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Autore: Shichan    29/03/2011    4 recensioni
C'era chi diceva che un "no, grazie", potevi rivolgerlo solo a richieste superficiali.
In realtà, potevi rifiutare qualsiasi cosa con un'espressione di falsa cortesia come quella: promesse, parole, e persino la gentilezza.
Potevi rifiutare anche di essere salvato.

[Raccolta di tre oneshot: G/Giotto, Cavallone Primo/Alaude, MukuroTsuna]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Mukuro Rokudo, Nuovo Personaggio, Tsunayoshi Sawada
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi appartengono ad Amano-sensei

Disclaimer: i personaggi appartengono ad Amano-sensei.

Prompt: 11. Everytime you release words, they’ll turn into light  (Tabella)

Note: ultima (era ora, diranno giustamente alcuni) delle tre shot di questa raccolta.

E’ stata un parto: doveva esserci una scena in più ma, a metà della stesura ho deciso che non mi piaceva e ho ri-modificato tutto da lì in poi 8D

Alla fine non ho capito se Tsuna è OOC, se lo è Mukuro, o se non lo è nessuno dei due - …o tutti e due? ;D

Note di lettura: ambientata con personaggi 5!Years Later (ossia, avete uno Tsuna ventenne). Non ho preso in considerazione la saga Shimon attualmente in corso sul manga, pertanto ho considerato la successione ufficiale di Tsuna al Nono avvenuta a 18 anni.

 

 

Dicotomia

 

 

Ogni volta che pronuncerai delle parole,

esse diventeranno luce.

 

 

 

Tsuna sospirò, finalmente libero anche dall'ultimo documento rimasto, che ora stava posando sulla pila di quelli già visionati e firmati.

Ad essere proprio sincero non aveva ancora ben chiaro come fosse possibile che con il tempo così tanti documenti si fossero accumulati: considerando che la cerimonia di successione con annessa ufficializzazione del suo ruolo di Boss dei Vongola – non più erede, ma Boss effettivo – era avvenuta due anni prima e che ora era quindi già avviato all'attività quale visionare le scartoffie, non se ne capacitava.

Sospirò rassegnandosi: già immaginava Reborn o riprenderlo, o minacciarlo con la pistola se solo si fosse azzardato a lasciare da parte un solo foglio, fosse stata anche una semplice distrazione.

E non che non avesse provato a spiegargli che non serviva necessariamente firmare oggi documenti che non sarebbero serviti prima di un mese.

...Era inutile sottolineare il fatto che Reborn lo aveva totalmente ignorato in merito, vero?

«Avanti.» pronunciò quasi grato di essere interrotto, alzando lo sguardo e puntandolo verso la porta. Questa, una volta aperta, rivelò la figura di Gokudera: «Disturbo, Decimo?» domandò, l'espressione docile che sempre assumeva nei confronti del castano.

Tsuna lo accolse con un sorriso gentile dei suoi, facendogli cenno di entrare e accomodarsi; erano passati esattamente cinque anni da quando si erano conosciuti e insieme avevano affrontato scontri troppo duri per dei ragazzini. E, benché fossero stati “ufficializzati” come decima generazione dei Vongola solo due anni prima, Gokudera sembrava naturalmente a proprio agio in quel ruolo che sembrava calzargli perfettamente. In senso buono naturalmente, non che Tsuna ora considerasse la Mafia il bene del mondo.

Tuttavia spesso non poteva fare a meno di notare la profonda differenza di atteggiamenti fra lui e il Guardiano della Tempesta, specialmente in quelle occasioni ufficiali: Gokudera pareva sempre perfettamente a suo agio mentre Tsuna – ormai ai suoi vent'anni – a volte rischiava ancora di sentirsi in soggezione.

E dire che era il Boss della Famiglia più potente e temuta.

«Avevi bisogno di qualcosa, Gokudera-kun?» lo incalzò cortesemente dopo che l'altro si fu seduto di fronte a lui, la scrivania fra di loro.

«Ci sono alcune novità.» comunicò Gokudera, senza fargli perdere troppo tempo: «Dino-san ha mandato un messaggio per confermare la buona riuscita della missione affidata alla sua Famiglia. Ha allegato un fascicolo con il rapporto e tutte le informazioni del caso.» disse, lo sguardo chiaro su una cartelletta che probabilmente conteneva quanto appena citato.

«Assicura che non ci sono stati problemi di alcun genere.» aggiunse ancor prima che Tsuna potesse chiedere. Il castano si lasciò sfuggire un sorriso sollevato.

