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Autore: Lexy    19/03/2011    0 recensioni
Questo è il seguito di "Who will take my dreams away?"
Mister Freeze, che ha posto il suo quartier generale a Bludhaven (territorio protetto da Nightwing), e Poison Ivy che invece ha iniziato la sua ascesa al potere da Gotham City (guardata da un Batman ormai annoiato e decadente). Al centro di tutto questo c'è Duefacce che, non provando nessun interesse in questi scontri inutili, si limita a badare al suo territorio, per nulla intimorito da quelle due nuove potenze soprannaturali... ma le cose resteranno così? Chi provvederà a far cadere questi due malvagi pilastri della malavita? Nuove alleanze, tradimenti, avventura ed azione.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRETEND THE WORLD HAS ENDED:




Capitolo 11: Pretend the world has ended.

Jonathan Crane pensò che in fondo avrebbe dovuto aspettarselo: era scontato che prima o poi il filo rosso del destino li avrebbe riuniti ancora, tutti, in un’epica scena finale che gli sembrava di aver vissuto già troppe volte, che ricordava pericolosamente il loro inizio.
Avrebbe anche potuto evitarlo.
Magari accettando di restare con Richard in cerca di caffettiere, magari impedendo alla vita che aveva scelto di allontanarlo da una scrivania, da uno stipendio più che adeguato, da una targhetta col suo nome scritto sopra… invece eccolo lì.
Inchiodato insieme agli altri nel quartier generale di Freeze mentre la villa gli bruciava intorno e tutto sommato, gli sembrò accettabile; non gli importava più di sopravvivere e perfino il pensiero che Ivy avrebbe potuto cavarsela non lo irritava. Si sentiva solo grato che non fosse lì.
Quella era la loro fine-inizio, il loro party esclusivo ed Harvey stava in piedi, il petto nudo, la metà bruciata del viso e del collo brillava - ancora una volta - sotto i riflettori delle fiamme. Tra le braccia il fucile che Crane stesso gli aveva ficcato in mano dopo averlo liberato.
Colpito da una pallottola di quell’arma, disteso sul pavimento mentre sanguinava a morte c’era Joker; dal foro della fantastica giacca viola che indossava, che era confezionata a mano, che faceva parte di un completo del cui prezzo Jonathan non era mai riuscito a capacitarsi, si riversava piano piano a terra.
Poi Duefacce cadde, e fu l’ultimo a farlo; il fucile scivolò, e roteando lungo il pavimento li puntò tutti, prima di fermarsi su nessuno.
Quando Spaventapasseri vide Harley Quinn portare una mano al viso, pensò che avesse iniziato a piangere. Lui invece - per la stanchezza, per le ferite, o forse per lo scioc di vedere il suo ex che sparava al suo ex migliore amico - non reagì: con un fazzoletto sporco si coprì il naso e la bocca per filtrare l’aria ormai piena di fumo e sembrava quasi che stesse piangendo anche lui.
Era stato Joker ad appiccare il fuoco, per salvargli la vita dal ghiaccio artificiale che Freeze gli aveva sparato contro o forse chi lo sa, solo per rendere la scena ancor più plateale, come se non fosse stato già tutto un dramma.
Con una mano, il clown coprì il foro dal quale stava sgorgando il sangue ed il tappeto sotto di lui, incapace di berlo, per l’imbarazzo arrossiva sempre più, di una tonalità densa e lucida, scura e viscida come solo la fine riusciva ad essere.
Gattonando, Crane lo raggiunse, lo vide alzare lo sguardo e nei suoi occhi scuri ed elettrici le fiamme apparivano nitide, come allo specchio.
Joker disse: “Merda.” Il suo viso un pastrocchio di lacrime asciutte, cenere e make-up e disse: “Stantio, il copione dove muoiono tutti… no?” Si voltò verso Edward, che non lo guardava, che non si muoveva, ed alzò la voce. “Speriamo che Oswald ci abbia tenuto un posto panoramico.” Crane tossì un paio di volte nel fazzoletto, ma quello fu l’unico suono a levarsi nel crepitio della fiamme. “Eddie, devi rispondermi!” Urlò ancora, come se non fosse diventato già tutto un dramma-dramma. “Harl?”
La donna rispose con voce quanto mai flebile e tentò di voltarsi sulla pancia.
“Tutti i supercriminali di Gotham…” Disse il clown. “Adesso, moriranno?” E ridacchiò brevemente, senza fiato. Tornò a guardare Jonathan inginocchiato accanto a lui, il suo viso tradiva una lunga riflessione. “Ahh… avrei voluto morire per mano di Bats-s, alla fine.
Crane sorrise. Immaginò che per Joker - l’essere superiore che in previsione di una morte violenta aveva spedito un suo bel primo piano a tutti i giornali - fosse normale, anche in quel frangente, rubare tutta la scena per sé col suo atteggiamento, con le sue frasi a effetto.
Quando un incendio raggiungeva una certa temperatura, non restava che evitarne la propagazione, perché spegnerlo diventava impossibile. Sapevano che non sarebbe arrivato nessuno a salvarli, per questo ai primi suoni ovattati di una decina di sirene, nessuno batté ciglio.
“Non volevo che andasse così.” Rivelò il clown, come se Crane non lo sapesse già, come se non fosse già tutto un dramma, dramma, dramma.
“Ohh, sta zitto!” Disse Harvey, desiderando ardentemente di morire in silenzio o forse, semplicemente aveva intuito le sue prossime parole.
“Sta zitto tu!” Urlò Joker di rimando, poi afferrò Jonathan per i vestiti, per ciò che restava del suo maglione ed il fuoco aveva già iniziato a mangiarsi il tappeto sotto di loro; se il mondo avesse potuto vederli in quel momento, avrebbe capito tutto. Molto più di quanto ognuno di loro avrebbe voluto rivelare.
“Questa è la tua ultima possibilità, Johnny.” disse, mentre lo ricopriva col suo sangue. “Mi ami?” Chiese. “Mi ami davvero?”
Eccolo di nuovo - ma forse per l’ultima volta -, il modo in cui quel folle aveva estremizzato tutto nella sua vita: l’infinito spettacolo dal vivo del principe clown, ogni momento che passava sempre meno dal vivo e sempre meno infinito.
Crane gli prese la mano, perché visto il tentativo di Joker di ucciderlo, di far fuori anche Duefacce prima di arrabbiarsi con Freeze e cambiare idea, sarebbe stato un gesto estremamente bello, da parte sua. Aprì la bocca per rispondere ma il soffitto crollò nella stanza accanto, scaraventando scintille e tizzoni ardenti nella loro direzione.
“Chi me lo avrebbe detto, che da morto sarei assomigliato a Duefacce…” Ridacchiò il clown e Spaventapasseri rifletté sull’occasione ormai perduta di mandare anche lui qualche bella foto di sé ai giornali, nell’eventualità - mai parsa meno remota - di morire bruciato vivo.
“Mi hai sentito, Harv? La morte ci ha accomunati!” E le sue risa soffocate coprirono un’ultima risposta scettica.

