Disclaimer: i personaggi appartengono ad
Amano-sensei.
Prompt: 11. Everytime you release words, they’ll turn into light (Tabella)
Note: ultima
(era ora, diranno giustamente alcuni) delle tre shot di questa raccolta.
E’
stata un parto: doveva esserci una scena in più ma, a metà della
stesura ho deciso che non mi piaceva e ho ri-modificato
tutto da lì in poi 8D
Alla
fine non ho capito se Tsuna è OOC, se lo è Mukuro, o se non lo
è nessuno dei due - …o tutti e due? ;D
Note di lettura: ambientata con personaggi 5!Years Later (ossia, avete uno
Tsuna ventenne). Non ho preso in considerazione la saga Shimon attualmente in corso sul manga, pertanto ho considerato la
successione ufficiale di Tsuna al Nono avvenuta a 18 anni.
Dicotomia
Ogni volta che pronuncerai
delle parole,
esse diventeranno luce.
Tsuna sospirò, finalmente libero anche
dall'ultimo documento rimasto, che ora stava posando sulla pila di quelli
già visionati e firmati.
Ad
essere proprio sincero non aveva ancora ben chiaro come fosse possibile che con
il tempo così tanti documenti si fossero accumulati: considerando che la
cerimonia di successione con annessa ufficializzazione del suo ruolo di Boss
dei Vongola – non più erede, ma Boss effettivo – era
avvenuta due anni prima e che ora era quindi già avviato
all'attività quale visionare le scartoffie, non se ne capacitava.
Sospirò rassegnandosi: già
immaginava Reborn o riprenderlo, o minacciarlo con la pistola se solo si fosse
azzardato a lasciare da parte un solo foglio, fosse stata
anche una semplice distrazione.
E non che non avesse provato a spiegargli che non
serviva necessariamente firmare oggi documenti che non sarebbero serviti
prima di un mese.
...Era inutile
sottolineare il fatto che Reborn lo aveva totalmente ignorato in merito, vero?
«Avanti.» pronunciò quasi
grato di essere interrotto, alzando lo sguardo e puntandolo verso la porta.
Questa, una volta aperta, rivelò la figura di Gokudera: «Disturbo,
Decimo?» domandò, l'espressione docile che sempre assumeva nei
confronti del castano.
Tsuna lo accolse con un sorriso gentile dei suoi,
facendogli cenno di entrare e accomodarsi; erano passati esattamente cinque
anni da quando si erano conosciuti e insieme avevano affrontato scontri troppo
duri per dei ragazzini. E, benché fossero stati “ufficializzati”
come decima generazione dei Vongola solo due anni prima, Gokudera sembrava
naturalmente a proprio agio in quel ruolo che sembrava calzargli perfettamente.
In senso buono naturalmente, non che Tsuna ora considerasse la Mafia il bene del mondo.
Tuttavia spesso non poteva fare a meno di notare
la profonda differenza di atteggiamenti fra lui e il Guardiano della Tempesta,
specialmente in quelle occasioni ufficiali: Gokudera pareva sempre
perfettamente a suo agio mentre Tsuna – ormai ai suoi vent'anni – a
volte rischiava ancora di sentirsi in soggezione.
E dire che era il Boss della Famiglia più
potente e temuta.
«Avevi bisogno di qualcosa,
Gokudera-kun?» lo incalzò cortesemente dopo che l'altro si fu
seduto di fronte a lui, la scrivania fra di loro.
«Ci sono alcune novità.»
comunicò Gokudera, senza fargli perdere troppo tempo: «Dino-san ha mandato un messaggio per confermare la buona
riuscita della missione affidata alla sua Famiglia. Ha allegato un fascicolo
con il rapporto e tutte le informazioni del caso.»
disse, lo sguardo chiaro su una cartelletta che probabilmente conteneva quanto
appena citato.
«Assicura che non ci sono stati problemi di
alcun genere.» aggiunse ancor prima che Tsuna potesse chiedere. Il
castano si lasciò sfuggire un sorriso sollevato.
«Manda un messaggio in
risposta a Dino-san ringraziandolo per l'aiuto, per
favore.» fece eco a quella prima comunicazione – a Gokudera veniva
sempre da sorridere quando, come in quell'occasione, il Decimo sembrava ancora
incapace di dare un ordine, ma solo in grado di chiedere “per
favore”. E non lo faceva solo con i suoi Guardiani, poi, ma con tutti i
suoi subordinati.
«Lo farò subito.»
assicurò Gokudera, posando una parte dei fascicoli – quelli
riguardanti la missione di Dino – sulla scrivania.