«Manda un messaggio in risposta a Dino-san ringraziandolo per l'aiuto, per favore.» fece eco a quella prima comunicazione – a Gokudera veniva sempre da sorridere quando, come in quell'occasione, il Decimo sembrava ancora incapace di dare un ordine, ma solo in grado di chiedere “per favore”. E non lo faceva solo con i suoi Guardiani, poi, ma con tutti i suoi subordinati.

«Lo farò subito.» assicurò Gokudera, posando una parte dei fascicoli – quelli riguardanti la missione di Dino – sulla scrivania.

«I Varia hanno inviato una specie di rapporto. Lascia a desiderare» sottolineò con una nota di stizza tipica di lui e della sua pignoleria riguardo una qualsiasi documentazione ormai «ma si è capito almeno che Chrome procede bene. Ha ormai recuperato del tutto.» assicurò incoraggiante, osservando il Decimo.

Tsuna ne fu enormemente sollevato: dall'effettiva successione al Nono e ai suoi Guardiani avevano dovuto aspettare che tutti gli aspetti burocratici e di maggiore importanza venissero confermati e ben organizzati prima di potersi occupare di alcune “questioni interne”.

Fra queste, vi era stata la ferma volontà di Tsuna di sistemare la situazione in cui versavano i suoi due Guardiani della Nebbia. Incoraggiato dall'aver visto, nel futuro, la possibilità di liberare il corpo di Mukuro dalla prigionia di Vindice, aveva insistito per far sì che essa si concretizzasse.

Aveva richiesto tempo, e Tsuna non aveva mai voluto sapere in che modo Reborn avesse strappato a Mammon la promessa di occuparsi di Chrome, affinché la ragazza potesse essere definitivamente in grado di provvedere da sola all'illusione che manteneva il suo corpo in salute. Nonostante questo, però, la parte veramente difficile era stata trattare proprio con la prigione: non avevano certo accettato di buon grado di liberare quel che era considerato un pericoloso criminale.

Al contrario, ci era voluto ben un anno e mezzo per ottenere la liberazione di Mukuro.

E più volte Gokudera e gli altri avevano chiesto a Tsuna come, alla fine, avesse ottenuto il consenso da Vindice; il castano aveva sempre sorriso, accennato ad uno “scambio di favori”, ma non aveva mai dato una vera risposta.

«È tutto?» domandò il Decimo, lo sguardo ancora sul Guardiano della Tempesta. Questi scosse appena la testa, mascherano la sfumatura di preoccupazione nello sguardo prima che l'altro potesse notarla.

«Reborn-san vuole che finiti i documenti lo raggiunga nel suo ufficio. Ha detto che... Mukuro ha ripreso conoscenza.» concluse.

 

 

«Ribadisco che io non sono un medico, Reborn.» ribatté infastidito, fissando di sottecchi il tutor che camminava al suo fianco e che sembrava del tutto intenzionato ad ignorarlo. Tsuna sbuffò, scuotendo la testa rassegnato: non capiva secondo quale logica dovesse essere lui ad occuparsi della riabilitazione di Rokudo Mukuro.

«Non ti sto parlando di riabilitazione fisio-muscolare, stupido allievo.» sottolineò gelido l'Arcobaleno: «Ma non sei stato tu a voler tirare fuori Mukuro da Vindice? E non eri sempre tu quello che diceva che “si sarebbe pienamente assunto la responsabilità dell'intera questione”?» gli fece notare, non senza un certo sarcasmo nel tono di voce.

Il castano sospirò, continuando ad avanzare, lo sguardo di fronte a sé: «Mi pare di averlo fatto.» rimbeccò stancamente. Reborn non aveva bisogno di chiedere a cosa si riferisse. Era l'unico a conoscenza di quale fosse stato il famoso favore in cambio del quale aveva ottenuto la libertà del Guardiano della Nebbia.

«...Non aspettarti che ti ringrazi.» gli fece notare il killer.

«Non ho intenzione di dirgli niente più di quanto io abbia rivelato agli altri.» chiarì Tsuna, concedendosi uno sbuffo divertito quasi: «E Mukuro non è proprio tipo da ringraziare, comunque.» aggiunse.

«Forse tenterà di ucciderti?» buttò lì ironico Reborn.

«Credo che abbia ancora bisogno di me per il suo progetto di distruzione della mafia.» osservò in modo falsamente casuale, con quel leggero nervosismo che aveva sempre caratterizzato il suo tono in caso di disagio per qualcosa.