**

Joker riprese coscienza sdraiato su una barella - nessuna idea di come ci fosse arrivato -, mentre lo calavano dall’autoambulanza per trasportarlo nell’ospedale che riconobbe come il nuovo Gotham General. Lo conosceva bene, visto che era stato proprio lui a demolire quello vecchio.
Un infermiere prese a tagliargli i vestiti e sembrava metterci un’eternità, con quelle forbici da sartina che usavano nelle sale operatorie. Da qualche parte alla sua destra, una voce femminile continuava a gridare cose oscene.
“Scattate ora!” Urlava. “Sta perdendo troppo sangue!”
Chiuse gli occhi immediatamente, ma comunque troppo tardi ed il flash lo accecò.
Qualcuno alla sua sinistra gli stava raccontando quanto fosse stato fortunato: se la pallottola lo avesse colpito appena due centimetri più in alto, sarebbe morto. Certo, due centimetri più a destra invece ed avrebbe potuto strapparsi la maschera dell’ossigeno per ballare su quella testa di cazzo. Non riusciva a capire: forse il fatto di avere un sorriso perenne scolpito sulla faccia non lo rendeva per forza un ottimista, ma non sentiva il bisogno di ringraziare il cielo per essersi beccato una fucilata.
In sala operatoria gli tolsero la mascherina giusto il tempo di schiacciargliene un’altra sulla faccia, e le sue palpebre si fecero pesanti; non voleva dormire, non mentre tutta quella gente in verde si stagliava sopra di lui con aria minacciosa.
Poi chiuse gli occhi, e fu giorno di nuovo.
Era il tramonto, la luce arancione colorava le mura, la ghiaia bianca, le aiuole nel cortile della villa di Freeze mentre lui, saltellando, raggiungeva Harley vicino al loro furgone.
Harley…
L’Arlecchina sorrideva; gli si strinse attorno ad un braccio, l’aria esultante mentre si godevano lo spettacolo del portone che cadeva a terra, pesante, deformato dall’esplosione.
Edward…
Eddie non si era neppure avvicinato, non aveva detto una parola, in una mano continuava a dondolare il suo scettro. Una volta era il suo compagno, ma in quel momento non sapeva più come chiamarlo.
Calcinacci, polvere…
Attraversarono la densa nuvola di pulviscolo e si ritrovarono all’interno. Gli uomini di Freeze erano pochi, ed i più furbi di loro avevano preferito gettare le armi, gettarsi a terra a loro volta e lui decise di lasciarli andare.

**

Edward Nigma si sentiva bruciare: dovevano essere tutte quelle schifezze, quei tubi che gli avevano messo addosso e dentro, ma per quanto si agitasse non riusciva a liberarsi dalle morse che lo trattenevano.
Era sdraiato all’interno di un qualche tipo di apparecchio, e quando apriva gli occhi riusciva a vedere il soffitto attraverso una finestrella trasparente, mentre se li chiudeva le immagini si affollavano: le fiamme, Joker, il fumo, poi ancora Joker, ancora fumo e fiamme…
Si domandò se le bende che gli avvolgevano la faccia nascondessero davvero le terribili ustioni che temeva e forse lo stava solo immaginando, ma sentiva odore di capelli bruciati. Pensò che gli sarebbe mancato molto, il suo bellissimo viso.
Era rimasto indietro, come da piano, a trafficare col sistema di sicurezza di Freeze: fece scattare l’allarme di contenimento che sigillò porte e finestre, che avrebbe impedito a chiunque la fuga.
Era grato di essersi potuto separare dagli altri.
Ad un certo punto si sentì chiamare, era Crane. Gli chiese cosa stesse succedendo, cosa diavolo volesse Joker da lui. Al suo fianco, uno sconosciuto col volto coperto da una maschera antigas continuava a fissarlo senza dire una parola.
“Qualsiasi cosa sia, non è buona.” Ammise Edward. Perché non gli andava, di ingannarlo.
“E tu?”
Lui aveva seguito il suo compagno fin dentro la tana del leone… non avrebbe avuto senso, tradirlo a quel punto. Eppure, non voleva fare del male a Crane.
“Vieni con me.” Propose, il tono urgente. “Di qualsiasi cosa si tratti, lo convinceremo a ripensarci.” 
Spaventapasseri spalancò gli occhi: “Non scherzare.” disse. “Quando mai Joker ha rinunciato a qualcosa solo perché glielo chiedevi tu.”
No, no, non da Jonathan Crane… da lui, simili schifezze non poteva proprio accettarle.
“Potrei dirne tante anch’io sul tuo conto, ma sono più educato.” disse, e digrignò i denti. “Non ci credo, vorresti affrontare me?” e sollevò lo scettro, ma la sua scarica elettrica mancò il bersaglio: il ragazzo col volto coperto aveva spinto Spaventapasseri per terra, lontano dalla traiettoria del suo attacco.
“Vattene.” Disse poi, e Crane non se lo fece ripetere due volte.
Crane…
“Coraggioso, il tuo amico.” Commentò Nigma. “Ma c’è gente peggiore di me, qui in giro.”
C’era Joker, c’era Freeze, c’erano Harley e Poison Ivy.
Il ragazzo ghignò, e fu realmente fastidioso. “Una cosa alla volta.” disse, tracotante, ma mostrò presto di poterselo permettere: saltava, roteava e menava colpi con la violenza di una bestia. Edward non riuscì mai a colpirlo e parare i suoi colpi si dimostrò altrettanto doloroso che prenderli in pieno.
Se non fosse stato tanto più basso, avrebbe giurato che si trattasse di Batman.
Doveva solo scappare.
Gli facevano male i polsi, gli avambracci, la milza… corse così tanto che pensò di non riuscire mai più a riprendere fiato in vita sua.

