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Autore: Joseph Bell    14/03/2011    1 recensioni
Una volta si riteneva che lavorare in banca fosse un mestiere tranquillo, sicuro e senza rischi. Samuel Donovan potrebbe non essere d’accordo. Tra cassette di sicurezza, bombardamenti della Luftwaffe, intrighi internazionali e nobiluomini eccentrici, un giovane impiegato di banca inglese e la sua amata moglie scoprono cosa è accaduto a Sherlock Holmes durante il cosiddetto Hiatus. Dimenticate le Reichenbach e preparatevi a viaggiare, parecchio.
Note dell’Autore: prima di qualsiasi cosa debbo ringraziare miss Bellis, senza di lei questa opera non sarebbe mai nata. Poi debbo precisare che quella che andrete a leggere è un’opera di fantasia liberamente ispirata ai personaggi di Sir Arthur Conan Doyle. Ogni altro personaggio, luogo o situazione è frutto della fantasia di chi scrive.
Tutti i personaggi realmente esistiti citati nel racconto non hanno mai preso parte a colpi di stato, distribuzione su larga scala di sostanze stupefacenti o sovvertimenti di governi legittimi. Solamente miss Bellis ed io, alle volte, ci dilettiamo a sovvertire il vassoio del tè procurando tanto rumore ed un congruo numero di cocci rotti. Per pura curiosità, chi fosse interessato agli eventi legati al crack della Banca Romana può consultare la pagina apposita di Wikipedia.
Buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII – Il racconto del giovane Verner

 

Forse a causa della solitaria torre che da tempo immemorabile si erge sulla collina avvolta dalle nebbie, forse per l’antica abbazia in rovina che ricorda un dipinto di Friedrich1 o forse a causa del Jerusalem di William Blake2, Glastonbury emana un fascino ieratico, lontano dal tempo corrente. In questi luoghi non ci si stupirebbe di vedere Re Artù camminare per la città o Merlino raccogliere l’acqua dal Chalice Well3, certo al giorno d’oggi questo posto è divenuto uno dei tanti ritrovi dei cosiddetti “figli dei fiori”, ma all’ epoca dei fatti che sto raccontando era un bellissimo paesino che discretamente raccontava al viaggiatore il suo grande bagaglio di leggende.

Alloggiavamo al Pilgrim’s tavern, una vecchia locanda che non credo esista ancora. Era un posto semplice, ma pulito e mantenuto in ordine da una cortese signora che provvedeva con solerzia a tutte le necessità dei suoi ospiti. La mattina successiva al nostro arrivo lasciai Bess e Charles a fare colazione e chiesi alla proprietaria le indicazioni per Old Temple street. Ricordo che vi arrivai con semplicità, era una piccola strada in discesa al termine della quale, in lontananza, si scorgevano le rovine del monastero francescano fatto chiudere da Enrico VIII. Al numero 23 trovai un portoncino laccato di verde, con sopra una grande maniglia di lucido ottone, non c’erano targhe o nomi.

Bussai ed una signora anziana, vestita con un abito non più di moda da almeno cinquant’anni, mi disse con voce piana e ferma.

“Desidera?”

“Buongiorno, sono il signor Donovan, dovrei parlare con il signor Jorge Horace Verner”

“Il barone Verner non può riceverla, buona giornata” rispose freddamente la signora chiudendomi la porta in faccia. A questo punto mi tornarono in mente le parole dell’ anziano Cullen: “Non le è stato fatto un bel regalo” se avessi considerato anche il monito pronunciato dal dottor Watson alla fine del suo racconto mutilo, avrei potuto concludere dicendo: “Il Fato è contro di me, meglio non andare oltre” ma, giunto a quel punto, la mia curiosità fu talmente tanta, da spingermi ad un gesto molto poco educato. Bussai a pugno chiuso e pesantemente alla piccola porta con il risultato di richiamare non solo l’anziana signora sulla soglia, ma anche l’attenzione di qualche passante.

“Come si permette ad usare questa invadenza? Vada via o chiamerò le guardie!” tuonò la signora. Io per tutta risposta dissi:

“Dica al barone che io sono l’erede del dottor Hamish”

Il portoncino verde si chiuse sonoramente per riaprirsi dopo pochi minuti. L’anziana domestica mi introdusse agli ambienti interni, dai quali proveniva una musica di pianoforte.

“Il barone suona?” chiesi alla domestica al solo fine di rompere il ghiaccio.

“La prego di fare silenzio!” mi rispose la vecchia con molto poco garbo

Stetti zitto ed attesi fuori da quello che presumibilmente doveva essere lo studio del barone Verner. La musica cessò, udii delle frasi ed una risatina vivace provenire dall’ interno della stanza. Dopo poco, sulla soglia, vidi comparire la figura di una giovane ragazza, di statura assai minuta, completamente infagottata in un vestito pieno di orpelli.

