Capitolo
9
Ti Ho
Trovato
Anno:
2261
(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Organization
XIII)
-Lei
non è tenuto a credere, Comandante. Nemmeno io sono certo di credere... ma se
c’è una sola possibilità che Spock abbia un’anima eterna, me ne assumo ogni
responsabilità!-
Katra.
Lo
Spirito Vivente di ogni Vulcaniano, la sua stessa essenza: quando il corpo
muore e i tessuti di disfano, tornando alla terra, il Katra permane. I
terrestri la chiamerebbero anima. È l’insieme dei ricordi, delle esperienze e
delle emozioni che il Vulcaniano ha provato durante il corso della sua vita.
Katra? Intendi dire che ora il tuo
Katra vive in me?
Neve,
ghiaccio, freddo.
Paura,
tanta paura, folle, da non riuscire a parlare.
Rispondimi!
Fuoco,
fuoco e fiamme! Cenere, cenere in ogni dove! Il respiro, il respiro si ferma,
fuoco, fuoco, fiamme e cenere!
Tu sei dentro alla mia testa! Vattene!
Oscurità,
Oscurità illuminata dall’incendio. Solitudine. Vuoto.
Sento dei passi..o tu li stai sentendo?
Un
corpo caldo, due mani che mi afferrano. Un volto che lampeggia, nero di cenere
e scarlatto di fuoco..
Sono..sono..
Jim!
Kirk aprì gli occhi, ritrovandosi a
fissare la luce intensa del neon sopra la testa.
Emise un gemito e strizzò le palpebre,
mentre il mal di testa martellava senza sosta contro la fronte; si passò una
mano fra i capelli, sfregando il palmo contro la nuca, e inspirò l’aria fredda
e asettica dell’Infermeria.
-Buongiorno, Capitano-
Jim si voltò e sorrise
-‘Giorno Bones!- rispose, con la bocca
impastata dal sonno e, forse, anche dai tranquillanti –Come stai? Mi sembri un
po’ sbattuto!- cercò di ridere, ma il suo mal di testa sembrava fortemente
contrario all’idea.
Il medico inarcò un sopracciglio e
storse le labbra, senza dire una parola.
-Sembri Spock quando fai così- lo
prese in giro il Capitano, mettendosi a sedere con le spalle contro la sponda
del lettino –Quanto ho dormito?-
-Abbastanza. Fra qualche ora saremo
alla Base Stellare-
Jim fischiò di approvazione
-Non sarà l’Enterprise, ma anche
questa bagnarola ci sa fare!-
Un silenzio freddo si fece spazio fra
i due: il medico fissava Kirk con sguardo gelido e l’altro rispondeva con la
fronte corrugata per la confusione.
-Bones..che hai?-
-Nulla, Capitano- detto questo, si
alzò dalla sedia, facendola scivolare con un gran fracasso –Devo andare a
controllare gli altri miei pazienti-
Si allontanò senza aggiungere altro,
lasciando Jim ad osservare la sua schiena rigida allontanarsi nella corsia.
***
Con le dita andò a schiacciare alcuni
bottoni accanto al lettino: un fischio metallico accompagnò il suono
martellante delle funzioni vitali. Ci fu un sibilo e due aste metalliche, un metro
e mezzo di lunghezza almeno, saettò fuori dalle parete, lasciando cadere una
tendina dal colore indefinito tra l’azzurro ed il bianco.
Christine Chapel, dentro di essa, si
soffermò a guardare per qualche istante il volto del paziente: gli occhi erano chiusi,
serrati, e solo qualche lieve tremolio della palpebra denotava la presenza di
impulsi elettrici al di là dello stato quasi di coma. I capelli, neri e lunghi
fino alle spalle, rendevano i lineamenti del volto più affilati di quanto già
non fossero e la pelle, smagrita, tirata sugli zigomi sporgenti, aveva una
tinta appena più scura, quasi bronzea, rispetto a quella degli altri
Vulcaniani.
Il collo svettava prepotente sul
cuscino candido, tanta era rigida la sua postura, per poi perdersi sotto le lenzuola,
che si abbassavano lente, ad un ritmo regolare seppur pesante e affaticato.
A vederlo così, con le orecchie
appuntite nascoste da qualche ciocca scura, nessuno gli avrebbe dato più di una
ventina di anni.
