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Autore: Keiko    20/04/2011    2 recensioni
“Vuoi capire cosa c’è di strano nella famiglia Black, Ninfadora? Io ti risponderei nulla. Ci sono solo tante scelte fatte e strade che hanno diviso persone legate dallo stesso sangue, questo si. Di sbagliato credo non ci sia nulla ma tu potrai trarre una conclusione differente dalla mia dopo aver visto tutto quel che voglio mostrarti.”
Ninfadora Tonks è al suo primo ad Hogwarts quando Lord Voldemort pare essere sconfitto dai coniugi Potter e il loro figlioletto essere sopravvissuto all’eccidio. Ninfadora è scettica ma per lei non è certo quello il problema: è sapere Sirius rinchiuso ad Azkaban ad indurla ad una lenta ma inevitabile metamorfosi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Nimphadora Tonks
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ninfadora era tornata la sera successiva nell’ufficio di Silente accolta dal grido di Fanny a cui aveva lisciato le piume vermiglie del petto fiero in risposta al saluto dell’animale.
“Tonks avvicinati. Quest’oggi voglio mostrarti forse l’ultimo istante sereno della vita di tua madre e le sue sorelle.”
“Di chi è questo ricordo?”
“E’ un ricordo neutrale, per così dire. Non appartiene a nessuno della tua famiglia. Possiamo andare quando vuoi.”
La ragazza si limitò ad avvicinarsi al Pensatoio e fissare il vapore lattiginoso che si sollevava da esso, sino a sentirsi precipitare avvolta da una spirale di gelo sino a cadere su di un pavimento ricoperto di pregiati tappeti circondata da maghi in vesti sontuose e sfarzose, eccessive nella ricercata opulenza vittoriana che li distingueva.
“Dove siamo professor Silente?”
“Al maniero dei Lestrange.”
La ragazza aveva sollevato lo sguardo sorpreso oltre le spalle di Silente, diretto alla figura aggraziata di sua madre che sedeva su di una comoda poltrona intenta a parlare con Rabastan.
“Andromeda hai un’espressione così triste! Ed è un giorno così lieto per noi che annunceremo il nostro fidanzamento…guarda Bella e Rodo come sono raggianti. Ancora una volta sono costretto a cedere loro la scena madre, ma presto potremo anche noi sfilare con sguardo fiero tra queste persone.”
La ragazza aveva sollevato lo sguardo su Rabastan studiando con il suo cipiglio curioso i lineamenti eleganti del suo viso, gli occhi smeraldini perfettamente incorniciati da folte ciglia scure. La somiglianza con Rodolphus era evidente e tuttavia c’era una sottile differenza tra i due che con gli anni si era accentuata. Rabastan aveva un volto disteso, persino dolce in certe espressioni che assumeva e il sorriso che si stendeva sul suo viso scavando sulle sue guance due piccole fossette lo rendevano attraente nonostante non avesse il fascino corrotto del fratello maggiore.
“Rabastan io voglio sposarmi per amore, non per denaro. Guarda Bella e Rodolphus. Loro si amano e in fondo si sono sempre amati ma io non voglio il giogo della mia famiglia stretto al collo. Io voglio essere libera.”
“Con me la sarai, Andromeda.”
Scosse il capo in un delicato gesto di diniego sorridendo malinconicamente al ragazzo che stringeva le sue mani nelle proprie.
“Lo sai anche tu che non sarebbe così. Sei il secondogenito della famiglia Lestrange credi che non dovremmo vivere in modo consono a quanto ci viene richiesto? Io sono stanca di un mondo all’apparenza perfetto e putrefatto all’interno.”
Rabastan allentò la stretta rabbuiandosi d’improvviso, accusando nelle parole di Andromeda il dissenso per ciò che loro stavano costruendo su sangue e terrore.
“Non lo capisci vero? Bellatrix è stata l’unica a fare questo passo e voi dove eravate mentre noi ricevevamo il Marchio Nero?”
Il viso di Rabastan era a pochi centimetri dal suo e poteva avvertire il profumo forte della sua acqua di colonia investirla con violenza, gli occhi smeraldini fissi nei suoi come se tentasse di leggerle nella mente.