 

“Grazie, sir, per la pazienza che avete con me. Mi raccomando, dormite e cercate di mangiare!”

 

Dietro la giovane comparve la figura di un uomo molto robusto, alto pressappoco sei piedi , una figura pacifica, ma con tratti che certo non si sarebbero potuti definire inglesi. Doveva essere il barone Verner, era di carnagione scura, indossava una pesante vestaglia da camera di colore verde ed aveva una gran massa di capelli nero corvino in testa. Il barone prese la mano della signorina e si chinò per baciarla dicendo:

“Miss, può star certa che lo farò, glielo prometto! Domani sarò qui ad attenderla”

 

Dopo questo la signorina si avviò con passo assai allegro verso l’uscita, mentre il barone si avvicinò a me presentandosi:

 

“Salve, sono il barone Jorge Horace Verner” disse porgendomi la mano in modo assai cordiale “ed immagino che lei sia l’erede designato dal fato, vero?”

 

“Immagino di si, signor barone, il mio nome è Samuel Donovan, sono un impiegato di banca”

 

lo sguardo del nobile si fece sospettoso

“per quale Istituto lavora, signor Donovan?”

 

“per la banca di Londra, signore, la stessa filiale in cui il dottor Watson aveva la sua cassetta di sicurezza” sulle labbra del barone tornò un sorriso sereno

“La filiale di Lombard street, immagino, no?”

“Esattamente signore”

“Quindi lei conosce la Glynn & Mills al numero 67?”

“Beh, signore, quell’ istituto fallì molti anni prima che io mi impiegassi alla banca di Londra, non l’ho mai vista personalmente”

“Ovvio, caro Donovan, ma lei sa perché quella banca fallì?”

“A dire il vero, no, signore, ma io sono qui per…”

“Caro Donovan” disse il barone sorridendo e facendomi cenno di accomodarmi “lei non lo sa, ma è qui esattamente per sapere questo!”

 

L’aria frivola e leggera dell’ ospite non fecero altro che confondere ancora di più i miei pensieri, mi accomodai in una vecchia poltrona di cuoio chiaro ed il mio sguardo si posò su un grande pianoforte verticale su cui erano collocati moltissimi ritratti di persone e scorci di paesaggi che non avevo mai veduto, sulla destra del massiccio strumento di palissandro un tavolino di noce portava una lampada liberty che spandeva una tenue luce attraverso i suoi vetri colorati. Davanti a me, semi sdraiato su una chaise-longue di seta verde, stava il barone Verner che mi guardava evidentemente divertito nel cogliere il mio disorientamento. Nel tentativo di rompere l’imbarazzante silenzio chiesi:

“Lei insegna pianoforte?”

“Oh, no, affatto, lo suono a malapena e ad orecchio” mi rispose sorridendo “però mi piace sentir suonare la signorina Neamar, la ragazza che ha visto uscire al suo arrivo. E’ una brava fanciulla e ha la pazienza di sopportare un individuo stravagante come me!” fece una pausa, al termine della quale emise un sospiro, e guardando il soffitto riprese:

“Tuttavia signor Donovan, lei non è certo qui per sapere cosa faccio io nel mio tempo libero, quindi se non sa da che parte cominciare a pormi le domande comincerò io dal principio, ma la avverto che la storia potrebbe essere lunga!”

 

“Dunque signor barone, io ero presente all’ apertura della cassetta di sicurezza del dottor Watson e, per una serie di fortuite coincidenze sono stato l’uomo che ha aperto il plico sigillato”

 

“E questo fa di lei l’erede, molto bene, poi cos’altro le è capitato?”

 

“Ho letto gli appunti stenografati, ne ho preso nota e li ho trascritti per esteso”

 

Il barone annuiva “Poi?”

 

“Poi ho letto il resoconto che si trovava dentro la busta, quello che parla della visita di Watson in Italia per trovare Holmes”

 

Con un ampio sorriso Verner riprese a parlare: “Si, il povero dottore era molto legato a mio zio” si alzò per andare al pianoforte, da cui prese una cornice d’argento “Era proprio un brav’uomo, mi ricordo di quando veniva a casa nostra a prenderci con il suo brum per andare a trovare zio Sherlock. Era veramente un buon amico.” Gli occhi del barone si fecero lucidi mentre mi porgeva la cornice cha aveva preso “Guardi, vede?” mi disse indicando con il dito “questo qui a sinistra era mio padre, questo qui in basso, seduto a terra sono io, poi qui, seduto sulla sedia c’è mio zio e quest’ uomo baffuto in piedi dietro di lui era il dottore. Questa fotografia è stata scattata nel 1921, avevo quindici anni, ne è passato di tempo, eh?” Quell’ ultima domanda sembrava più rivolta a se stesso che a me “Bene, adesso che conosce i protagonisti della storia, mi dica, signor Donovan, cosa vuole sapere?”