L’Infermeria posò la cartella clinica
sul comodino accanto al letto, ma prima appose qualche firma e appuntò alcuni
dati riguardanti le funzioni vitali, più o meno cambiate rispetto a quando il
Vulcaniano era arrivato sulla Odysseus.
In otto giorno di viaggio i dati erano
rimasti gli stessi. Il paziente non aveva aperto gli occhi, non si era mosso,
nulla. Avevano fatto tutti gli esami possibili, o meglio, tutti quelli che
fossero possibili con le macchine mediche installate a bordo della Nave. Per
controlli più approfonditi, soprattutto a livello cerebrale, avrebbero dovuto
attendere di arrivare sull’Enterprise.
Christine alzò la testa, attirata da
un’ombra nera, alta, slanciata, che per un attimo era scivolata silenziosa tra
le pieghe delle tendine, prima di sparire senza fare rumore.
La donna aveva visto spesso il Primo
Ufficiale attardarsi davanti al letto del Vulcaniano e il più delle volte si
era chiesta per quale motivo, nel guardarlo, strofinasse fra loro le mani,
lentamente, fissando il volto immobile dell’altro. Ogni tanto fletteva le dita,
le guardava alla luce asettica del neon, con i polpastrelli di una andava ad
accarezzare il dorso dell’altra, senza mai staccare gli occhi da quelli chiusi
del paziente. Era solo un momento, poi lasciava ricadere le braccia lungo i
fianchi e se ne andava, scambiava qualche parola veloce col dottor Bellini, se
questi era sveglio, e rimaneva a fissare il Capitano quando egli era ancora
sotto l’effetto dei tranquillanti. Poi prendeva il suo posto in plancia e
nessuno lo vedeva nell’Infermeria fino al cambio dei turni.
No, Christine davvero non riusciva a
capire il comportamento del signor Spock.
Riprese la cartella clinica e la
sfogliò ancora una volta; l’unico risultato che si sarebbe potuto definire
“anomalo” era il gruppo sanguigno del Vulcaniano: T-Negativo. Era un gruppo
molto raro, la donna lo sapeva, come sapeva che era lo stesso del Primo
Ufficiale. Che il signor Spock fosse convinto di avere davanti un componente
della sua famiglia?
Piegò la testa di lato, cercando nei
tratti ferini del paziente una qualche somiglianza col Primo Ufficiale. No..non
vi era nulla in lui che ricordasse il signor Spock. Un poco la forma del viso,
forse, ma era qualcosa di vago, indistinto. L’aura del Vulcaniano vibrava di un
che di selvaggio di cui il signor Spock era totalmente privo.
(Final Fantasy X Original Soundtrack – Crisis)
Il paziente si mosse con un gemito;
Christine appoggiò subito la cartelletta e si chinò su di lui, controllando al
contempo i valori sullo schermo: il battito cardiaco era aumentato
vertiginosamente, così come la temperatura corporea; le labbra si storcevano
per il dolore e masticavano suoni senza senso, smozzicati, triturati fra i
denti tremanti e i muscoli erano come attraversati da scariche elettriche, si
contraevano con tale forza che il lettino sbatteva con la testiera contro la
parete della Nave.
Christine non fece in tempo a prendere
la dose di calmante che sentì le lunghe dita del Vulcaniano artigliarle il
polso: gridò e cercò di tirarsi indietro, ma la presa era salda, una morsa
d’acciaio da cui era impossibile liberarsi. Gli afferrò le dita, facendo di
tutto per aprirgli la mano, quando sentì il suo fiato caldo sul viso; sgranò
gli occhi ed alzò la testa, scontrandosi con lo sguardo tagliente e furioso del
Vulcaniano: il viso era livido, sconvolto, la mascella cadente e la bocca che
vomitava grugniti, ringhi e suoni, forse parole, forse frasi cui l’Infermiera
non sapeva dare un senso, mentre la stretta al polso si faceva sempre più
forte.
-Lasciami!- ansimò la donna
–Lasciami!-
-Signorina Chapel!- la tenda venne
aperta di scatto, quasi strappata.
Christine ebbe solo il tempo di vedere
la figura del Capitano lanciarsi sul Vulcaniano e colpirlo al viso con un pugno.
