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Autore: Farrah Wade    02/04/2011    2 recensioni
Essere genitori non è mai una cosa facile. Spesso si devono prendere decisioni difficili riguardo ai figli. Quante volte per "fare del bene" si deve "fare del male", rischiando di essere fraintesi e addirittura odiati dai propri figli? Ne sa qualcosa il dottor Philip Price, che oltre a dirigere un ospedale, si troverà alle prese col non facile carattere dei suoi gemelli. La sofferta ma necessaria decisione di mandarli a studiare in un collegio adatto al rango della famiglia scatenerà una serie di terribili eventi che vedranno coinvolti i suoi figli e una strana "allucinazione" che lo porterà a dubitare della loro sanità mentale e rivangare alcuni segreti celati da tempo dal nonno dei gemelli, il primario ormai in pensione Preston Price. Genitore austero e brillante medico, Philip cercherà sempre di fare "la cosa giusta" finendo inevitabilmente col fare quella sbagliata.
Genere: Drammatico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 28


-Corri, il figlio del primario l’ha fatto di nuovo!

Bastarono queste poche parole a farli muovere tutti.

-C’è del sangue sui muri e sul pavimento.

Imprecando sottovoce Doreen aumentò l’andatura augurandosi che non fosse niente di serio. Judy, rimasta di guardia davanti alla porta, si voltò nella loro direzione udendo uno scalpiccio frettoloso.

-Siete già entrate? Si informò Doreen dando uno sguardo all’interno.

-No, aspettavamo te.

Lei annuì, estraendo la tessera magnetica e sbloccando la porta. Entrò nella Stanza Azzurra seguita da Jeff e da Loughran. La prima cosa che notò furono alcune chiazze di sangue sul muro appena sotto la finestra e sul pavimento.
Benji era accucciato nell’angolino del muro, a ridosso del letto, incuneato in uno spazio davvero ridotto. Respirava con evidente affanno, come se facesse fatica, in respiri brevi e rapidi. Aveva gli occhi serrati e il volto contratto in un’espressione sofferente. Doreen si chinò dinanzi a lui mentre i due infermieri prendevano posizione ognuno per lato, pronti a sollevarlo da terra qualora la caposala l’avesse ordinato. Lei lo chiamò per nome, incoraggiandolo ad aprire gli occhi e guardarla. Non voleva che si spaventasse e avesse una reazione repentina. Sembrava già abbastanza malconcio così.
Benji trasalì sentendosi chiamare. Aprì gli occhi e si voltò verso l’infermiera, mostrando così una brutta ferita alla tempia. Il sangue fuoriuscito, ora rappreso, era colato lungo il collo, andando a macchiare la maglietta bianca del pigiama.
Doreen e i due infermieri si scambiarono un’occhiata eloquente.

-Benji?- lo chiamò ancora la capoinfermiera. Lo vide sbattere le palpebre diverse volte, poi fissare su di lei uno sguardo vuoto, distante. Provò allora  a schioccare le dita un paio di volte e finalmente il ragazzo sembrò accorgersi di lei.
Lasciò uscire un lamento di dolore e cercò di appiattirsi ulteriormente contro il muro al quale era appoggiato, nel vano tentativo di sottrarsi loro. Fu quando sentì una pressione sul braccio che si accorse degli infermieri e tentò ancora di allontanarli da sé. Riconobbe Jeff alla sua destra, mentre a sinistra c’era Loughran. Era la prima volta che lo vedeva da vicino e sapeva che la sua presenza lì non era affatto un buon segno. Tentò di contrastarli e di rimettersi in piedi con le proprie forze ma ogni movimento era una fitta dolorosa e loro, temendo che volesse ferirsi di nuovo, glielo impedirono afferrandolo uno per lato e rimettendolo in piedi. Il brusco movimento gli causò un capogiro e sarebbe certamente caduto se non ci fossero stati loro a sorreggerlo. Doreen gli si avvicinò mettendosi di fronte a lui, riempiendo tutto il suo campo visivo.  
Il fianco sinistro dove Straker lo aveva colpito gli faceva molto male ed ogni respiro gli costava uno sforzo immenso. Lei guardò con attenzione e da vicino la ferita sulla tempia, poi sentenziò:- In infermeria, presto.

