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Autore: Quintessence    13/03/2011    3 recensioni
Il suicidio. La vita. La sproporzione dell'amore. Questi sono i miei temi, quali sono i tuoi?
~
Cosa è successo ad Alessandra, perché Matteo decise di non amarla, come questo la uccise e come il contorno cambiò all'improvviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Sette ~ Il Rimpianto


Ovviamente non posso non dirglielo. Che cosa faccio, faccio una festa di compleanno senza dirglielo? Senza invitarla? Insomma, è il mio compleanno e posso non dirle nulla? No, no di certo. E poi lei la sa la data, verrebbe a saperlo. Un bel dilemma. Allora facciamo così, dai, lo dico alla classe. Così lei è compresa, ma nessuno la costringe a venire. Ah, chi voglio prendere in giro, lei verrà sicuramente! Con i suoi boccoli biondi e forse un regalo strano e bellissimo che profuma di nuovo, come quelli che mi regala sempre.
"Il ventitré, che è sabato" -esordisco una volta ottenuto il silenzio- "Faccio una festa per il mio compleanno. Ovviamente siete tutti invitati a casa mia per festeggiare. Cena offerta e musica per tutta la notte!"
Il rumore mi fa sapere che approvano. Non ho specificato che il volume resterà basso, ma so che le persone lo sanno già in qualche modo. Qualcosa mi dice che va bene anche così. Andrea mi da' una pacca sulla spalla, e si allontana sorridente. Alessandra sussurra qualcosa a Federica, ma non riesco a sentirla.
Poco dopo, sento dire che l'accompagnerà il padre di Federica a casa mia il ventitré. Mi sento male, ma in fondo in mezzo a tanta gente non c'è da preoccuparsi. Saranno tutti troppo occupati per pensare a lei.
Vero?
*
Arriva con il vestito blu notte, e mi fa girare la testa anche senza sentire il suo profumo. La vedo alla finestra; molti sono già arrivati. Quasi tutti a dire la verità, mancano solo due persone. Lei e Federica. Dai, suona, le dico silenziosamente osservando la testa d'oro nel nero della notte, così nessuno ti nota, sali e stai qui un po', stiamo insieme, vicini. Potrò baciarti forse... Dai!
Ma Alessandra non è il tipo che fa il suo ingresso in silenzio. C'è sempre una componente di sfortuna nelle sue situazioni, questo è da ammettere. Tuttavia a volte credo che sia lei a tirarsela dietro, come una coda.
Federica suona prima di lei, e sale in cinque minuti. Alessandra -non capisco come mai- non è con lei. Guardo di nuovo dalla finestra mentre la gente attinge dal buffet di focaccine e pizzette. Ne sto mangiucchiando una ma non per davvero, non riesco ad ingoiare bene. Ha dimenticato la borsa in macchina! Esce dalla portiera sbattendola e l'auto riparte gentile. Vorrei quasi uccidermi, tanto ho paura. Mi tremano le gambe. Forse sto sparendo, adesso, sotto il tappeto. Vorrei fingere che fosse la festa di qualcun altro.
Ho un presentimento improvviso. Vorrei urlare di non suonare, scendere io a prenderla, e subito. Ingoio un altro boccone minuscolo di focaccina e quello si deposita sul fondo dello stomaco come un sasso. Mi sta rovinando la festa, e non capisco il perché.
All'improvviso Andrea mi si avvicina. E' insieme a Gabriele. Brutto segno. Bisbiglia qualcosa al mio orecchio, ma io sono stordito e non capisco cosa abbia detto. Sghignazza soddisfatto mentre borbotta con Andrea di nuovo, e di nuovo non sento, che cosa stanno dicendo? Sto aspettando ancora che suoni il citofono.
"Te l'immagini la sua faccia quando non le aprirai?" -Oh, cazzo.
Mi gira la testa, mi gira la testa.
Suona il citofono.
Ma quanto ci ha messo a trovare il nome?!
Mi faccio strada fra la folla di persone che mangiano nel salotto di casa mia, mi sembrano facce bianche. Mi sorreggono, per fortuna. Mi gira la testa. Faccio per sollevare la cornetta del citofono, ma vengo spiazzato da un altro suono acuto di tromba. Evidentemente Alessandra non si accontenta di suonare una volta. Deve farlo DUE volte.
Rispondo, "Sì?"
In realtà so perfettamente chi è, manca una sola persona, e poi c'è la telecamera al pianterreno, che trasmette l'immagine al citofono. Non che ne abbia bisogno per sapere chi è. Ma sto prendendo tempo. Comunque, non sento nemmeno la sua risposta che una mano mi arriva alle spalle, afferra la cornetta e la riattacca. Mi volto seccato e mi trovo di fronte Gabriele. Dietro di lui c'è Andrea, e sembra quasi che si nasconda.
"E dai, che ti importa, non aprire"
"Dai, ha anche un regalo..." -Dico sembrando materialista e ridendo, quando mi viene da vomitare anche solo all'idea di quella orribile proposta.
"Non aprire, torna di là con noi" -In questo preciso momento so esattamente come andrà a finire, lo capisco dal tono della sua voce. Prendo aria e guardo il soffitto, e suona ancora. Suona, di nuovo. Fa come una tromba nella mia testa. Suona, risuona, risuona ancora. Tiro su di nuovo il citofono per chiedere chi è. La mano l'abbassa per la seconda volta.
E suona.
Basta, mi dico, basta! Mi volto verso Gabriele e Andrea, e non c'è pietà dentro i loro occhi. E' una prova, una specie di scelta. Loro sono i miei 'amici'. Andrea forse è l'unico che abbia mai avuto. Non potete chiedermi di scegliere, no, vi prego. Mi arrabbio.
