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Autore: JiuJiu91    14/04/2011    6 recensioni
Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. Quando guardi a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarda dentro di te. [Friedrich Nietzsche]
Le gemelle Spencer vivono su binari paralleli: Maggie è esuberante, goffa e maldestra, perennemente intenta a collezionare figuracce, mentre la riservata Therese è una studentessa modello, saggia dispensatrice di consigli e ottima strega. Destinate a non incontrarsi mai, se non si fossero trovate intrappolate, assieme, in un piano molto più grande di loro, divise tra Bene e Male. Sempre che Bene e Male esistano ancora, quando i Buoni sono pronti a tutto pur di vincere la guerra e i Cattivi non sembrano poi così cattivi.
In un Mondo Magico in cui non è più tutto bianco o tutto nero si intrecciano storie d'amore e di guerra, d'amicizia e di fratellanza, di alleanze e di tradimenti. In tutte le sfumature che preferite.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo, personaggio, Serpeverde, Tom, Riddle/Voldermort
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Come vi preannunciavo nell'introduzione al capitolo 141, questo ultimo capitolo 'ufficiale' (l'ultimo effettivo sarà l'Epilogo ma non so se considerarlo un vero e proprio capitolo) è prettamente introspettivo.

Assistiamo in queste righe alle riflessioni di Maggie in seguito al sacrificio di Tom.

Volevo che il capitolo fosse conclusivo senza essere, però, scontato. Volevo evitare, insomma, quella conclusione manzoniana che si erge a morale di tutto. Inoltre, l'avrei considerata poco adatta al personaggio.

Tuttavia, mi piace l'idea di chiudere con un'introspezione di Maggie dato che, nonostante tutto, è la protagonista indiscussa della storia.

Buona lettura.


ANDRÀ TUTTO BENE


Le visite a zia Tracie proseguirono senza sosta per tutto il pomeriggio.

Quel viavai mi intristiva, e nemmeno il tenero abbraccio di Mark era un antidepressivo tanto potente da sollevarmi dal profondo sconforto di cui ero caduta vittima, di nuovo, subito dopo la mezza intervista della Skeeter.

L'idea che potesse chiedermi di parlare di Tom, dell'orco cattivo del suo libro, mi stringeva lo stomaco come un nodo. L'ultima cosa che volevo era essere costretta a rilasciare dichiarazioni crudeli sulla persona che si era sacrificata per permettermi di uscire da quella guerra senza neanche una macchiolina sulla mia fedina penale ma con una macchia nera come il petrolio sulla mia coscienza.

  • Andiamocene – mi propose Mark.

  • Dove? - chiesi, di getto, poi raddrizzai il tiro – Non posso andarmene: mia zia ha appena partorito e... -

  • Con tutte le visite che sta ricevendo, non sentirà la tua mancanza, senza offesa. Se la caverà. - mi fece notare Mark – Non ti fa bene stare qui, dovremmo andare a fare un giro. -

Lo abbracciai di slancio. Forse non l'avevo mai amato tanto come in quel momento. Lo amavo perchè mi capiva senza bisogno di parole, senza neanche uno sguardo.

Lo seguii senza quasi accorgermi di starlo seguendo, senza protestare, senza opporre resistenza. Mi condusse all'angolo dove aveva parcheggiato la macchina e si appoggiò alla portiera.

  • Dove vuoi andare? - domandò – Ti porto ovunque tu voglia -

  • Canvey Island – dissi, automaticamente.

Ero là la notte che c'era stato il casino al Ministero, la notte in cui Glenda Rosweth aveva depositato il contenuto del mio cassetto sulla scrivania di Silente, dando inizio al periodo più buio e confuso della mia vita, ero là con Harry dopo il fallito matrimonio di JJ, e sarei stata di nuovo là il giorno dopo la fine di quell'assurda guerra nella quale si mischiavano vincitori e vinti.

  • Posso guidare io? - gli chiesi.

  • Tu guidi? - Mark corrugò la fronte, perplesso.

  • Ho già guidato. Su questa stessa strada, un anno fa, con Harry. Non Harry Potter, Harry il cugino di JJ – precisai.

  • Harry il principe d'Inghilterra – puntualizzò Mark – Come dimenticare che hai avuto una regale liaison con lui. -

Credetti di cogliere del sarcasmo nelle sue parole ma Mark sorrideva, placidamente.

  • Usciamo dalla città e poi ti faccio guidare – decise infine.

Guidare, con gli occhi fissi sulla strada ed il cervello occupato in qualcosa che non fosse rievocare gli ultimi attimi di quella notte, mi fece sentire meglio. Erano confortanti la precisione e la banalità di quell'attività. Ad ogni gesto corrispondeva una reazione, una reazione studiata e prevedibile, niente errori indipendenti dalla mia volontà, niente sorprese, solo una lunga strada dritta, il rumore dei giri del motore, la mia mano sul cambio e la mano di Mark sulla mia, ad indirizzarmi verso le marce giuste.