Camminare era doloroso. Ogni passo che faceva gli causava nuovo dolore ma gli infermieri lo sospingevano avanti, sempre sorreggendolo ognuno per lato. Doreen oltrepassò le infermiere incaricandole di informare il dottor Kay e il primario sull’accaduto. Non disse altro per tutto il tragitto che dalla Stanza Azzurra portava all’infermeria. Questa si trovava in fondo al reparto, oltre l’isolamento. Per arrivarci dovevano percorrere tutto il lungo corridoio e svoltare a sinistra. Quella era la seconda volta che lasciava la sua prigione azzurra dopo l’incidente avvenuto nell’ufficio del dottor Kay e, nonostante il dolore che camminare gli procurava al fianco, Benji osservava il corridoio e le file e file di porte tutte uguali. Chissà dov’era sua sorella, in quel gigantesco labirinto. Cercava di rallentare l’andatura degli infermieri, un po’ per il male, ma soprattutto per riuscire a ricordare dettagli e particolari che avrebbero potuto tornargli utili in futuro. Alla fine del lungo e monotono corridoio svoltarono a sinistra. Qui le file di porte erano solo sul lato destro. A sinistra si aprivano enormi finestroni a sesto acuto. Il soffitto era altissimo e il bianco delle pareti rendeva tutto molto luminoso. La luce del sole filtrava dai finestroni schermati dalla rete di protezione che davano sul giardino esterno. Benji poté scorgere là sotto il parco verdeggiante che vedeva anche dalla sua finestra. Avrebbe voluto continuare a guardare sia il sole che il prato sottostante ma gli infermieri presero un altro corridoio che si dipanava da quello e dopo alcuni passi si fermarono di fronte ad una porta. Brusco movimento che gli causò altre fitte al fianco. Si aggrappò ai camici bianchi dei suoi sorveglianti, lasciando su di essi tracce rossastre con le mani ancora sporche di sangue. Nonostante durante il tragitto avessero incrociato altri infermieri e pazienti, alcuni tranquilli altri meno, Benji non aveva minimamente badato loro, estraniandosi da tutto, rimanendo concentrato solo su due cose: il suo dolore e l’ambiente circostante. Non aveva emesso suono, non aveva tentato di fuggire, come notò Doreen, e la cosa era piuttosto strana ma lo attribuì al fatto che fosse ferito e spaventato. Aveva visto l’andatura leggermente claudicante ed era certa che sentisse davvero male.
Ad interrompere i suoi pensieri fu la porta dell’infermeria che venne aperta. Altri inservienti scortarono fuori una donna con una voluminosa fasciatura ad un braccio che balbettava cose senza senso, roteando gli occhi all’indietro. Salutarono Doreen con un cenno del capo e lei fece lo stesso. Qualche secondo più tardi venne loro incontro un medico alto e con i capelli brizzolati. Bello di aspetto e imponente di fisico. Portava eleganti occhiali dalla montatura di acciaio e i baffi. Doreen sorrise imbarazzata di fronte al medico. Somigliava vagamente a Burt Lancaster dei tempi d’oro ed era evidente che esercitava un certo fascino sull’universo femminile, Doreen inclusa. Benji lo osservò con occhi diversi. Vestiva di verde e portava guanti di lattice, due elementi che glielo fecero detestare all’istante. Gli ricordava suo padre e nonostante l’espressione del volto apparisse gioviale, diffidò subito di lui. Dolore o meno, era deciso a non farsi avvicinare. Per adesso, l’attenzione del medico era tutta per la capoinfermiera.

-Dottor Burke- lo salutò quest’ultima avvicinandosi alla soglia dell’infermeria. Lui le sorrise e fece loro cenno di entrare. Parlottarono un po’. Loughran e Jeff erano rimasti leggermente indietro e la maggior parte del dialogo venne persa. Benji li vide parlare, poi lei gli porse una cartelletta che lui sfogliò rapidamente. Si voltarono entrambi a guardarlo, poi il medico annuì. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Cosa si erano detti? Lo vide poggiare la cartellina aperta sulla scrivania, scrivervi sopra qualcosa ed infine venire verso di lui. Cercando di ignorare il dolore, indietreggiò bruscamente al suo avvicinarsi ma gli infermieri, pronti, impedirono ogni iniziativa.

-Allora –fece bonario il vecchio medico ignorando il gesto di avversione del piccolo paziente – mi ci fai dare un’occhiata?