All’orecchio le giunse lo scricchiolare inquietante delle dita contro la
mascella.
Forse per la sorpresa, il paziente
lasciò andare il polso dell’Infermiera, facendola cadere a terra. Christine si
rialzò immediatamente, afferrò la dose di calmante e si portò accanto al
Vulcaniano. La lotta di questi con Jim continuava tra pugni, morsi, ruggiti,
grugniti e tentativi da parte di entrambi di prendere l’avversario per la gola.
La donna era già pronta ad iniettare
il sedativo quando il paziente, allontanato con un calcio il Capitano, la colpì
al viso con tale violenza da gettarla contro lo spigolo del lettino accanto.
Christine avvertì solo qualcosa di caldo scivolarle lungo il collo, poi ogni
cosa si fece buia.
-Christine!- gridò Kirk, ma prima che
potesse anche solo pensare di correre in aiuto della donna avvertì il pugno del
Vulcaniano cozzare contro la mascella, poi il piede piegargli qualche costola;
si sentì sbalzato all’indietro e il freddo del pavimento creò uno spiacevole
contrasto con la schiena bagnata di sudore.
Il Vulcaniano gli bloccò le gambe col
proprio peso e gli afferrò la gola.
Jim ansimò, artigliando il polso
dell’altro e tentando in ogni modo di divincolarsi dalla stretta soffocante; il
buio agli angoli delle palpebre si frantumò in minuscoli cerchi rotanti, che
andarono a coprirgli la visuale, mescolandosi allo sguardo folle
dell’avversario e cancellandolo, tracciandovi linee scure sempre più ampie e
pastose. Il respiro gli mordeva i polmoni e la gola, lasciandovi segni bollenti
di sangue. Annaspava in cerca di aria, la testa ronzava, la vista non era più
che una tavolozza informa di tinte livide.
-Kroikah!-
[Basta!] la voce si insinuò nella
nebbia, serpeggiò tra i suoi pensieri confusi -Sasu, kroikah!- [Ragazzo,
smettila subito!]
La presa si allentò quel tanto che
bastava da permettere a Kirk di prendere una boccata d’aria; tirò indietro la
testa e la sbatté contro il petto del Vulcaniano, che si rialzò, gemendo e
ringhiando per il dolore.
Ancora bocconi a terra, una mano al
collo, sentì solo un rumore di colluttazione e vide con la coda dell’occhio
l’ombra dell’avversario prima dibattersi e poi cadere pesantemente a terra.
(Kingdom Hearts I Original Soundtrack Dearly Beloved)
-Capitano Kirk, state bene?-
Jim alzò lo sguardo, incontrando gli
occhi del medico Bellini.
-Sì..- boccheggiò, mentre la mano
dell’uomo gli dava alcuni colpetti sulla schiena –Grazie..grazie per l’aiuto..-
-Capitano!-
-Ah..- Kirk storse le labbra in un
tentativo di sorriso –La stanza si sta facendo affollata-
-Christine!-
-Grazie per esserti preoccupato di me,
Bones-
-Jim!- sbraitò McCoy –Non ti si può
lasciare un istante senza sedativi che subito vai a farti ammazzare!-
-Ehi!- il Capitano si rialzò,
pulendosi i pantaloni con alcune manate –Non è colpa mia se i Vulcaniani
trovano il mio collo estremamente eccitante!-
Dante scoppiò a ridere, sostenendosi
la fronte con la mano, McCoy sbuffò mentre aiutava Christine a rimettersi in
piedi, l’unico che rimase in silenzio fu Spock, rigido accanto al Vulcaniano
ancora a terra.
-Come avete fatto a fermarlo?- domandò
il Primo Ufficiale, rivolgendosi al medico dell’Ifigenia.
Questi fece spallucce
-Ho visto la siringa dell’Infermiera
Chapel a terra. L’ho raccolta e approfittato della sua distrazione- indicò il
Vulcaniano –Sono un medico, ho il permesso di iniettare sedativi, no?-
-Avete parlato in Vulcaniano- si intromise
Kirk, mentre McCoy, aiutato da altri due Infermieri, rimetteva il paziente nel
lettino e controllava le sue condizioni –E’ stato questo a distrarlo-
-Il Legame dunque non si è ancora del
tutto cancellato- commentò Spock, corrugando la fronte –E’ molto strano-
-No- Dante scosse la testa e si
avvicinò al paziente, dando le spalle al Primo Ufficiale – Vumukau ein zhite’hi’th’, Spohkhkan- [Ricordo ancora qualche parola, Spock]
Il Capitano alzò lo sguardo sul suo
Primo Ufficiale, ma questi, per qualche strano motivo, lo fuggì, preferendo
fissare i proprio sul volto aggressivo, seppur sedato, dell’altro Vulcaniano.