La spiaggia di Canvey Island era illuminata da un raggio rosso. Di lì a poco il sole si sarebbe gettato tra le onde e sarebbe scomparso lasciandosi dietro il cielo striato di porpora e indaco.

Mi sedetti sulla spiaggia e rimasi a guardare quello spettacolo provando una piacevole sensazione di sollievo.

  • Questa giornata mi è sembrata interminabile – sussurrai – Sono contenta che stia finalmente finendo. Posso raccontare a me stessa che domani sarà meglio di oggi, e dopodomani meglio ancora e tra una settimana... -

  • Sarà così – mi interruppe Mark – Il tempo è il migliore alleato nelle disgrazie, ma bisogna volerlo -

Mi strinsi le ginocchia al petto, sospirando.

  • Devi volerlo, Maggie – precisò – Devi volerne uscire. Dopo tutti questi anni ormai ti conosco più di quanto conosca me stesso e so quanto tu sia brava a trovare consolazione nel dolore, ma se non provi a superarlo il dolore ti distruggerà. -

Lo guardai in silenzio, con la testa piegata di lato. Mi chiesi quando Mark, il Mark che mangiava patatine e beveva birra davanti alla televisione, liquidando tutte le mie paturnie con un "non c'è nulla che un cucchiaio di Nutella ed una partita della nazionale non possano risolvere", fosse diventato un aspirante psicanalista.

Tra le dita avevo il biglietto di Tom. La scritta Andrà tutto bene andava sbiadendosi, a causa della mia stretta e delle lacrime che vi avevo versato sopra nella notte.

  • Devi lasciarlo andare – proseguì, accennando al bigliettino che stringevo così forte che le nocche delle dita erano diventate bianche – Non puoi torturarti nel ricordo, Maggie, non ora. Non dico che tu debba dimenticare, dimenticare sarebbe impossibile ed ingiusto, ma se non provi a superare il dolore da subito, se non provi a sbattergli la porta in faccia, non te ne libererai più. Finirai per abituartici, per affezionartici. E non sai quanto è facile abituarsi al dolore! -

  • Ma non posso lasciarlo andare – protestai – Non posso chiudere la porta ai ricordi. Mi sembrerebbe di tradirlo. -

Di nuovo.

  • Tom non vorrebbe questo – sussurrò Mark – Non vorrebbe saperti triste, logorata dal dolore. Lui è morto per te, perchè tu potessi essere felice. -

Era morto per me ed io gli avevo detto di odiarlo. Era morto per me ed io non l'avevo neppure ringraziato. Come potevo essere felice dopo aver insultato il massimo responsabile della mia felicità?

Gli occhi mi si riempirono di lacrime.

Improvvisamente all'immagine di Tom si sovrappose un altro ricordo, quasi sbiadito dal tempo. Il ricordo di me che guardavo un altro tramonto su un altro mare con le guance rigate da altre lacrime, un pomeriggio di fine luglio di sette anni prima.

Allora, con la mia vita impacchettata in undici scatoloni, avevo creduto di non poter più essere felice. Ero convinta che non avrei mai sorriso in Inghilterra, che avrei passato la vita a rimpiangere il passato.

Ed ora era tutto così diverso, e se mi ero lasciata alle spalle il dolore di quei mesi era stato anche grazie a Tom.

  • Sai, Mark – cominciai, a fior di labbra – Io non ho mai avuto qualcuno che si occupasse di me. I miei genitori sono morti troppo presto perchè io possa ricordarmeli e mia zia...beh, la maggior parte delle volte eravamo noi a badare a lei e non il contrario. Sono cresciuta senza nessuno che mi dicesse a che ora tornare a casa o mi aiutasse con i compiti. Poi ho incontrato Tom. -

Mi sfuggì un sorriso tra le lacrime mentre rivedevo la paffuta Maggie dodicenne percorrere, più incredula che impavida, più curiosa che coraggiosa, il tunnel che portava alla Camera dei Segreti. Ripensai a quei lunghi pomeriggi invernali trascorsi sul pavimento di quella sala segreta, a parlare con Tom di quelle che ora, dall'alto dei miei diciassette anni, mi sembravano sciocchezze: l'infatuazione per Draco, i compiti di Storia della Magia, le punizioni del professor Piton.

  • Tom è stato per me un padre, un fratello maggiore, uno zio. - mormorai – Lui si preoccupava dei miei voti scolastici, delle mie amicizie, dei miei giovanili drammi sentimentali. -

Mark mi ascoltava senza parlare.

Lo sciabordio delle onde cullava i miei ricordi. La solitudine dei primi mesi era stata colmata da Draco, da JJ, dalle prime, incerte, amicizie scolastiche, da Gossipschool, da altri progetti, ma Tom c'era sempre stato.

Non era mai stato invadente, non aveva mai preteso che gli raccontassi la mia vita nel dettaglio, ma era stato presente. Mi aveva fatto capire che lui era lì per me e non mi avrebbe mai voltato le spalle.