«I
Varia hanno inviato una specie di rapporto. Lascia a desiderare» sottolineò con una nota di stizza tipica di lui e
della sua pignoleria riguardo una qualsiasi documentazione ormai «ma si
è capito almeno che Chrome procede bene. Ha ormai recuperato del tutto.» assicurò incoraggiante, osservando il Decimo.
Tsuna ne fu enormemente sollevato: dall'effettiva
successione al Nono e ai suoi Guardiani avevano dovuto aspettare che tutti gli
aspetti burocratici e di maggiore importanza venissero
confermati e ben organizzati prima di potersi occupare di alcune
“questioni interne”.
Fra queste, vi era stata la ferma volontà
di Tsuna di sistemare la situazione in cui versavano i suoi due Guardiani della
Nebbia. Incoraggiato dall'aver visto, nel futuro, la possibilità di
liberare il corpo di Mukuro dalla prigionia di Vindice, aveva insistito per far
sì che essa si concretizzasse.
Aveva richiesto tempo, e Tsuna non aveva mai
voluto sapere in che modo Reborn avesse strappato a Mammon
la promessa di occuparsi di Chrome, affinché la ragazza potesse essere
definitivamente in grado di provvedere da sola all'illusione che manteneva il
suo corpo in salute. Nonostante questo, però, la parte veramente
difficile era stata trattare proprio con la prigione: non avevano
certo accettato di buon grado di liberare quel che era considerato un
pericoloso criminale.
Al contrario, ci era
voluto ben un anno e mezzo per ottenere la liberazione di Mukuro.
E più volte Gokudera e gli altri avevano
chiesto a Tsuna come, alla fine, avesse ottenuto il consenso da Vindice; il
castano aveva sempre sorriso, accennato ad uno
“scambio di favori”, ma non aveva mai dato una vera risposta.
«È tutto?» domandò il
Decimo, lo sguardo ancora sul Guardiano della Tempesta. Questi scosse appena la
testa, mascherano la sfumatura di preoccupazione nello
sguardo prima che l'altro potesse notarla.
«Reborn-san
vuole che finiti i documenti lo raggiunga nel suo ufficio. Ha detto che... Mukuro ha ripreso conoscenza.» concluse.
«Ribadisco che io non
sono un medico, Reborn.» ribatté infastidito, fissando di
sottecchi il tutor che camminava al suo fianco e che sembrava del tutto
intenzionato ad ignorarlo. Tsuna sbuffò, scuotendo la
testa rassegnato: non capiva secondo quale logica dovesse essere lui ad
occuparsi della riabilitazione di Rokudo Mukuro.
«Non ti sto parlando di riabilitazione fisio-muscolare, stupido allievo.» sottolineò
gelido l'Arcobaleno: «Ma non sei stato tu a voler tirare fuori Mukuro da
Vindice? E non eri sempre tu quello che diceva che “si sarebbe pienamente
assunto la responsabilità dell'intera
questione”?» gli fece notare, non senza un certo sarcasmo nel tono
di voce.
Il castano sospirò, continuando ad
avanzare, lo sguardo di fronte a sé: «Mi pare di averlo
fatto.» rimbeccò stancamente. Reborn non aveva bisogno di chiedere
a cosa si riferisse. Era l'unico a conoscenza di quale fosse stato il famoso
favore in cambio del quale aveva ottenuto la libertà del Guardiano della
Nebbia.
«...Non aspettarti
che ti ringrazi.» gli fece notare il killer.
«Non ho intenzione di dirgli niente
più di quanto io abbia rivelato agli altri.» chiarì Tsuna,
concedendosi uno sbuffo divertito quasi: «E Mukuro non è proprio
tipo da ringraziare, comunque.» aggiunse.
«Forse tenterà di ucciderti?»
buttò lì ironico Reborn.
«Credo che abbia ancora bisogno di me per
il suo progetto di distruzione della mafia.» osservò in modo
falsamente casuale, con quel leggero nervosismo che aveva sempre caratterizzato
il suo tono in caso di disagio per qualcosa.
Si fermarono entrambi a pochi passi dalla stanza
del Guardiano.
«Probabilmente ti tradirà.»
concluse Reborn passando oltre, diretto altrove.
«Potrebbe.» replicò Tsuna: «Ma spero di no. Sarebbe la prima volta in cui
approfitterei di essere il Boss dei Vongola, temo.»
Reborn si fermò, voltandosi ad osservarlo da sopra la propria spalla, lo sguardo
indecifrabile.