**

Per Harley Quinn, le unghie strappate non erano il problema e neppure le ossa rotte; quando si guardava però - le vene che pulsavano in rilievo, scure come lividi, i polpastrelli verdi… - le passava la voglia di scoprire il resto del suo corpo; ad intervalli regolari un’infermiera - sempre la stessa, coperta di plastica da capo a piedi - arrivava per farle un’iniezione dopo l’altra. Poi controllava che fosse ancora saldamente bloccata sul letto di contenzione, prelevava un nuovo campione di sangue e sostituiva la busta per la trasfusione.
Doveva ammetterlo, un po’ aveva paura.
Se solo avesse saputo qualcosa del suo Puddin’… lo aveva visto mentre lo caricavano su un’ambulanza diversa dalla sua, gli occhi chiusi, sangue dappertutto, pallido come un morto sotto il cerone sporcato e sciolto.
Sentì gli occhi bruciare di nuovo ma si rifiutò di piangere, non era sconsolata. Se avesse ceduto alle lacrime, sarebbe finito tutto. Harley Quinn stessa sarebbe finita, perché il suo uomo meritava di meglio. Il suo Puddin’ era immortale, quindi l’Edera, o Freeze, o l’intero mondo, non avrebbero mai vinto in quel modo.
Loro non avrebbero dato a nessuno la soddisfazione di vederli tirare le cuoia.
Ivy era perfino arrivata a proporle un’alleanza, a dire che erano simili loro due, che insieme avrebbero potuto formare una squadra invincibile. Ovviamente, lei rifiutò.
In breve tempo, Harley si ritrovò a fuggire dalla battaglia, l’Edera le aveva sputato addosso ogni tipo di veleno.
Non riusciva a seminarla, i suoi rami erano dappertutto nell’edificio e tramite loro sapeva sempre dove trovarla; quei perfidi figli poi, le sbuffavano addosso strane spore, l’attaccavano continuamente.
Poi, Edward…
Lo vide attraversare il corridoio dirimpetto al suo e lo chiamò, gridò il suo nome con tutta la voce che aveva; lui si fermò di botto, il suo sguardo corse da lei ad Ivy, poi di nuovo a lei, i loro occhi si incrociarono e bastò un attimo.
Come leggendogli nella mente, si gettò per terra.
La luce.
Vide l’attacco di Edward riflesso sul pavimento, come un lampo di luce che sembrò accarezzarla, prima di passare oltre. Poi la punta di un paio di stivali da uomo vicino la sua faccia le fece alzare lo sguardo.
“Che. Bella. Soddisfazione.” Disse Nigma, e lei sorrise.
Avrebbe anche potuto ignorarla, o magari prendere due piccioni con una fava ed ammazzarla insieme ad Ivy, ma non lo aveva fatto.
“È…?”
“Che ne so.” Disse lui.
“Polso? Battito cardiaco?”
“Figurati se ha queste cose.”
Si vergognava di aver pensato tanto male di Edward.
“Giuro che al tre mi alzo.”
“Senza fretta.” Disse Nigma, sorridendo. “Intanto, raccontami pure i dettagli del vostro catfight…”

