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Autore: Lilith Lancaster    02/04/2011    2 recensioni
Elena Atwood è una giovane sedicenne. Sua madre è morta quando lei aveva cinque anni e suo padre è perennemente assente per lavoro. Elena sembra una ragazza normale, una sedicenne normale. In realtà è l’ultima discendente di una gerarchia di custodi. Le custodi della notte. La dinastia antichissima ha un solo compito. Vegliare sulle vite delle persone….proteggerli dai “Mutati” uomini in grado di cambiare il loro aspetto umano in quello dell’animale spirito che li rappresenta. Uomini senza controllo, in grado di compiere le più terribili atrocità. Da secoli le custodi combattono contro i mutati, li eliminano o da loro vengono eliminate. Elena fin da giovane ha iniziato a combattere per ciò che crede giusto. ma un incontro cambia tutta la sua vita
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Elena svegliati. Faremo tardi a scuola” Savannah mi scuoteva delicatamente per farmi riemergere dal mio profondo sonno. Sbattei le palpebre e aprì gli occhi inquadrando il viso a cuore della mia amica proteso sopra di me.
“che ore sono?” mormorai assonnata mentre mi giravo dall’altra parte e abbracciavo il cuscino.
“l’ora di andare a scuola pigrona” mi afferrò per una spalla e con delicatezza mi girò verso di se.
“ho sonno” brontolai mentre mi coprivo il viso con il cuscino
“dormirai in classe. Dai le altre sono tutte già vestite” mi spronò.
Sbuffai e mi sollevai un po’, fissandola malamente. Questo la fece scoppiare a ridere. Mi scompigliò i capelli e aprì le tende del baldacchino per fare penetrare la luce fino a me. Mi stiracchiai voluttuosamente, sorridendo soddisfatta.
Avevo dormito bene, senza che orribili incubi venissero a disturbarmi.
Savannah era andata ad aprire le mie valigie. Ne tirò fuori una camicia verde che mi lanciò insieme ad un paio di jeans chiari.
“vestiti. In fretta. Se tra cinque minuti non sei pronta mando Angeline su a prenderti” minacciò ridendo mentre si precipitava fuori dalla camera.
Quella minaccia bastò a farmi saltare giù dal letto. Mi affrettai ad andare in bagno per lavare i denti ed il viso. Mi lavai e vestii in tutta fretta e quando scesi le scale stavo ancora cercando di allacciare i lacci delle all star. Non avevo neanche il tempo di fare colazione.
Savannah era già in macchina. Lei ed Athena ne avevano una e quindi solitamente era una delle due a darmi un passaggio fino alla scuola. Salì in macchina e mi piegai per sistemare i lacci delle scarpe.
Inciampare davanti a tutta la scuola era una cosa che volevo assolutamente evitare. L’altra era Michael. Dubitavo che ci sarei riuscita, ma ci avrei almeno provato.
Savannah partì lentamente, con prudenza. Anche nella guida era calma e controllata.
Mentre lei guidava io abbassai lo specchietto e mi dedicai ad un ritocco del make up, giusto per controllare che tutto fosse in ordine. Avevo avuto il tempo di darmi appena una passata di lucidalabbra ma apparivo comunque molto bella. La mia non era presunzione perché ero in grado di valutare freddamente persino me stessa. Ero piccola e minuta ma con le curve sufficientemente accentuate. Avrei potuto essere bellissima se fossi stata più alta e slanciata. Invidiavo molto Athena e Savannah per la loro corporatura longilinea.
Chiusi lo specchietto e mi concentrai sulla strada, cercando di non pensare al fatto che probabilmente Michael mi aveva trovato troppo piccola e gracile.
Lui mi sovrastava di più di una testa. Doveva essere almeno venti centimetri più alto di me.
Uffa ma perché dovevo sempre pensare a lui, in positivo o in negativo che fosse?
“oggi dovrai parlare con Rachel. Sarà distrutta povera piccola” la voce compassionevole di Savannah mi riportò con i piedi per terra. Ah già..la nuova recluta. Quella la cui vita sarebbe stata affidata a me.
Sinceramente non avevo pensato affatto allo stato emotivo in cui si sarebbe trovata. Questo dimostrava la mia poca sensibilità. Sospirai al pensiero di dovermi sorbire pianti e lacrime. Non ero dell’umore giusto per consolare nessuno. anzi, raramente ero talmente ben disposta da offrire il mio sostegno. Le uniche che potevano chiedere il mio aiuto anche durante una crisi di pianto erano Athena e Savannah.
“i genitori la vogliono allontanare un po’ dall’atmosfera cupa della casa quindi ne approfitteremo e la porteremo a Villa Temple. prenderà quella che era la camera di Juliet anche se non credo sia saggio dirle che era della sorella” Savannah sembrava molto ben informata. Parlava con sicurezza, come se fosse tutto già stabilito.
“come sai tutte queste cose?” domandai un tantino perplessa. Scoppiò a ridere e si voltò a guardarmi mentre faceva retromarcia per posteggiare nel parcheggio della scuola.
“io ho ascoltato quello che diceva tua nonna ieri sera. Se anche tu le avessi prestato un minimo di attenzione ne sapresti tanto quanto me” rispose mentre sfilava le chiavi dal quadro e scendeva dalla macchina. Scesi anche io e feci il giro per affiancarmi a Savannah. Naturalmente avevamo già tutti gli occhi puntati addosso. Salutai gente che conoscevo solo di vista e sorrisi a tutti mentre mostravo un’espressione contrita e dispiaciuta a tutti coloro che mi chiedessero notizie su Juliet.
Ci misi un po’ a trovare quello che cercavo. Una chioma rosso fiammante un po’ in disparte rispetto alla folla. Mi avviai in quella direzione e trovai Rachel, la sorella di Juliet, seduta in un angolo, praticamente invisibile a tutti. Lacrime calde bagnavano le sue guance e cadevano sulle sue mani.
Mi chinai per passarle un braccio intorno alle spalle anche se mi sentivo un po’ impacciata nel mio ruolo di guida e sostenitrice.
“va tutto bene Rachel.” Sussurrai mentre la confortavo con un lievissimo abbraccio.