Non era una vera e propria domanda in realtà, Benji lo sapeva. Come se dipendesse da lui poi. No, era solo un’altra delle loro solite tattiche per ingraziarselo. Infatti, subito dopo aver pronunciato quelle parole e senza aspettare risposta -che comunque non venne- il dottore gli girò la testa verso la luce per osservare meglio la ferita sulla tempia, cosa che Benji non gradì affatto. Cercò di liberarsi da quella presa ma non poteva fare molto, trattenuto com’era. E il dolore al fianco lo stava uccidendo. Si sentiva oltraggiato da quel contatto molesto e il fatto di non potersi difendere lo irritava molto. Ma la cosa che più lo infastidiva era il fatto di non contare nulla. Qualsiasi cosa avesse detto o fatto, loro non gli avrebbero creduto. Era quello a ferirlo maggiormente. E non poteva certo biasimarli, nelle condizioni in cui era ridotto. Appariva ai loro occhi esattamente come Straker gli aveva detto.

Urlerai la tua innocenza ma non ti crederà nessuno…

Non verrai creduto…i pazzi non contano…

Quante volte l’Uomo Calvo gli aveva ripetuto quelle cose? Eppure lui sapeva di non essere pazzo. Era caduto in una trappola ben architettata e non sapeva come uscirne ma di certo non era pazzo. Anche se purtroppo tutti gli elementi erano a suo sfavore. E poi, ancora, chi era costui e cosa voleva da lui?
Domande, domande destinate a rimanere senza risposta, almeno per il momento.

L’odore di disinfettante dell’infermeria gli dava il voltastomaco e le luci troppo forti gli ferivano gli occhi ma non disse nulla, nemmeno una parola, opponendo solo una lieve resistenza quando gli infermieri lo trascinarono fino al lettino delle visite, obbligandolo a sedervi sopra mentre il dottore preparava il necessario per la medicazione. Aveva realizzato che parlare con loro non sarebbe servito a nulla, se non forse ad aggravare ulteriormente la sua già abbastanza compromessa situazione. Al dottor Burke non importava niente di lui e del suo strano silenzio; il suo compito si limitava a medicare quella ferita. Al resto ci avrebbero pensato gli psichiatri che lo avevano in cura. Questa era la realtà delle cose nella scala gerarchica e lui lo aveva capito. Quel silenzio rassegnato ne era la prova evidente.

-…un po’ male.

-Uh?

La voce del dottore lo aveva riportato bruscamente alla realtà. Un attimo più tardi un dolore feroce alla tempia lo fece sussultare. Si sorprese della facilità con cui i suoi pensieri riuscivano a distrarlo e a trascinarlo lontano. Succedeva spesso negli ultimi tempi. Il medico stava tastando la ferita e disinfettando il taglio. Cercò di sopportare quella tortura in modo stoico, mordendosi il labbro inferiore e giurando a se stesso che non avrebbe emesso un solo suono.

-Ho detto che ti avrei fatto un po’ male- ripeté il dottore proprio in quel momento.  
Si allontanò per prendere altro disinfettante. Benji seguiva ogni sua mossa con sguardo vigile, ora. Doreen era nei pressi, pensierosa e taciturna a sua volta. Forse anche lei si stava domandando come mai non avesse ancora reagito o forse aveva già intuito la ragione di quella temporanea rinuncia alla lotta. Però non abbassò mai la guardia, nemmeno per un istante. Sapeva che i suoi silenzi potevano essere più significativi delle sue brusche reazioni a volte.
Il dottor Burke tornò e riprese a lavorare con efficienza sulla ferita. Benji lo lasciò fare senza dire nulla, senza impedirglielo. Il dolore si era un po’ smorzato adesso. Quello che lo irritava maggiormente era la sensazione delle sue mani. Le sue mani fredde e professionali addosso gli davano fastidio. Mani da medico. Ne aveva una vera e propria avversione fin da piccolo. Strinse i pugni ma mantenne il suo ostinato silenzio, sperando che tutto finisse il prima possibile.

-Dov’è  che ti fa male?

La domanda del dottore lo spiazzò. Che intendeva dire?
Il vecchio medico sorrise appena, notando la reazione sorpresa del piccolo paziente.

-Ho visto che zoppicavi un po’ prima – proseguì il dottor Burke incurante di quel silenzio. – Ho pensato ci fossero altre ferite che non ho visto subito.