**

Harvey Dent pensò di essere invulnerabile agli elementi della natura: nella sua vita era sopravvissuto ad una donna pianta, due incendi, due annegamenti ed un’esplosione. Aveva perfino vinto a testate con la Terra, se si conta la caduta dall’altalena quando aveva cinque anni.
Gli venne da ridere.
Il ritrovamento dei cinque criminali più pericolosi di Gotham in una villa in fiamme, divenne quasi un affare di stato e purtroppo, Duefacce si ritrovò l’unico abbastanza in forze da sopportare l’assedio di domande della polizia; dopo appena qualche minuto di interrogatorio, guardò Jim Gordon dritto negli occhi.
“Non sono cazzi vostri.” Disse, e non profferì più parola.
“Jonathan?”
L’ex psichiatra imbracciava due armi, una mitraglietta ed un fucile. Le poggiò a terra giusto il tempo di liberarlo dalle corde.
“Joker è qui per me.” Disse. “Ma sono abbastanza sicuro che ce l’abbia pure con te.”
“E quando mai.” Commentò, alzandosi in piedi. “Giuro che stavolta lo secco.”
Era così strano, pensare che l’origine di tutto risalisse a tanti anni indietro. Fatti che ormai credevano dimenticati, sepolti.
“Tu non secchi proprio nessuno!” Lo rimproverò, mentre gli ficcava in mano il fucile. “Dobbiamo solo andarcene.”
“Paura, Johnny?” La voce di Joker li colse di sorpresa, lo videro appoggiato contro la porta. ”Non dovresti, sai quanto ti voglio bene, no?”
Duefacce sollevò il fucile, ma Crane ne afferrò la canna e l’abbassò, fulminandolo con lo sguardo.
“Cosa pensi che ti abbia fatto?”
“Credo sia più esatto dire cosa non hai fatto. Ma davvero, penso tu sappia già di che sto parlando… sapevi chi era Poison Ivy, una telefonata avresti anche potuto farla.” Disse, poi rise. “Anche a carico del destinatario.” La sua lingua schioccò velocemente, un suono ammonitore. “Vergogna, Johnny. Pensavo ci volessi bene.”
Probabilmente Spaventapasseri era stato il solo a capirlo fin da subito, che c’era la seria possibilità di non uscire vivi da lì.
“Tu sei malato, clown” Commentò Duefacce.
“Non stavo parlando con te!” Urlò, e fece qualche passo nella stanza.
“Vattene, Jonathan.” Ordinò poi Harvey, ed il clown sembrò trovarlo divertente.
“Massì Johnny, vattene pure.” disse, ed il suo tono non era mai stato tanto lugubre.
Dopo aver vissuto una cosa simile tutti insieme - sperimentare odio, rabbia, delusione e smarrimento, dopo aver tentato di ammazzarsi a vicenda -, probabilmente non sarebbero mai più riusciti a restare separati.
Joker s’inchinò con strafottenza al passaggio di Crane, poi iniziò a fissare Harvey in modo intenso, lo vide far scattare il caricatore del fucile.
“Guarda che l’automutilazione non mi spaventa.”
Il clown non capì subito, ma infine annuì. “Ah! Parli delle cicatrici!” Ridacchiò brevemente e si avvicinò di qualche passo. “Vuoi sapere come me le sono procurate?”