Cosa altro potevo dirle? Sua sorella era appena morta! Mi sembrava assurdo rifilarle tutti quei “
lei non vorrebbe vederti piangere, lei vorrebbe vederti felice”.
Nessuna di noi poteva sapere cosa Juliet avrebbe voluto, anche se secondo me avrebbe voluto essere vendicata. Ma a quello ci avrei pensato io appena possibile.
“non può essere successo davvero” singhiozzò nascondendo il suo viso piccolo e infantile nell’incavo del mio collo. Le accarezzai la schiena timidamente e nel frattempo cercai con lo sguardo Savannah. I nostri sguardi si incrociarono sopra la marea anonima di volti.
Un sorriso triste piegava le labbra della mia amica, che però mostrò di approvare il mio comportamento. Ci scambiammo un cenno e Savannah si occupò in fretta di attirare su di se l’attenzione in modo che nessuno si accorgesse di me e Rachel, abbracciate in un angolo.
Sinceramente non sapevo come comportarmi con quella bambina disperata. Niente di quello che io avessi detto avrebbe potuto lenire il suo dolore. nessuna parola avrebbe reso meno reale il atto che sua sorella era morta e nessuna parola le avrebbe ridato sua sorella.
Mi sentivo estremamente inutile, perché non c’era niente che io potessi fare realmente per lei.
“Rachel so che è difficile. So che il mondo ti sta crollando sotto i piedi” sussurrai mentre prendevo il suo viso tra le mani e la costringevo a guardarmi. I suoi occhi verdi erano arrossati dal pianto.
“credimi, lo so. Ci sono passata anche io. Ma piangere non serve a niente. Bisogna essere forti e tirare avanti. Per quanto tu possa piangere la situazione non cambierà. Niente potrò tornare come prima. Ma potrai cambiare il futuro. Se rimani qui a piangere la tua vita ti scorrerà davanti senza che tu abbia la possibilità di viverla” mormorai cercando di suonare quanto più delicata a confortate possibile.
Forse non erano le parole adeguate e forse non erano le parole più dolci che le potessi rivolgere. Probabilmente avrei dovuto rincuorarla tirando in ballo gli angeli il cielo e il fatto che Juliet era sempre con lei ma non me la sentivo di scendere in argomenti in cui io per prima stentavo a credere. Avevo preferito parlare con sincerità e dirle le cose che avrei volute dette io quando era morta mia madre. 
Niente stupidaggini e niente mezze verità.
Le lacrime continuarono a solcare inesorabili il suo viso, ma per lo meno smise di singhiozzare.
“perché è successo questo?” domandò disperata aggrappandosi a me.
Scossi la testa in silenzio “non lo so” sussurrai. In realtà lo sapevo benissimo. Era successo perché esistevano degli abomini come i Mutati. Era successo perché sua sorella era una ragazza coraggiosa e aveva accettato il compito di lottare per proteggere il mondo umano, mettendo in pericolo se stessa. Era successo perché la vita semplicemente non è giusta. la vita non guarda in faccia niente e non si preoccupa del dolore di nessuno. ha i suoi progetti e resta insensibile a lacrime e preghiere.
La vita è crudele ma è tutto quello che abbiamo.
Sollevò una mano per asciugarsi le lacrime ma stava tremando, cercando con tutta se stessa di controllarsi. Maledizione non ero pronta a questo. Non ero pronta a consolare nessuno meno che meno questa bambina dall’aria fragile.
La strinsi con delicatezza e guardai dritto di fronte a me mentre la lasciavo piangere. Restammo immobili fino a che il suono della campanella non ci fece sobbalzare.
Mi scostai con delicatezza da lei e presi la sua mano costringendola ad alzarsi.
“dobbiamo andare” la incitai muovendomi frettolosamente verso la mia classe. Si fermò e scosse la testa. Teneva il capo chino e le lacrime avevano ripreso a scorrere.
“non voglio…non voglio entrare in classe. Non voglio che le mie compagne mi facciano domande. Non voglio il loro aiuto” sussurrò mentre nascondeva il viso tra le mani.
Chissà se il mio invece lo avrebbe accettato....Beh c’era un solo modo per scoprirlo.
“se vuoi puoi venire con me…ti proteggerò io” sussurrai avvicinandomi un po’ e posandole una mano sul braccio. Cercavo in tutti i modi di dire la cosa giusta ma non ero mai stata una campionessa di tatto quindi probabilmente non me la stavo cavando bene.
Sollevò lo sguardo per incrociare il mio e non so cosa vi lesse ma annuì senza parlare.
Sorrisi, rassicurante, e le presi di nuovo la mano, guidandola ancora una volta. Sospirai pensando che da adesso in poi questa fragile vita era letteralmente nelle mie mani.
Quando entrai in aula l’attenzione si spostò dal professore a me e Rachel. Nascosi per quanto possibile il suo volto basso e rigato di lacrime e andai a sedermi in un banco libero. Rachel prese una sedia e l’accostò al mio banco, il tutto senza alzare lo sguardo. Le strinsi una mano cercando di darle forza.
Certe volte l’attenzione era una brutta cosa…soprattutto quando tutto quello che si voleva era restare soli con il proprio dolore.
Rachel rimase tutto il giorno raggomitolata al mio fianco, senza lasciarmi mai la mano. La portai a tutte le mie lezioni e la protessi da domande troppo curiose. Ad un certo punto della giornata aveva smesso di piangere ma la tristezza velava ancora il suo sguardo. Era normale ma mi sentivo impotente nel non poterla aiutare sul serio. Era una sensazione maledettamente frustrante.
Quando arrivammo alla mensa i tavoli erano tutti pieni di gente che sussurrava a mezza voce. Gente che si chiedeva cosa fosse successo e aggiungeva aneddoti e particolari ad una storia che, se fosse stata divulgata, sarebbe stata già di per se troppo macabra.
Trascinai Rachel fino al mio solito tavolo e la feci sedere nell’angolo più appartato, in modo che potesse godere di un po’ di tranquillità. Non potei impedire però che il chiacchiericcio giungesse fino a noi. Lanciai un paio di occhiate inceneritrici di qua e di la e l’effetto fu immediato. Le voci si abbassarono fino a diventare tenui mormorii di sottofondo.