«D'altra parte» riprese il castano,
ricambiando l'occhiata «se non fosse un ordine, tu non risparmieresti la
vita ad un traditore.»
«Mpf.
ImbranaTsuna.» fu la risposta seccata prima di
dargli nuovamente le spalle.
«A dopo.» disse bussando alla porta,
per poi aprire e varcarne la soglia.
Non era la prima volta che vedeva Mukuro steso su
un letto, dal momento che era andato regolarmente ad
informarsi del suo stato da quando era arrivato lì da Vindice; praticamente
ogni giorno era passato almeno qualche minuto per parlare con la squadra medica
che se ne stava occupando.
Per questo suppose che il disagio provato nello
stesso istante in cui si era richiuso la porta alle
spalle fosse dovuto al fatto che, diversamente dalle altre visite, ora Rokudo
Mukuro era sveglio e cosciente della sua presenza lì.
Abbozzò comunque un sorriso gentile a mo'
di saluto, al quale l'altro rispose con uno sbuffo leggero, voltando la testa e
portando apparentemente lo sguardo verso la finestra.
Aspettandoselo, Tsuna si limitò a portare
vicino al letto del Guardiano la sedia lasciata normalmente in un angolo e a prendervi posto.
Tsuna si chiese perché; la stanza era per
lo più nella penombra, illuminata fiocamente quanto necessario affinché
non si brancolasse totalmente nel buio. La finestra era chiusa – erano
pur sempre in inverno -
e lo stesso le persiane.
Il motivo era scontato: dopo la lunga prigionia,
il corpo di Mukuro non doveva solo riabituarsi ai movimenti, ma anche a cose meno
evidenti esteriormente, ugualmente importanti.
Come la vista – gli occhi erano estremamente sensibili alla luce diurna e a quella
artificiale se troppo forte – o i cibi. La sua alimentazione era stata
opportunamente studiata, in modo da somministrare per i primi tempi cibi
semplici e quindi facilmente assimilabili.
Per questo, considerando che non c'era un
“esterno” da vedere oltre il vetro, Tsuna si chiese a che pro
voltare lo sguardo in quella direzione.
… a parte per ignorare sfrontatamente la
sua presenza, certo.
Sospirò. In presenza
di Mukuro era sempre tutto molto complicato, non importava quanti anni
passavano o se lui – Tsuna – fosse un boss mafioso o un
normalissimo studente delle medie. C'erano sempre la stessa tensione, la stessa sensazione di disagio e l'impressione che in fondo la
presenza dell'illusionista non fosse del tutto pericolosa – ma su
quest'ultimo punto aveva avuto seri dubbi sul corretto funzionamento del
proprio istinto di sopravvivenza.
C'erano sempre, sempre tanti sentimenti confusi:
l'insicurezza, l'inadeguatezza; quel qualcosa di quando fingi
di notare altro, mentendo spudoratamente a te stesso.
E, infine, un'inspiegabile nostalgia.
Forse, si era detto, era perché provare le
stesse cose anche a distanza di anni dava la strana –
e irreale – sensazione che il tempo non passasse mai.
Che restasse immobile, sempre fermo al medesimo
istante; quello in cui c'erano parole troppo grandi per loro a riempire l'aria,
e sentimenti troppo crudeli nel cuore di Mukuro e troppo codardi nel suo.
«...Bentornato.»
pronunciò forse stupidamente.
A Mukuro sfuggì uno
sbuffo divertito appena udibile, al quale Tsuna alzò lo sguardo stupito.
Era stato davvero così buffo?
«Ah,
come stai? Hai dolore da qualche parte?»
domandò osservandolo. Mukuro voltò nuovamente il viso in sua
direzione, senza poterlo realmente guardare data la benda che ne copriva gli
occhi, senza rispondere.
Tsuna non capì subito, e assunse
un'espressione contrariata – che tuttavia sembrava più un broncio
che non uno sguardo propriamente arrabbiato: «Non
ci sarebbe nulla di male a sentire dolore. Lo ha detto
anche la squadra medica.» sottolineò, iniziando a nutrire il
dubbio che fosse per quello che Reborn voleva che si occupasse della
“riabilitazione”. Perché nessun altro aveva altrettanta
pazienza con i probabili picchi di infantilismo di
Rokudo Mukuro.
Tuttavia, toccò a quest'ultimo sospirare a
quella specie di insinuazione; allungò
lentamente un braccio fino a sfiorare la mano di Tsuna per guidarla un po' a
fatica verso di sé.