**

Jonathan Crane si rese conto di non sapere dove andare e probabilmente, quella luce circolare che lo illuminava come un riflettore non avrebbe dovuto essere lì: era strana, fastidiosa.
Strizzò le palpebre, alzò lo sguardo e lo vide: un grosso elicottero roteava nel cielo sopra di lui, illuminandolo col suo gigantesco faro; nonappena si mosse per uscire da quel fascio di luce, il velivolo andò via.
“Sai.” Disse il dottor Fries al suo fianco. “È per quei supercriminali, quegli evasi. Dicono che le ricerche non si fermeranno finché non li avranno ripresi tutti.” Abbassò la mano con cui s’era riparato gli occhi e sorrise. “Dobbiamo proprio andare. Il congresso è già iniziato.” Disse, e gli mise una mano sulla spalla.
Jonathan chiuse gli occhi.
Non avrebbe mai voluto lasciare la villa. Freeze non poteva lasciargli fare ciò che volevano, non dove riposava sua moglie. Il cuore gli si fermò per un attimo.
Solo che in quel momento, non ricordava perché. Il dottor Fries lo guidò fin nella sala d’ingresso dell’hotel, poi lo lasciò, precedendolo nella sala congressi. Jonathan si avvicinò alla reception e poggiò la sua ventiquattrore sul lucidissimo bancone.
“Devo registrarmi.”
“Nome, prego?”
Chiese un uomo; era alto, molto alto e magro coi capelli scuri, probabilmente troppo lunghi per il lavoro di front office che faceva. Sul petto, una targhetta recitava Edward e nient’altro e per un momento, Crane esitò.
“Signore?” Lo incitò Edward, guardandolo un po’ preoccupato.
“Jonathan Crane.”
Freeze lo aveva tradito? Possibile?
“Ma certo.” Sorrise l‘uomo. “Mi dia un documento adesso, per favore.”
Quando aprì la ventiquattrore si accorse che qualcosa non andava, non era la sua: i suoi documenti, il cellulare, il portafogli, perfino i biglietti per il ritorno a casa non c’erano più. Sul fondo giacevano solo un cilindro di plastica ed una maschera da spaventapasseri, brutta come poche cose.
“Oh, diavolo…” imprecò, portando due dita a massaggiarsi gli occhi.
“Ti stavo cercando.” Sobbalzò a quella voce improvvisa e si voltò. Restò in silenzio e Freeze fece lo stesso.
“Non è la mia valigetta.” Spiegò. “Devo averla scambiata ad un certo punto, non potrebbe lasciarmi passare comunque? Sono davvero in ritardo.” Disse, calcando l’ultima frase.
“Mi dispiace…”
“Immagino.” Disse Jonathan, riuscendo perfino ad apparire calmo.
“Cosa immagini?” Chiese Freeze, ed a passi lenti iniziò a disegnargli un ampio cerchio intorno.
“Sei sceso a patti con Joker, vero?”
“Naah, non pensarci troppo su! Si sistemerà tutto, vedrai.” Disse il barista, poi smise di botto di shakerare il suo drink, lo versò nel bicchiere e glielo passò, tutto nel giro di due secondi.
“C’era la mia vita, in quella valigetta.” Replicò Crane, sconsolato e troppo stanco per mettersi effettivamente alla ricerca del bagaglio perduto. Sentì il barista mormorare qualcosa, che somigliava pericolosamente ad un ma che minchiata.
“Prego?”
“Niente, và.” Disse l’uomo, sul suo petto una targhetta diceva solo -J. “Ahh… avevi i documenti nella borsa, no? Sono sicuro che il tizio che l’ha presa ti chiamerà lui.”
Jonathan sorrise, allontanò il bicchiere dalle labbra per portarlo sulla fronte.
“Io non ho niente contro di te. Sei stato un valido alleato, ma tutto questo deve finire.”
“…con la mia morte.”
