Il viaggio d'Efestione
Troppo stanco per lottare ancora, chiuse gli occhi.
Lasciava di sé un ricordo che sarebbe soffocato nella sua ombra,
una moglie e un bambino che non sarebbero forse sopravvissuti a lungo,
e la lieve ironia di ciò che stava accadendo.
Se ne andava solo, bestemmiando tra i denti
poche imprecazioni rivolte a lui,
- le prime d'una intera vita
obnubilata da quell'adorazione -
e alla sua assenza lancinante come un coltello nel fianco.
Ma come mentire a se stessi, Efestione, come mentirsi
nell'ultimo istante?
Non era il dolore della propria solitudine
a strappargli bestemmie,
ma l'evidenza del futuro,
i suoi occhi colmi di lacrime, la pazzia che l'avrebbe travolto,
la ferita insanabile di quell'assenza
che non si sarebbe mai perdonato.
Così imprecava contro se stesso per non aver saputo aspettare,
contro gli dei per non avergli concesso un altro giorno,
e rivedeva il suo volto, sì, ancora una volta,
riviveva momenti,
ricordava sogni,
mondi costruiti insieme solo per sentirsi più vicini.
E amava, Efestione, nell'ultimo come nel primo istante,
servo e padrone del suo amore,
amava come una donna, come un fanciullo,
con più forza e più ardore di quanti ne avesse mai impiegato
in tutte le battaglie della sua vita.
E sapeva, Efestione, che non era una lunga attesa
quella che si profilava al suo orizzonte.
Avrebbe voluto dirgli che c'era tempo,
che non doveva aver fretta di raggiungerlo,
che il mondo non era pronto a fare a meno di lui.
Non poteva, tuttavia, e se pure avesse potuto
le sue parole si sarebbero perse nel vento.
Non c'era altro destino, per loro.
Loro stessi l'avevano creato.
Spazio autrice.
Speculare alla precedente, uguale il titolo, uguali le motivazioni. Per completare l'omaggio a loro due e all'amore.