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Autore: marty_ohba    09/04/2011    1 recensioni
Matt si sposa, invitando amici e compagnia bella al suo matrimonio e li lascia per una settimana a Miami... Peccato che per Mihael questa non sarà una vacanza come tutte le altre e si troverà coinvolto in un segreto a lui sconosciuto.
DALLA STORIA:
"«Il mare ha una potenza che pochi conoscono: è crudele e bellissimo, sì… tanto affascinante, totalmente privo di sentimenti…».
«Cosa?», chiesi disorientato.
«Non trovi anche tu?». Non mi lasciò il tempo di rispondere. «I suoi spiriti mi chiamano, la notte».
"Delira”, pensai, mentre tornava a guardarmi.
«Sai, Mihael, che hai il nome di un angelo?», mi interrogò, serio.
Scossi la testa. Non mi ero mai interessato a certi argomenti e dopotutto non capivo cosa potesse significare.
«E allora?».
Strinse gli occhi.
«Questa notte vieni con me»."
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Mello, Near
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PRECARIO EQUILIBRIO


Non riesco a dimenticare. E' più forte di me, e non ne ho mai capito il motivo.
Si dice che col tempo le ferite si rimarginano, che la ferita viene ricucita. Invece le mi piaghe non sono mai state in grado di guarire.

Avevo otto anni quando i miei morirono in un incedente d'auto. Davvero banale, ma non importa il come: importa il cosa.
Io e Misa siamo cresciuti senza genitori, ho dovuto essere per lei padre e fratello quando ci portarono in quell'orfanotrofio. Lei aveva qualche anno meno di me, ha sofferto di più, ma si è anche ripresa prima.
Io invece, dovendo ricoprire il ruolo di responsabile fratello maggiore, non ho avuto nessuno e ho dovuto cavarmela con le mie sole forze.
Io non mollo mai. E ce la feci.
Forse è per questo che sono così: arginando il dolore per la morte dei miei genitori, il più grande che avessi dovuto patire, non dovevo temerne uno peggiore.
Talvolta, quando ancora ero piccolo, Misa mi aiutava con il suo entusiasmo, incoraggiandomi a non mollare.


Quando poi avevo sedici anni le cose migliorarono.
Io e Misa eravamo stati presi in adozione quasi subito: eravamo belli ed intelligenti. Una sera i nostri genitori adottivi avevano portato Misa al cinema lasciandomi qualcosa da cuocere. Per una mia mancanza, lasciai il gas acceso e per poco non ci rimettevo la pelle.
Matt, il figlio dei vicini, sentì lo scoppiò e chiamò subito l'ambulanza e i miei. Se non fosse intervenuto così tempestivamente probabilmente non me la sarei cavata con solo una cicatrice.
Durante la convalescenza mi stette sempre vicino, stringemmo una forte amicizia e in tutto il tempo che lo conosco non abbiamo mai litigato.
E poi, beh, è facile capire com'è andata: Misa ha conosciuto Sayu e Matt ha perso la testa.
Poco male, almeno è felice.
Bei tempi: ricordo che non avevo nemmeno un momento per sentirmi male, niente preoccupazioni, niente cattivi pensieri …

Perché quel ragazzino si era messo in mezzo, sconvolgendo il mio già precario equilibrio?
Perché aveva distrutto così facilmente la mia tanto sospirata tranquillità?

Eppure …
La domanda più importante a cui dovevo rispondere era perché vederlo piangere mi avesse toccato così tanto. Dov'era finita la mia forza?
Forse ci vedevo un po' me da piccolo, quando tentavo invano di nascondere la mia tristezza, per questo ne ero rimasto così colpito…
NO!
Mai più dovevo lasciarmi trascinare in un turbine di tormento, vi ero stato anche troppo tempo. Lascia perdere, ecco cosa dovevo fare.

Tuttavia, la convinzione spesso non porta a niente: per quanto sei determinato, per quanto tu sia testardo, non puoi battere l'inconscio.
Non è come una sfida per dimostrare quanto si vale, per dimostrare le proprie capacità, non è qualcosa che controlli.
E' il tuo io più intimo, quello che mai potrai ignorare, perché anche se è inopportuno e fastidioso ciò che ti sussurra all'orecchio sai che è la verità: ti sbatte in faccia i tuoi sentimenti e ti dice di affrontarli.
Ed io non volevo ritornarci più. Ma dovevo: non fidarsi dell'inconscio è come non fidarsi di sé stessi ed io avevo grande fiducia in me.