Maledizione. Se n’era accorto. Certo, i medici si accorgevano sempre di quei piccoli sintomi. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche ma mantenne il suo caparbio silenzio. Non gli avrebbe fornito alcun indizio. Distolse lo sguardo, mostrando disinteresse per le parole appena pronunciate dal dottore. Il medico proseguì la visita senza aggiungere altro. Sembrava non ci fossero ulteriori ferite evidenti ma era convinto che il piccolo paziente gli stesse nascondendo qualcosa. Per essere sicuri gli controllò anche la vecchia ferita sul polso, rifacendo poi la fasciatura una volta terminato. Benji rimase barricato nella sua torre di silenzio, contrariato dall’insistenza del medico ma deciso a mantenere il distacco.
Quasi accidentalmente, il dottore gli urtò il fianco danneggiato, facendolo trasalire.

-Hmm… è qui vero? Non mi sbagliavo.

Affondò i polpastrelli proprio dove Straker l’aveva colpito, strappandogli un’esclamazione di dolore. Doreen si avvicinò. Il dottor Burke gli sollevò la maglia del pigiama e scoprì la parte lesa. Un livido bluastro di discrete dimensioni fece la sua apparizione.

-Questo si che deve fare parecchio male- commentò il medico, mentre Doreen osservava il livido senza parlare. –Perché non ci hai detto niente?

Nulla, nessuna risposta e nessun cenno di reazione. Il vecchio medico non se ne stupì più di tanto. Era abituato ad avere a che fare con i pazienti del reparto psichiatrico ed era consapevole che reagivano nei modi più diversi. Però questo ragazzino qui aveva qualcosa di strano…

-Qualche frattura?- chiese Doreen osservando il grosso livido vicino alle costole.

Il dottor Burke continuando a tastare la zona bluastra, fece un cenno negativo col capo.

-Sembrerebbe di no. Non riscontro danni. Fortunatamente sembra solo una brutta botta, dolorosa ma innocua. Se non fosse stata tra il tessuto morbido delle costole avrebbe potuto essere peggio. Faccia fare le lastre se crede, ma le posso tranquillamente dire che non ce n’è alcun bisogno. Qualche giorno di antidolorifico, se crede, e una pomata e tutto andrà a posto.

-Mm hm, certo dottore- annuì la caposala.

Meglio cosi, pensò. Se fosse successo qualcosa di più grave il dottor Price si sarebbe arrabbiato sul serio, stavolta. Già adesso avrebbe dovuto riferirgli dell’incidente e non sapeva come l’avrebbe presa. Figuriamoci se avesse dovuto informarlo su qualcosa di più grave di un livido e qualche taglio. Decise di metterlo al corrente il prima possibile. Non voleva farlo arrabbiare più del necessario; era già parecchio stressato per tutta quanta la faccenda e non voleva creargli ulteriori preoccupazioni. Anche se non lo dava a vedere e manteneva il solito riserbo e distacco, Doreen sapeva quanto fosse preoccupato. Non si capacitava di come era potuto succedere. Lo sorvegliavano sempre, in maniera costante, eppure…

-Trovano sempre il modo di farsi del male…

La voce del dottor Kay la fece voltare di sorpresa. –…Se era questo che stava pensando, tutta corrucciata- aggiunse il giovane psichiatra. - Era così assorta che non mi ha nemmeno sentito entrare.

-Grazie di essere venuto cosi in fretta, dottore- rispose lei riacquistando all’istante il controllo della situazione. –In effetti sì, stavo proprio pensando a quello.

Kay aveva nel frattempo già salutato il dottor Burke e gli inservienti e preso dalle mani di questo la cartella medica del suo paziente, leggendola con attenzione.

-Lo immaginavo- rispose con un sorriso, richiudendola dopo averla firmata.

-Non so davvero come sia potuto accadere- rispose la caposala scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

-Gliel’ho detto, Doreen, uno modo lo trovano sempre, anche se li sorvegliasse ventiquattr’ore al giorno.

-Già.

Diede una rapida occhiata al ragazzo. Era stranamente tranquillo, immobile, seduto sul lettino e lo fissava. Jeff e Loughran a pochi passi da lui, braccia conserte come al solito e pronti ad intervenire. Sembrava così piccolo e indifeso in quel momento ma Kay sapeva bene di cosa poteva essere capace. Era silenzioso e quieto ma quegli occhi mostravano un incredibile travaglio interiore.  