Mi sapeva ascoltare. Aveva ascoltato senza giudicare i miei piani di fuga, all'inizio, così come aveva ascoltato senza giudicare i miei dubbi su Draco e sulla sua famiglia. Aveva ascoltato la cronaca del mio primo incontro con Mark, seguito lo sviluppo dei nostri primi appuntamenti, sorriso nel vedermi così felice.

Mi aveva dato consigli, con quel suo fare un po' scostante e sbrigativo, che lasciava trasparire più il suo imbarazzo che la sua freddezza. Era stato accomodante e comprensivo, ma aveva saputo imporsi con decisione e forza quando ce n'era stata la necessità.

Anche al quarto anno, ai tempi della nostra corrispondenza segreta, ai tempi dei suoi piani per tornare in vita, alla preparazione della pozione con Codaliscia, era sempre stato più lui ad aiutare me che io ad aiutare lui.

Certo, teoricamente io gli fornivo il mio appoggio, ma di fatto gli scrivevo come avrei scritto al mio diario segreto e lui non si era smentito, nemmeno allora, e non mi aveva mai negato una parola di conforto, un saggio precetto rubato a chissà quale libro, un aneddoto divertente per strapparmi un sorriso.

Poi c'era stato il tempo del coma, quando avevo temuto che morisse e mi lasciasse da sola, e il suo lungo e snervante tira e molla con Glenda, e poi la sua storia con zia Tracie, e infine gli ultimi mesi, che ora si amalgamavano confusi in un miscuglio di sensazioni non meglio precisate, ora si delineavano con assoluta chiarezza, netti davanti ai miei occhi.

Neanche allora, divorato dalla paura per il futuro e dal senso di colpa per il passato, aveva rinunciato al suo ruolo di saggio consigliere e di buon amico.

Poi aveva macchinato quel suo masochistico piano e aveva tenuto nascosto il suo proposito di andare incontro alla morte barattando il suo potere, la sua grandezza e la sua stessa vita per la nostra serenità.

Lui che aveva studiato su ogni sorta di volumi, viaggiato per anni in lungo ed in largo, agognato l'immortalità dei faraoni e degli dei, vi aveva infine rinunciato, consapevolmente, per noi. Per me, una sciocca adolescente ingrata che aveva una visione della vita tanto distorta da aver anteposto i suoi problemi infantili all'agonia che Tom doveva aver vissuto.

Non gli avevo mai chiesto di parlarmi del suo passato, di raccontarmi come fosse cominciato tutto, di spiegarmi perchè facesse quel che faceva. Ero stata così concentrata sui miei problemi - sulla gonna a fiori che avevo comprato l'estate prima e che ora mi andava stretta, sul quaderno di Storia della Magia che avevo lasciato in biblioteca e qualcuno l'aveva preso, sul parrucchiere di JJ che continuava a propormi di farmi un caschetto ed io avevo paura di chiudere gli occhi, quando mi tagliava i capelli perchè temevo sempre che potesse farlo senza il mio consenso – che non avevo mai provato ad ascoltare i suoi.

Se avessi potuto tornare indietro nel tempo gli avrei chiesto di parlarmi di Glenda. Gli avrei domandato dei suoi genitori, dei suoi anni di Hogwarts, dei suoi viaggi intorno al mondo, dei suoi sogni, dei suoi desideri, delle sue paure e dei suoi rimpianti.

Avrei dato qualsiasi cosa pur di avere l'occasione di parlare con Tom un'altra volta. Anche solo per un pomeriggio, sulla panchina di legno di Casa Riddle, come ai vecchi tempi. Anche solo per un'ora, solo per dirgli che mi sarebbe mancato non poter più parlare con lui e che mi dispiaceva di non essere stata una buona amica quanto lui lo era stato per me. Anche solo per un minuto, solo per dirgli grazie di tutto e gettargli le braccia al collo ed abbracciarlo per l'ultima volta e sentire la sua stretta decisa e rassicurante intorno alla mia vita e sentire le mie paure scivolare via sotto la mia pelle, sotto le sue mani salde e sicure.

  • Lui è morto per me ed io non l'ho ringraziato – singhiozzai.

  • Non lo sapevi, come avresti potuto ringraziarlo? - mi fece notare Mark.

  • Ma non l'ho ringraziato neppure per il resto – sbottai – Mi è sempre stato vicino, ed ha accolto mia zia ed i figli di un altro nella sua casa, ed ha messo in pericolo tutto quello che aveva per proteggerci! Avrei dovuto ringraziarlo molto tempo fa. -

O perlomeno evitare di dirgli che lo odio.

Aprii la bocca per confessare il mio orribile comportamento di quella notte ma la richiusi. Non volevo davvero parlarne. Temevo di rendere il tutto ancora più tangibile, ancora più reale. Se avessi evitato di farlo sapere agli altri, prima o poi me ne sarei dimenticata e sarebbe stato come se non fosse mai successo.