Savannah e Jake erano già al tavolo e cercarono di non fare caso alla nostra presenza quando ci unimmo al gruppo. Probabilmente Savannah aveva già raccomandato ai ragazzi di non mostrarsi troppo interessati. Come sempre Savannah era premurosa e gentile.
“tu che ne dici piccola?” la voce di Jake mi costrinse a voltare la testa per dedicargli la mia attenzione. Ero ancora seccata per quello che era successo ieri. Anzi ero arrabbiata. Gli rivolsi un lungo sguardo freddo che ricambiò con aria perplessa e subito dopo un po’ colpevole.
“non ho seguito la discussione e non mi interessa seguirla dal momento che riguarderà sicuramente la partita di basket che avete giocato ieri?” sorrisi e tornai a voltargli le spalle.
Rachel aveva per qualche istante smesso di guardare il suo piatto e aveva ascoltato la mia discussione perciò quando tornai a voltarmi verso di lei incrociai il suo sguardo. Divenne rossa e abbassò immediatamente la testa nel timore che m arrabbiassi con lei.
Mi chinai per sussurrarle all’orecchio qualche parola nel tentativo di farle capire che per me non c’era nessun problema se ascoltava me e Jake. Ma soprattutto nel tentativo di distrarla.
“lo sport non mi piace per niente. Tu che ne pensi?” domandai con un sorriso e lasciando che la mia voce assumesse una sfumatura morbida.
“io…non me ne intendo molto di basket. Ma mi piace il pattinaggio” sussurrò con lo sguardo chino.
“fantastico il pattinaggio. Mi ha sempre affascinata ma ti confesso che la paura di cadere mi ha sempre frenata dal provare” una conversazione banale al solo scopo di distrarla.
“se vuoi qualche volta potrei insegnarti” mormorò mentre sorseggiava distrattamente una coca cola.
“sarebbe grandioso. Ma non mi filmare mentre cado per terra altrimenti tutta la scuola riderà di me”
“oh no! Non lo farei mai!” si affrettò ad assicurare. Le sorrisi gentilmente e non risposi anche perché non mi veniva in mente nessuna brillante replica.
Le altre ore passarono così, tra sorrisi accennati, bisbigli concitati e lacrime silenziose.
Feci del mio meglio per distrarla durante le lezioni e evitarle il continuo chiacchiericcio che ci seguiva, ma sapevo che lei era ben conscia delle attenzioni indiscrete del corpo studentesco. Anche qualche professore ci mise la sua facendole le condoglianze e dicendole le solite sciocchezze stile “lei adesso è in un posto migliore. È il tuo angelo custode” ecc.
Quando finalmente le lezioni terminarono i genitori la stavano aspettando davanti al cancello della scuola. Entrambi avevano gli occhi rossi e stanchi. I loro visi erano pallidi e tirati, gli occhi cerchiati da occhiaie profonde, il dolore chiaramente visibile in ogni gesto. La salutai con un breve sorriso di incoraggiamento e la guardai andare a testa china dai genitori e lasciarsi abbracciare. Fui improvvisamente e assurdamente gelosa di lei. Io non ero mai stata abbracciata da mio padre in questo modo. Gli abbracci di mia mamma neanche li ricordavo. La invidiai perché nonostante tutto lei aveva una famiglia, qualcosa che io non avrei avuto mai e poi mai.
Strinsi i pugni e mi voltai per non dover più vedere il delizioso quadretto familiare. Il mio sguardo si indurì, una reazione istintiva quando vedevo che qualcosa poteva ferirmi.
“eih amore. ti accompagno a casa” mi girai di scatto e vidi Jake sul suo fuoristrada che aveva inchiodato proprio vicino a me.
“un po’ tardiva come proposta” risposi senza guardarlo mentre mi dirigevo verso la macchina di Savannah. Rimase in silenzio senza sapere bene come prendermi ma mi seguì con la macchina.
“e dai mi tieni il broncio?” domandò sporgendosi un po’ dal finestrino.
“no Jake. Tenere il broncio è infantile. Io sono arrabbiata è un po’ diverso” risposi continuando a guardare dritto davanti a me. Ma quanto ci metteva Savannah ad arrivare?
“allora sali e ne parliamo. Vuoi restare arrabbiata per tanto tempo? E poi ho detto a Savannah che tornavi con me” continuò ridendo. La sua allegria mi sembrava totalmente inappropriata. Ah voleva parlare? Bene! che si preparasse a vedersi piombare addosso il tornado Elena.
Non gli risposi ma aggirai la macchina e andai ad aprire la portiera dal lato del passeggero.
“portami da mia nonna”
“vedi stai sempre a dare ordini. È per questo che le cose tra noi non vanno” sbuffò ma partì senza ulteriori discussioni.
“no Jake le cose tra noi non vanno perché sei infantile, immaturo, capriccioso, arrogante, impulsivo, testardo, geloso, asfissiante…potrei trovare un centinaio di altri termini ma mi fermò qui” sbottai io. Ah adesso era colpa mia? Da quando in qua mi trovava così dispotica.
“non è vero non sono così” protestò mentre il suo viso si adombrava leggermente.
“ah no?” sollevai un sopracciglio guardandolo con aria leggermente ironica.
“io sarò anche un po’ autoritaria ma tu sei troppo immaturo. Quando ho bisogno di te non ci sei mai, quando invece ci sei ti arrabbi per delle cavolate”
“mi dispiace non esserci stato ieri. Davvero. non pensavo che saresti andata a piedi da sola. Insomma ti avevo detto di aspettare. Ma quando sono arrivato a casa tua Amy mi ha detto che eri già andata” si giustificò un tantino imbarazzato.
Evidentemente aveva capito di averla fatta grossa.
Probabilmente avrei dovuto annuire e dirgli che mi aveva costretta a trascinare le valigie per un kilometro e passa, aumentando il suo senso di colpa, ma non ero capace di mentire e poi volevo in un certo senso dimostrargli che senza di lui me la cavavo più che bene.
“non potevo aspettarti per due ore! Mia nonna aveva bisogno di me” protesta indignata. Poi sorrisi come un gatto davanti alla tana di un topolino.