"Sentite, piantatela un po' per favore. Fatela salire e facciamola finita" -Sibilo, più a Gabriele che ad Andrea... Beh, Gabriele è il personaggio più imbecille mai apparso sulla faccia della terra, ma se sta dalla tua parte allora puoi garantirti l'incolumità. Guardo Andrea. Sembra che lui l'abbia capito e siano in due contro uno, adesso.
"Se la fai salire, ce ne andiamo noi" -Dice Andrea, con indifferenza. Sgrano gli occhi. Non può averlo detto sul serio, ma Gabriele sghignazza e si fanno un cenno d'intesa. Sono d'accordo. Oh, no, vi prego. Per favore... Non potete chiedermi di scegliere.
Alessandra suona di nuovo.
Vorrei davvero tapparmi le orecchie, entrare in una bolla e smettere di sentire questa musica.
"Allora?" -Chiede Gabriele.
Lo guardo, mi fa schifo. Così schifo che non posso pensare che mi abbia rubato anche l'unico amico che avevo. Scuoto la testa. Suona per la quinta, sesta, settima volta. Non lo so, non le ho contate. Prendo il citofono con decisione, e me ne frego di quei due coglioni.
"Sì, chi è?" -Chiedo con tono forte. Poi sento la sua voce, e mi sembra metallica e distante mille miglia...
"Sono Ale. Perché non rispondevi? Hai il citofono un po' rotto?" -Ridacchia e anche la sua risata gracchia nel citofono. Sembra irreale. Mi si stringe un nodo in gola. Quanto è ingenua.
"Ale chi?" -Prendo tempo. Ma che devo fare?!
"Alessandra, scemotto. Dai, fammi salire, che fa un freddo cane"
Purtroppo l'amore non importa adesso. La voce non è mia. Le parole che pronuncio non mi appartengono.
"Spiacente, non ho invitato nessuna Alessandra" -Attacco il citofono con violenza, sussurro 'scusa' ad Andrea e Gabriele e vado in bagno. Vomito. Da lì sento ancora suonare il citofono. Lo fa altre due volte, poi s'arrende, allora viene sotto il balcone e grida, di farla salire per favore perché piove, e fa freddo. Torno in sala, devo essere parecchio pallido ma stiro un sorriso e mangiamo. Mi verso ancora da bere compiendo anni coraggiosi, e mangiando la torta mi sento molto più sfigato di lei; lei continua a urlare da sotto il balcone.
Vuole una fetta di torta.
Vuole salire.
Vuole partecipare.
Ha un regalo per me.
Gli altri sembrano non sentire, ma io le sento tutte le sue grida. Prima nitide, poi sfocate, infine rotte da un pianto disperato. Non la vedo, ma so perfettamente che il mascara nero è tutto sulle sue guance e che è accoccolata sotto il mio portone. Sento tutte le sue lacrime nell'anima, bruciano come acido nel mio cuore. Domani mattina troverò il regalo con un biglietto scritto e decorato a mano in un cestino della spazzatura, e lacrime salate sul nastro. Sarebbe stato l'unico regalo bello della serata, un libro che desideravo leggere da sempre. Vorrei che fosse lei a darmelo. Vorrei scartarlo insieme agli altri, vorrei che il suo bicchiere sbattesse contro il mio, non cento altri, e cento ancora.
Ma a quest'ora non entra e non esce nessuno, non può salire. Può solo urlare contro una porta chiusa. E allora grida. Perché, chiede allora, perché se mi ami fai questo.
Stringo gli occhi, e i pugni, mentre le persone gridano intorno a me e io sento solo la sua voce.
Perché, grida, io l'ho sempre saputo comunque che tu mi ami! Il contrario è impossibile, lo vedo come ti comporti con me. Lo vedo come mi guardi. Io lo sento! Lo so che mi ami, lo so!, grida.
Ma non sa che ci sono cose di me che non le dirò mai.
Non le ho mai detto che la preferivo con i suoi soliti capelli sciolti, né che adoravo sentire il suo respiro su di me, quando mi abbracciava, né che spesso i suoi baci sulle guance profumavano di menta e caramelle al limone, né che quando rideva avrei voluto registrarla, e né che usavo addormentarmi con qualcosa di suo accanto ripensando alla nostra prima sera, e neppure che non aveva bisogno di truccarsi per essere la più bella.
Non le ho mai detto veramente che l'amo, ed è un rimpianto che mi logorerà in eterno.
Ma sono felice che lei lo abbia sempre saputo comunque.
*

Matteo si soffiò il naso con grosso rumore, chiedendosi perché gli bruciassero così tanto gli occhi in quel momento esatto. Mentre il blu saliva smisuratamente nel contenitore di vetro, lui singhiozzava come un bambino pensando alla sua voce. Alla voce di Ale. A come l'aveva lasciata sola. A come l'aveva lasciata sola di nuovo. A come non l'aveva più trovata sotto casa la mattina dopo, andando a scuola. A come gli avevano raccontato che comunque si fosse addormentata lì. A come non aveva avuto il coraggio nemmeno di spingere un bottone, né di scendere a chiederle come stava, né di portarle un po' di torta avanzata a fine festa, magari di sedersi con lei e parlarle di Andrea, e di Gabriele. E di come avesse avuto paura di perdere il suo unico e falso amico.
"Mi dispiace" -Disse Loretta- "Non volevo".
"E' a me che dispiace" -Rispose lui. E quando lei disse che doveva parlare di un ricordo imbarazzante si preparò a resistere. Dio, fa' che manchino solo poche ore, si disse.

   
 
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