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Autore: I Camminatori dei Sogni    22/04/2011    0 recensioni
Il forum i Camminatori dei Sogni presenta la prima Chain Novel su La Ruota del Tempo, una via di mezzo tra fanfiction e Gioco di Ruolo scritta a più mani.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono nuovi personaggi creati dai giocatori/autori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico, ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte seconda]

Merian Elen Syana

Le strade della città erano deserte a quell'ora della notte, e le case erano buie e prive di vita. Talvolta si poteva scorgere un'ombra in lontananza ma a un secondo sguardo era già svanita: raramente le persone si fermavano a parlare infatti, e quando lo facevano era solo per pochi istanti. Molti avevano visi sconosciuti, persone incontrate una sola volta e mai più riviste, altre con un viso familiare ma che non perdurava nella memoria. Sembrava si trovassero tutti lì per caso, come se in realtà dovessero, e volessero, essere da un'altra parte.
C'era un uomo però, un uomo alto e con il viso in ombra la maggior parte del tempo, che era spesso presente negli ultimi mesi.
Niende non sapeva chi fosse o da dove venisse ma era sempre in quel luogo che lo incontrava, e generalmente preferiva una locanda per parlare con lei.
Era là che stava andando adesso.
Con un senso di urgenza che non riusciva a comprendere, arrivò alla ormai familiare piazza con al centro una statua che doveva essere stata una donna in tempi migliori, l'attraversò e si preparò ad entrare nella locanda. Poco prima di aprire la porta, però, si fermò per un momento ad osservare l'abito che indossava.
Era un bel vestito, di seta blu con un ricamo dorato sulla scollatura profonda e una cascata di merletti che scendeva con grazia dai polsini che le coprivano le mani, curate come non lo erano mai state.
Era un vestito degno di una nobile, e lei si sentiva una stupida per averlo indossato, ma non poteva farci nulla, quell'uomo la faceva comportare in modo strano. Cercando di assumere una postura fiera, aprì la porta e entrò.
L'aria all'interno era calda per via di un piccolo fuoco acceso in un camino nella grande sala comune.
Non c'erano avventori, solo una figura ammantata che fumava la sua pipa, seduta nell'angolo più remoto e buio della stanza.
Niende si diresse verso di lui, e con un piccola riverenza - non di certo adatta a una nobile - lo salutò.
L'uomo non disse nulla ma la fiamma nel cannello della pipa illuminò per un momento il suo viso, e la donna poté vedere che sorrideva. Era durato poco più di un battito ma le era bastato a mandarle in subbuglio lo stomaco. Come poteva farle quell'effetto un uomo che non sapeva nemmeno che faccia avesse Niende non se lo spiegava, ma quel sorriso la riscaldava e questo le bastava.
Sorridendo a sua volta la donna si sedette di fronte a lui e l'uomo si allungò per prenderle la mano, togliendosi la pipa di bocca per parlare.
«Il momento sta per giungere, non puoi più aspettare. Spogliati di quello che sei e indossa la tua vera natura.»
Lei rimase per un attimo sconcertata, non le aveva mai parlato in quel tono ansioso, e non di certo con parole così arcane, ma non ebbe il tempo di ribattere perché un bruciore improvviso le fece ritirare di scatto la mano: le era caduta sul dorso una parte del contenuto della pipa. Mentre se lo massaggiava, sentì una voce di donna che la chiamava, prima debolmente, poi sempre più forte, fino a quando sembrava l'unica cosa presente, mentre l'uomo invece era sempre più distante.