Posandola su un punto imprecisato del torace, ne
avvertì il battito.
«...giusto. La
voce impiegherà un po', mh?»
mormorò Tsuna, sentendosi un po' sciocco a non averci pensato prima. Era
ovvio, dopo anni nelle condizioni in cui era stato l'altro, proprio come per tutto
il resto del corpo. Doveva abituarsi di nuovo.
«Comunque ti ho chiesto se hai
dolore» riprese testardo, sciogliendosi poi in
un sorriso spontaneo: «che sei vivo, riesco a vederlo.»
«Se soltanto ricordassi la mia, potrei
giurare che sei più apprensivo di una madre, Sawada Tsunayoshi.»
Tsuna dovette ammettere con se stesso che il
pensiero di aver preferito il Mukuro impossibilitato a parlare lo aveva
sfiorato già più di una volta. Era passato del tempo da quando
aveva lentamente ripreso a parlare, a muoversi – non ancora fluidamente o
senza sforzi, ma migliorava giorno per giorno. Anche
se la vista ora gli permetteva di poter tenere tranquillamente le persiane
aperte, o la luce accesa.
«Evidentemente ti ricordo una madre
perché qualcuno deve essere tenuto d'occhio alla stregua di un
bambino.» rimbeccò.
«Oya, oya, siamo
diventati anche abbastanza coraggiosi da rispondere senza tremare come
foglie.» ironizzò bastardamente.
Tsuna sospirò rassegnato, dicendosi che
non doveva dargli corda più di così: Mukuro era già capace
di prenderlo vergognosamente in giro senza che lui gli servisse certe
battute su un piatto d'argento.
Si alzò dalla sedia che ormai occupava
regolarmente ad ogni visita, muovendo qualche passo
verso la porta: «Ad ogni modo sono serio. Smettila di far impazzire la
squadra medica sparendo di continuo. Se ti sentissi male nessuno
saprebbe dove trovarti.» ripeté per l'ennesima volta. Recentemente
erano infatti arrivate diverse lamentele riguardo quel
fare di testa propria che Mukuro stava sfoggiando: spariva senza preavviso,
andandosene in giro per la magione dei Vongola senza avvisare e riappariva a
propria discrezione, quando più lo aggradava.
«Sei carino a
preoccuparti per chi attenta al tuo corpo, Tsunayoshi-kun.»
ironizzò nuovamente l'illusionista, rivolgendogli un'espressione degna
di una faccia da schiaffi in piena regola, alla quale Tsuna diede le spalle
uscendo dalla stanza con un: «Mi preoccupo della squadra medica, non di
te!» davvero poco credibile.
Mukuro incurvò le labbra in un sorriso
tipico di chi ha avuto esattamente la risposta e la reazione che si aspettava
dall'altro.
Sawada Tsunayoshi era una di quelle persone che
mutava continuamente e, al tempo stesso, non cambiava mai, non del tutto. Ai
suoi occhi era ancora il ragazzino ingenuo che lo aveva accolto come un
compagno nonostante le sue intenzioni – tutt'altro che amichevoli –
fossero state ben chiare fin da subito.
Era di quelli che una volta che iniziavano a credere in qualcosa o qualcuno poi non
smettevano più di farlo, anche se continuare li logorava dentro.
Era uno di quei tipi rari, che nel mondo ne
incontravi pochi; figurarsi nel mondo della mafia,
poi: restava in piedi chissà come. Restava in vita chissà
come. Era forte, questo non si poteva negare – non dopo i Varia, e Byakuran,
e tutti gli altri scontri di cui una volta era stato anche antagonista –
ma per ironia della sorte, quella forza lo rendeva ai
suoi occhi fin troppo fragile.
Di quella fragilità che per lui, Mukuro,
era quasi subdola: faceva venir voglia di proteggerlo, e l'attimo dopo
desiderava lui stesso di schiacciarlo completamente.
Il loro rapporto non si era mai basato –
almeno da parte sua – su qualcosa di diverso da quella costante
dicotomia.
Proteggerlo, ma ferirlo.
Possederlo, ma allontanarlo da sé.
Rispetto e derisione al tempo stesso.
Irritazione al solo guardarlo – insieme di
tutto ciò che odiava: la mafia, i buonisti e gli sciocchi che credevano
in un mondo buono e gentile, e nella perpetua “seconda
possibilità” da concedere.
Eppure, non riuscire a distogliere lo sguardo da
lui.