Mi sarei limitata a lamentarmi del fatto di non essermi mostrata abbastanza riconoscente, il che, speravo, avrebbe anche messo a tacere un pochino la mia coscienza.

  • Non mi sono mai mostrata riconoscente nella maniera adeguata – dissi, infatti.

  • Ma lui sapeva che lo eri, e questo è l'importante – tagliò corto Mark.

  • No che non lo sapeva! - protestai.

Mi resi conto di suonare patetica ed esagerata. Mi resi conto che a chiunque quel discorso doveva suonare incomprensibile, senza le dovute spiegazioni.

Solo io potevo capire il vero significato delle mie parole, solo io sapevo cos'era successo davvero tra noi e solo io, quindi, potevo riuscire a perdonarmi.

  • Tom sapeva che gli volevi bene – decretò Mark, posandomi una mano sulla spalla – Lo sapeva perfettamente. Perchè avrebbe dovuto mandare a puttane tutto quello per cui aveva lavorato e farsi uccidere, altrimenti? L'ha fatto perchè ti voleva bene ed era sicuro del tuo affetto. -

Forse era stato sicuro del mio affetto fino ad un paio d'ore prima dello scontro finale, ma poi gli avevo sbattuto in faccia quello che pensavo – oh, non quello che pensavo in generale, certo, ma quello che pensavo in quell'istante, quello che la paura, la rabbia e la sensazione di avere le mani legate e di essere intrappolata in qualcosa di più grande di me mi inducevano a pensare – e lui non doveva più esserne stato tanto sicuro.

Solo che ormai era troppo tardi per abbandonare il piano. E poi non c'ero solo io (maledetto egocentrismo!): Tom si era sacrificato anche per zia Tracie, per Therese, per Chris, Chloe, Justin e Cassandra.

Non sarebbe bastata la mia sfuriata a fargli cambiare idea. Senza contare che una gran parte di lui non ne poteva più di quella vita e di quella guerra e desiderava la morte da tempo, ormai.

La sua vita gli era diventata insopportabile. Aveva visto fallire i suoi ultimi piani, la sua relazione con Glenda, quella con zia Tracie, persino la nostra amicizia. Ormai la sua intera esistenza doveva sembrargli una crudele galleria di errori.

Mentre io mi arrovellavo sulla scelta della stoffa blu per la mia nuova giacca, lui meditava il suicidio.

Ero stata davvero cieca. Cieca e sorda alle sue richieste d'aiuto. Perchè ora, col senno di poi, mi tornavano alla mente i suoi discorsi sconclusionati sulla redenzione e sul rimorso, quel suo continuo farneticare di una possibilità di salvezza, di un riscatto, di una catarsi in grado di lavare via tutti gli sbagli del passato.

Non avevo mai dato peso a quei segnali. Avevo sottovalutato la sua compassione nei confronti di Potter o i suoi lunghi silenzi quando a cena, sebbene per poco, sebbene a grandi linee, si finiva a parlare del futuro.

Dietro le sue mani giunte, dietro il calice di vino che sorseggiava con strabiliante lentezza, dietro il suo imperturbabile sguardo tagliente, orribili pensieri agitavano la sua mente ed il suo proposito prendeva forma davanti ai nostri occhi.

E di tutto questo, del suo dolore e della sua disperazione, io non avevo visto niente. Ed ero rimasta inerte, a guardare il mio migliore amico studiare nel dettaglio il suo ultimo piano. L'ultimo davvero.

E non gli avevo chiesto alcun dettaglio al riguardo non per rispettare la sua richiesta, come aveva pensato lui, ma perchè avevo altro da fare, perchè in fondo non lo ritenevo neanche in grado di mettere in piedi un piano efficace, perchè sarebbe stato l'ennesimo fallimento e non volevo essere io a dirglielo.

Ero stata una completa cogliona.

  • L'unico modo che hai di mostrarti riconoscente nei suoi confronti è fare quello per cui lui è morto: affrontare il dolore, superarlo ed andare avanti. - decretò Mark, determinato – So che può sembrarti difficile, ormai ti conosco: ti piace crogiolarti nel dolore. -

Non potevo dargli torto, in effetti.

Negli ultimi anni, ero stata protagonista di più d'una scenetta patetica da romanzetto rosa. Come quando mi ero rinchiusa in camera per due settimane dopo la mia rottura con Mark, tanto per fare un esempio.

Avevo una naturale predisposizione alla teatralità che mi spingeva ad esaltare la gioia quanto il dolore. Peccato che la naturale predisposizione al vittimismo prediligesse quest'ultimo.

E così mi sembrava che negli ultimi anni non avessi fatto altro che lamentarmi, piagnucolare senza sosta, rimpiangere il passato, maledire il passato, temere il futuro, agognare il futuro, il tutto condito da una buona dose di infantilismo.