«Ragazza, ragazza svegliati, o farai tardi all'orazione!»
Niende aprì gli occhi appesantiti dal sonno e le ci volle un po' per rendersi conto di dove si trovava.
Un'altra volta, pensò con rammarico, era solo un sogno…
La luce dell'alba filtrava fievole dalle sbarre della cella che fungeva da stanza, e la ragazza si alzò con una strana sensazione. Era sempre così quando si svegliava da quei sogni che sembravano tanto reali.
Tutto era cominciato qualche mese fa, quando per la prima volta aveva incontrato quell'uomo, e da allora non faceva altro che sognare quella piazza, quella locanda e quello sconosciuto ad attenderla al suo interno.
A volte non c'era, altre volte lo vedeva di sfuggita in un villaggio attraversato da un fiume, oppure passeggiava con lei per le strade buie di qualche città morta da tempo, ma in questi casi si teneva sempre a distanza, mai disposto a fare vedere il suo viso.
Quell'uomo era al tempo stesso gioia e dolore e quei sogni lo stesso.
Doveva andare a parlare immediatamente con un Illuminato e purificarsi.
«Hai intenzione di restare fissa come una statua ancora per molto?» La voce di Larin giunse come una secchiata d'acqua fresca, l'aveva completamente dimenticata.
«Ho solo avuto un brutto sogno, mi preparo subito.»
Fece per alzarsi ma l'altra donna la interruppe.
«Cos'hai lì? Alla mano.»
Niende sconvolta osservò il dorso della mano destra - istintivamente aveva alzato la mano che era stata scottata nel sogno - e soffocò appena un singhiozzo spaventato.
Si alzò di scatto dal letto e si avvicinò al bacile d'acqua per lavarsi, dando così le spalle all'altra donna, che l'osservava con interesse e preoccupazione.
«Non è nulla Larin, mi sono bruciata ieri sera con una candela, ero così stanca che sono andata a dormire senza metterle niente sopra. Rimedierò subito.»
«Ah voi giovani! Non vi preoccupate abbastanza, sempre con la testa fra le nuvole. Se non avete il minimo rispetto per voi stessi, come potete pensare di averlo per gli altri...» La donna continuò a predicare come faceva tutte le mattine, lamentandosi dei giovani e la mancanza di disciplina, di quanto le cose andassero bene ai suoi tempi.
Era diventata la sua compagna di cella da un anno ormai, quando la sua amica di sempre aveva pensato bene di unirsi ai Ribelli scappando nella notte come una furfante. Senza dubbio era stata aiutata, e sapere che qualcuno poteva penetrare le difese dei Manti Bianchi così facilmente le procurava sempre un brivido lungo la schiena. Eleanor era stata una brava amica e le aveva voluto bene come a una sorella, fino a quando non era passata all'Ombra. Non la odiava, non poteva, ma per lei era morta e sepolta, chiunque rinnegasse la benedizione della Luce non meritava compassione e nemmeno di essere ricordato.
Niende era persa nei suoi pensieri, mentre Larin continuava a parlare, preoccupata com'era di quello che le era appena successo. Mise un unguento sulla mano e vi avvolse attorno una benda, il tutto sotto l’attento cipiglio di Larin, si vestì in tutta fretta - non ci voleva molto a mettere un abito sgualcito che somigliava più a un sacco - salutò la donna con un inchino e si avviò fuori verso il Tempio.
Ishamera brulicava di gente già a quell'ora presto. Erano per lo più lavoratori come lei che si recavano all'orazione mattutina. Molti di loro camminavano a testa bassa, non ancora convinti che la loro condizione fosse migliorata, e si trascinavano per le strade assolate come anime immerse in una profonda pena.
I lavoratori però non erano i soli a vagare per le strade: oltre alle guardie dei Manti Bianchi c’erano infatti anche gli Incanalatori schiavi che venivano usati per la Luce, sebbene questa non fosse una cosa approvata da tutti. Questi ultimi si riconoscevano per via del tatuaggio che avevano su una guancia, il sole dei Manti Bianchi oscurato dall'Ombra del Potere.
Il Marchio dei Traditori, così veniva chiamato, era stata una mossa astuta da parte del Signore Capo degli Illuminati. Un secondo tradimento da parte di questi Incanalatori era in questo modo di sicuro scongiurato, nessun Ribelle infatti lo avrebbe accolto tra le proprie fila.
Questo accorgimento era stato reso indispensabile quando uno dei Traditori, durante uno scontro in un villaggio, era insorto contro i suoi ufficiali uccidendo almeno tre persone prima di essere abbattuto.
Il Signore Capo, nella sua misericordia, aveva concesso agli Incanalatori la possibilità di camminare nella Luce, e non aveva chiesto altro in cambio se non che lavorare per la Luce stessa scovando altri loro simili.
A nulla era servito prendere sotto la propria ala i familiari di questi uomini e donne, evidentemente la loro salute non era una motivazione abbastanza forte per questi Traditori, mentre il Marchio invece faceva il suo effetto. Tatuaggio o meno, i Manti Bianchi, nella loro grandezza di cuore, continuavano a prendersi cura delle famiglie dei Traditori, che Niende guardava con disprezzo mentre passava davanti a loro entrando in chiesa.
Quello che più odiava in quelle persone non era la capacità di incanalare - in fondo anche lei era stata contaminata - ma la mancanza di dignità, non aver avuto abbastanza forza per convertirsi totalmente alla Luce e rimanere invece con due piedi in una staffa.
L'unica cosa positiva è che almeno erano utili alla causa.
Lasciandosi i Traditori alle spalle, entrò al Tempio pronta ad ascoltare con passione la prima omelia della giornata.