“Rabastan non posso condividere ogni singola decisione delle mie sorelle. Le rispetto, ma ho il diritto di non condividerle grazie a Merlino! E se ti dico che non ti sposerò, così sarà. Non ho bisogno del vostro Signore Oscuro o di qualche causa crudele e sanguinaria per continuare a vivere. Perché io so apprezzare le piccole cose Rabastan, quando a te non bastano mai gli zellini che hai in tasca o i manieri che arredi con fasto quasi nauseante. Tu sei ricco e vivi da ricco, io sono una nobile in disgrazia e non mi resta che vivere la vita come più mi aggrada. E quello che voglio è vivere.”
“Sei pazza Andromeda! Ed io sono più pazzo di te perché ti amo.”
Era scoppiato in una risata forte che aveva attirato alcuni sguardi su di loro, tra cui quello di Severus che parlava sommessamente con Lucius e quello di Malfoy stesso, per poi strapparle un bacio e abbandonarla su quella poltrona come un giocattolo che aveva perso ogni attrattiva su di lui incurante del netto rifiuto che gli aveva palesato.
Lo odiava, ecco cosa provava ora per lui.
L’amore si era inevitabilmente trasformato in odio con il passare dei mesi e il dilagare di un morbo chiamato Lord Voldemort.
Se era stato Severus a strapparle i primi sospiri, Rabastan era stato quello che per primo le aveva fatto battere il cuore all’impazzata sin al loro ultimo anno ad Hogwarts.
Senza Rodolphus, Bellatrix e Lucius avevano condiviso la quotidianità scolastica insieme a Narcissa che avvertiva tra la sorella e il compagno di casa una complicità dalla quale a volte era esclusa e a cui guardava con invidia perché Lucius non l’aveva mai corteggiata così spudoratamente come Rabastan faceva con l’amata sorella.
Andromeda aveva curato le ferite di Rabastan nelle notti in cui furtivamente sgusciava fuori da Hogwarts per prestare i suoi servigi al Signore Oscuro e le narrava le gesta e i risultati delle maledizioni senza perdono che utilizzava, descrivendo divertito l’agonia della tortura o l’ingenuità della condanna alla possessione.
La ragazza si limitava a non dirgli nulla, a sospirare e scuotere la testa e lui l’attirava dolcemente a sé giocando affettuosamente con ciocche ribelli dei suoi capelli ridacchiando maliziosamente.
“Perché ti comporti così?”
“E’ divertente vederli tremare e piangere, implorare perdono. Ti senti un dio, Andromeda e puoi giocare con la loro vita come meglio ti aggrada: umiliandoli, torturandoli o uccidendoli semplicemente.”
“Sei crudele, Rabastan.”
In quei momenti lui la baciava sempre con dolcezza come se quel contatto potesse liberarla dal disgusto e dall’orrore, come se l’amore fosse più grande della razionalità in una donna come Andromeda. Aveva così sopportato in silenzio le notti passate ad attenderlo ritornare vivo ad Hogwarts tra il sollievo per averlo ancora accanto a sé e la rabbia per vederselo portare via da ondate sempre più forti di follia. A poco a poco l’amore si era trasformato in pietà e poi in disprezzo ed infine in qualcosa di vagamente simile all’odio. Rabastan non era come Bella, riusciva ancora ad amare qualcuno che non fosse un Mangiamorte e riusciva ancora a vedere il mondo con la spensieratezza dei suoi vent’anni cadendo inevitabilmente con l’emulare Rodolphus così come Regulus aveva seguito la strada della perdizione nonostante le grida quasi isteriche di Andromeda e le lacrime silenziose di Narcissa coronassero l’ennesimo tassello familiare annientato dai vortici della vita, nel disperato tentativo di trattenerlo cercando di non perderlo come già avevano perso Sirius e Bellatrix già apertamente schierati su due fronti opposti. Ma era accaduto anche a Regulus di cedere alle lusinghe dell’Oscuro Signore che li adulava ed avvolgeva con sensualità tra le proprie spire le loro brevi vite, annichilendoli con parole carismatiche e rendendoli schiavi di un marchio che mai si sarebbero lavati via.