Si fermarono entrambi a pochi passi dalla stanza del Guardiano.

«Probabilmente ti tradirà.» concluse Reborn passando oltre, diretto altrove.

«Potrebbe.» replicò Tsuna: «Ma spero di no. Sarebbe la prima volta in cui approfitterei di essere il Boss dei Vongola, temo.»

Reborn si fermò, voltandosi ad osservarlo da sopra la propria spalla, lo sguardo indecifrabile.

«D'altra parte» riprese il castano, ricambiando l'occhiata «se non fosse un ordine, tu non risparmieresti la vita ad un traditore.»

«Mpf. ImbranaTsuna.» fu la risposta seccata prima di dargli nuovamente le spalle.

«A dopo.» disse bussando alla porta, per poi aprire e varcarne la soglia.

 

Non era la prima volta che vedeva Mukuro steso su un letto, dal momento che era andato regolarmente ad informarsi del suo stato da quando era arrivato lì da Vindice; praticamente ogni giorno era passato almeno qualche minuto per parlare con la squadra medica che se ne stava occupando.

Per questo suppose che il disagio provato nello stesso istante in cui si era richiuso la porta alle spalle fosse dovuto al fatto che, diversamente dalle altre visite, ora Rokudo Mukuro era sveglio e cosciente della sua presenza lì.

Abbozzò comunque un sorriso gentile a mo' di saluto, al quale l'altro rispose con uno sbuffo leggero, voltando la testa e portando apparentemente lo sguardo verso la finestra.

Aspettandoselo, Tsuna si limitò a portare vicino al letto del Guardiano la sedia lasciata normalmente in un angolo e a prendervi posto.

Tsuna si chiese perché; la stanza era per lo più nella penombra, illuminata fiocamente quanto necessario affinché non si brancolasse totalmente nel buio. La finestra era chiusa – erano pur sempre in inverno -  e lo stesso le persiane.

Il motivo era scontato: dopo la lunga prigionia, il corpo di Mukuro non doveva solo riabituarsi ai movimenti, ma anche a cose meno evidenti esteriormente, ugualmente importanti.

Come la vista – gli occhi erano estremamente sensibili alla luce diurna e a quella artificiale se troppo forte – o i cibi. La sua alimentazione era stata opportunamente studiata, in modo da somministrare per i primi tempi cibi semplici e quindi facilmente assimilabili.

Per questo, considerando che non c'era un “esterno” da vedere oltre il vetro, Tsuna si chiese a che pro voltare lo sguardo in quella direzione.

… a parte per ignorare sfrontatamente la sua presenza, certo.

Sospirò. In presenza di Mukuro era sempre tutto molto complicato, non importava quanti anni passavano o se lui – Tsuna – fosse un boss mafioso o un normalissimo studente delle medie. C'erano sempre la stessa tensione, la stessa sensazione di disagio e l'impressione che in fondo la presenza dell'illusionista non fosse del tutto pericolosa – ma su quest'ultimo punto aveva avuto seri dubbi sul corretto funzionamento del proprio istinto di sopravvivenza.

C'erano sempre, sempre tanti sentimenti confusi: l'insicurezza, l'inadeguatezza; quel qualcosa di quando fingi di notare altro, mentendo spudoratamente a te stesso.

E, infine, un'inspiegabile nostalgia.

Forse, si era detto, era perché provare le stesse cose anche a distanza di anni dava la strana – e irreale – sensazione che il tempo non passasse mai.

Che restasse immobile, sempre fermo al medesimo istante; quello in cui c'erano parole troppo grandi per loro a riempire l'aria, e sentimenti troppo crudeli nel cuore di Mukuro e troppo codardi nel suo.

«...Bentornato.» pronunciò forse stupidamente.

A Mukuro sfuggì uno sbuffo divertito appena udibile, al quale Tsuna alzò lo sguardo stupito. Era stato davvero così buffo?

«Ah, come stai? Hai dolore da qualche parte?» domandò osservandolo. Mukuro voltò nuovamente il viso in sua direzione, senza poterlo realmente guardare data la benda che ne copriva gli occhi, senza rispondere.

Tsuna non capì subito, e assunse un'espressione contrariata – che tuttavia sembrava più un broncio che non uno sguardo propriamente arrabbiato: «Non ci sarebbe nulla di male a sentire dolore. Lo ha detto anche la squadra medica.» sottolineò, iniziando a nutrire il dubbio che fosse per quello che Reborn voleva  che si occupasse della “riabilitazione”. Perché nessun altro aveva altrettanta pazienza con i probabili picchi di infantilismo di Rokudo Mukuro.