Mabien Asuka

L'idea di abbandonare la città in quel momento non era nemmeno da prendere in considerazione: le guardie ai cancelli avrebbero sospettato di lei in una situazione normale, figurarsi se si fosse presentata conciata in quel modo, da sola e senza una scusa vagamente plausibile per viaggiare di notte. Inoltre aveva assolutamente bisogno di curarsi: sentiva il sangue rapprendersi tra la ferita e i vestiti, provocandole dolore ad ogni movimento.
Ragionando velocemente si rese conto che nessun posto le avrebbe garantito completamente la salvezza, anche perchè non sapeva cosa fosse accaduto a Krooche: l'aveva sentito combattere prima di perdere i sensi, il che poteva significare che era stato arrestato e che lei era ricercata... ancora una volta.
Le sue gambe si mossero quasi da sole verso la sola valida alternativa contemplabile: odiava quell'imponente edifico squallido nel suo stucchevole perfezionismo esteriore, ma arresasi all'idea che la Signora Hari in quel momento fosse l'unica persona che le potesse offrire un rifugio e una via di fuga l'indomani, ci rientrò. Erano passati circa quattro anni dall'ultima volta che aveva percorso quel corridoio dalle pareti sgargianti, pensava di essere molto più forte ora e invece provò ancora la stessa sensazione di vergogna e paura della prima volta: quel luogo la faceva sentire piccola e indifesa ora come allora, ora si trattava di abiti imbrattati di sangue e forse un ordine di arresto col timbro dei Figli della Luce, allora erano i capelli quasi rasati che la identificavano come una schiava incanalatrice nella città da cui era appena fuggita, Kerine. Alla porta della Signora Hari c'erano due energumeni, come sempre
«Potete riferire che Lamya», questo il nome con cui si faceva chiamare «desidera incontrare la Signora Hari?»
Una delle due guardie scomparve dietro la porta, per uscirne di nuovo poco dopo, facendo segno a Mab di entrare. Hari era sempre la stessa, sicuramente da giovane era stata bellissima e forse anche ora sarebbe stata una donna piacente, se solo avesse ammesso a sè stessa la propria età e avesse quindi evitato di nascondere disperatamente le rughe dietro una spessa maschera di poltiglie dai colori innaturali che la rendevano ridicola, quando non addirittura mostruosa. L'espressione sul suo volto era strana e non solo per il trucco pesante: non che Mab si aspettasse un comitato di benvenuto da parte sua, ma quello che attraversò il volto della donna alla vista della ragazza fu una rassegnata tristezza. Ma poi sorrise, si levò dalla sedia e aggirò la scrivania per andarle incontro.
«Lamya, speravo che non ti avrei più rivista qua dentro»
«Era quello che speravo anch'io, ma sei la sola che possa aiutarmi adesso» e scostando leggermente gli abiti, mostrò la macchia di sangue che si era allargata nella sottoveste.
Hari spalancò gli occhi e la prese dolcemente per un braccio scortandola nel retro «Cos'è successo?»
«Non farmi domande a cui non potrei rispondere. Ho bisogno di cure, abiti puliti e un modo per lasciare la città al più presto»
Sul volto della donna anziana apparve di nuovo quella fugace espressione triste mentre annuiva e apriva la porta da cui si accedeva alle sale da bagno: era una zona surreale per un posto come quello, coi suoi rivestimenti in marmo e le decorazioni in porfido bianco, ma era una tappa irrinunciabile per i più bigotti clienti delle ragazze di Hari che qui si purificavano il corpo dopo aver usufruito del servizio che da decine di anni quella casa offriva, con ufficioso beneplacito della Confederazione. Dopo aver controllato che non fosse già impiegato da qualcuno, la donna entrò portando Mab con sé e facendola poi distendere su una sorta di triclinio ricoperto da piccole tessere di ceramica debolmente colorata di celeste.