Andromeda era rimasta al proprio posto osservando con la fierezza di una madre Narcissa, perfetta nel suo abito di fine organza al fianco di Lucius stretto in un elegante smoking bianco che gli conferiva un aspetto ultraterreno in contrasto con la sua natura cinica e calcolatrice. Accanto a loro vi erano poi Bellatrix e Rodolphus di una bellezza che faceva male tanto era opprimente il carisma che la sola presenza di entrambi emanava. Lei non c’entrava nulla in quel posto. Avrebbe dovuto festeggiare il proprio fidanzamento ufficiale con Rabastan ma la cosa più naturale che le riuscisse in quel momento era piangere.
Versare lacrime salate per Bella e Rodo, per Narcissa e Lucius, per Rabastan e Regulus e Severus e persino per sé stessa, circondata da purosangue sprezzanti che disprezzavano ciò che non ritenevano alla loro altezza disposti a sacrificare ed immolare qualsiasi innocente si parasse sulla loro strada in nome di un dio chiamato sogno. Severus si sera staccato silenziosamente dal gruppo e le si era avvicinato sedendosi accanto a lei.
“Sei così felice da dover piangere, Andromeda?”
“Se fossi felice danzerei a piedi nudi sull’erba intrisa di rugiada, Severus. Vedo solo un destino funestato da morte e disperazione per noi tutti…quale disgraziata generazione siamo diventati?”
“Tu puoi ancora fuggire, lo sai. Niente ti lega a Serpeverde e ai Mangiamorte e ancora puoi scegliere cosa fare della tua vita.”
Lo sguardo di Severus vagava per l’ampio salone senza posarsi mai su di lei. Doveva essergli costato un grande sforzo sedersi al suo fianco e parlarle in quel modo.
“Perché mi parli così?”
“Puoi essere felice anche per loro. Siete come la pozione del Requiem…esso è un potente veleno, per questo possiede questo nome. Ha come composti, tra gli altri, oro, arsenico e mercurio. Così siete anche voi, Andromeda. L’innocenza di Narcissa, la fierezza venefica di Bellatrix e la tua saggezza unite possono uccidere qualsiasi uomo. Anche prese singolarmente siete riuscite a soggiogare i rampolli della nobiltà senza dover fare nulla. Bellatrix e Narcissa hanno assecondato il proprio cuore e vostro padre. E tu?”
Andromeda aveva stretto convulsamente le balze dell’ampia gonna tra le mani sino a renderne livide le nocche sforzandosi di trattenere le lacrime che non avrebbe mai voluto versare davanti a Severus.
“Ho amato Rabastan con la devozione di una moglie e tuttavia con la stessa intensità ho iniziato a guardarlo con disprezzo. Io amo la vita e desidero amare un uomo che non sia un latore di morte. Io voglio essere Andromeda senza più cognomi importanti a cui essere vincolata.”
“Al mondo c’è un posto per ognuno di noi, Andromeda. Cercherai il tuo?”
Severus aveva le mani strette in grembo poggiate sulle ginocchia assumendo una posizione leggermente ricurva in avanti e aveva deciso di guardare Andromeda negli occhi per la prima volta dopo anni di sfuggevoli conversazioni.
“Lo troverò Severus. Ti ringrazio.”
Gli aveva stretto la mano nella propria in un sincero gesto d’affetto e si era avviata verso Rabastan con una regalità che Ninfadora non ricordava di averle mai visto.
“Rabastan tu hai scelto il tuo destino, ora desidero andare incontro al mio.”
“Cosa vorresti dire? Diventerai la signora Lestrange e…”
“Bella sarà un’ottima signora Lestrange. Il mio posto non è in una tenuta a contemplare orizzonti sconfinati né a trattenere il fiato ogni notte in attesa del ritorno di mio marito. Il mio posto è in un luogo ove sentirmi a casa.”
“Andromeda hai passato qui le tue estati, i tuoi inverni e ogni attimo che potessimo trascorrere insieme!”
“Rabastan io ti ho amato senza pari ma quell’amore sconfinato è scivolato via da me e non è rimasto nulla di ciò che c’era prima. Solo una grande tristezza.”
“Riesci a fare la saputella anche in una situazione del genere?”
“E’ facile perdersi, Rabastan. Tu ritroverai la strada verso casa?”
“Sei pazza, Andromeda. Sei completamente uscita di senno.”
