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Autore: Lella Duke    25/04/2011    0 recensioni
E' più dura la testa dei ragazzi Dukes o di Maudine la mula? Di sicuro zio Jesse saprebbe rispondere a questa domanda.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bo Duke, Enos Strate, Luke Duke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro: Ferito

 

Samuel uscì dalla banca come un forsennato. Saltò a piè pari gli scalini che gli avrebbero fatto guadagnare la strada e solo per un caso fortuito non finì a terra andando a sbattere contro qualcuno che procedeva nel senso inverso al suo. Nell’urto perse gli occhiali da sole, ma ebbe la prontezza di non voltarsi e riuscì a dileguarsi alla chetichella. Soltanto quando si fu allontanato di qualche metro realizzò di aver quasi travolto Luke Duke: “mi dispiace amico, non avrei mai voluto far del male a Bo.” Pensò continuando a correre.

Per sua fortuna l’intera piazza era nel panico più totale; la maggior parte della gente correva a gambe levate cercando rifugio in qualche posto chiuso. Si tolse il cappello e la sciarpa e si mischiò ad un gruppo di ragazzi che si dirigevano a perdifiato verso la chiesa. Si voltò alla sua destra e vide un paio di signore che piangevano in modo quasi isterico mentre venivano portate a braccia nell’ufficio dello sceriffo.

Mischiato agli spaventati cittadini di Hazzard, Samuel riuscì a raggiungere il suo furgoncino e filò via senza mai voltarsi indietro. Quando afferrò lo sterzo, si rese conto di quanto sarebbe stato difficile guidare: le mani gli tremavano e la vista era annebbiata. Fece in tempo ad uscire dal centro abitato, non appena imboccata la statale che lo avrebbe ricondotto a casa, fu costretto ad accostare. Scese dal pick-up e si avvicinò ad una grande quercia, si poggiò con entrambe le mani al tronco e perse completamente il controllo. In pochi secondi il suo stomaco espulse quel poco di cibo che aveva ingurgitato la mattina per colazione. Dopodiché crollò in ginocchio e pianse fino a non avere più lacrime.

 

Non era certo la prima volta che Luke si trovava faccia a faccia con una tragedia. Durante i suoi anni da Marine, aveva visto decine di compagni feriti, alcuni non ce l’avevano fatta, altri si erano ripresi. Quello che era stato il suo più caro amico “laggiù”, gli era morto praticamente tra le braccia.

Stavolta però era diverso.

Stavolta tra le sue braccia, inerme come un bambino addormentato c’era Bo.

Prese un brandello della camicia di Bo e, con tutta la delicatezza di cui era capace, gli pulì la fronte. Ma ogni volta che tentava di arginare il sangue che usciva copioso dalla ferita che aveva sul sopracciglio destro, ne usciva dell’altro. Sempre più abbondante. Aveva la percezione del trambusto che lo circondava, ma non se ne rendeva conto. Intuiva che Enos e Cooter gli stavano parlando. Aveva afferrato parole come “ambulanza”, “grave”, “telefonare”. Ma non riusciva a dire se facessero parte di una frase di senso compiuto. Niente aveva senso quel giorno. Era netta l’impressione di avere le orecchie piene di ovatta e la visuale ridotta a ciò che aveva davanti agli occhi. A ciò che stringeva tra le braccia con la forza di chi ha il terrore di vedersi strappare di mano ciò che ha di più caro al mondo.

“Luke… Luke ascoltami. Lascia andare Bo. E’ arrivata l’ambulanza, devono portarlo via.” Enos aveva poggiato una mano sulla spalla dell’amico. Non era il primo tentativo che faceva per richiamare l’attenzione di Luke. Ma finora era stato come parlare ad un muro.

“Andiamo vecchio mio, Enos ha ragione. Se non lo lasci non possono caricarlo sulla barella.” Anche Cooter era intervenuto in aiuto. Il meccanico conosceva bene i Duke, non aveva mai avuto amici più cari e non conosceva persone più oneste. Non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe stato testimone di una simile tragedia.

Era tutto così irreale.

Come poteva essere successa una cosa del genere? Fino a pochi minuti prima Bo era il ritratto spudorato della gioia, faceva mille progetti per la sua memorabile serata con Melinda Sue Robbins, era irrequieto quanto una sposa sull’altare. E ora giaceva immobile sul pavimento della banca. I suoi riccioli biondi, sempre così vaporosi e lucenti erano imbrattati di sangue e polvere di calcinacci. Una poltiglia che glieli aveva fatti diventare appiccicaticci, assurdo pensare di attraversarli con le dita senza correre il rischio di rimanere attaccato con la mano alla sua testa.

Soltanto quando fu tirato su di peso, Luke si accorse di ciò che gli stava accadendo intorno. Un uomo grande e grosso gli aveva fatto passare entrambe le braccia sotto le ascelle e lo aveva sollevato, un altro lo aveva sostituito nel tenere ferma la testa di Bo. Si riscosse come fosse stato fino ad allora in uno stato di torpore e iniziò a sentire il frastuono attorno a sé. C’era la sirena dell’ambulanza appena fuori la banca, Rosco che urlava a squarciagola tentando di farsi ascoltare da chiunque gli capitasse a tiro. Enos e Cooter che gli parlavano sovrapponendosi l’uno all’altro e informandolo che zio Jesse e Daisy erano già stati avvisati. Sbatté un paio di volte le palpebre, appena in tempo per vedere quei due omoni tirare su di peso Bo e adagiarlo sulla barella.

“Vado con lui.” Disse incerto mettendosi alle calcagna dei portantini.

“Ti seguiamo con la macchina.” Rispose Enos di rimando.

Luke salì sull’ambulanza per ultimo: “dove posso mettermi per non darvi fastidio?” Chiese con un filo di voce.

“Ci darebbe comunque fastidio signore, quindi si limiti a stare seduto e non ci intralci.” Fu la risposta stizzita di uno dei due energumeni vestiti di bianco.

In qualunque altra occasione Luke Duke non ci avrebbe pensato due volte e si sarebbe fatto rispettare. Si limitò invece ad abbassare il capo e a sedersi accanto agli sportelli sul retro dell’ambulanza. Senza accorgersene unì le palme delle mani e le lasciò penzolare con i gomiti appoggiati alle ginocchia.

Non stava pensando a niente.

Non stava neanche pregando, malgrado la sua postura lo suggerisse.

Tutto ciò che faceva era fissare il monitor sul quale una lucina intermittente scandiva il battito del cuore di Bo.

Sapeva bene infatti che finché quella lucina avrebbe continuato a pulsare, non ci sarebbe stato niente di cui preoccuparsi. Almeno questo era ciò che sperava.

   
 
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