«Spogliati» le disse mentre riempiva d'acqua un paio di secchi.
Il sangue, che si era seccato attorno al taglio, si scrostò man mano che Mab vi staccava gli abiti che ci si erano appiccicati sopra: per quanto lo facesse lentamente, il dolore era atroce. Quando Hari tornò con acqua, teli, ago, filo e una tintura disinfettante, la ragazza ancora non era riuscita a togliersi tutto: facendole fare un grido che rimbombò nel silenzio della sala, la donna le strappò letteralmente di dosso ogni indumento che si trovava ancora sulla ferita. La pulì e le tamponò il taglio con un telo bagnato per arginare l'emorragia, poi vi passò la tintura prima di ricamarle qualche punto di sutura in diagonale sinistra sopra l'ombelico.
«Sei stata fortunata: hai fatto arrabbiare qualcuno piuttosto scarso ad usare le lame.»
Mab, la mascella ancora indolenzita per lo sforzo di sopportare il dolore senza gridare, sollevò appena la testa per guardare Hari stupita
«Davvero, è solo un graffio» proseguì la donna non più giovane «sanguina tanto, ma non è niente. Peccato che rimarrà un brutto segno su questo bel corpicino, eri una delle mie ragazze migliori» sorrise brevemente e continuò «Rimani qui, vado a prendere una cosa» e si incamminò verso la porta da cui erano entrate poco prima.
Mab si sfiorò la ferita con le dita. Solo un graffio. Krooche non era affatto inesperto con le lame: non l'aveva voluta uccidere di proposito, perchè? Aveva ucciso altre donne che avevano ricoperto il suo ruolo prima di lei, non appena gli erano diventate scomode, lo sapeva, come sapeva che sarebbe potuto toccare a lei in qualsiasi momento. A stupirla era quindi il fatto di essere viva, anzi... di essere stata salvata. Sospirò ricacciando dubbi a cui si era sempre rifiutata di dar fondo, senza accorgersi che intanto Hari era tornata, scortata dalle due guardie che aveva incontrato all'ingresso. Quando uno dei due la sollevò in braccio, pensò che col passare degli anni la sua vecchia datrice di lavoro si fosse addolcita al punto da riservarle questa premura per accompagnarla a letto, ma quando la donna disse «Lamya, mi dispiace», Mab capì che non era affatto una cortesia. Resistendo al dolore, cercò inutilmente di divincolarsi dalle braccia dell'uomo.
«Non rendermi le cose più difficili di quanto già non lo siano».
Mentre una delle guardie la teneva ferma, l'altro la legò al letto, poi fecero spazio per lasciare che Hari si potesse avvicinare. La donna aprì una busta il cui sigillo col Sole dei Manti Bianchi era già stato spezzato, ne estrasse un foglio e glielo mostrò
«Lo conosci?»
Non era firmata, ma riportava su cera rossa lo stemma personale di Graham, tre spighe di grano intrecciate e circondate da un serpente. Spesso era venuto qui a prendere Mab per portarla dal suo capitano, avrebbe dovuto pensarci che questo sarebbe stato il primo posto in cui lui l'avrebbe cercata.
Hari ritrasse il messaggio e lo guardò tristemente «Me l'hanno portata non più di due ore fa e solo la Luce sa quanto ho pregato che non saresti venuta davvero.»
«Hari ti prego, non puoi farmi questo» il panico stava prendendo il sopravvento mentre realizzava che l'ultima speranza stava svanendo. Fissava l'altra donna con occhi sgranati, senza trovare parole che non fossero miserabili quanto inutili suppliche.
«Tesoro, mi fa male» disse l'anziana poggiando una mano sul volto di Mab «ma se i Figli della Luce ti stanno cercando qui, sanno che è qui ti troveranno e sai meglio di me che se è quello che si aspettano, non accetteranno scuse. Non voglio sapere in che cosa ti sei cacciata, tanto so che non te ne potrei tirare fuori, ma se ti può essere d'aiuto, leggila» e le diede la lettera.

