non sa ancora nulla.

- Certo, certo! Allora ci vediamo tra poco!

- Perfetto.

Stacca il cellulare dall’orecchio, ponendo fine alla conversazione, e sorride. Ha già il mal di testa se solo pensa alle domande che le faranno Fuka e Aya non appena entreranno in casa sua.

Pazienza. È così felice che potrebbe rispondere a tutte le domande del mondo senza stancarsi mai.

Si lascia andare sul letto, cadendo con la schiena sul morbido materasso e rivolgendo il capo verso il soffitto.

Chiude gli occhi e inspira profondamente. E non sa se è la realtà o solo una sua impressione… ma le sembra che in quella stanza tutto abbia ancora lo stesso, bellissimo, odore di Akito.”

 

 

 

                                                                       ***

 

Si guardò intorno e sbuffò, visibilmente spazientito.

Sana era uscita da almeno venti minuti e ancora non si decideva a tornare.

Che accidenti sta facendo in quel giardino da sola?

Non appena la sua mente elaborò questa domanda, i suoi occhi azzurri vagarono per tutta la sala e notarono che Sana non era l’unica persona ad essersi allontanata.

Oh, certo! Sempre in mezzo ai piedi, eh Hayama?

Tirò un profondo sospiro.

In fondo, non era certo del fatto che Akito fosse in giardino con Sana.

Per quanto ne sapeva, poteva essersi allontanato per fare una telefonata, o essere tranquillamente andato in bagno.

Giusto. Non devo tirare conclusioni troppo affrettate. Ora mi alzo e vado a controllare in bagno.

Prima di riuscire a mettere in atto il suo proposito, lasciò passare qualche minuto. Per quanto si ostinasse a negarlo, infatti, il suo cuore stava letteralmente morendo di paura. Perché era cosciente del fatto che c’era la possibilità che Akito e Sana fossero insieme. Che stessero parlando indisturbati in giardino, senza nessuno che potesse “controllarli”.

Bravo, Naozumi! Hai davvero molta fiducia nella tua futura moglie!

Fiducia? Si trattava davvero di mancanza di fiducia?

O era quel maledetto terrore di rendersi conto che, quella proposta, Sana gliel’aveva fatta solo per disperazione? Che gli avesse chiesto di sposarla solo perché, forse, lui l’aveva respinta?

Decise di porre fine ai suoi dubbi e, di scatto, si alzò dalla sua sedia, oltrepassò la sala e si diresse verso il corridoio per accedere ai bagni.

Esitò qualche secondo prima di trovare il coraggio per entrare e controllare se ci fosse Akito. Quando trovò il coraggio, e oltrepassò la porta che conduceva nei bagni, notò che di Hayama non c’era nemmeno l’ombra.

E in un attimo sentì la speranza fuggire via e la vita che aveva immaginato di vivere con Sana si sgretolò di fronte ai suoi occhi.

Tutto crollò in un istante, come un castello di sabbia durante una mareggiata.

Eppure stavolta ci credevo davvero…

Si lasciò andare sulle ginocchia, portandosi le mani sul viso per nascondere le lacrime che iniziavano a rigargli le guance.

E pianse.

Pianse per tutte le volte che si era sentito tradito, umiliato, usato.

Per tutte le volte che era stato stupido, cieco, ostinato. Che aveva fatto finta di non vedere, di non capire.. mentre invece aveva visto benissimo.. e aveva capito ogni cosa.

Sana, la sua Sana, sarebbe stata sempre innamorata di Akito. E per quanto si sforzasse, per quanto fingesse per fargli credere che andava tutto bene, sarebbe bastata una sola parola di Akito per farla crollare.

Forse stava crollando proprio in quel momento, nella penombra del giardino, sotto la luce della luna.

Se è davvero così, non voglio saperlo. Non voglio vederlo.

Smise di piangere solo quando sentì dei passi veloci avvicinarsi alla porta.. probabilmente qualcuno doveva davvero usare il bagno.

Si alzò da terra e si nascose per non farsi notare, perché nessuno doveva vederlo in quello stato pietoso.

Si affacciò dal suo nascondiglio,- che altro non era che uno dei tanti bagni disponibili-, per vedere a chi appartenessero i passi che aveva appena sentito.

Si stupì un poco quando vide le figure di Aya e Fuka che gesticolavano nervosamente e parlavano con un tono di voce decisamente più basso del normale.

Perché bisbigliano? Cos’avranno da nascondere?

Il suo senso morale avrebbe voluto che uscisse allo scoperto, salutasse le due donne con gentilezza e uscisse dal bagno lasciandole da sole, senza interessarsi delle loro conversazioni.

Ma era troppo incazzato col mondo per dare retta al suo senso morale.

E allora restò immobile, tendendo l’orecchio per cercare di captare più parole possibili.