Odiava quell'indecisione, e odiava Tsunayoshi che
ne era la causa; mal sopportava quella sensazione di debolezza che scaturiva
dal vacillare riguardo i propri obiettivi; aveva la
sensazione a volte, mentre lo guardava e lo ascoltava, che se non avesse fatto
attenzione o non fosse rimasto sulla difensiva avrebbe potuto anche pensare di
lasciare da parte la vendetta... almeno per un po'.
Ma non era stupido, Mukuro: “per un po'” si sarebbe certamente trasformato in
“ancora un po'” fino a diventare – anche inconsapevolmente
– un “per sempre”.
Lui, di “per sempre”, non ne voleva;
nemmeno ci credeva per la verità.
Tutto, presto o tardi, spariva: tutte le persone
che aveva ucciso, il dolore di un occhio rivelatosi più utile del
previsto, il pensiero di un luogo a cui appartenere,
la delusione di chi ti tradisce.
L'affetto per qualcuno, le debolezze, o la vita.
Alla fine non c'era nulla che durasse “per
sempre”.
Si mosse verso la stanza dell'illusionista, una
mano portata alla bocca per coprire uno sbadiglio, l'aria stanca. Nell'ultima
settimana e mezzo non aveva avuto tregua tra missioni – ad una delle quali aveva anche dovuto prendere parte
personalmente – documenti e incontri con Famiglie alleate. Si era
naturalmente tenuto informato sulle condizioni dell'altro, quello sì, ma
non aveva avuto modo di verificare personalmente.
Quando fu nei pressi della porta
la vide aprirsi, ed istintivamente si fermò nel corridoio: quando
riconobbe Hibari Kyouya uscire dalla stanza del
Guardiano della Nebbia, per un attimo temette davvero che il troppo lavoro gli
stesse causando una qualche allucinazione. Era vero che aveva chiesto a
Gokudera di tenerlo informato sulle condizioni di Mukuro tramite gli altri
Guardiani, ma non si sarebbe mai sognato di chiederlo ad
Hibari. Certo, i due avevano – dopo anni – raggiunto
livelli civili nel loro (minimo) rapporto: ma da lì al farsi
visita l'un l'altro sperando che non tentassero di uccidersi a vicenda
facendolo passare per un incidente...
Il Guardiano della Nuvola si voltò in sua
direzione, ma non disse nulla, limitandosi a passargli affianco; fu Tsuna a
rivolgersi a lui: «Hibari-san!» lo richiamò – certe
cose non cambiavano proprio mai – aspettando che l'altro almeno si fermasse
dando segno di essere in ascolto.
«Grazie per essere passato da
Mukuro.» pronunciò, lasciando ad
intendere che capiva perfettamente lo sforzo che doveva aver fatto.
Kyouya
tuttavia si voltò appena verso di lui, un sorrisetto sarcastico ad incurvargli le labbra, l'espressione eloquente: «Non
farti strane idee, Sawada. Non sono certo andato ad augurargli una pronta
guarigione.» disse, riprendendo poi a camminare.
Tsuna sospirò rassegnato, un sorriso
spontaneo a quell'uscita così tipica del Guardiano. Decise di non indugiare
oltre, coprendo la poca distanza rimasta fra lui e la porta e bussandovi; anche
se, come ogni volta, non ricevette risposta.
Aprì comunque, varcando la soglia della
stanza e lasciando che l'uscio si richiudesse alle proprie spalle. Quando
portò lo sguardo verso il punto in cui normalmente stava Mukuro, al
letto, rimase a bocca aperta: fuori dalla finestra si stagliava un paesaggio a
lui tanto familiare quanto pressoché sconosciuto per l'Italia.
Diversi alberi di ciliegio, completamente in
fiore, offrivano uno spettacolo quasi nostalgico che per un attimo portò
Tsuna a tacere, affascinato da quella vista. Ne fu così preso che non si
accorse subito di Mukuro che aveva invece spostato lo sguardo verso di lui.
Tsunayoshi si sentì scioccamente
emozionato come un bambino; in realtà in Italia c'era qualche albero di
ciliegio, ma per un giapponese non era probabilmente paragonabile al sakura vero e proprio, sotto il quale ci si riuniva
con la famiglia e che, sfiorendo, creava un tappeto di petali. C'erano troppe
cose diverse, nonostante i fiori e gli alberi potessero – di fondo – essere gli stessi.
Si riscosse da quel momento di torpore,
accorgendosi finalmente dello sguardo di Mukuro su di
sé: sembrava guardare qualcosa di più nascosto della semplice
figura del castano, come se stesse scrutando un'illusione per individuarne il
punto debole, quello di rottura.