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – You’re Not
Alone)
Scesero dalla Nave sentendo tutti gli
occhi puntati su di sé.
L’equipaggio dell’intera Enterprise
era accorso ad accoglierli, chi cercando con lo sguardo un amico, chi solo per
vedere il Capitano ed il Primo Ufficiale tornare illesi da una missione al
limite del suicidio.
Chekov si fece largo tra la folla,
ignorando le proteste e le occhiate lanciate da chi gli era accanto; continuò a
spintonare fino a quando non sentì una mano afferrargli decisa il polso.
Si voltò, già pronto ad una scusa
veloce per poi tuffarsi fra il mare di corpi, e sgranò gli occhi per la
sorpresa: Scott sollevò le labbra in un ghigno
-Vieni con me, ragazzino- gli disse
–Ingresso riservato- e lo trascinò con sé.
Se Pavel aveva fatto di tutto per
evitare di dare troppo fastidio alle persone che lo circondavano, Scotty non
sembrava essere dello stesso avviso: sgusciava fra la gente senza curarsi delle
gomitate, degli spintoni e tanto meno dei commenti poco lusinghieri che gli
altri mormoravano a mezza voce. Fino a quando James T. Kirk avesse messo di
nuovo piede sulla Base Stellare, era lui il grande capo.
Arrivarono nel punto più vicino alla Odysseus e solo allora Scott lasciò
andare il polso di Pavel.
-Scotty!-
Il Capo Ingegnere si voltò e agitò una
mano
-Uhura! Siamo qui!-
La donna li raggiunse in pochi
istanti, piegando il collo per meglio vedere tra le teste che occupavano la
visuale: Chekov fece lo stesso, incassando un poco la testa fra le spalle e
sporgendosi appena, guizzando con lo sguardo da una parte all’altra della
passerella.
-Così pochi..?- mormorò Nyota,
portandosi una mano a coprire il viso.
Pavel non capì se si stesse riferendo
ai loro compagni di flotta o ai membri dell’Ifigenia che, ad essere ottimisti,
non dovevano essere più di una decina.
Kirk e Spock aprivano la fila:
nonostante sul volto del Capitano si leggesse il sollievo di essere rientrato
sano e salvo dalla missione, il suo sguardo era opaco, gli occhi bassi ed il
viso tirato, quasi livido.
Venivano gli altri membri scelti della
Enterprise e Chekov tirò un sospiro di sollievo nell’incontrate gli occhi scuri
di Sulu, ma il suo cuore non poté perdere un battito nel constatare che troppi
dei suoi amici non erano tornati.
Sentì un nodo serrargli la gola ed
abbassò il viso; una mano gli strinse la spalla
-Mi spiace, ragazzo- mormorò Scott
–Fatti forza-
Il Guardiamarina annuì, passandosi
velocemente una mano sul volto e tornando ad assumere una posa più composta;
gli occhi non smettevano di pizzicare e bruciare.
Dalla passerella scese il dottor McCoy
e dietro di lui alcuni Infermieri: alcuni trasportavano tre, no, quattro
barelle. Una in particolare sembrò attirare l’attenzione dalla folla, ma Pavel
era troppo lontano per capire chi vi fosse sopra.
Gli Infermieri che non trasportavano
le barelle venivano per ultimi, insieme a quei membri dell’Ifigenia che faticavano a rimanere in piedi o dando una mano a
quelli che, per testardaggine o solo per dimostrare a se stessi di non essere
ancora stati piegati, ondeggiavano sulla passerella.
Fra di loro una donna dai capelli
scuri e la carnagione olivastra, camminava accanto ad un’altra coi capelli
biondi, e le faceva segno di stare indietro, che poteva farcela da sola, ma
immediatamente arrancava e inciampava, e prima che potesse cadere, la donna
bionda ed un’altra, mora e che si era tenuta silenziosamente dietro le due, la
sostenevano fino a quando non tentava di nuovo di stare in piedi da sola.