 


Erano le dieci emmezza del mattino: le ragazze avevano insistito nel prendere il pedalò ed ora ci trovavamo ad una ventina di metri dalla costa.
Mia sorella e la sua amica continuavano a tuffarsi dallo scivolo, mentre io mi abbrustolivo accanto al timone, senza troppi pensieri per la testa. O perlomeno, niente che minacciasse la mia tranqillità.
Al momento mi stavo chiedendo perché Light non si unisse a noi: ogni volta che le ragazze gli proponevano qualcosa rispondeva che doveva studiare, o qualcosa del genere. Come faceva lo sapeva solo lui.
Le ragazze ridevano e si schizzavano a vicenda, invitandomi a tuffarmi con loro, ma non ero molto in vena. Le due non si offesero, continuando i loro giochi.

La giornata trascorse molto in fretta, il pomeriggio alle terme e la sera a ballare. Ignorai leggermente infastidito il look come al solito troppo appariscente di mia sorella, suggerendole solamente di prendere spunto da Linda, decisamente più sobria.
Una volta in discoteca venimmo investiti dalla solita musica a tutto volume, mentre i ballerini danzavano sotto le luci della stroboscopica, il barista serviva cocktails a volontà e alcune coppiette erano intente a scambiarsi effusioni sui divanetti.

Le ragazze non persero tempo e corsero a scatenarsi, mentre io mi dirigevo annoiato verso il bancone e ordinai un'Havana, il quale arrivò subito.
Sorseggiavo il mio alcolico osservando il dancefloor distrattamente, gettando di tanto in tanto un'occhiata verso le grandi finestre.
Ad un tratto rischiai che il drink mi andasse di traverso.
Una piccola figura camminava silenziosamente sulla spiaggia, a capo basso. Un leggero venticello le scompigliava le chiome chiare come la luna, intrufolandosi sotto gli abito candidi e larghi.
Lanciai in fretta un pezzo da 10 sul bancone e scappai fuori dal locale.