“ah, e comunque non sono mica andata a piedi. Ho incontrato Michael e lui gentilmente si è offerto di darmi un passaggi" la sua reazione alle mie vellutate parole fu istantanea.
Strinse le mani intorno al volante e mi fulminò con un’occhiata arrabbiata.
“Michael? Michael?! Adesso gli dai del tu? Avrei dovuto spaccargli la faccia” era arrabbiato e la cosa mi faceva piacere. Si era meritato una piccola punzecchiatura.
“si gli do del tu dato che è stato così gentile da aiutarmi quando tu non c’eri” risposi sorridendo allegramente. Non era una cosa saggia continuare a stuzzicarlo ma io non riuscivo ad impedirmelo.
“quindi io volto le spalle un giorno e subito civetti con un altro?” gridò furioso.
“non ci ho mica civettato. Ma almeno lui ha abbastanza decenza da non lasciare una ragazza a se stessa” Lo provocai mentre iniziavo ad arrabbiarmi anche io.
“io lo ammazzo” minacciò infuriato.
“ci hai già provato e ti è andata male. “ gli ricordai gongolando
“ne sei felice eh? E io che ero pronto a fare a pugni con lui solo per te” stavolta la sua espressione era talmente ferita che mi sentii in colpa.
“oh Jake! Io non voglio che tu faccia a pugni con nessuno…vorrei solo che tu fossi più presente e ti impegnassi un minimo per che so…fare conversazione. Ti rendi conto che ogni volta che ci vediamo non parliamo di altro se non di sport? Quando sono così fortunata da avere tempo per parlare prima che tu inizi a lamentarti che non ci baciamo mai!” mi ero ammorbidita un po’ ma non intendevo lasciare la questione in sospeso.
“non ti piace baciarmi?” chiese sorpreso.
“no Jake non ho detto questo. Ma vorrei anche dedicarmi ad una conversazione interessante tanto per cambiare.”sospirai mentre cercavo di chiarire il concetto. Ero sicura che il suo atteggiamento non sarebbe cambiato di una virgola. Per lui quello che stavo dicendo non aveva alcun senso.
“di cosa dovremmo parlare?” domandò totalmente sconcertato.
“non so Jake…di cosa parli con i tuoi amici?” mi pentii subito di averlo chiesto.
“di sport!” rispose immediatamente. Sembrava stupito che avessi fatto una domanda del genere. Effettivamente era stato stupido da parte mia…di cosa accidenti parlava Jake? Solo e soltanto di sport. Sbuffai e alzai gli occhi al cielo chiedendomi per quale motivo sprecassi il mio tempo con lui. Era carino ed affascinante, certe volte anche dolce…ma a me servivano stimoli intellettuali!
Ok questo senso di insoddisfazione era affiorato in tempi recenti però….però in qualche modo Jake non era più abbastanza. Mi sentivo meschina per questo, ma non lo consideravo abbastanza.
“ok allora tieni presente i tuoi amici…e non dire niente di quello che diresti a loro” tagliai corto perché la discussione iniziava a farsi noiosa.
Scoppiò a ridere mentre il buonumore tornava sul suo viso.
“ma io mica cerco di baciare Jason e Julian” sospirai e scossi la testa. Era un caso disperato. Ormai iniziavo a pensare che il suo cervello avesse spazio solo per due cose: ragazze e sport. Era triste constatare quanto può essere frustrante confrontarsi con l’intelletto maschile.
Arrivammo finalmente a villa Temple. tirai un sospiro di sollievo e mi preparai ad una rapida fuga strategica. Imboccammo il vialetto e Jake parcheggiò nei pressi del cancello.
Guardai distrattamente in quella direzione. E notai due figure abbracciate, o meglio, avvinghiate.
Angeline era appoggiata al muro, gli occhi socchiusi, un sorriso sornione dipinto sulle labbra rosse. Non riconobbi il ragazzo che le stava baciando il collo con passione. Scossi la testa sorridendo silenziosamente. Non mi sarei fatta sfuggire l’occasione per lanciarle qualche commento sarcastico. Ne avevo già pronti un bel po’. Fu allora che il ragazzo sollevò il viso ed incrociò il mio sguardo. Michael si accorse di me e Jake. Fece un passo indietro, continuando a fissare me.
Il sorriso che fino a qualche istante fa aveva piegato le mie labbra sparì. Fui veloce a girarmi verso Jake e sorridergli per nascondere a Michael il fatto che, trovarlo lì, abbracciato con Angeline, mi avesse turbato. Era perché lei era la mia peggiore nemica o perché provavo qualcosa per lui? Non lo sapevo ma a questo punto non intendevo indagare a fondo. Fu solo grazie al mio famosissimo autocontrollo che riuscì a voltarmi verso Jake e sorridergli.
“vedi che non c’era bisogno di preoccuparsi? Adesso non devi spaccare la faccia nessuno”
Lui sorrise di rimandò e parcheggiò la macchina. Stava gongolando, lo vedevo benissimo.
Non mi voltai per controllare cosa stessero facendo Michael e Angeline. Preferivo non sapere.
Jake finì la manovra di retromarcia e poi mi attirò a se per salutarmi con un bacio.
Risposi con più slancio del normale perché speravo che Michael stesse osservando. A dire il vero il contatto delle labbra di Jake non mi entusiasmava più. Mi sembrava scontato banale e prevedibile. Mi sembrava…freddo. Non c’era calore, almeno da parte mia.
Jake invece non si accorse di nulla e intrecciò le dita dietro i miei capelli, arruffandomeli.
Mi divincolai con dolcezza cercando di non far trapelare il fastidio che mi dava quell’abbraccio.
“e dai Jake. Mi hai guastato tutti i capelli” sbuffai ma tornai a sorridere attraverso una ciocca di capelli. Ovviamente era tutto uno spettacolo a beneficio dei due possibili spettatori.
Scesi dalla macchina in fretta, prima che Jake potesse attirarmi di nuovo a se per un altro bacio indesiderato. Lo salutai con la mano e mi voltai ad affrontare i miei due peggiori nemici.