Mentre tornava alla sua stanza, lungo il corridoio vide una cameriera dall’aria allegra avanzare in direzione opposta alla sua mentre spingeva un grosso carrello; stava canticchiando una filastrocca e sembrava non averlo neppure notato. Si scansò per lasciarla passare ma una ruota gli pestò un piede, il dolore lo fece imprecare.
“Uh? Ah! Mi scusi tanto!” Disse subito lei. Era bionda, sul suo petto la targhetta riportava solo: Harley.
“Non è niente.” Rispose Jonathan, ma era evidentemente irritato.
“Ecco!” Esclamò Harley, sollevando un indice in aria. “Se mi perdonerà, farò finta di non vedere, se consumerà qualcosa dal mini frigo.” Gli strizzò l’occhio e riprese a spingere il suo carrello, ricominciò a cantare, più forte di prima.
“Mi dispiace.” Disse Freeze, ma Crane sapeva che non era vero.
Solo che nonostante l’apatia, l’infelicità, le azioni sconsiderate degli ultimi anni, sentì chiaramente la voglia… di non morire e non se l’aspettava. Non così forte, per lo meno.
Lo squillo del telefono della camera lo fece sobbalzare: sollevò la cornetta ed una voce sconosciuta parve non vedere l’ora di restituirgli la sua ventiquattrore: gli diede appuntamento a casa sua, un posto leggermente fuori città e subito dopo aver riattaccato, Jonathan portò entrambe le mani a coprirsi il viso.
Non ricordava di aver mai avuto un’emicrania tanto forte in vita sua, ma sentiva che una volta recuperata la sua valigetta tutto sarebbe tornato a posto, sarebbe tornato a stare bene. Per sempre.
Vide Freeze sollevare la sua arma contro di lui.
La casa era tutta addobbata a festa, dalle finestre intensamente illuminate la luce usciva a rischiarare anche il cortile e la porta era aperta. Man mano che Jonathan si avvicinava, il rumore di voci, di musica, delle risate, si faceva sempre più forte.
“Jonathan Crane?” Si sentì chiamare e si voltò, aggrottò le sopracciglia. “Jonathan?” ripeté l’uomo; era basso, tarchiato, ed indossava un frack alquanto fuori moda. Era sicuro di non conoscerlo.
“Sono io.” Annuì, e per un attimo dovette chiudere gli occhi. “Sono venuto per la ventiquattrore.” Disse, e l’uomo sorrise come a sbeffeggiarlo, come se sapesse qualcosa che a lui sfuggiva. Decise di ignorarlo.
Si voltò a guardare la casa illuminata ed avanzo di qualche passo per raggiungerla; osservò l’interno attraverso la porta aperta e vide una scala, in cima alla quale una figura scura, irriconoscibile, sembrava guardarlo come se lo stesse aspettando.
“Non la riconosci?” Disse l’uomo alle sue spalle, e sembrava divertito. “Non ti sembra di averla già vista, quella vecchiaccia?”
Gli bastò un attimo per decidere che avrebbe tentato il tutto per tutto.
Crane continuò ad ignorarlo, avanzò ancora verso la casa, verso la figura scura di quella donna.
“In caso te lo stessi chiedendo sì, lei ti stava aspettando già da un po’.” Continuò la voce dietro di lui. “Sei proprio sicuro di voler entrare?”
Crane annuì e per un momento, la testa gli girò talmente forte che dovette fermarsi e chiudere gli occhi.
“Ehi, Jonathan!”
Non sapeva cosa quell’uomo avesse ancora da dirgli ma si voltò lo stesso; si ritrovò la bocca di una pistola puntata dritta in mezzo agli occhi e per un momento gli parve di ricordare.
“Naah.” Lo sfotté Pinguino. “In fondo… tu non sei come loro.” Disse.
Sollevò la mitraglietta contro Freeze, l’unica persona che avesse mai ammirato in vita sua.
E sparò.
E sparò.