Secondo l'orologio digitale sul comodino era mattina inoltrata. Avevo aperto gli occhi con fatica, non capacitandomi completamente di ciò che era accaduto la notte precedente.
Il ragazzino, quegli occhi vuoti, e poi lo svenimento mi sembravano surreali. Purtroppo, girandomi sul fianco, mi trovai faccia a faccia con il figurino che avevo soccorso. I muscoli scattarono subito in risposta a quella vista, come se dovessi allontanarmi il prima possibile, ma ero ancora troppo addormentato per rendermene davvero conto, così rimasi immobile sotto il lenzuolo fresco e leggero. Lo osservavo di sottecchi che dormiva ancora profondamente e non potei che sentirmi turbato ancora una volta. Continuavo a non capire.
Poi realizzai che ero ancora vestito: la pelle degli abiti mi si doveva essere appiccicata addosso, sentivo un certo prurito, così svogliato scostai le coperte e mi alzai in piedi, scuotendomi la chioma bionda e sbadigliando. Afferrai distrattamente un paio di boxer ed entrai nel bagno, facendo scorrere l'acqua della doccia mentre mi spogliavo velocemente.
Immergermi sotto quella cascata d'acqua fresca era davvero un sollievo. Insaponai per bene la spugna e mi strofinai con vigore tutto il corpo, per poi massaggiare anche i capelli.
Quando fui abbastanza rilassato chiusi a malincuore il getto ed uscendo sul tappeto, frizionandomi le ciocche bionde che mi pendevano davanti al viso e picchiettando l'asciugamano sulla pelle umida.
Una volta finito tornai di là, pronto ad affrontare il ragazzino, il quale stava ancora bellamente dormendo sul letto fuori misura.
Sospirai, e mi accomodai su una poltrona, con tutt'intenzione di parlargli una volta svegliato.
Non dovetti aspettare molto: una mezz'oretta dopo lo vidi agitarsi un po' sotto le lenzuola, per poi strizzare gli occhi alla forte luce del sole estivo di Miami. Spalancò immediatamente le palpebre, sorpreso dall'ambiente in cui si trovava e scattò a sedere.
Non appena mi vide si spinse all'indietro, contro i cuscini morbidi e mi guardò di sottecchi, diffidente.
«Cosa ci faccio qui?», domandò.
La sua voce era completamente diversa da quella che aveva utilizzato la sera precedente: stavolta era chiara, decisa e – inspiegabilmente – annoiata.
Non mi alzai dalla poltrona, ma continuai a scrutarlo da sotto la frangia, addentando la tavoletta di cioccolato che avevo scartato poco prima che si destasse.
«Ti ho salvato la vita», rimbeccai con tono altrettanto indifferente. «Ieri notte hai tentato di buttarti giù da uno scoglio, ho fatto appena in tempo a tirarti indietro che mi sei svenuto tra le braccia».
Il ragazzino strinse gli occhi d'onice, guardandomi con diffidenza, soppesando le mie parole per decidere se stessi mentendo o meno, mentre il mio cervello lavorava febbrilmente. Il piccoletto sembrava non essere consapevole di come si fosse comportato qualche ora prima ed io capii che alla risposta ci sarei arrivato solo con parecchia calma.
Alla fine sembrò aver preso una decisione e mi rivolse un nuovo quesito. Stavolta nel tono vi era un punta di sconcerto e curiosità che non compresi.
«Tu … ti chiami Mihael», sentenziò, in trepidante attesa di una risposta.
La cosa mi stupì: come poteva saperlo se non ricordava nulla? Però annuii.
«Mi conosci?», domandai cauto.
«Più o meno». Ora sembrava in imbarazzo. «Ti ho visto in sogno».
Tanta schiettezza mi metteva a disagio. Sognava me? Non aveva alcun senso. Non sapevo come replicare, così rimasi in silenzio. Dal balcone aperto giungeva alle orecchie lo sciabordio rassicurante delle onde e gli schiamazzi delle famiglie in spiaggia.
«E tu chi sei?», feci infine.
«Nate River», rispose subito.
Ghignai. «Piacere mio, Nate. Ma ora dimmi... perché continui ad andare alla scogliera?». Assottigliai lo sguardo, sinceramente desideroso di scoprirlo, ma Nate si oscurò. «Cercavi forse di ucci-...».
«Non era ciò che stavo facendo»
, mi interruppe subito. Sentivo il suo fiato caldo sul viso, le sue guance imporporate erano adorabili.
«E allora, di grazia, che combinavi?».
Le sue labbra tremarono appena, ma non distolse lo sguardo. Ero sinceramente curioso.
TOC! TOC!
Un'imprecazione sfuggì dalle mie labbra e tornai in posizione eretta, avviandomi alla porta.
«Sì?», chiesi scocciato.
«Mello! Io e Linda andiamo a fare shopping, torneremo per l'aperitivo, ok?».
Bofonchiai qualcosa di incomprensibile che non capii neppure io.
«Che stai combinando?». La sua voce era sospettosa. Vidi subito la maniglia abbassarsi e la fermai.
«Niente, Misa. Non perdetevi», feci annoiato.
«Uff… cerca di uscire un po'», mi rimproverò e finalmente sentii i tacchi di mia sorella allontanarsi nel corridoio. Quindi tornai ad occuparmi del piccoletto, che osservava assente le onde.

Ancora … Ma che gli prende?
«Nate», lo chiamai ma non mi rispose, così mi avvicinai di nuovo, posandogli una mano sulla spalla e si voltò, posando lo sguardo perso su di me.
«Stai bene?».
Sembrò indeciso e annuì non troppo convinto, voltandosi. Ci fu qualche attimo di silenzio che trascorsi a chiedermi il perché di tutto ciò, quando lui parlò di nuovo.
«Il mare ha una potenza che pochi conoscono: è crudele e bellissimo, sì… tanto affascinante, totalmente privo di sentimenti…».
«Cosa?»
, chiesi disorientato.
«Non trovi anche tu?». Non mi lasciò il tempo di rispondere. «I suoi spiriti mi chiamano, la notte».
"Delira”, pensai, mentre tornava a guardarmi.
«Sai, Mihael, che hai il nome di un angelo?», mi interrogò, serio.
Scossi la testa. Non mi ero mai interessato a certi argomenti e dopotutto non capivo cosa potesse significare.
«E allora?».
Strinse gli occhi.
«Questa notte vieni con me».

   
 
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