A nome e per conto della Confederazione dei Figli della Luce, comunico quanto segue:
ho ragionevolmente motivo di pensare che Lamya Jabar verrà a cercare il suo aiuto nelle prossime ore. La Confederazione dei Figli della Luce le ordina di trattenerla anche con la forza in luogo sicuro e privato fino a diverso comando, senza farne parola con nessuno. Accetterà altri ordini in merito al soggetto solo ed esclusivamente dal mittente di questa lettera, che riconoscerà dall'anello con cui porrà suo personale sigillo in calce. Nessun'altro dovrà in alcun modo essere messo al corrente di quanto qui riportato.
La Confederazione dei Figli della Luce è certa della sua devota obbedienza.

Il panico aveva preso il sopravvento su Mab, che ora giaceva paralizzata sul letto tra stanchi singhiozzi di pianto. Non poteva nemmeno prendersela con Hari: la costernazione del suo sguardo era sincera, in nessun modo si sarebbe potuta opporre al volere dei Figli della Luce, lei più di ogni altro comune suddito cittadino, lei che gestiva un'attività retta dal capriccioso compromesso tra vizi irrinunciabili di molti e l'immacolata reputazione di tutta la Confederazione.



Siadon

Aveva freddo. Per quanto la sua mente fosse addestrata ad ignorarlo, sapeva bene che il corpo umano non poteva resistere per molto a quelle temperature. Doveva rientrare ma non riusciva a distogliere lo sguardo da ciò che lo circondava. Adorava il monastero di De’domorashi e non lo considerava semplicemente casa sua. Sentiva che quelle mura, aggrappate alla rocciosa cima del monte Kiend, erano parte del suo essere. Quelle spesse mura alle quali era appoggiato gli raccontavano di altre vite simili alla sua, appartenute a fratelli e sorelle scomparsi da prima che lui nascesse ma che era certo di conoscere intimamente. Divagava sempre tra mille pensieri simili quando si affacciava su quel balcone. Poteva vedere buona parte di Hirlomap, il paese costruito oltre duemila metri più in basso ai piedi di quella montagna. Scendere con lo sguardo fino all’altopiano di Kiendger e nei giorni più limpidi raggiungere le coste del grande mare interno. Oppure perdersi nel labirinto di picchi, valichi, pascoli e valli circostanti fino a diventarne parte, dimenticando tutto il resto. Quella notte lo spettacolo era ancora più intenso. Hirlomap era coperto da nubi temporalesche, illuminate da una luna piena e candida al centro di una limpida volta stellata. Periodicamente un bagliore si scatenava tra le nuvole sottostanti, seguito dopo un lungo periodo dal lontano boato. Alcune volte i lampi rimanevano in qualche modo intrappolati, correndo impazziti senza riuscire a toccare terra, altre poteva scorgere come delle piccole fontane di luce salire dalle nubi.
Osservò le proprie mani chiuse attorno ad una coppa di porcellana finissima, comprata anni prima nel porto di Dobied. Si rese conto di non percepire da tempo il calore del liquido contenuto. Vedendo il sottile strato di ghiaccio formatosi sulla superficie dell’infuso, decise che doveva davvero rientrare. Non prima di un’ultima lunga occhiata a ciò che lo circondava comunque, alle pareti che scendevano a picco fino a scomparire tra le nubi, ai lampi, alla luna ed alle stelle. In quel luogo il confine tra vita e morte era sottilissimo, in realtà quasi inesistente. I pellegrini che raggiungevano De’domorashi, sempre meno con il passare degli anni, attribuivano il senso di pace alla profonda spiritualità dei residenti ma la realtà era ben diversa. Lui ed i suoi cari erano stati maledetti dalla nascita, corrotti dal Potere fin dal loro primo istante di vita, senza possibilità di redenzione. Dimenticati dalla Luce si erano rifiutati di abbracciare le tenebre che portavano nell’anima. Consci di non potersene separare avevano deciso di usarle contro l’Ombra stessa, diventando demoni cacciatori di demoni, dannati assassini di dannati. Quello che i pellegrini percepivano come pace e spiritualità era, in fin dei conti, la morte stessa.