**

La luce era accecante, il rumore insopportabile e molte mani cercavano di trattenerlo.
Non riusciva a deglutire, perfino respirare gli era doloroso; sentiva la schiena fradicia di quello che immaginò fosse sudore e con un ultimo, immenso sforzo, si districò abbastanza per afferrare il camice di uno degli infermieri che lo circondavano. Con uno strattone lo attirò a sé finché non furono faccia a faccia.
“Chi sono, io?”
“C-Crane! Lei è Jonathan Crane.”

**

Appeso a testa in giù fuori dalla finestra dell’ospedale, Dick Greyson attese fino allo spegnimento delle luci, finché tutto il personale non si fosse dileguato dalla stanza riservata allo Spavetapasseri, poi entrò.
Restò fermo nell’oscurità per qualche minuto, in piedi ad osservare il respiro regolare che le macchine pompavano nei polmoni di Crane e pensò che non fosse giusto.
“Mi hai fregato un’altra volta.”
Disse, poi finalmente avvicinò una sedia al letto e si sistemò a suo fianco; quella che sembrava un’eternità passò in silenzio, perché a dire il vero Richard non sapeva proprio cosa dire né tantomeno se sarebbe potuto servire a qualcosa. Per molto tempo, semplicemente restò a vegliare lo Spaventapasseri e di nuovo, ma per molti più motivi, non gli sembrò giusto.
“Magari non serve, eh.” Mormorò all’improvviso, e si tese in avanti sulla sedia. “Ma sappi che so bene quanto è difficile trovare qualcosa o qualcuno in cui credere. Probabilmente ho sbagliato a chiederti di credere in me, allora. Non ho mai avuto niente che valesse la pena nascondere, ma immagino tu te ne sia già accorto.”
Disse, e si sfilò la maschera dalla faccia; l’osservò per un attimo prima di nasconderla sotto il cuscino dove Crane riposava.
Pensò che se l’ex psichiatra fosse stato sveglio, avrebbe capito… anche senza bisogno di parlare.
Ancora una volta, non era giusto.
Guardò Jonathan ancora per un po’, poi sospirò e si stese contro lo schienale della sedia, chiuse gli occhi. “Non è giusto.” disse, ad alta voce per la prima volta, ed allungò una mano a prendere quella di Crane, facendo attenzione alla flebo se la portò sotto il mento; era calda.
Chiuse gli occhi, ed iniziò ad ummeggiare una canzone.