Fu a quella donna coi capelli neri che
il Capitano si rivolse, una volta scesi.
Kirk attese che la donna fosse scesa
dalla passerella, poi alzò lo sguardo su di lei.
-Comandante Theokore-
Quella annuì
-Ditemi pure, Capitano Kirk-
E sebbene avesse sollevato le labbra
in un sorriso incoraggiante, Jim non poté non notare gli occhi cerchiati di
nero ed il pallore innaturale della carnagione olivastra; le cure ricostituenti
di McCoy erano riuscite a farle recuperare il peso perso nelle settimane
trascorse nella prigione del mercante, ma la pelle era ancora tirata sugli
zigomi e le guance appena incavate. L’intera figura era piegata da un dolore
più grande di quello puramente fisico: come Primo Ufficiale della Ifigenia, aveva assunto il ruolo di
Facente Funzioni di Capitano in seguito alla morte di quest’ultimo, avvenuta
per cause che Kirk doveva ancora accertare attraverso il racconto della donna.
A quel lutto, come gli aveva riferito McCoy, si aggiungeva la scomparsa del Navigatore
della Ifigenia, marito del Comandante. E poi c’era la mano di lei, che
rifiutava l’aiuto altrui e andava a chiudersi quasi ossessiva sul ventre..
-Capitano..?.-
Jim si riscosse e tornò a fissare la
donna negli occhi
-Vi chiederei, sempre che le vostre
condizioni di salute ve lo permettano- precisò Kirk –Un resoconto il più
possibile dettagliato circa i fatti che hanno portato alla distruzione della
USS Ifigenia-
Il Comandante annuì, ma all’altro non
sfuggì la tensione dei muscoli e l’occhiata preoccupata che si erano lanciate
le due donne dietro di lei.
-Quando, precisamente?-
-Domani- rispose il Capitano –Dopo la
commemorazione-
Stava per aggiungere qualcosa, una
parola, un gesto, quando sentì una mano posarsi sulla propria spalla. Si voltò,
corrugando la fronte
-Capitano Kirk..?- chiese l’uomo,
scuro in volto.
-Sì, sono io- un brivido gli corse
lungo la schiena.
-Abbiamo ricevuto un messaggio da Starfleet. Riguarda l’Ambasciatore
Selek-
***
Poteva sentirlo.
Le immagini si dispiegavano nella sua
mente, pennellate oniriche di ricordi perduti, gocce di suoni e note di colori
che si intrecciavano simili a fiamme, si alzavano, sfrigolavano, crepitavano,
sbuffavano refoli di fumo azzurrognolo, poi si ripiegavano su stesse e
morivano.
Sentiva la presenza di Kirk,
l’avvertiva in ogni respiro, in ogni gesto, nel buio che si accartocciava agli
angoli delle sua mente e brillava di memoria nascoste, di ricordi incastonati
come pietre preziose nel ventre sbozzato di una grotta: era lì, ma era un
Legame diverso, nuovo, eppure consunto, quasi rifiutato.
Avvertiva con una stilettata al cuore
i tentativi disperati di spezzare quel filo invisibile, ma ne comprese il
motivo e questo gli fece ancora più male: era stata un’intrusione forzata, una
violenza perpetrata ad insaputa di Jim e forse anche di se stesso. Avrebbe
dovuto mostrargli unicamente le immagini relative a Nero, ma una parte della
propria coscienza aveva riconosciuto, in uno slancio mnemonico, il katra di Kirk, o almeno una parte di
esso, un’impronta, un fantasma dello Spirito Vitale che lo aveva sempre
caratterizzato, e allora era successo. Quel Legame che la Morte aveva reciso
senza pietà aveva sentito sulle labbra il sapore della sopravvivenza, di nuovo
quel sussulto interno di coscienza, si era sollevato e come un’onda si era
riversato nell’animo di Kirk, aveva riempito ogni anfratto, spumeggiando nei
recessi più dimenticati della sua mente.
In un fiorire di flussi e ribollire di
ricordi, il Legame era ricomparso.
Selek aggrottò la fronte e dalle
labbra gli sfuggì un gemito.