Arrossii, sperando che la luce purpurea del crepuscolo mascherasse il mio rossore.

  • Sono davvero così irritante? - domandai, timidamente.

  • No, non sei irritante. Sei anche tenera, alle volte – sorrise Mark – è solo che credo che staresti molto meglio se evitassi di fare un dramma di qualunque cosa. -

Sì, ero davvero irritante. Mark non l'avrebbe mai ammesso, perchè era il mio ragazzo ed era innamorato di me, persino dei miei irritanti difetti, persino della mia tendenza a credere che l'universo mondo ce l'avesse con me e che non sarei mai stata abbastanza bella, abbastanza magra, abbastanza intelligente, abbastanza responsabile, abbastanza astuta, abbastanza 'Therese' per sentirmi adeguata.

  • Non che voglia sminuire la morte di Tom, con questo – si affrettò a precisare, attribuendo il mio silenzio ad un'offesa, forse – Di questo puoi farne un dramma, per un po', purchè tu non diventi un'ameba che divora cioccolata sotto le coperte. -

  • Sarei perfettamente in grado di farlo – mormorai tra me e me.

Sorrisi della mia stupidità, sebbene una parte di me volesse prendermi a sberle, più che sorriderne.

Ero davvero sciocca. Una ragazzina superficiale che combinava un pasticcio dietro l'altro rendendo puntualmente necessario l'intervento di qualcun altro. Ecco perchè avevo costantemente bisogno di ricercare qualcuno che badasse a me e mi dicesse come comportarmi: da sola non ero affatto in grado di concludere niente senza infilarmi in qualche casino.

  • Sono un disastro – bofonchiai.

  • No, non lo sei. - ribattè Mark, alzando la voce – è proprio questo il punto: tu non sei un disastro. Devi piantarla di credere di essere sempre l'ultima ruota del carro. -

  • Ma non lo faccio apposta, è così! - replicai.

  • È così solo perchè tu vuoi che sia così. Perchè ti piace essere compatita e ti fa comodo pensare di non essere all'altezza delle cose, ma ti sbagli. - sbuffò Mark, prendendomi la spalla come se cercasse di scrollarmi, di risvegliarmi da un torpore nel quale ero caduta anni prima.

Lo guardai con l'aria un po' imbronciata.

  • Tu non hai niente da invidiare a nessuno – precisò lui.

  • Tu dici? - feci un sorrisetto – Forse non ti sei accorto del fatto che mia sorella è praticamente perfetta, che la mia migliore amica è una modella milionaria, che il mio migliore amico ha avuto il coraggio di sacrificare la sua vita per salvare la nostra, che mia zia è una quarantenne con i controcoglioni che si è risollevata da un sacco di brutte situazioni ed ora ha il lavoro che ha sempre sognato e l'uomo che ha sempre sognato, che Harry-ho-salvato-il-mondo-da-tutti-i-mali-Potter farà la scuola per Aurors e sarà un affascinante brizzolato realizzato e felice sposato con una ninfomane zoccola che gli darà il buon giorno con un pompino. -

Come al solito, un fiume di parole mi si era riversato fuori dalla bocca a mo' di cascate del Niagara prima ancora che quelle cose potessi pensarle. Se davvero dovevo lamentarmi di un mio difetto, quello era il pessimo autocontrollo.

Magari riuscivo a tenere nascosto qualcosa per mesi, addirittura per anni – come la mia inevitabile, ma comunque ingiusta, invidia nei confronti di JJ, sempre così bella, così ricca e per di più così colta – e poi mi sputtanavo in un paio di secondi, lasciandomi sfuggire di tutto, senza possibilità di trattenermi.

  • Che c'entra Potter? - Mark sgranò gli occhi, perplesso.

  • C'entra perchè Potter è uno sfigato ma è comunque più figo di me. - sbuffai.

Ed ora che non aveva più i capelli tagliati a scodella, i pantaloni di vellutino a coste color senape e il visino tondo da telefilm di Disney Channel poteva persino definirsi un bel ragazzo. Ecco, scoprire che persino Potter era diventato un bel ragazzo era stato il definitivo colpo alla mia già traballante autostima.

Mark sospirò, rassegnato.

  • Tu non hai niente da invidiare a nessuno – ripetè, perentorio.

  • Io non ho nessuna vera qualità. - gli feci notare – L'unico lavoro che ho ottenuto in tutta la mia vita è stato praticamente pagato da JJ... -

Preferivo non pensare alla sensazione di onnipotenza che avevo provato nello sfogliare il depliant del rivenditore di Dolce & Gabbana in centro e trovarvi le mie foto, dimentica delle lunghe trattative tra JJ ed il suo amico agente.

  • Mi risulta che ti aspettano per uno stage al Ministero della Magia, quest'estate – mi ricordò Mark.