Si sentì fin troppo scoperto.
«Ehm... i fiori fuori sono un'illusione,
giusto?» domandò, anche se non serviva davvero la conferma
dell'altro.
«Mi
sembra scontato. Dopotutto non è questo il periodo di fioritura.» fece eco. Tsuna annuì, riportando lo sguardo
fuori dopo aver preso posto sulla sedia nella stanza;
gli venne da sorridere, quasi affettuosamente.
«Ho visto Hibari-san uscire poco fa.»
commentò per rompere il silenzio che, altrimenti, si sarebbe sicuramente
venuto a creare. Mukuro sbuffò leggermente: «Già.
L'esempio di una visita inaspettata e poco gradita.»
replicò. Aveva il tono di chi è particolarmente seccato da
qualcosa e si sforza – senza risultati completamente soddisfacenti
– di non darlo a vedere.
Tsuna si strinse appena nelle spalle: d'altra
parte quella mal sopportazione c'era sempre stata, e
non c'era nulla che si potesse dire per far cambiare idea a uno dei due. Il
castano, quindi, non ci provò nemmeno.
Si soffermò per un attimo a pensare che
forse l'illusione di quei ciliegi era stata una provocazione
di Mukuro per Hibari; o forse – pensò in un secondo momento
– erano semplicemente dei fiori con un significato particolare che
l'altro desiderava rivedere.
Se c'era un Guardiano di cui sapeva davvero poco,
oltre Hibari, era Mukuro: non aveva mai voluto indagare oltre quello che
già sapeva né, d'altronde, aveva mai avuto occasione di farlo.
Si alzò dalla sedia, aggirando il letto e
raggiungendo la finestra. Poggiò la spalla al muro, le braccia
morbidamente incrociate al petto e lo sguardo che ancora non abbandonava i
fiori di ciliegio: «Ne, Mukuro» ne richiamò l'attenzione
«ti piacciono così tanto?» chiese,
riferendosi chiaramente agli alberi.
Mukuro sogghignò: «Li odio, per
essere sinceri.» commentò in maniera tanto immediata da stupire
Tsuna più del contenuto stesso della risposta.
D'altra parte era difficile dargli torto per
quello stupore: perché mai creare l'illusione di qualcosa che si odia
obbligandosi ad averla davanti agli occhi?
«Mi ricordano qualcosa che mal sopporto e che
vedo ogni giorno in questo posto.» proseguì il Guardiano, senza
dar tempo a Tsuna di porsi domande in merito e, soprattutto, di darvi voce.
Almeno non subito.
Perché Mukuro lo sapeva, com'era fatto
Sawada Tsunayoshi – o per lo meno lo aveva imparato col tempo: quel suo
masochismo che lo portava a circondarsi anche di persone che asserivano di
odiarlo, o che lo rendeva insopportabilmente testardo.
«...Ti ricordano
qualcosa di doloroso?»
Odiava la perenne sensazione, che l'altro gli
dava, di essere compatito.
Ma non solo: ogni volta che si era ritrovato ad una compagnia più o meno forzata con il Decimo dei
Vongola c'era sempre, sempre quella nauseante sensazione... di essere
accettato incondizionatamente.
Lo faceva sentire male.
«Kufufu...
cos'è questo? Il momento in cui, da bravi amici di vecchia data, ci
confidiamo su quello che ci turba? Cosa ti aspetti da me, Sawada
Tsunayoshi-kun?» chiese derisorio, gli occhi dissimili
fissi sulla figura dell'altro.
Tsuna aggrottò un sopracciglio,
inizialmente confuso: non aveva preso quel discorso per andare a parare da
qualche parte, in realtà. Gli era semplicemente scivolata quella domanda
fra le labbra, senza pensarci troppo; certo, Mukuro non era tipo da confidenze
e per lui – Tsuna – era ancora ben difficile dire di capire cosa
gli passasse per la testa.
«Non mi aspetto nulla.»
replicò quindi, accigliandosi però: «Vorrei
capire cosa tu ti aspetti da me. Dopo anni non riesco ancora a capire
come dovrei parlarti per non scatenare reazioni di questo tipo.» sottolineò, più audace di quanto non fosse mai
stato con lui. Suscitò in Mukuro un'espressione indecifrabile, e il
silenzio incalzante come unica risposta.
«Voglio dire» riprese, ma già
il tono e la gestualità – il broncio leggero, lo sguardo sfuggente
– suggerivano una sua ritirata: «ogni
volta sembra che tu la prenda come un'accusa. Una domanda può anche
significare... che ci si sta preoccupando per te.»
concluse, ripristinando solo in quel momento il contatto visivo.