Tuttavia, toccò a quest'ultimo sospirare a quella specie di insinuazione; allungò lentamente un braccio fino a sfiorare la mano di Tsuna per guidarla un po' a fatica verso di sé.

Posandola su un punto imprecisato del torace, ne avvertì il battito.

«...giusto. La voce impiegherà un po', mh?» mormorò Tsuna, sentendosi un po' sciocco a non averci pensato prima. Era ovvio, dopo anni nelle condizioni in cui era stato l'altro, proprio come per tutto il resto del corpo. Doveva abituarsi di nuovo.

«Comunque ti ho chiesto se hai dolore» riprese testardo, sciogliendosi poi in un sorriso spontaneo: «che sei vivo, riesco a vederlo.»

 

 

«Se soltanto ricordassi la mia, potrei giurare che sei più apprensivo di una madre, Sawada Tsunayoshi.»

Tsuna dovette ammettere con se stesso che il pensiero di aver preferito il Mukuro impossibilitato a parlare lo aveva sfiorato già più di una volta. Era passato del tempo da quando aveva lentamente ripreso a parlare, a muoversi – non ancora fluidamente o senza sforzi, ma migliorava giorno per giorno. Anche se la vista ora gli permetteva di poter tenere tranquillamente le persiane aperte, o la luce accesa.

«Evidentemente ti ricordo una madre perché qualcuno deve essere tenuto d'occhio alla stregua di un bambino.» rimbeccò.

«Oya, oya, siamo diventati anche abbastanza coraggiosi da rispondere senza tremare come foglie.» ironizzò bastardamente.

Tsuna sospirò rassegnato, dicendosi che non doveva dargli corda più di così: Mukuro era già capace di prenderlo vergognosamente in giro senza che lui gli servisse certe battute su un piatto d'argento.

Si alzò dalla sedia che ormai occupava regolarmente ad ogni visita, muovendo qualche passo verso la porta: «Ad ogni modo sono serio. Smettila di far impazzire la squadra medica sparendo di continuo. Se ti sentissi male nessuno saprebbe dove trovarti.» ripeté per l'ennesima volta. Recentemente erano infatti arrivate diverse lamentele riguardo quel fare di testa propria che Mukuro stava sfoggiando: spariva senza preavviso, andandosene in giro per la magione dei Vongola senza avvisare e riappariva a propria discrezione, quando più lo aggradava.

«Sei carino a preoccuparti per chi attenta al tuo corpo, Tsunayoshi-kun.» ironizzò nuovamente l'illusionista, rivolgendogli un'espressione degna di una faccia da schiaffi in piena regola, alla quale Tsuna diede le spalle uscendo dalla stanza con un: «Mi preoccupo della squadra medica, non di te!» davvero poco credibile.

Mukuro incurvò le labbra in un sorriso tipico di chi ha avuto esattamente la risposta e la reazione che si aspettava dall'altro.

Sawada Tsunayoshi era una di quelle persone che mutava continuamente e, al tempo stesso, non cambiava mai, non del tutto. Ai suoi occhi era ancora il ragazzino ingenuo che lo aveva accolto come un compagno nonostante le sue intenzioni – tutt'altro che amichevoli – fossero state ben chiare fin da subito.

Era di quelli che una volta che iniziavano a credere in qualcosa o qualcuno poi non smettevano più di farlo, anche se continuare li logorava dentro.

Era uno di quei tipi rari, che nel mondo ne incontravi pochi; figurarsi nel mondo della mafia, poi: restava in piedi chissà come. Restava in vita chissà come. Era forte, questo non si poteva negare – non dopo i Varia, e Byakuran, e tutti gli altri scontri di cui una volta era stato anche antagonista – ma per ironia della sorte, quella forza lo rendeva ai suoi occhi fin troppo fragile.

Di quella fragilità che per lui, Mukuro, era quasi subdola: faceva venir voglia di proteggerlo, e l'attimo dopo desiderava lui stesso di schiacciarlo completamente.

Il loro rapporto non si era mai basato – almeno da parte sua – su qualcosa di diverso da quella costante dicotomia.

Proteggerlo, ma ferirlo.

Possederlo, ma allontanarlo da sé.

Rispetto e derisione al tempo stesso.