  • Era una trovata di Piton per allontanarmi dalla scuola mentre Potter ci si infiltrava. Ora che credono che io sia stata vittima di un pazzo sanguinario per tutti questi anni non possono negarmelo. Me lo offrono come contentino, ma sanno che sono un fallimento. - spiegai.

  • Forse invitarti ieri a quell'incontro è stata una trappola, un pretesto per tenerti lontana da Hogwarts, ma ti ci avrebbero invitata comunque. Voglio dire, se avessero semplicemente voluto allontanarti dalla tua scuola ti avrebbero potuto anche mandare a raccogliere violette ad Hogsmeade, no?, ad intervistare elfi domestici per Gossipschool, o a verniciare gli infissi delle serre! - sbottò Mark, sbattendo una mano sulla sabbia.

Diversi granelli, sollevati dal suo colpo, finirono sui miei jeans e mi persi ad immaginare fantasiose figure create dalla polvere.

  • Svegliati, Maggie, perchè avrebbero dovuto allontanarti dalla scuola se fossero stati dell'idea che tu sia una stupida? - mi fece notare.

  • Perchè sono Caposcuola – risposi – E sono Caposcuola solo perchè Daisy Miller voleva tenermi d'occhio da vicino – soggiunsi, prevenendo la sua ovvia osservazione sul fatto che per essere scelta come Caposcuola qualche qualità, seppur minima, dovevo avercela avuta.

  • Ammettiamo che inizialmente ti abbiano scelta per questo – sospirò Mark, gesticolando con veemenza, come faceva di solito quando voleva spiegare all'arbitro perchè il suo goal non era stato segnato in fuorigioco o come quando tentava di istruire sua sorella sul corretto utilizzo del forno microonde – Nel corso dell'anno tu hai dimostrato di essere all'altezza di questo ruolo, anzi, un gradino sopra quello che ci sarebbe aspettati, ed è per il tuo grande impegno, per la tua attenzione nei confronti di ciò che succedeva a scuola, che hanno sentito il dovere di allontanarti. Tu ti saresti accorta subito della presenza di Potter, come infatti è stato, e sapevano che avresti cercato di metterlo in guardia. -

  • Cosa che non sono riuscita a fare – precisai.

  • Per una sfortunata serie di eventi, senza contare i pregiudizi di Potter. - puntualizzò Mark – So che ho poche speranze di convincerti ma, credimi, se hai un difetto non è che sei sciocca, superficiale, irresponsabile e tutto quello che vai ripetendo da anni ma che ti sottovaluti. -

Mi mordicchiai il labbro, sollevando le spalle, come a dire "che posso farci? Avrò le mie buone ragioni per sottovalutarmi!".

  • Hai combattuto una guerra contro un nemico che sembrava invincibile – proseguì Mark.

  • Ed infatti si è confermato tale – gli ricordai.

  • Ma ci avete provato lo stesso! - esclamò lui – Sai, io non sono un sostenitore del partito dell'importante è partecipare, quando gioco lo faccio per vincere, ma qui non si trattava di un gioco. Tu e Therese avete messo ripetutamente a rischio la vostra vita e l'avete fatto da sole. Quante altre persone credi che avrebbero avuto il vostro stesso coraggio? -

  • Io avevo paura – ammisi – Qualsiasi cosa facessimo avevo una fottuta paura di morire o di rovinare tutto. -

  • Se non ne avessi avuta saresti stata una pazza incosciente – osservò lui – Ma la paura non ti ha impedito di fare quello che hai fatto, è questo quello che trovo sorprendente. -

Fu un fulmine a ciel sereno: Mark era orgoglioso di me.

Non stava dicendo quelle cose per consolarmi, per tirarmi su il morale o perchè trovava che fosse politicamente corretto migliorare l'autostima della propria ragazza, allontanare i suoi pensieri tristi più in fretta possibile per poi fare del buon sesso sulla scogliera.

Faceva sul serio: era profondamente convinto di quello che stava dicendo, e le sue lodi sperticate non avevano alcun secondo fine. Mark era davvero piacevolmente stupito da quello che io e Therese avevamo fatto, era ammirato, e ne era realmente soddisfatto.

Per la prima volta mi sembrava che lui potesse andar fiero della sua ragazza.

Per tutti quegli anni, passeggiando per Londra con lui, mano nella mano, mi ero sentita quasi una miracolata.

Incrociando il nostro riflesso nelle vetrine, avevo avuto modo di constatare l'abisso che c'era tra me e lui ed ero convinta che fosse sotto gli occhi di tutti. Ero sicura che chiunque ci vedesse insieme si chiedesse perchè diavolo un bel ragazzo come lui, un calciatore emergente di belle speranze, si fosse messo con una come me.

Avevo finito per scorgere sguardi invidiosi e compassionevoli negli occhi di tutti quelli che ci guardavano, decidendo infine che mi sarei goduta il mio ragazzo finchè anche lui non si fosse accorto che poteva ambire a molto di meglio.