Le aveva stretto la mano destra nella propria strattonandola a sé ed attirando l’attenzione dei presenti su di loro, ma ormai era troppo tardi per fermarla poiché Severus aveva reciso le corde che la tenevano prigioniera ed ora Andromeda esigeva di poter librarsi in volo nel cielo della vita.
“Cosa succede Rabastan? Andromeda?”
La voce di Bella era acuta e quasi stridula, priva del controllo che era solita manifestare.
“E’ finita Bella. Io non sposerò un uomo che voi ritenete adatto a me. Sposerò un uomo che mi ami per quello che sono.”
“Una povera illusa?”
Bellatrix le si stava avvicinando minacciosamente a grandi passi, mentre Narcissa si era aggrappata convulsamente al braccio di Lucius trattenendo il respiro e Rabastan aveva inavvertitamente allentato la presa sulla donna che amava, intimorito dalla furia che si era dipinta sul volto di Bellatrix e che avrebbe imparato a riconoscere in futuro come un chiaro segno della sete di sangue che si sarebbe impossessata di lei facendola apparire come una novella Erinne pronta a perseguitare ogni nemico di Lord Voldemort.
“Non sono un burattino nelle tue mani, sorella ed io il mio posto non è al maniero dei Lestrange. Io qui sono una pedina posta a caso sulla vostra scacchiera ma non sono sacrificabile.”
“Sei una stupida, Andromeda. Sei sempre stata una mocciosa di belle speranze ma la vita è quella che hai davanti non una copia di qualche stupida leggenda romantica!”
“Sono io a decidere cosa fare della mia vita. E se volessi passare il resto dei miei giorni nella foresta dei Giganti lo farei.”
L’attenzione degli invitati era calamitata sulle splendide donne che, in piedi l’una di fronte all’altra, si fronteggiavano in un duello che avevano rimandato in anni di adolescenza vissuta all’ombra di una precaria pace dettata dal legame di sangue e non da un vero ed effettivo amore.
“Disprezzi così tanto ciò che siamo? Nelle tue vene scorre il mio stesso sangue, Andromeda! Non potrai lavartelo via di dosso e resterai legata alla famiglia Black sino alla tua morte.”
“Sei patetica Bella. Continui a vivere la tua vita immolandoti ad un sogno! Questa è la vita non una realtà che puoi plasmare a tuo piacimento.”
Bellatrix era scoppiata nella sua alta risata, ricacciando indietro la folta chioma corvina libera da nastri ed acconciature complesse e ricercate.
“Parli tu di sogni? Parli tu di vita, quando nemmeno sei riconoscente ad un uomo come Rabastan? Chi mai potrebbe averti voluto per moglie?”
Andromeda aveva stretto i pugni lungo i fianchi inspirando profondamente cercando di mantenere un contegno che sua sorella aveva già perso.
“Quale differenza potrà mai fare essere una Lestrange o non esserlo, Bellatrix?”
“Se tu non la diventerai sarai alla stregua di una bastarda mezzosangue per me, Andromeda. Rifiutare Rabastan significa rifiutare Rodolphus e quindi, me.”
“E sia Bellatrix. Vivi la tua aristocratica vita come sacrificio di Lord Voldemort, io vivrò a modo mio.”
“Come osi!”
Bellatrix le si era avventata addosso ma Andromeda aveva velocemente estratto la propria bacchetta dalle balze dell’ampia gonna a ruota schiantadola poco lontano.
“Bada bene, Bella. Il marchio che ostenti con tanta fierezza è uno stupido marchio sacrificale. E quando ad uno ad uno verrete immolati ad una causa che non sentirete più vostra, io sarò a piangere per ognuno di voi. Addio.”
Narcissa aveva emesso un grido stridulo accasciandosi a terra mentre Bellatrix batteva i pugni a terra come una bambina a cui hanno strappato una bambola. Severus era rimasto impassibile alla scena mentre Rodolphus e Lucius tentavano di salvare una festa inevitabilmente compromessa. Rabastan era stato l’unico ad uscire nella notte invernale ad osservare la neve cadere fitta dal cielo plumbeo. Andromeda adorava la neve, gli aveva confidato che sotto ad essa si sentiva protetta perché i suoni venivano attutiti e tutti desideravano fare silenzio per udire il suono dei fiocchi di neve che cadono al suolo. L’unico silenzio che avvertiva ora Rabastan era quello del proprio cuore che aveva cessato di battere, a cui aveva risposto con un grido innalzato ad un cielo muto e spietato che continuava a piangere lacrime di cristallo.