Irritazione al solo guardarlo – insieme di tutto ciò che odiava: la mafia, i buonisti e gli sciocchi che credevano in un mondo buono e gentile, e nella perpetua “seconda possibilità” da concedere.

Eppure, non riuscire a distogliere lo sguardo da lui.

Odiava quell'indecisione, e odiava Tsunayoshi che ne era la causa; mal sopportava quella sensazione di debolezza che scaturiva dal vacillare riguardo i propri obiettivi; aveva la sensazione a volte, mentre lo guardava e lo ascoltava, che se non avesse fatto attenzione o non fosse rimasto sulla difensiva avrebbe potuto anche pensare di lasciare da parte la vendetta... almeno per un po'.

Ma non era stupido, Mukuro: “per un po'” si sarebbe certamente trasformato in “ancora un po'” fino a diventare – anche inconsapevolmente – un “per sempre”.

Lui, di “per sempre”, non ne voleva; nemmeno ci credeva per la verità.

Tutto, presto o tardi, spariva: tutte le persone che aveva ucciso, il dolore di un occhio rivelatosi più utile del previsto, il pensiero di un luogo a cui appartenere, la delusione di chi ti tradisce.

L'affetto per qualcuno, le debolezze, o la vita.

Alla fine non c'era nulla che durasse “per sempre”.

 

 

Si mosse verso la stanza dell'illusionista, una mano portata alla bocca per coprire uno sbadiglio, l'aria stanca. Nell'ultima settimana e mezzo non aveva avuto tregua tra missioni – ad una delle quali aveva anche dovuto prendere parte personalmente – documenti e incontri con Famiglie alleate. Si era naturalmente tenuto informato sulle condizioni dell'altro, quello sì, ma non aveva avuto modo di verificare personalmente.

Quando fu nei pressi della porta la vide aprirsi, ed istintivamente si fermò nel corridoio: quando riconobbe Hibari Kyouya uscire dalla stanza del Guardiano della Nebbia, per un attimo temette davvero che il troppo lavoro gli stesse causando una qualche allucinazione. Era vero che aveva chiesto a Gokudera di tenerlo informato sulle condizioni di Mukuro tramite gli altri Guardiani, ma non si sarebbe mai sognato di chiederlo ad Hibari. Certo, i due avevano – dopo anni – raggiunto livelli civili nel loro (minimo) rapporto: ma da lì al farsi visita l'un l'altro sperando che non tentassero di uccidersi a vicenda facendolo passare per un incidente...

Il Guardiano della Nuvola si voltò in sua direzione, ma non disse nulla, limitandosi a passargli affianco; fu Tsuna a rivolgersi a lui: «Hibari-san!» lo richiamò – certe cose non cambiavano proprio mai – aspettando che l'altro almeno si fermasse dando segno di essere in ascolto.

«Grazie per essere passato da Mukuro.» pronunciò, lasciando ad intendere che capiva perfettamente lo sforzo che doveva aver fatto.

Kyouya tuttavia si voltò appena verso di lui, un sorrisetto sarcastico ad incurvargli le labbra, l'espressione eloquente: «Non farti strane idee, Sawada. Non sono certo andato ad augurargli una pronta guarigione.» disse, riprendendo poi a camminare.

Tsuna sospirò rassegnato, un sorriso spontaneo a quell'uscita così tipica del Guardiano. Decise di non indugiare oltre, coprendo la poca distanza rimasta fra lui e la porta e bussandovi; anche se, come ogni volta, non ricevette risposta.

Aprì comunque, varcando la soglia della stanza e lasciando che l'uscio si richiudesse alle proprie spalle. Quando portò lo sguardo verso il punto in cui normalmente stava Mukuro, al letto, rimase a bocca aperta: fuori dalla finestra si stagliava un paesaggio a lui tanto familiare quanto pressoché sconosciuto per l'Italia.

Diversi alberi di ciliegio, completamente in fiore, offrivano uno spettacolo quasi nostalgico che per un attimo portò Tsuna a tacere, affascinato da quella vista. Ne fu così preso che non si accorse subito di Mukuro che aveva invece spostato lo sguardo verso di lui.

Tsunayoshi si sentì scioccamente emozionato come un bambino; in realtà in Italia c'era qualche albero di ciliegio, ma per un giapponese non era probabilmente paragonabile al sakura vero e proprio, sotto il quale ci si riuniva con la famiglia e che, sfiorendo, creava un tappeto di petali. C'erano troppe cose diverse, nonostante i fiori e gli alberi potessero – di fondo – essere gli stessi.