Sapevo che Mark era innamorato di me, non avevo dubbi su questo punto, ma temevo che, passata la passione, le fette di salame che Cupido gli aveva sapientemente posizionato davanti agli occhi sarebbero scivolate via e lui mi avrebbe vista davvero.

Invece avevo avuto la rivelazione opposta: Mark non stava con me perchè ero brava a letto ed ero di buona compagnia, non mi considerava segretamente sciocca, ma, anzi, credeva davvero che io fossi la coraggiosa paladina della giustizia che andava dipingendo da un po'.

  • Pensaci: appena un paio d'anni fa quasi non riuscivi a tenere in mano la bacchetta mentre ora sei in grado di duellare con i maghi più potenti del mondo! E hai fatto tutto da sola, senza l'aiuto di nessuno. - continuò Mark e vidi il sorriso allargarsi nei suoi occhi prima che sulle sue labbra – O meglio, hai avuto l'aiuto di Tom e di Therese ma non avrebbero potuto ottenere nulla da te se tu non ci avessi messo del tuo. E l'hai fatto in modo sublime. -

Fino alla fine ero stata convinta di essere una pessima strega ma, di fatto, non lo ero più. Anzi, potevo dirlo senza arroganza, ero una strega di bravura superiore alla media. Oltre ogni previsione, per dirla con i voti scolastici. Se non, in qualche caso, eccezionale.

Avevo duellato con Stefan con invidiabile maestria, avevo ucciso Lupin con la giusta lucidità ed ero riuscita a tenere separata la mia mente, che leggeva nella sua, dal mio corpo che scagliava e scansava incantesimi, ero sfuggita a Daisy Miller sfruttando le mie abilità magiche, l'anno prima, se proprio volevamo dirla tutta.

Mi ero talmente abituata a pensarmi come una streghetta incapace che quasi non mi ero accorta delle mie nuove potenzialità. Mi ero persino risolta ad attribuire tutto il merito alla bacchetta di Tom!

La bacchetta di Tom!

Infilai una mano in tasca e la estrassi, tenendola tra le dita con estrema delicatezza, con un timore reverenziale, quasi avessi paura di spezzarla.

Erano passate meno di ventiquattro ore da quando avevo meditato di romperla in mille pezzi, bruciarla, allontanarla dalla mia vista e riprendermi la mia ed ora quel sottile bastoncino di legno mi sembrava avere un valore inestimabile, come se fosse l'energia che si sprigionava a darmi la vita, riposta nella tasca interna del mantello, proprio sopra al cuore.

Il sorriso appena accennato che mi si era aperto sul volto si spense, al contatto con la bacchetta che era stata così a lungo tra le mani di Tom, la bacchetta con la quale lui aveva giocherellato quando era nervoso e con la quale aveva ucciso, certo, ma anche preparato la colazione per noi e zia Tracie.

  • So cosa stai pensando – Mark interruppe le mie farneticazioni.

Personalmente, dubitavo che lui potesse immaginare quello che mi passava per la testa in quel momento, dato che non sapeva del mio litigio con Tom, ma sollevai lo sguardo su di lui e gli feci cenno di continuare.

  • Tom era la tua guida ed il tuo mentore – proseguì Mark – ed ora che è morto credi di non sapere più che cosa fare. -

In effetti non lo stavo pensando ma non escludevo che ci avrei pensato presto e quindi annuii.

  • Beh, non è così. Non hai più bisogno di qualcuno che ti dica che cosa fare e come farlo, sei grande abbastanza per prendere le decisioni migliori da sola. - decretò lui – Devi smetterla di aspettare che gli altri ti diano degli ordini e devi smetterla di startene in seconda fila ad eseguirli. Tu sei la protagonista della tua vita, Maggie, non sei qui per imitare Therese o JJ o Tom o tua zia! Tu sei Maggie e vai bene così come sei -

Ancora una volta, Mark coglieva nel segno. Io ero l'eterna indecisa che cercava conferme dagli amici e dai parenti, l'insicura cronica che non credeva di poter fare qualcosa senza il consiglio, o semplicemente l'approvazione, di qualcuno.

Così nella mia storia con Mark mi ero adeguata a quanto suggeritomi da Therese e non avevo realizzato che io, e solo io, avrei potuto cambiare le cose, ribellarmi al suo volere, raccontare a Mark di Daisy molto prima, tornare con lui molto prima, essere felice, o almeno serena, molto prima.

Ma le cose sarebbero cambiate. Avrei preso in mano le redini della mia vita e cominciato a pensare da sola, finalmente.

  • Non sei più una bambina, non è più il tempo di prendere ordini dagli altri – aggiunse Mark.

  • Hai ragione. - concordai.

Rita Skeeter mi aveva definita un'eroina al pari di mia sorella. Ok, forse la Skeeter non faceva testo ma, Dio!, avevo davvero combattuto dignitosamente, mi meritavo un po' di fiducia in me stessa.