Una frase lo colpì violentemente, come una secchiata d’acqua gelida in una calda e sonnacchiosa mattina d’inizio agosto.

Perché avrebbe potuto giurare su ciò che di più caro aveva al mondo, di aver sentito distintamente Aya fare a Fuka una domanda che somigliava a “Allora hai deciso di non dire niente del bambino ad Akito?”.

Si. Le parole gli erano arrivate chiare nelle orecchie e avevano trovato conferma nella risposta nervosa di Fuka, che sibilò un perentorio “No. Credo sia meglio per tutti mantenere il segreto. Akito non dovrà mai sapere di avere un figlio”

Devo aver capito male… perché Akito non ha nessun figlio. E non può aver avuto nessun figlio da Fuka.

Lui e Fuka non sono mai stati insieme… Sana me l’avrebbe detto.

A meno che…

D’istinto si portò una mano sulla bocca, per evitare di mettersi a urlare.

… a meno che non sia successo dopo che Sana l’ha lasciato. Se è così allora…allora Akito e Fuka hanno un figlio… e né lui né Sana ne sono a conoscenza.

Sentì un’idea materializzarsi nel cervello, come una lampadina che si accende sulle teste dei personaggi dei cartoni animati.

Ma sarebbe molto più giusto che Fuka rivelasse ad Akito la verità. E che lo sapesse anche Sana.

Uno strano sentimento prese a bruciargli nel petto. Un sentimento che lo spinse ad attendere nascosto l’uscita di Aya per poter avere l’occasione di parlare da solo con Fuka.

Non dovette attendere che qualche minuto, perché sentì Tsuyoshi chiamare la sua neo sposa e quest’ultima dileguarsi in fretta per tornare in sala e continuare il ricevimento.

Spalancò la porta di colpo e vide Fuka sobbalzare e sgranare gli occhi, terrorizzata.

- Naozumi? Che… che stai facendo? Da quanto… sei… qui?

Lui infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e sorrise furbescamente.

- Sono stato qui abbastanza a lungo per ascoltare il discorso tra te e Aya. E come potrai immaginare, io non ho nessuna intenzione di mantenere il tuo piccolo segreto.

Vide Fuka portarsi le mani sul petto e indietreggiare in preda al panico.

- Cosa? Quale segreto? Io non ho nessun segreto!

Tentò di mentire.

- E allora l’ho immaginato io il figlio che hai con Akito?

Ma lui sapeva benissimo cos’aveva appena sentito. E non si sarebbe fatto prendere in giro tanto facilmente.

Fuka gli rivolse uno sguardo disperato.

- Naozumi non puoi… tu non puoi dirlo a nessuno!

- Certo che posso! Voglio che Sana capisca chi è l’uomo che continua ad amare!

Oh, ecco qual era, quello strano sentimento.

Era solo la voglia di vendetta.

- Cos’è? Un dispetto? Vuoi fare un dispetto a Sana perché è ancora innamorata di Akito? Cosa pensi di ottenere?

- Voglio solo che tu dica a lei e ad Hayama la verità.

- Tu stai giocando con la vita delle persone solo per ottenere un po’ di vendetta!

Si strinse nelle spalle, guardandola di traverso.

- E se anche fosse? Sono stanco di essere la vittima di turno. Quindi, sappi che se non parlerai tu lo farò io.

Sentenziò cinico e senza tradire il minimo dubbio.

Di fronte a lui, Fuka serrò gli occhi, forse per trattenere le lacrime, strinse forte i pugni lungo i fianchi e si avviò verso la porta.

- Tanto non tornerà da te.

Gli disse tagliente, prima di aprire la porta e lasciarlo solo.

Lui sentì la rabbia crescere, diventare sempre più nera e accecante, perché Fuka aveva ragione.. Sana non sarebbe tornata. In qualsiasi caso, lui l’avrebbe persa.

Si, forse non tornerà da me. Ma non sarà neanche sua.

 

 

                                  

                                                                       /*/

 

Note dell’autrice: Ok, sono perfettamente consapevole del fatto che molte di voi coveranno una profonda rabbia nei confronti di Naozumi, dopo aver letto la fine del capitolo. xD Ma sappiate che mi serviva qualcuno che “costringesse” Fuka a svelare la verità. E chi meglio del povero e ferito Naozumi? ;)

La scena tra Sana e Akito, invece, è stata una vera e propria liberazione! Non vedevo l’ora di poterla mettere per iscritto, visto che mi ronzava in testa praticamente dall’inizio della storia. xD

Bene, la smetto di annoiarvi con i miei deliri e mando il solito ringraziamento alle mie assidue “commentatrici”. Vi adoro davvero, e non mi stancherò mai di ripetervelo! *-*

Spero di riuscire a finire il prossimo capitolo in una settimana, ma non posso assicuravi nulla per adesso. (Sono un po’ impegnata in questo periodo xD).

A presto, bacioni! ^^

 

   
 
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