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Autore: crimsontriforce    21/03/2011    3 recensioni
Discendere il Gagazet non concede requie – nemmeno oltre la veglia.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Braska, Jecht
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dieci anni fa, la stessa strada'
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Dedico la storia, seppur a posteriori che non so se vale ma facciamo di sì, ai due anon coccoli che mi hanno citata all'anon_lovememe^///^ Arrossisco ancora... 'azie^^

Settima al contest “Era un sogno” indetto da Fabi_Fabi, con una serie di prompt che pareva presa di peso dalle scritture Yevonite (dal capitolo di Madame de la Palisse delle scritture Yevonite... guardate sotto il titolo quello che ho claimato!) e fino a sei sostantivi da scegliere da un'ampia lista.
Scritta con la gentile partecipazione dell'OST di NieR (shine on, you crazy diamond), in particolare Cold Steel Coffin per il primo segmento, Snow in Summer per il secondo, Kainé (Escape) per il terzo.
E anche stavolta non credo di aver detto un decimo di quello che potrebbe venire detto su quest'argomento ma... come trip grafico senza pretese di completezza, ecco...










Sull'uscio di un sogno di pietra

Quando si sogna da soli è un sogno
quando si sogna in due comincia la realtà.





Fermentazione di un potenziale

I sogni di Jecht sono il dimenarsi di una bestia in gabbia.
La stanza che lo imprigiona puzza di morte, di polvere e luci fatue, e il soffitto troppo basso gli pesa sulle spalle curvando e sfregiando la sua schiena. Sente i suoi passi rimbombare lontani. Soffoca. Per quanto si protenda con le mani aperte non trova muri, solo quello premuto sulle sue spalle cui non riesce a sfuggire. La pietra grezza gli brucia la pelle.
Nel buio sente stridere e sibilare. Se cammina, centinaia di unghie graffiano il terreno. Se si volta, lo insegue un frusciare di squame. Lo circonda uno sciame invisibile di figure mostruose, ma Jecht resta solo.
La sua certezza rimane l'esistenza della porta, che sa essere l'uscita ultima da quel tormento. Ma nell'espandere i suoi cerchi rabbiosi trova solo, a tratti, l'eco insistente di una litania a respingerlo al posto dei muri, a legarlo a un centro invisibile e, nonostante la melodia riaffiori con insistenza nei suoi ricordi confusi, le parole che ora l'accompagnano sono fredde e ostili.
Preferirebbe una ninnananna.
Quando infine l'angoscia lo conquista, quando sente le deformità del suo corpo espandersi e riempire ogni spazio, allora Jecht urla. Lancia un urlo freddo e ostile, disumano, selvaggio, che viene accolto e rimestato dal canto che lo circonda fino a ritornare sottomesso, e si sveglia.
Apre gli occhi alle venature della pietra. Sul viso, sul petto, sulle mani sente il gelo della pietra. Sconfitto, torna a sognare una prigione di pietra.





Confine fragile

I sogni di Braska sono cauti, nei suoi ultimi giorni su Spira. Si sente in bilico su un crinale, o raggomitolato sotto coperte troppo pesanti, o ancora seduto in riva a un fiume che mugghia e s'ingrossa e minaccia di trascinarlo via.
Più spesso resta in piedi in una stanza sterminata e buia, reggendo una candela. Sente il suo calore irradiarsi lungo il supporto metallico e pizzicare la mano con cui le fa scudo, lo sente scendere lungo la semplice veste da notte fino ai piedi scalzi che toccano pietra. La candela è tutto quello che gli è rimasto da sognare.
Non distoglie lo sguardo dalla fiamma. Sente tracce di nervosismo crepitare sotto la sua abituale calma: lo spazio cavo di quel luogo lo riempie e lo trascina, ma non osa distogliere lo sguardo dalla fiamma. Inspira e si richiama all'ordine. L'oscurità stride, cigola, canta (note millenarie in lontananza, oltre pareti invisibili, ma l'inno sacro ha smesso da tempo di rincuorarlo), preme e lo cerca, l'oscurità nasconde qualcosa di immenso e ignoto cui Braska non può dare forma. Non ancora.
Si alza stanco e madido di sudore, cercando l'appoggio del suo guardiano.





Onorare il patto attraverso il velo; uscita

Stavolta è un sogno lucido, nel senso di volontario (occhi aperti, movimenti netti, mente svuotata, cadere in un mare di sensazioni familiari, richiamo, richiamo, richiamo) ma anche di colori vividi: si incontrano come due macchie rosse nel mezzo di una piana bianca abbagliante, indistinta fino all'orizzonte. Braska apre le braccia, accogliendolo, e le cinge attorno alle sue spalle. Nell'abbraccio sente la sua pelle viva e calda sotto le dita, sente le cicatrici che la percorrono, ricorda quelle che sono nate per lui, lo sente umano ed è questo che ricorderà di Jecht nei pochi istanti che gli resteranno ma deve scavare oltre, chiedergli altro. È ora.
Scende con una carezza decisa a raccogliere una mano fra le sue. Non c'è incertezza – solo calma, a questo punto.
Il velo bianco cade e sono tornati nella stanza buia. Jecht la riempie tutta di scaglie, ossa e artigli, ma non lascia la presa.
Andiamo”, dice il suo evocatore. Apre la porta.
Sin cade.

























...e niente, è più forte di me, appena stacco un paragrafo zac!, devo titolarlo :asd:
Come nota d'ufficio, Portò la morte a Zanarkand non è defunta, ma ha bisogno di revisioni all'ultimo dannato capitolo e l'iniziativa a squadre di Maridichallenge mi sta concentrando ogni attenzione scribacchina al momento >_< Mi scuso tantissimissimo e cerco di terminare al più presto.
   
 
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