Rabbia. Odio. Confusione.
Non erano di Kirk, quei sentimenti.
Perché, allora, li sentiva? Erano un
fuoco che ruggendo gli stava devastando la mente, un incendio dalle fauci
incandescenti che lo dilaniava, lacerandogli le carni, affondando le zanne
irose nel suo petto.
Cos’erano, cos’erano quei sentimenti?
Perché, perché avevano afferrato il Legame e adesso lo stringevano, tentando in
ogni modo di spezzarlo?
No, no, non stavano tentando di
spezzarlo. Seguivano quella linea invisibile, cavalcavano i venti della mente,
veloci e impazienti, senza smettere di sbuffare e ruggire, cercavano di
raggiungerlo, già vedeva i loro occhi di fuoco stagliarsi nell’oscurità
autoimposta della Meditazione.
E quelle fiamme si fermarono ai limiti
della coscienza, traballarono, si alzarono, si abbassarono, si attorcigliarono
agitando la capocchia scarlatta, annuendo, negando, diventando d’improvviso più
vive, poi perdendo luce e calore, arretrando e avanzando, soffiando e
ribollendo.
Sarebbe dovuto fuggire da quelle
lingue di fuoco, eppure avvertì un brivido incrinare la volta nera del suo
pensiero, l’impulso di spingersi avanti, allungare le mani verso di loro,
affondare le dita nel fuoco.
Le fiamme ondeggiarono, sembravano
ridere, ma una risata malata, tra il divertimento, l’amarezza e la follia;
sbuffarono e cominciarono a prendere una forma precisa, prima una testa, poi un
corpo, due braccia, due gambe. I tratti del viso si fecero più netti, si delinearono
le dita lunghe, le nocche arrossate, il dorso ferito, il braccio tremante, la
spalla, il collo..
Sgranò gli occhi della mente: era…era!
Era..!
-Selek’kam!-
Quella voce graffiò la volta scura del
suo pensiero, la realtà colò in rivoli densi lungo le pareti della mente,
spense quella fiamma dal volto ghignante.
Selek fece appena in tempo ad alzare
lo sguardo che la Nave su cui stava viaggiando ebbe un sussulto improvviso. Uno
scossone, il boato di una deflagrazione, un luccichio nello spazio, colto con
la coda dell’occhio.
Il Vulcaniano sentì il corpo
pizzicare, poi le fiamme invasero il suo alloggio.
-Takselal s’kan’hi th..’-
[Ti ho trovato..]
{~***~}
Diario
di Nemeryal, Data Astrale 64785.
Non oso
andare a guardare a quando risale il mio ultimo aggiornamento di questa
long-fic, preferisco rimanere nell’ignoranza.
Sta di
fatto che questo capitolo lo odio, con tutta me stessa. Dopo secoli di
inattività nel fandom di Star Trek, mancanza di tempo, mancanza di ispirazione
(tornata guardandomi uno speciale di Sky su Star Trek), questo è tutto ciò che
riesco a scrivere. Mi dispiace, perché non è assolutamente all’altezza di quanto
mi ero immaginata. E’ corto, è di passaggio, fa schifo. Mi dispiace, mi
dispiace davvero.
Lato
positivo, da adesso iniziano i casini, oh, eccome se iniziano! La situazione si
sblocca sia nel 2261, sia (nel prossimo capitolo) nel 2387. Eh sì, perché quanto
successo alla Nave di Selek/Spock (che poi…sarà morto? Sarà vivo? Mah!) sarà la
causa scatenante di tutti i guai che capiteranno nei prossimi capitoli. E nel
futuro, bhè, diciamo che abbiamo un Romulano testa di ghisa mentalmente
instabile che lavora per dare una smossa anche lì XD
Oh! E prima
che sorga qualche incomprensione di sorta: l’episodio dell’assalto del
Vulcaniano e la Meditazione di Selek/Spock avvengono praticamente in
contemporanea ^^ Verrà tutto chiarito in seguito, non preoccupatevi *ghigno
sadico*
Ringrazio
tutti coloro che hanno recensito, grazie delle parole, del sostegno, grazie
davvero.
Scusate
se quanto vi offro in questo capitolo è davvero misero.
Tai Nasha No Karosha,
Nemeryal