Si riscosse da quel momento di torpore, accorgendosi finalmente dello sguardo di Mukuro su di sé: sembrava guardare qualcosa di più nascosto della semplice figura del castano, come se stesse scrutando un'illusione per individuarne il punto debole, quello di rottura.

Si sentì fin troppo scoperto.

«Ehm... i fiori fuori sono un'illusione, giusto?» domandò, anche se non serviva davvero la conferma dell'altro.

«Mi sembra scontato. Dopotutto non è questo il periodo di fioritura.» fece eco. Tsuna annuì, riportando lo sguardo fuori dopo aver preso posto sulla sedia nella stanza; gli venne da sorridere, quasi affettuosamente.

«Ho visto Hibari-san uscire poco fa.» commentò per rompere il silenzio che, altrimenti, si sarebbe sicuramente venuto a creare. Mukuro sbuffò leggermente: «Già. L'esempio di una visita inaspettata e poco gradita.» replicò. Aveva il tono di chi è particolarmente seccato da qualcosa e si sforza – senza risultati completamente soddisfacenti – di non darlo a vedere.

Tsuna si strinse appena nelle spalle: d'altra parte quella mal sopportazione c'era sempre stata, e non c'era nulla che si potesse dire per far cambiare idea a uno dei due. Il castano, quindi, non ci provò nemmeno.

Si soffermò per un attimo a pensare che forse l'illusione di quei ciliegi era stata una provocazione di Mukuro per Hibari; o forse – pensò in un secondo momento – erano semplicemente dei fiori con un significato particolare che l'altro desiderava rivedere.

Se c'era un Guardiano di cui sapeva davvero poco, oltre Hibari, era Mukuro: non aveva mai voluto indagare oltre quello che già sapeva né, d'altronde, aveva mai avuto occasione di farlo.

Si alzò dalla sedia, aggirando il letto e raggiungendo la finestra. Poggiò la spalla al muro, le braccia morbidamente incrociate al petto e lo sguardo che ancora non abbandonava i fiori di ciliegio: «Ne, Mukuro» ne richiamò l'attenzione «ti piacciono così tanto?» chiese, riferendosi chiaramente agli alberi.

Mukuro sogghignò: «Li odio, per essere sinceri.» commentò in maniera tanto immediata da stupire Tsuna più del contenuto stesso della risposta.

D'altra parte era difficile dargli torto per quello stupore: perché mai creare l'illusione di qualcosa che si odia obbligandosi ad averla davanti agli occhi?

«Mi ricordano qualcosa che mal sopporto e che vedo ogni giorno in questo posto.» proseguì il Guardiano, senza dar tempo a Tsuna di porsi domande in merito e, soprattutto, di darvi voce.

Almeno non subito.

Perché Mukuro lo sapeva, com'era fatto Sawada Tsunayoshi – o per lo meno lo aveva imparato col tempo: quel suo masochismo che lo portava a circondarsi anche di persone che asserivano di odiarlo, o che lo rendeva insopportabilmente testardo.

«...Ti ricordano qualcosa di doloroso?»

Odiava la perenne sensazione, che l'altro gli dava, di essere compatito.

Ma non solo: ogni volta che si era ritrovato ad una compagnia più o meno forzata con il Decimo dei Vongola c'era sempre, sempre quella nauseante sensazione... di essere accettato incondizionatamente.

Lo faceva sentire male.

«Kufufu... cos'è questo? Il momento in cui, da bravi amici di vecchia data, ci confidiamo su quello che ci turba? Cosa ti aspetti da me, Sawada Tsunayoshi-kun?» chiese derisorio, gli occhi dissimili fissi sulla figura dell'altro.

Tsuna aggrottò un sopracciglio, inizialmente confuso: non aveva preso quel discorso per andare a parare da qualche parte, in realtà. Gli era semplicemente scivolata quella domanda fra le labbra, senza pensarci troppo; certo, Mukuro non era tipo da confidenze e per lui – Tsuna – era ancora ben difficile dire di capire cosa gli passasse per la testa.

«Non mi aspetto nulla.» replicò quindi, accigliandosi però: «Vorrei capire cosa tu ti aspetti da me. Dopo anni non riesco ancora a capire come dovrei parlarti per non scatenare reazioni di questo tipo.» sottolineò, più audace di quanto non fosse mai stato con lui. Suscitò in Mukuro un'espressione indecifrabile, e il silenzio incalzante come unica risposta.