Posò la coppa vicino al caminetto acceso, sentendo il calore filtrare attraverso la pesante tunica grigia che indossava. Ogni rientro al monastero doveva seguire una rigida procedura, sospesa tra tradizione e necessità. Sarebbe rimasto in isolamento nelle sue stanze, indossando solo quelle tuniche, fino a che gli interrogatori non sarebbero finiti. Ne aveva sostenuti già alcuni dal suo arrivo, ogni volta diversi suoi cari l’avevano scortato in una stanza, ponendo domande sull’ultima missione e indugiando sui dettagli delle sue azioni e dei suoi sentimenti. Ovviamente aveva risposto in modo sincero senza nascondere nulla, in caso contrario probabilmente sarebbe già stato ucciso. Riteneva il meccanismo affascinante, lui stesso aveva posto quelle domande ad altri suoi simili appena tornati. Non serviva solo a smascherare i traditori, certo quello era uno scopo importante ma aiutava anche i fratelli e le sorelle a condividere le proprie colpe e le proprie paure. Ogni interrogatorio alleggeriva la coscienza dell’interrogato, lo faceva sentire tra simili in grado di capire le sue azioni ed i suoi pensieri. Missione dopo missione, rientro dopo rientro, i legami tra i membri diventava sempre più forte mentre quelli con il mondo esterno sempre più deboli fino a sparire, completamente tagliati dalla certezza di non poter più essere capiti o anche solo accettati dal resto della popolazione.
Bussarono di nuovo alla sua porta e poco dopo entrò Gurlav, un anziano che gli aveva insegnato molte cose sulle erbe e sui veleni che si potevano ricavare da esse.
«Bentornato Fratello», non era mai stato un uomo loquace e quelle parole erano quanto bastava per porre fine agli interrogatori, ora era davvero a casa.

«Non ti arrendi facilmente» commentò Gurlav vedendo la coppa vicino al fuoco, scaldandosi le mani mentre Siadon si cambiava d’abito. «Quanti sono, dieci anni ormai? E quali risultati?»
I veleni rappresentavano uno dei pochi argomenti in grado di farlo parlare con tanto interesse, «Dodici, ora posso reggere quasi una coppa. Perdo i sensi con circa il quadruplo della dose normale» rispose aggiustandosi i pantaloni.
«E’ già più di quanto ritenessi possibile, quando rimarrai per qualche giorno potremmo vedere quante ferite sopporti» proseguì l’anziano sinceramente interessato, con gli occhi solitamente freddi come un ghiacciaio ora accesi dalla curiosità.
«Molto volentieri Fratello» replicò sorridendo «Ma.. quando rimarrò per qualche giorno? Cosa significa, sono appena tornato.»
Gurlav rimase pensieroso ancora qualche istante, poi il suo sguardo tornò gelido
«Mi spiace, purtroppo il lavoro da fare è sempre maggiore. Tu e Thea partirete domani notte, i sogni dicono che dovrete incontrare un nostro conoscente a Sud di Dobied, sembra che avrete poco più del tempo necessario per arrivarci».

Continua...

Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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