Cast shadows through the days and swing the night. And come with me.
There’s nothing to believe in here, so just believe in me.
Your sense of apprehension suits you, you wear your troubles well.
I’ve nothing left to hide from you, I’ve got no God to sell.
(Lancia ombre attraverso i giorni e dondola(?) la notte. E vieni con me.
Non c’è niente in cui credere qui, quindi credi in me.
La tua inquietudine ti dona, indossi bene i tuoi guai.
Non mi resta niente da nasconderti. Non ho nessun Dio da vendere.)


Vi è sfuggito qualcosa? Avete dei dubbi?
Tenterò di far luce sui punti bui rimasti: 1) Vi domandate che fine abbia fatto Ivy? Dopo averla stesa, Edward ed Harley l’hanno trascinata in una delle stanze del primo piano quindi sì, infine lei si è salvata per davvero… solo per essere acciuffata da Batman poche ore dopo.

We can hide away for days, pretend the world has ended.
No more drama, no more pain -- pretend the world has ended.
We can run away tonight -- pretend the world has ended.
No matter what they say, we’ll work out fine: ‘cause you and I, we know this is heaven.
(Potremmo nasconderci per giorni, fingere che il mondo è finito.
Non più drammi, non più dolore -- fingere che il mondo sia finito.
Potremmo scappare via stanotte -- fingere che il mondo sia finito.
Non importa quello che dicono, ce la caveremo: perché io e te sappiamo che questo è il paradiso.”

Altro dubbio?
2) Vi state domandando se il tizio mascherato e “tanto più basso di Batman” fosse Dick? Sì, era lui. Vi chiedete come sia scappato? Dopo aver lasciato soli Duefacce e Joker, Spaventapasseri lo ha incontrato ed opportunamente imbrogliato per riuscire a metterlo ko e salvargli la vita. È a questo che si riferiva, con il suo “Mi hai fregato di nuovo.”

Your hair is damp from the rain, hungry eyes that look like lust.
The ghosts of lost loves follow you, you feel but you can’t trust.
Time disappears inside you, ‘till there’s nothing left but us.
You wave goodbye to everyone, and hope our love’s enough.
(I tuoi capelli sono umidi di pioggia, occhi affamati che sembrano lussuria.
I fantasmi di amori perduti ti inseguono, puoi sentire ma non riesci a fidarti.
Il tempo scompare dentro di te, finché non resta altro che noi.
Dì addio a tutti con la mano, e spera che il nostro amore sia abbastanza.)

Ultima esitazione?
3) vi chiedete come abbiano fatto a sopravvivere quei criminali ;)? Vi dirò, non ne ho idea. Forse è stato Dick a salvarli, con l’aiuto del suo gruppo di Titans, o forse Ivy ha demolito la casa coi suoi rami in cerca di una via di fuga, chi lo sa… cioè, in fondo vi importa davvero?

Just put your hand in mine, then cast your doubts aside.
(Metti semplicemente la tua mano nella mia, poi getta via i tuoi dubbi.)


FINE.


Ma prima che ve ne andiate. Posterò presto un epilogo a questa storia, che farà un po’ da introduzione al prossimo sequel. Continuate a seguirmi ;)!


Ringrazio tutti del sostegno, è magnifico che mi abbiate seguita fin qui, alla fine.
Un abbraccio,
XxX.SilverLexxy.XxX
  
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