«Che tu sia incline a preoccuparti delle
persone sbagliate è una prerogativa per la quale sei ben conosciuto,
Tsunayoshi-kun.» rispose l'altro nell'immediato come se, leggendo un
copione, non avesse nemmeno bisogno di pensare a cosa dire.
«Sei molto, molto più egoista di
quanto tutti credano, però.» mormorò sibillino, quasi
scrutandolo; non faticò, quindi, ad intravedere
il lampo di incertezza che attraversò lo sguardo del castano.
«Perché sei qui,
Tsunayoshi-kun?» proseguì quindi: «Perché
continui a venire in questa stanza in cui non ci scambiamo che poche frasi di
scarsa importanza? Arrivi ad intervalli di giorni
più o meno regolari, salvo particolari eccezioni, solo per far visita ad
un sottoposto che non ti ha nemmeno mai giurato fedeltà. Piuttosto il
contrario, anzi.» fece notare per quella che,
ormai, era l'ennesima volta.
Tsuna sospirò stanco ma –
apparentemente – più rilassato: come se avesse temuto qualcosa, ma
la situazione si fosse rivelata molto diversa da quel che lo aveva
preoccupato.
«Non importa quante volte tu dica che
intendi tradirmi.» gli fece presente, lo sguardo che riacquistava
sicurezza: «Finora non ci hai mai traditi, al
contrario ci hai anche aiutati. Forse controvoglia, magari per cause di forza
maggiore, ma hai combattuto al nostro fianco. Non ti considererò un
traditore o ti tratterò come tale solo perché sei convinto che un
giorno lo sarai. Stai scommettendo su una possibilità, ed io... sto
facendo lo stesso. Non mi sembra di essere sleale o egoista, non più di
te.» concluse.
La reazione evidente, questa volta, fu quella sul
viso di Mukuro: lo sguardo si indurì e si
incupì, sebbene solo per una manciata di secondi.
«Sei a posto con la tua coscienza,
ora?» ironizzò, cogliendolo di sorpresa con quella domanda a
giudicare dall'occhiata che gli rivolse il castano.
«Hai
un'indole talmente buonista che non fatico a credere tu abbia bisogno di
sentirti perdonato, in un mondo come questo. Ma volere al tuo fianco persone
che della realtà che temevi sono quasi
l'emblema, non sarà quello ad aiutarti. O veramente questo gioco di una
Famiglia i cui membri si proteggono a vicenda mossi da
profondo affetto ti ha illuso che fosse davvero così? Per favore, Tsunayoshi-kun,
non deludermi in maniera così brutale.»
lo incalzò con sarcasmo.
Tsuna si morse il labbro inferiore: quella era
esattamente la piega che sperava una discussione con Mukuro non prendesse mai.
Ma
Reborn lo aveva in un certo senso messo in guardia, e lui non si sarebbe
lasciato sconfiggere così facilmente. Colmò la distanza fra
sé e l'altro: posò una mano contro la testiera del letto, in modo
da essere vicino e ben udibile.
«Io
non ti considero della Famiglia perché la prendo come un gioco o
perché sono così buono, come dici tu, da provare compassione per
te. Soprattutto,» sottolineò
«non lo faccio di certo per ripulirmi la coscienza.» concluse, una
sfumatura di quella che – incredibilmente – somigliava ad
irritazione.
Ripulirsi la coscienza? Figurarsi.
...come se fosse
possibile ormai.
Quello che incontrò non fu né uno sguardo
sorpreso, né confuso; una derisione diversa dalla solita che
ironicamente gli rivolgeva – più crudele, più disperata
– trasfigurava ora il viso del Guardiano in un'espressione... quasi
malata. Come se stesse fisicamente per sentirsi male, spossato da qualcosa che
però era solo nella sua testa.
Tsunayoshi era così preso a cercare di
capire quasi febbrilmente di cosa si trattasse, che non ebbe la prontezza di
scostare il gesto della mano di Mukuro che lo
avvicinò tanto da arrivare a posare le labbra sulle sue. La mano sulla
sua nuca esercitava una pressione sufficiente ad
impedirgli di allontanarsi subito, se Tsuna ci avesse provato.
Ma
il contatto fu così breve – labbra morbide contro le proprie e,
nel ritrarsi, uno sfiorare fugacemente quelle stesse labbra con la lingua
– che non ebbe neanche il tempo di pensare di farlo.