Angeline aveva assunto una posa disinvolta ma si vedeva dalla sua espressione che era seccata dall’intrusione. Avevamo interrotto un incontro molto bollente a giudicare dalla scena di poco prima.
Michael stava qualche passo davanti a lei e mi fissava imperscrutabile. Ebbi sufficiente tempo per prepararmi psicologicamente a qualsiasi battuta sgradita e per fare apparire sulla mia faccia il solito sorriso di circostanza. Arrivai al portone e li salutai con un finto sorriso imbarazzato.
“salve ragazzi. La casa è grande se volete vi metto a disposizione una delle tante stanze degli ospiti” risi in modo naturale. niente nella mia voce o nel mio viso manifestava l’irritazione e la rabbia che sentivo assalirmi. Michael non rispose ma Angeli sbuffò seccata.
“se voglio posso benissimo portarlo in camera mia”
“oh fai pure. Ma è vicina a quella di mia nonna e sai…beh sarebbe di cattivo gusto. Buon proseguimento” sussurrai mentre mi allontanavo lentamente. Gli girai le spalle cercando di mantenere una camminata fluida e rilassata. Avrei voluto correre in camera di Angeline e dare fuoco a tutti i suoi vestiti.
Non ero mai stata gelosa in vita mia. Non avevo mai provato una tale rabbia se non contro i Mutati. Ripensavo ad Angeline stretta tra le braccia di Michael e una fitta di gelosia si impadroniva di me. Ma c’era anche un’abbondante porzione di rabbia. Rabbia perché Michael era uno sporco doppiogiochista. Rabbia perché ieri aveva baciato me e oggi lei…rabbia perché temevo che avesse raccontato ad Angeline ciò che era successo ieri…rabbia perché nessuno aveva il diritto di giocare con me. Rabbia perché Michael iniziava a piacermi davvero. possibile che il primo ragazzo che mi interessasse veramente dovesse essere un idiota?
Entrai nella mia stanza e mi sbattei con furia la porta alle spalle. Iniziai a camminare nervosamente su e giù per la stanza, maledicendo mentalmente lei, lui e anche me stessa e la mia debolezza. Da quando in qua mi perdevo la calma a causa di un ragazzo?
Passai una notte praticamente insonne. Mi bastava chiudere gli occhi per rivedere il suo sorriso beffardo, il suo viso perfetto…ma soprattutto il suo corpo avvinghiato a quello di Angeline.
Quando Jake venne a prendermi la mattina dopo per portarmi a scuola ero più irritata che mai e pronta a scattare come una molla alla minima provocazione. Rachel non era ancora venuta a dormire da noi ma sospettavo che oggi mi sarebbe stata appiccicata. Da una parte la cosa non mi dispiaceva perché quella bambina sofferente avrebbe potuto impegnare il mio tempo e farmi smettere di pensare a quei due. Egoista? Forse un po’. Ma tutti siamo un po’ egoisti e tutti cerchiamo un modo per stare meglio, un balsamo che lenisca il dolore delle ferite. Oppure una camomilla per frenare la rabbia. Nel mio caso forse entrambe le cose.
Facemmo tutto il viaggio in macchina senza fiatare, mentre lui mi lanciava occhiatine furtive domandandosi il perché del mio malumore.
Quando parcheggiò scesi in fretta cercando di non guardarmi intorno per scorgere Michael o Angeline ma non riuscii a trattenermi del tutto e lanciai furtive occhiate al parcheggio per cercarli. Nessuno dei due sembrava nei paraggi.
Probabilmente erano appartati da qualche parte pensai con un’amara sincerità.  Però in fondo mi rimaneva la soddisfazione di non aver ceduto a Michael. Non completamente almeno. Se non altro potevo dire che non mi aveva aggiunto alla sua lista di conquiste da una notte e via.
Scostai i capelli dal viso sbuffando irritata e mi avviai a passo di marcia verso l’entrata della scuola. Come al solito fui seguita dalle occhiate ammirati e dai saluti reverenziali ma oggi non ero dell’umore per sorridere e distribuire gentilezze. Rachel mi venne incontro con lo sguardo basso non sapendo bene come comportarsi. Sembrava che fossi diventata il suo unico punto di riferimento, il suo appiglio nel caos che era diventata la sua vita. le sorrisi con quanta più dolcezza fossi capace nel mio attuale stato d’animo e le feci cenno di seguirmi.
Jake era rimasto indietro e mi guardò mentre m allontanavo, scuotendo la testa divertito. Probabilmente non capiva quanto poco propensa fossi a divertirmi in quel particolare frangente. Accompagnai Rachel alla sua lezione e poi mi diressi alla mia. La giornata fu interminabile e noiosa come al solito. La passai correndo da un’aula all’altra senza parlare con nessuno, troppo di malumore per perdermi nelle banali conversazioni dei miei coetanei. Savannah intuì il mio umore inspiegabilmente cupo e capì che era meglio starmi alla larga. Saggia decisione. Sapevo che presto o tardi il mio malumore sarebbe esploso e non volevo prendermela con Savannah. Del resto non volevo prendermela neanche con Rachel ma non era altrettanto facile tenere lontano quella ragazzina spaurita.
Per tutto il giorno mi camminò a fianco, attaccandosi con forza al mio braccio. In più di un’occasione fui tentata di mandarla via con parole tutt’altro che amorevoli ma il suo viso mi ispirava una strana tenerezza e nonostante il malumore non ebbi il cuore di sgridarla. Me la portai dietro come una scimmietta per mezza giornata. Quando finalmente suonò l’ora della mensa potei raggiungere il mio tavolo e riappropriarmi del mio braccio di cui Rachel si era impossessata per tutta la giornata. Mi sgranchii la mano anchilosata tanto la ragazza l’aveva stretta e sospirai. Savannah Jake e gli altri mi lanciarono furtive occhiate di traverso ma nessuno parlò. Io mi guardai intorno distrattamente nel tentativo di scorgere i biondi capelli di Angeline e quelli corvini di  Michael.
Lei era seduta ad un tavolo appartato insieme a Kathleen ed Elisabeth ma lui non c’era. Non seppi cosa pensare ma fui soddisfatta che lei non lo avesse per se, almeno in quel momento.