-Gli avete dato qualcosa per caso?

-No dottore- rispose Doreen. –Non ancora.

-Uhm… Se avete finito di medicarlo vorrei parlargli. Da solo.

-Certo dottore.- Doreen fece cenno agli infermieri di uscire. –Siamo qui fuori in caso di bisogno.

Lui annuì e salutò anche il dottor Burke, stringendogli la mano.

Rimasto solo con il suo paziente, il dottor Kay prese una sedia e si accomodò di fronte a lui.

-Allora, non hai niente da dire?- Il tono del medico era leggermente scocciato. –Dopo quella nostra chiacchierata mi pareva di aver capito che avresti collaborato.

Il dottor Kay era arrabbiato. Benji riusciva a percepirlo ma non gliene importava. Anche lui era arrabbiato. Perché nessuno gli avrebbe creduto, qualunque cosa avesse detto o fatto. Sorrise amaramente.

-Se le dicessi che non sono stato io, mi crederebbe?

-Sei stato tu, Benji?

-No.

-Chi è stato allora?

Invece di rispondere Benji si limitò a fissarlo. Cercava di capire se davvero gli importasse o se stesse solo cercando di farlo parlare, come la volta scorsa. Non poteva dimenticare che il medico aveva giocato sporco con lui.
Da parte sua, Kay aspettava una risposta. Si era infastidito quando lo avevano mandato a chiamare, perché pensava di essere riuscito a combinare qualcosa di buono con quel piccolo paziente, invece….Adesso doveva rifare tutto daccapo. E sia, penso.

-Se non sei stato tu dimmi chi è stato.

Benji trovava quasi divertente il fatto di non essere creduto. Divertente in un modo così doloroso che poteva quasi sentire quel dolore trafiggergli il petto come una coltellata ogni volta che il medico gli rivolgeva quella domanda. Faceva così male dentro, ma forse loro non ne avevano la minima idea. E forse era meglio così.

-Non sono stato io- rispose fissandolo dritto negli occhi.

Kay decise di assecondarlo, speranzoso di poterci ricavare qualcosa di utile.

-Immagino che c’entri il misterioso Uomo Calvo in tutto questo allora, si?

-Si chiama Straker…

Stupito da quella confessione spontanea, Kay dovette ricredersi. Forse, dopotutto, il suo lavoro non era stato poi così inutile. Doveva andarci cauto.

-Chi si chiama Straker, Benji? L’Uomo Calvo? E’ quello il suo nome?

Dì pure loro che mi chiamo Straker…

Gli tornarono in mente le parole dell’Uomo Calvo. Percepì una sgradevole sensazione al ricordo. Annuì impercettibilmente al dottor Kay. Aveva detto la verità. Era stato lo stesso Straker ad acconsentire che rivelasse loro il suo nome, ma Benji dubitava che sarebbe cambiato qualcosa ormai. Forse era l’ennesima presa in giro da parte del misterioso e crudele Uomo Calvo. Strinse i pugni e subito una fitta dolorosa al fianco danneggiato si fece sentire. Non sarebbe cambiato nulla.

-Perché non me l’hai detto subito?

-Perché ancora non conoscevo il suo nome e perché… non mi avreste creduto.  

Kay decise di non forzarlo troppo. Aveva visto l’espressione di dolore in quegli occhi trasparenti e sapeva bene quanto poteva essere dura.

-Va bene, Benji, voglio crederti. Adesso Doreen ti farà riportare nella tua stanza. Più tardi parleremo. Forse riesco anche a convincerli a farti uscire. Tu cerca di non combinare altri danni e potrei anche riuscirci.

Benji non disse nulla. Il suo sguardo seguì il giovane medico mentre si alzava e usciva dall’infermeria. Troppo facile. Era stato tutto troppo facile. Aveva cercato di seguire il consiglio del ragazzino biondo ma non sapeva ancora se avesse funzionato o meno.

A che scopo essere considerati pazzi se non puoi divertirti un pò?

Un sorrisetto gli incurvò le labbra, per tramutarsi subito dopo in una smorfia di dolore quando un’altra fitta al fianco lo trafisse mentre cercava di rimettersi in piedi.
Un attimo dopo Doreen e gli infermieri vennero a prelevarlo per riportarlo nella sua stanza.
   
 
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