“Barone, se non le spiace vorrei conoscere il motivo della precipitosa fuga da Londra di suo zio, Sherlock Holmes, e vorrei sapere il finale del resoconto contenuto nel plico che costituisce la mia, per così dire, eredità. In fondo il dott. Watson ha lasciato disposto di venire a chiedere informazioni presso il dottor Verner o i suoi eredi, quindi, in un certo qual modo, il possesso di queste informazioni mi è dovuto”

Il barone mi guardò con amarezza, gli sfuggì una sorriso disgustato a cui seguì: “Io le dovrei delle informazioni? Ne è sicuro signor Donovan? Potrei rifiutarmi di raccontare i fatti privati della mia famiglia ad un oscuro individuo che mi viene in casa e mi parla di “doveri” e di “diritti” testamentari accampati, per giunta, in modo tanto bizzarro. Con tutto il rispetto per la buon’anima del dottor Watson, non mi sento in dovere di raccontarle nulla signore.” Si alzò dirigendosi alla finestra “Se io adesso le raccontassi tutta la storia di quello che la gente chiama Hiatus chi mi assicura che lei poi non andrà in giro a divulgarla al solo scopo di trarne profitto?”

Il comportamento dell’ eccentrico nobile era quantomeno bizzarro. La mia era solo curiosità, ero stato tirato in ballo in una storia senza senso, avevo rischiato di morire fucilato in casa mia, avevo affrontato peripezie incredibili per difendere le carte di Watson, avrei avuto sicuramente il piacere di sapere dove mi avrebbe portato tutta questa successione di follie.

“Signore” dissi “non è mia intenzione pubblicare alcunché di quanto lei mi dirà, sono solo curioso di sapere cosa è successo dal 1891 al 1894 a suo zio”

“Lei è pazzo, Donovan!” disse ridendo il mio interlocutore “Sicuramente io lo sono, lo so che lo sta pensando, ma mi creda, lo è anche lei! Lei non è un buon osservatore. Vediamo di metterla sulla pista giusta, allora, domanda semplice: cosa ci fa un nobile italiano, uno Squire, come dite voi, in Inghilterra, mentre gli inglesi e gli italiani si massacrano in Libia? A questa segue una domanda ancora più semplice: come mai il nobile italiano non è tornato a casa sua, visto che ha veramente una bella casa in Italia, ma rimane qui in una casetta di un piccolo paesino della Cornovaglia? Sa darmi delle risposte?”

Rimanevo incantato a guardare quell’ uomo. Parlava e gesticolava come fosse un pazzo, alternava toni acuti a toni gravi della voce e di tanto in tanto emetteva gridolini di compiacimento per ciò che diceva, in parole povere era il nipote di Sherlock Holmes.

“No, signore, ma immagino che avendo le giuste informazioni potrei tentare di…”

“Ovvio! Ma provi ad usare la logica, deduca le informazioni che le servono. Io, italiano, mi trovo qui quando per logica mi troverei più al sicuro in Italia, che ne deduce?”

“Che lei in Italia non sarebbe al sicuro”

“Bravissimo! Visto? Se si impegna riesce a ragionare, bravo! Perché a casa mia non dovrei sentirmi sicuro?”

“Perché…” non sapevo veramente cosa dire e mi tormentavo le mani guardando Verner che mi incitava con lo sguardo a rispondere “Perché ha fatto qualcosa che non doveva fare?” azzardai e la reazione del barone mi fece capire che non avevo del tutto torto

“Bravo! C'è andato vicino. Ha mai pensato di fare l’investigatore?” disse ridendo e battendo le mani mentre camminava per la stanza “Allora Donovan, basta giocare” con una mossa repentina si lanciò su una poltrona guardandomi divertito “Adesso le racconterò tutto quello che è successo”.

 

1, Kaspar David Friedrich, pittore romantico tedesco vissuto agli inizi del XIX secolo, i suoi dipinti sono permeati da un’aura mistica e misteriosa

2, William Blake, Poeta ed incisore inglese vissuto tra il XVIII ed il XIX secolo, autore del poema Jerusalem da cui è stato tratto uno degli inni non ufficiali dell’Inghilterra

3, Glastonbury...Chalice Well,la cittadina di Glastonbury è famosa per una leggenda riguardante un presunto viaggio effettuato dal giovane Gesù in compagnia di Giuseppe d’Arimatea. Questa leggenda ispirò il poema Jerusalem di Blake


  
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