Tuttavia, Mukuro non ripristinò la
distanza che c'era prima di quel bacio, né la aumentò. Rimase
vicino, come se dovesse accertarsi di non essere udito da altri che da lui.
«Io odio questo tuo modo di fare.»
esordì: «Odio che tu possa cambiare
così radicalmente. Odio il modo in cui risvegli il mio interesse ogni
volta, o il modo in cui ti avvicini a me, incurante di tutto, come se io fossi innocuo,
come se non fossi abbastanza da costituire una minaccia.» soffiò, direttamente sulle sue labbra in
pratica.
Tsuna non riuscì a muoversi da quella
posizione che di certo non aiutava, né a rispondergli; nonostante, nella
sua mente, le parole quasi si accavallassero tra di loro.
«Io
detesto quelli come te. Detesto il modo in cui tutti finiscono per rimanere
affascinati da quel qualcosa che nemmeno loro capiscono e che tu non sei
nemmeno consapevole di possedere. Rappresenti tutto ciò che odio e il
desiderio di schiacciarti con le mie mani è quasi pressante... ma alla
fine, per colpa tua, c'è sempre qualcosa che me lo impedisce.» sibilò, una nota di rabbia, di fastidio nel
tono di voce tenuto volutamente basso.
L'espressione, lo sguardo finora rimasto di puro
sarcasmo, mutò.
Tutto quel “detestare” di cui l'altro
continuava a parlare sembrò insinuarsi sibillino dentro di lui,
estendendosi non solo agli occhi, ma anche al tono di voce con cui parlò
o alla mano che – stringendo il braccio di Tsuna ora – sembrava
volerlo trattenere.
«Odio il modo in cui porti a galla
questo... desiderio malato, che oscilla tra un'ossessione e il malsano ed ingiustificato volerti proteggere al tempo stesso.»
rivelò, quasi frustrato.
«Ma più di qualsiasi altra
cosa» sembrò giungere ad una conclusione:
«detesto quel cielo che simbolicamente dovrebbe rappresentarti in questa
idiozia degli anelli. Quella vastità accoglie chiunque, indistintamente.
Lo accoglie, e gli dà la libertà abbracciandolo con lo stesso
fare rassicurante che potrebbe avere una madre, o la cosiddetta persona
amata.» disse, ma era chiaro che non fosse affatto
un elogio, quello.
E fu ancora più ovvio quando la presa sul
suo braccio si allentò, fino a lasciarlo per poi allontanarlo
bruscamente, in un chiaro invito ad andarsene.
«Non
c'è nulla di rassicurante. Mi soffoca, mi dà la nausea. Questo
posto mi soffoca, la tua tanto amata famiglia e tutto ciò che ha a che
fare con te mi dà la nausea al punto da renderti così detestabile
per me.»
«Kyouya-kun che mi fa visita? Quanto mai raro.»
«Non chiamarmi per nome, mi viene da
vomitare.»
Monotonia di offese pronunciate quasi per prassi.
«Venti.»
E cosa mai avrebbe dovuto significare,
quel numero?
«I criminali uccisi da Sawada per conto dei
Vindice.
Per tirarti fuori da lì.»
Lui odiava i fiori di ciliegio.
Erano fiori che, nonostante tutto, ogni anno
fiorivano: nello stesso periodo, rispondendo ogni volta a delle tacite aspettative, sbocciavano nel pieno splendore senza
aspettarsi ringraziamenti né nulla del genere.
E non potevi fare altro che osservarlo,
finché non appassivano.
Finché non morivano.
Quei fiori così forti, e tanto fragili da
vivere per un periodo brevissimo.
A cui
bastava un niente – una folata di vento più forte di altre –
per essere spezzati e cadere dal ramo di un albero fino a toccare il fondo, cadendo
a terra; distrattamente calpestati dai passanti troppo di fretta per curarsi di
fiori che giacevano ormai alle radici di un albero.
Erano fiori così delicati da non poter
essere quasi sfiorati senza essere danneggiati.
«Se vuoi fare qualcosa per me, Sawada
Tsunayoshi...
stammi lontano.»
Men che meno da uno come
lui.
Ringraziamenti
A chi ha seguito la raccolta, e in special modo a
chi l’ha commentata: Eiko, Alex, Gioielle, Yoko891,souseiseki e kaori_taishi <3
E a nacchan e acchan,
che si sorbiscono la creazione in diretta con tanto di
mie imprecazioni sul genere di: “Mukuro perché sei così
complicato da muovere?!” :**