Potevo essere orgogliosa di quella che ero, così come lo era Mark. Quello sarebbe stato il mio tacito, e tardivo, ringraziamento a Tom: sarei stata una donna forte – una donna, non una bambina – quale lui avrebbe voluto che diventassi.

  • Hai ragione – ripetei – Da domani ci sarà una nuova Maggie. -

Sorrisi, per un attimo allietata da quella rosea prospettiva e da quel nuovo progetto che avrebbe occupato le mie giornate di lì innanzi.

  • Perchè non da subito? - propose Mark – Non è il momento di aspettare. Questo sarà l'ultimo ordine cui obbedirai: baciami. -

Mi sporsi verso di lui e le sue labbra si incollarono alle mie, morbide ma salde, come se quella posizione fosse la loro privilegiata, come se fossero state create per restarsene appiccicate per sempre.

Mark si mise a cavalcioni su di me e mi sfilò la bacchetta di Tom dalle mani, appoggiandola sulla sabbia con la stessa delicatezza che le avevo dedicato io. Le sue calde mani mi cinsero la vita, poi prese ad accarezzarmi la schiena, in su ed in giù.

  • Amerò la nuova Maggie come ho amato quella vecchia – sorrise, staccando per qualche secondo le labbra dalle mie.

  • Certe cose non cambiano mai – commentai – Per fortuna –


Come a sottolineare quello che avevo appena detto, squillò il telefono.

  • Questo è qualcosa che non cambierà mai – sbuffò Mark – Ogni volta che stiamo per fare sesso qualcuno ti chiama. E, lasciami indovinare, è Therese! -

Il numero di mia sorella lampeggiava sul display del mio telefono.

  • Ovvio, è Therese – annuii.

  • E scommetto che deve dirti qualcosa di importantissimo e che ti chiederà di raggiungerla in questo preciso istante – soggiunse Mark con un'espressione a metà tra il broncio ed un sorriso divertito.

Mi portai il telefono all'orecchio.

  • Maggie, finalmente! - esclamò Therese.

Ormai mia sorella non aveva segreti per me. Avevo imparato a riconoscere i gradi di isteria dalle lievi incrinature della sua voce. In una scala da uno a dieci il livello attuale della sua irritazione-ira-apprensione isterica si aggirava intorno al sette. Avevo sentito di peggio, potevo quasi rilassarmi.

  • Questa sera ci sarà una festa in piazza ad Hogsmeade – annunciò – Una cosa carina, con balli e canti. Il genere di cosa che ci vuole per distrarci da quel che è successo e staccare la mente per un paio d'ore. -

  • Mi hai chiamato per invitarmi ad una festa? - feci, un po' stupita.

Therese che si prendeva la briga di fare una telefonata per coinvolgermi in una simile attività non era tanto comune. Che fosse in realtà Stefan sotto mentite spoglie?

  • No, ti ho chiamato per avvertirti che prendo in prestito il tuo vestito color avorio – si interruppe un istante, pensierosa – Posso? -

  • Non vedo come potrei impedirtelo – ammisi.

In quel momento ero troppo sollevata all'idea che mia sorella fosse davvero la solita stronza acida di sempre e non fosse stata sostituita da un impostore per avercela con lei.

  • Comunque tu menti – buttò lì.

  • Riguardo all'impedirtelo? - feci, perplessa.

  • No, riguardo alla taglia quaranta – rispose lei.

Guardai Mark che, ancora a cavalcioni sopra di me, aspettava il via libera per riprendere da dove eravamo rimasti.

  • Ti sembra il momento? - le domandai, stizzita.

  • Ho avuto il tuo culo per tutto il giorno, ieri, e non è decisamente un culo da quaranta. Ad essere generosi, da quarantadue. - puntualizzò – Mi sembrava doveroso precisarlo -

  • Bene, ora che abbiamo stabilito che il mio culo è una quarantadue e che tu sei una colossale cagacazzo credo che questa telefonata possa considerarsi conclusa – tagliai corto.

  • Magnifico – commentò lei – Ah, comunque, potresti venire anche tu ad Hogsmeade, mi farebbe piacere. Voglio dire, dato che mi hai prestato il vestito invitarti mi sembra un buon ringraziamento. -

Scoppiai a ridere: Therese non avrebbe mai confessato di volere la mia compagnia senza cercare qualche scusa.

Io sarei cambiata, o perlomeno ci avrei provato, ma certe cose non sarebbero cambiate mai. Per fortuna.

Sorrisi aprendo il pugno e lasciando cadere nella sabbia il biglietto di Tom. Non avevo bisogno di stringerlo per credere in quelle tre parole sbiadite che il suo pugno aveva tracciato poco meno di un giorno prima.


Andrà tutto bene.



Niente anticipazioni per questa volta: l'Epilogo dev'essere una sorpresa!



L'ultimo appuntamento con i personaggi oggi prevede Draco e Astoria.


Alex Pettyfer as Draco Malfoy



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Ashley Olsen as Astoria Greengrass



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