Andromeda aveva salvato Severus ma inevitabilmente condannato Rabastan all’inferno fuggendo da una società che già l’aveva ripudiata come una reietta alla stregua di Sirius.

Ninfadora si rese conto di piangere solo quando le lacrime avevano iniziato a gelarsi sulle sue gote per poi asciugarsi con il calore dello studio di Silente.
“Perché è accaduto tutto questo?”
“E’ stato l’inizio di tutto e dove tutto prima o poi si concluderà.”
“Io…vorrei riposare ora.”
Silente aveva annuito e l’aveva lasciata andare verso la propria casa. I pensieri le si accavallavano nella mente, affollandola di volti e grida e disperazione di adulti che in quei ricordi erano suoi coetanei.
Mai avrebbe immaginato un simile destino per coloro che amava o aveva amato. Conoscere il lato crudele di Sirius o la dolcezza di Narcissa l’avevano turbata. Lei era la consacrazione vivente della libertà di Andromeda e più rifletteva più si faceva opprimente il desiderio di abbracciare sua madre e manifestarle tutto il suo affetto come se non fossero mai bastati i taciti consensi a lezioni noiose e le passeggiate mano nella mano per le strade babbane alla scoperta di un mondo sconosciuto che aveva imparato ad apprezzare per le sue stranezze.
Si sentiva stupida e gli occhi pesanti le bruciavano fastidiosamente ma era sua madre che voleva in quel momento come una bambina timorosa di qualche notturno mostro, maturando inconsapevolmente il senso di ribellione che aveva contraddistinto Andromeda e gli anni che d’improvviso l’avevano separata dall’età dell’adolescenza a quella adulta, segnando inevitabilmente la nascita della nuova Ninfandora. Quella che si era manifestata negli ultimi tempi ora brillava e richiamava la sua attenzione con insistenza, circondata da un’aura dorata che sarebbe diventato il vessillo sotto cui avrebbe combattuto.

“E’ giusto Albus?”
Minerva McGrannit sedeva di fronte al canuto preside di Hogwarts, le mani strette tra loro e lo sguardo acuto che non abbandonava mai la figura dell’uomo che le dava le spalle scrutando il cielo ricolmo di stelle.
“E’ comprendendo il proprio posto all’interno del Mondo che si forgia un mago, Minerva.”
“Le hai mostrato l’adolescenza di sua madre…a cosa può servirle?”
“Ad esorcizzare il mito di Sirius e vedere al di là della semplice apparenza, cogliere la sottile linea che separa il bene dal male, l’eroe dal semplice combattente. Ninfadora è distratta, allegra, spensierata e terribilmente goffa. Ma ha un cuore puro ed una grande intelligenza. Comprenderà il valore di tutto questo tra qualche anno forse, ma lo comprenderà prima o poi. E quando otterrà le risposte che cerca forse nemmeno sarò più su questa terra. Ma è giusto che lei sappia cosa ha distrutto la famiglia Black.”
“Mi fido delle tue decisioni, Albus.”
“Ti ringrazio Minerva.”
Silente giocava con un’ampolla di liquido nebuloso dondolandola stancamente dinnanzi a sé. Era solo l’inizio di una tregua, non una pace duratura. Presto o tardi Lord Voldemort sarebbe tornato e allora sarebbe stata di nuovo guerra. Sangue dello stesso sangue a distruggere vicendevolmente la vita di chi un tempo era amico, dolore e disperazione, rabbia e rancore. Ci sarebbe stato spazio anche per l’amore ma non avrebbe mai compensato il piatto della bilancia che oscillava fiaccamente all’estremo più alto della libbra della vita, mentre il peso schiacciava prepotentemente verso il basso dal lato che raggruppava i sentimenti che spingevano alla Guerra. Eppure, per un istante risultato fatale, in quella notte funestata da inganni e morte, l’amore aveva spinto con furia cieca verso il basso il piatto della Pace facendo volteggiare nell’aria gli opprimenti pesi adagiati sul piatto della Guerra facendo si che occorressero di nuovo anni per fomentare malevoli sentimenti.
   
 
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