Tornai a prestare attenzione al mio tavolo e mi accorsi che tutti gli sguardi erano puntati su di me.
“beh? Che avete da guardare?” chiesi sorridendo mentre prendevo dal tavolo il mio bicchiere di coca e sorseggiavo lentamente la bibita fredda.
“so di essere meravigliosa ma così mi mettete a disagio” scherzai divertita. il mio umore era in neta ripresa!
Jake rise e si chinò verso di me per sfiorarmi le labbra con un bacio. Ricambiai con leggerezza, felice di dare un’immagine di me stessa spensierata e allegra. Per nessuna ragione al mondo qualcuno avrebbe dovuto scoprire che in questo momento tutto quello che volevo era alzarmi andare a cercare Michael e prenderlo a schiaffi. Nascosi però in modo eccezionale i miei pensieri e niente di tutto questo fece capolino nella mia espressione. Apparivo allegra e serena, perfettamente padrona di me stessa e di ogni situazione.
Ricominciarono le chiacchiere e gli scherzi ma dentro di me sentivo crescere l’inquietudine. Dov’era Michael? Che fine aveva fatto?
Sospirai e cercai di concentrarmi sulla conversazione in atto ma mi sembrava estremamente banale. Mi appoggiai allo schienale della sedia e spostai la mia attenzione su Rachel che fissava con aria sconsolata il suo piatto.
I capelli rosso scuro le accarezzavano le spalle e il volto, stanco e tirato, era quello di una bambina. La sua infantile bellezza era sorprendente ma ancora di più lo erano i profondi occhi verdi. Volevo capire qualcosa di più di lei perché, che lo volessi o meno, sarebbe stata mia responsabilità per i prossimi tre anni come minimo.
Rachel sollevò il capo verso Savannah e il resto del gruppo fissando i loro sorrisi come se fossero qualcosa di alieno. Ovviamente non era ancora pronta a divertirsi. La tragedia che aveva investito la sua vita era troppo recente e soprattutto troppo dolorosa.
Rividi il corpo di Juliet così come lo avevano mostrato le fotografie e ancora una volta fui assalita dalla rabbia. Strinsi i pugni nascosti sotto il tavolo desiderando partire immediatamente. Volevo andare a caccia. Volevo uccidere chiunque avesse fatto una cosa tanto tremenda.
Non era il semplice omicidio di una Custode…era il modo in cui tutto era stato compiuto…come se fosse una festa. Chiunque lo avesse fatto si era divertito. Si era divertito ad uccidere, a spaventarci…a distruggere. Mi domandai quanto si sarebbe divertito quando lui sarebbe stato la preda e io la cacciatrice. Quando avesse visto la mia spada penetrare nella sua carne e sentito la vita scorrere via dal suo corpo. Pregustai la sensazione del suo sangue sotto le dita….sangue.
Il mio stomaco si contorse mentre qualcosa di estremamente terrificante succedeva nella mia mente. Il sangue inondava tutto. il mio sogno ad occhi aperti si tramutava nell’incubo di sempre. Lo scenario immaginario della mia vendetta si tinse di rosso e le mie mani tremarono.
Sapevo di essere seduta alla mensa, sapevo di essere attorniata da amici…eppure sapevo anche di essere sola in una spiaggia inondata di schizzi di sangue. Il mio corpo camminava verso il mare in tempesta e i miei piedi si bagnavano nell’acqua tinta di rosso. Desideravo urlare ma non volli farlo perché ero consapevole che quello era solo l’ennesimo terribile incubo ma che il mio grido sarebbe stato reale. Chiusi gli occhi lasciando che l’incubo continuasse perché era il solo modo per farlo cessare. Lascia che nel mio sogno il mio corpo si spostasse in avanti, verso l’acqua rossa mossa dalle onde. Lasciai che il sangue si avviluppasse ai miei vestiti e alla mia pelle candida e lasciai che l’orrore mi travolgesse. Lasciai che il mio corpo nuotasse nel mare rosso del sangue e che i miei capelli si impregnassero di rosso. Lasciai che la mia testa andasse giù e che i miei polmoni inalassero il sangue viscoso che riempiva la mia testa.
Sbattei le palpebre e tornai alla realtà. Le mie mani erano strette convulsamente ai bordi della sedia e tremavano e il mio viso era più pallido del solito, ma nient’altro tradiva il terrore che mi aveva attanagliato fino a qualche istante fa. Se non potevo controllare i sogni potevo quantomeno controllare la me stessa reale. Nessuno si era accorto di niente e la conversazione procedeva tranquilla e rilassata. Staccai le mani dalla sedia e me le passai tra i capelli, un gesto che riusciva sempre a calmarmi e infondermi sicurezza.
Non l’avrai vinta pensai furiosa e soddisfatta al tempo stesso. Furiosa perché ancora una volta qualcuno stava giocando con me e con la mia testa. Soddisfatta perché ancora una volta, in un modo o nell’altro, non gli avevo permesso di averla vinta. Non del tutto almeno.
Improvvisamente le conversazioni attorno a me si smorzarono e si affievolirono fino a diventare tenui sussurri. Savannah e Annabel smisero di parlare e si voltarono per qualche istante a fissare qualcosa alle mie spalle. Jake sbuffò irritato e si voltò dall’altra parte.
Mi voltai anche io curiosa di sapere a cosa si doveva tanto interesse.
Prevedibile. Michael era appena entrato in mensa. Indossava un giubbotto nero attillato, un paio di jeans scurissimi e attillati e una maglia blu cupo attillata e aderente. Gli occhiali da sole scuri coprivano i suoi occhi incredibilmente profondi. Le ragazze nella stanza lo fissavano ipnotizzate perché c’era qualcosa di nuovo e diverso nel suo modo di fare…sembrava ancora più bello e arrogante che mai. Sembrava carico di energia e di…potere. Non sapevo come altro definirlo.
Distolsi lo sguardo perché non volevo che mi sorprendesse a fissarlo. Sicuramente ero io che lo vedevo in una luce nuova perché mi stavo rendendo conto di subire il suo fascino come tutte le altre ragazze. Anzi forse un po’ di più.