«Voglio dire» riprese, ma già il tono e la gestualità – il broncio leggero, lo sguardo sfuggente – suggerivano una sua ritirata: «ogni volta sembra che tu la prenda come un'accusa. Una domanda può anche significare... che ci si sta preoccupando per te.» concluse, ripristinando solo in quel momento il contatto visivo.

«Che tu sia incline a preoccuparti delle persone sbagliate è una prerogativa per la quale sei ben conosciuto, Tsunayoshi-kun.» rispose l'altro nell'immediato come se, leggendo un copione, non avesse nemmeno bisogno di pensare a cosa dire.

«Sei molto, molto più egoista di quanto tutti credano, però.» mormorò sibillino, quasi scrutandolo; non faticò, quindi, ad intravedere il lampo di incertezza che attraversò lo sguardo del castano.

«Perché sei qui, Tsunayoshi-kun?» proseguì quindi: «Perché continui a venire in questa stanza in cui non ci scambiamo che poche frasi di scarsa importanza? Arrivi ad intervalli di giorni più o meno regolari, salvo particolari eccezioni, solo per far visita ad un sottoposto che non ti ha nemmeno mai giurato fedeltà. Piuttosto il contrario, anzi.» fece notare per quella che, ormai, era l'ennesima volta.

Tsuna sospirò stanco ma – apparentemente – più rilassato: come se avesse temuto qualcosa, ma la situazione si fosse rivelata molto diversa da quel che lo aveva preoccupato.

«Non importa quante volte tu dica che intendi tradirmi.» gli fece presente, lo sguardo che riacquistava sicurezza: «Finora non ci hai mai traditi, al contrario ci hai anche aiutati. Forse controvoglia, magari per cause di forza maggiore, ma hai combattuto al nostro fianco. Non ti considererò un traditore o ti tratterò come tale solo perché sei convinto che un giorno lo sarai. Stai scommettendo su una possibilità, ed io... sto facendo lo stesso. Non mi sembra di essere sleale o egoista, non più di te.» concluse.

La reazione evidente, questa volta, fu quella sul viso di Mukuro: lo sguardo si indurì e si incupì, sebbene solo per una manciata di secondi.

«Sei a posto con la tua coscienza, ora?» ironizzò, cogliendolo di sorpresa con quella domanda a giudicare dall'occhiata che gli rivolse il castano.

«Hai un'indole talmente buonista che non fatico a credere tu abbia bisogno di sentirti perdonato, in un mondo come questo. Ma volere al tuo fianco persone che della realtà che temevi sono quasi l'emblema, non sarà quello ad aiutarti. O veramente questo gioco di una Famiglia i cui membri si proteggono a vicenda mossi da profondo affetto ti ha illuso che fosse davvero così? Per favore, Tsunayoshi-kun, non deludermi in maniera così brutale.» lo incalzò con sarcasmo.

Tsuna si morse il labbro inferiore: quella era esattamente la piega che sperava una discussione con Mukuro non prendesse mai.

Ma Reborn lo aveva in un certo senso messo in guardia, e lui non si sarebbe lasciato sconfiggere così facilmente. Colmò la distanza fra sé e l'altro: posò una mano contro la testiera del letto, in modo da essere vicino e ben udibile.

«Io non ti considero della Famiglia perché la prendo come un gioco o perché sono così buono, come dici tu, da provare compassione per te. Soprattutto,» sottolineò «non lo faccio di certo per ripulirmi la coscienza.» concluse, una sfumatura di quella che – incredibilmente – somigliava ad irritazione.

Ripulirsi la coscienza? Figurarsi.

...come se fosse possibile ormai.

Quello che incontrò non fu né uno sguardo sorpreso, né confuso; una derisione diversa dalla solita che ironicamente gli rivolgeva – più crudele, più disperata – trasfigurava ora il viso del Guardiano in un'espressione... quasi malata. Come se stesse fisicamente per sentirsi male, spossato da qualcosa che però era solo nella sua testa.

Tsunayoshi era così preso a cercare di capire quasi febbrilmente di cosa si trattasse, che non ebbe la prontezza di scostare il gesto della mano di Mukuro che lo avvicinò tanto da arrivare a posare le labbra sulle sue. La mano sulla sua nuca esercitava una pressione sufficiente ad impedirgli di allontanarsi subito, se Tsuna ci avesse provato.

Ma il contatto fu così breve – labbra morbide contro le proprie e, nel ritrarsi, uno sfiorare fugacemente quelle stesse labbra con la lingua – che non ebbe neanche il tempo di pensare di farlo.