Michael camminava tra i tavoli con la sua andatura lenta ed elegante, consapevole degli sguardi ammirati che lo seguivano. Sorrideva tra se, divertito. Ero sicura che si sarebbe seduto al tavolo di Angeline ma tirò dritto…verso di noi.
Lo vidi avvicinarsi senza sapere bene cosa fare, ancora leggermente distratta ad ammirare il suo fisico perfetto e i suoi capelli scurissimi.
Lo vidi arrivare fino al mio tavolo e fermarsi alle mie spalle sorridendo.
semplicemente lo vidi.
Poggiò con noncuranza una mano sulla mia spalla destra e si chinò per sfiorarmi la guancia con un bacio, il tutto senza staccare gli occhi dallo sguardo infastidito di Jake. Voleva provocarlo.
“ciao Elena. Posso sedermi?” domandò con voce vellutata e divertita.
Avrei voluto dirgli di andare all’inferno ma non intendevo dare soddisfazione a lui o al resto della scuola. Mi strinsi nelle spalle e sorrisi mentre mi sembrava di sentire ancora il tocco della sua mano sulla spalla. Una sensazione più che piacevole.
“siediti pure se trovi una sedia” risposi assumendo un tono noncurante.
“ma non pensavo volessi sederti al nostro tavolo…hai compagnia migliore che ti aspetta se non sbaglio” mormorai sfoderando un sorriso e inarcando un sopracciglio. In realtà la situazione non mi divertiva neanche un po’. Perché veniva a sedersi al mio tavolo? Angeline glielo permetteva? Qualcosa mi sfuggiva, ne ero certa.
Prese una sedia libera dal tavolo accanto e si sedette accanto a me sorridendo senza alcuna intenzione di raccogliere la mia provocazione. Jake lo fissava con uno sguardo truce che non sembrava preoccupare minimamente Michael.
Dopo qualche istante di silenzio, tutti al mio tavolo tornarono alle loro discussioni tranne Jake che pareva non avere nessuna intenzione di perdermi di vista.
“seriamente…che vuoi?” domandai chinandomi appena verso Michael per evitare che tutti sentissero.
“così si tratta un amico?” domandò ridendo.
“noi non siamo amici Michael” precisai mentre tornavo ad allontanarmi da lui per evitare di fare incazzare ancora di più Jake.
“hai ragione…siamo molto di più” sussurrò ridendo mentre la sua voce morbida e profonda mi accarezzava la pelle. Quel suo tono di voce, quel suo timbro profondo e caldo, vellutato e sensuale, erano una tentazione incredibilmente potente.
Inarcai un sopracciglio ma non risposi perché ad essere sincera non sapevo neanche io cosa dire. Era l’unico in grado di prendermi totalmente in contropiede, l’unico in grado di lasciarmi spiazzata. Ma non per questo intendevo dargliela vinta.
 Tornai a sorseggiare in modo distratto la mia coca cola, tenendolo d’occhio ma cercando di apparire totalmente indifferente.
“allora…non mi chiedi niente?” domandò sorridendo mentre si sporgeva verso di me.
“cosa dovrei chiedere?” feci la finta tonta e lo fissai con espressione confusa. In realtà morivo dalla voglia di fargli un paio di domande, o meglio, di lanciargli un paio di accuse.
“dai non cercare di fregarmi! Te lo leggo negli occhi cosa stai pensando!”
“io non sto pensando assolutamente a niente!” protestai veementemente
“suscettibile…fin troppo sulla difensiva” mi punzecchiò divertito.
Ancora una volta non seppi cosa rispondere e optai per il silenzio. In fondo secondo un antico proverbio il silenzio è la migliore arma…personalmente pensavo che un commento sagace fosse meglio del silenzio ma quando non si sapeva bene cosa dire era meglio astenersi.
“ok visto che fai l’ostinata ti dico io quello che vuoi sapere…no, io ed Angeline non stiamo insieme..ma sai ieri si è offerta di farmi vedere la città e dopo tutta la tua scortesia un po’ di gentilezza mi serviva proprio”
Mi allontanai innervosita, sistemandomi sul bordo della sedia.
“non mi importa assolutamente se stai con Angeline o meno. Per quel che mi riguarda potresti uscire con tutta la scuola, maschi inclusi. Ma non capisco perché sei venuto a sederti qui, accanto a me e al mio caratteraccio, invece che al tavolo di Angeline”
“troppo zucchero alla lunga può stancare” rispose imperturbabile, senza smettere neanche per un attimo di sorridere. Sembrava che niente di quello che io dicessi riuscisse ad irritarlo. Odiavo risultare divertente ai suoi occhi perché per me non c’era niente di divertente nella situazione e soprattutto nel suo modo di fare.
“troppo a lungo? Ma se la conosci da massimo una settimana!” esclamai mentre mentalmente pensavo che anche io lo conoscevo davvero da pochissimo tempo. Eppure aveva qualcosa che mi attirava in modo innegabile. Come il caprifoglio attira le falene la sua voce e i suoi occhi attiravano me. Un paragone assurdo ma la mia mente era investita da immagini altrettanto assurdamente stupide e poetiche. Detestavo i miei pensieri quando prendevano questa piega.
“e comunque lasciami dire che Angeline è tutt’altro che dolce.” Precisai incrociando le braccia al petto un tantino stizzita. I miei pensieri mi infastidivano. Il fascino che lui esercitava su di me mi infastidiva. La mia debolezza mi infastidiva.
“effettivamente hai ragione” mi tolse il bicchiere di coca dalle mani e prima che io potessi riprendermelo iniziò a sorseggiare la mia bibita, fissandomi con aria di sfida.
“ma non è diretta e sarcastica come te” commentò. Non sapevo se prenderlo come un complimento per cui ancora una volta non risposi.
Restammo in silenzio per qualche minuto, entrambi immersi nei nostri pensieri. Sentivo il chiacchiericcio smorzato accanto a noi ma non mi curavo delle persone che mi circondavano. Avevo dimenticato Jake Savannah Rachel…tutti quanti.
Ero concentrata solo sul ragazzo che mi sedeva accanto e che avrei dovuto detestare con tutte le mie forze. Morivo dalla smania di dargli uno schiaffo perché qualunque cosa dicesse restava il fatto che aveva giocato con me e questo non ero disposta a tollerarlo. Lui mi piaceva ma amavo me stessa al di sopra di tutto. poteva sembrare una cosa egoistica e meschina ma avevo imparato a contare esclusivamente su di me e a salvaguardare me stessa e i miei sentimenti. Non avevo mai avuto un padre o una madre che mi consolassero la notte, quando il buio mi spaventava e i mostri sotto al letto venivano a terrorizzarmi. Non avevo avuto dei genitori che mi aiutassero a superare il momento di smarrimento e disagio che era seguito al progressivo mutare del mio corpo. Non avevo avuto dei genitori che mi stessero accanto nelle piccole e nelle grandi cose della vita. Amavo la nonna e sapevo che lei mi amava ma per me era necessario essere indipendente, bastare a me stessa….era una sorta di meccanismo di difesa. Avevo imparato a cavarmela in ogni situazione, emotiva o reale che fosse.
“che fai stasera?” la sua voce a pochi centimetri dal viso mi fece sobbalzare.
“che t’importa?” domandai piccata, rivedendo nella mia testa le sue braccia strette attorno al corpo formoso di Angeline.
“ti invito formalmente ad uscire con me” rispose con sicurezza e tranquillità, apparentemente non conscio del tono da me usato e dal fastidio che mi si leggeva chiaramente sul viso.
“e io ti invito formalmente a lasciarmi in pace” replicai in fretta, fissandolo con aria torva.
“tendi a dimenticarti che io sono fidanzata” ricordai senza incrociare il suo sguardo mentre i miei occhi si soffermavano su Jake, che nel frattempo aveva ripreso a conversare animatamente con Julian. Sicuramente parlavano di basket.
“mi risulta che tu stessa sia disposta a dimenticare questo piccolo intralcio quando lo desideri”
Le sue parole mi fecero trasalire ma ne riconobbi la verità. Ero stata scorretta e meschina.
“un piccolo sbaglio non può pregiudicare un rapporto tanto meraviglioso” gli sibilai offesa dalla sua insinuazione ma soprattutto dal fatto che avesse avuto così poco tatto da ricordarmi il mio piccolo momento di debolezza. Avrebbe dovuto tacere sull’accaduto, soprattutto dopo che lo avevo visto in atteggiamenti “affettuosi” con Angeline. Che diritto aveva lui di parlare?
“quindi lui lo sa?” domandò a tradimento. Sobbalzai e risposi senza incontrare il suo sguardo perché un tremendo senso di colpa mi assaliva. Che razza di persona ero?
“non c’è niente da sapere” sviai mentre le mie guance si tingevano di rosso.
“potrei dirglielo io…” insinuò candidamente. Mi voltai a fissarlo sbalordita, sgranando gli occhi totalmente sorpresa.
“e perché dovresti farlo? Vuoi rovinarmi la vita? vuoi che Jake mi lasci? Potrebbe anche succedere ma prima si incazzerebbe a morte e te la farebbe pagare”
“non ho paura del tuo fidanzatino. È uno sbruffone e niente di più” sbuffò sprezzante. Non riuscivo a credere che potesse essere così arrogante, così sicuro di se….
“in ogni caso non hai motivo di parlare con Jake, quindi tieni chiusa quella boccaccia” lo ammonii stringendomi le braccia al petto.
“e se ti volessi tutta per me?” domandò mellifluo. Il semplice fatto che stesse insinuando una cosa simile mi fece arrossire ancora di più ma non risposi e lo fissai torva e indispettita. Scoppiò a ridere ignorando la mia espressione truce e posò una mano sul mio ginocchio. Sbalordita da tanta spavalderia diedi un secco colpo alla sua mano, allontanandola da me.
“tieni a posto quelle mani” lo avvertì mentre cercavo di allontanare la mia sedia dalla sua per quanto possibile in uno spazio tanto ristretto.
“non posso più toccarti?” la sua voce sembrava innocentemente sorpresa ma sapevo che si stava divertendo un mondo a mie spese. Scossi la testa come unica risposta. Il tempestivo suono della campanella mi salvò da ulteriori punzecchiature. Prima che Jake potesse fermarmi, prima che Rachel potesse seguirmi, schizzai in piedi e mi allontanai in fretta, mescolandomi al caos della mensa. Avevo bisogno di riflettere da sola perché Michael iniziava ad essere un problema. Mi distraeva dalla mia missione ma soprattutto era capace di lasciarmi a bocca aperta come una sciocca tredicenne innamorata.
Per tutto il giorno l’eco della sua risata mi seguì come uno spettro dispettoso.

NOTE:

per prima cosa voglio scusarmi per aver impiegato tanto tempo a postare il nuovo capitolo. ho avuto numerosi problemi con la scuola, carichi inauditi di compiti e la gita scolastica. quando sono tornata non avevo l'ispirazione giusta e sono una di quelle persone che si rifiutano di buttare giù una sola parola se non sono sicure di poter dare il meglio. nonostante la ritrovata voglia di scrivere questo capitolo non è venuto come speravo, ma è più una piccola introduzione al personaggio di Rachel che un evolversi della storia. unica vera novità è il rapporto tra Angeline e Michael. è un raporto nessenzialmente superficiale ma che ferisce profondamente Elena e le apre gli occhi sui suoi reali sentimenti. si rende conto di non tenere più di tanto a Jake, di essere attratta da Michael e vede pericolosamente messa a rischio la propria corazza di indipendenza. Elena ha paura, per questo fa la dura con Michael. importante è soprattutto Rachel. inizialmente nella mia storia questo personaggio non era proprio previsto, così come non era prevista la morte di Juliet, ma le custodi stanno iniziando a prendere sempre più spazio nella mia narrazione, che secondo il mio schema iniziale avrebbe dovuto essere incentrata solo su Elena e marginalmente su Athena e Savannah. Rachel è ancora una bambina ed è una delle persone più diverse da Elena che finora io abbia introdootto in questa storia. è fragile e spaurita, più timida e bambina di Savannah. non ha paura di mostrare le proprie emozioni al mondo e si lascia travolgere dal dolore senza rifletterci. vedremo cosa ne verrà fuori. spero che il capitolo vi piaccia!
  
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