Tuttavia, Mukuro non ripristinò la distanza che c'era prima di quel bacio, né la aumentò. Rimase vicino, come se dovesse accertarsi di non essere udito da altri che da lui.

«Io odio questo tuo modo di fare.» esordì: «Odio che tu possa cambiare così radicalmente. Odio il modo in cui risvegli il mio interesse ogni volta, o il modo in cui ti avvicini a me, incurante di tutto, come se io fossi innocuo, come se non fossi abbastanza da costituire una minaccia.» soffiò, direttamente sulle sue labbra in pratica.

Tsuna non riuscì a muoversi da quella posizione che di certo non aiutava, né a rispondergli; nonostante, nella sua mente, le parole quasi si accavallassero tra di loro.

«Io detesto quelli come te. Detesto il modo in cui tutti finiscono per rimanere affascinati da quel qualcosa che nemmeno loro capiscono e che tu non sei nemmeno consapevole di possedere. Rappresenti tutto ciò che odio e il desiderio di schiacciarti con le mie mani è quasi pressante... ma alla fine, per colpa tua, c'è sempre qualcosa che me lo impedisce.» sibilò, una nota di rabbia, di fastidio nel tono di voce tenuto volutamente basso.

L'espressione, lo sguardo finora rimasto di puro sarcasmo, mutò.

Tutto quel “detestare” di cui l'altro continuava a parlare sembrò insinuarsi sibillino dentro di lui, estendendosi non solo agli occhi, ma anche al tono di voce con cui parlò o alla mano che – stringendo il braccio di Tsuna ora – sembrava volerlo trattenere.

«Odio il modo in cui porti a galla questo... desiderio malato, che oscilla tra un'ossessione e il malsano ed ingiustificato volerti proteggere al tempo stesso.» rivelò, quasi frustrato.

«Ma più di qualsiasi altra cosa» sembrò giungere ad una conclusione: «detesto quel cielo che simbolicamente dovrebbe rappresentarti in questa idiozia degli anelli. Quella vastità accoglie chiunque, indistintamente. Lo accoglie, e gli dà la libertà abbracciandolo con lo stesso fare rassicurante che potrebbe avere una madre, o la cosiddetta persona amata.» disse, ma era chiaro che non fosse affatto un elogio, quello.

E fu ancora più ovvio quando la presa sul suo braccio si allentò, fino a lasciarlo per poi allontanarlo bruscamente, in un chiaro invito ad andarsene.

«Non c'è nulla di rassicurante. Mi soffoca, mi dà la nausea. Questo posto mi soffoca, la tua tanto amata famiglia e tutto ciò che ha a che fare con te mi dà la nausea al punto da renderti così detestabile per me.»

 

 

«Kyouya-kun che mi fa visita? Quanto mai raro.»

«Non chiamarmi per nome, mi viene da vomitare.»

Monotonia di offese pronunciate quasi per prassi.

«Venti.»

E cosa mai avrebbe dovuto significare, quel numero?

«I criminali uccisi da Sawada per conto dei Vindice.

Per tirarti fuori da lì.»

 

Lui odiava i fiori di ciliegio.

Erano fiori che, nonostante tutto, ogni anno fiorivano: nello stesso periodo, rispondendo ogni volta a delle tacite aspettative, sbocciavano nel pieno splendore senza aspettarsi ringraziamenti né nulla del genere.

E non potevi fare altro che osservarlo, finché non appassivano.

Finché non morivano.

Quei fiori così forti, e tanto fragili da vivere per un periodo brevissimo.

A cui bastava un niente – una folata di vento più forte di altre – per essere spezzati e cadere dal ramo di un albero fino a toccare il fondo, cadendo a terra; distrattamente calpestati dai passanti troppo di fretta per curarsi di fiori che giacevano ormai alle radici di un albero.

Erano fiori così delicati da non poter essere quasi sfiorati senza essere danneggiati.

 

«Se vuoi fare qualcosa per me, Sawada Tsunayoshi...

stammi lontano.»

 

Men che meno da uno come lui.

 

 

Ringraziamenti

A chi ha seguito la raccolta, e in special modo a chi l’ha commentata: Eiko, Alex, Gioielle, Yoko891,souseiseki e kaori_taishi <3

E a nacchan e acchan, che si sorbiscono la creazione in diretta con tanto di mie imprecazioni sul genere di: “Mukuro perché sei così complicato da muovere?!” :**

   
 
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