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Autore: Lella Duke    27/04/2011    0 recensioni
E' più dura la testa dei ragazzi Dukes o di Maudine la mula? Di sicuro zio Jesse saprebbe rispondere a questa domanda.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bo Duke, Enos Strate, Luke Duke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo cinque: Legami d’amicizia

 

Di ritorno a casa Daisy Duke avrebbe dovuto rifare il bucato daccapo visto che le era caduta la cesta di vimini riversando tutto il suo contenuto in terra.

Le era bastato alzare gli occhi verso lo zio e notare il diffuso pallore che stava avanzando inesorabile sul suo volto. Aveva intuito subito che qualcosa non andava. Le sue mani avevano immediatamente allentato la presa su ciò che stava stringendo ed era corsa in direzione del portico della fattoria.

Jesse Duke era immobile, rispondeva con impercettibili cenni gutturali al suo interlocutore dall’altra parte del telefono: “grazie di averci avvisato, Enos. Arriviamo subito.” Concluse la breve conversazione riagganciando la cornetta.

Daisy gli si era parata ad un palmo dal naso: “è successo qualcosa ai ragazzi? Rosco li ha sbattuti di nuovo in prigione con qualche assurdo pretesto?” Chiese con poca convinzione.

Bo e Luke erano stati arrestati talmente tante volte, che Daisy aveva finito ormai per perderne il conto. In svariate occasioni il vecchio Jesse era stato invitato per telefono ad andarsi a riprendere i nipoti dietro pagamento di una salata cauzione. Di solito, prima di salire sul suo vecchio pick-up, sbuffava, lanciava qualche accidente e inveiva contro il commissario di contea J. D. Hogg e il suo fedele burattino lo sceriffo Rosco P. Coltraine.

Ma l’espressione che era rimasta sul volto di Jesse stavolta, era tutt’altra storia. Le sue rughe sembravano più profonde, i suoi occhi più incavati, i suoi capelli più bianchi che mai: “prendi la jeep Daisy. Andiamo al Tri Country Hospital.”

“Mio Dio. Cosa c’è, zio Jesse? I ragazzi hanno avuto un incidente?” Domandò la giovane afferrando con forza le mani dello zio.

“Si tratta di Bo. Enos dice che è rimasto coinvolto in una sparatoria durante una rapina in banca.”

Come a voler trattenere un gemito, Daisy si coprì la bocca con la mano: “una sparatoria?” Ripeté incredula. “Ma come sta? E Luke? Dov’è Luke?” Domandò poi.

“Non so nient’altro Daisy. Non ho idea di cosa sia successo. E adesso per favore, portami dai miei ragazzi. Io non ho la forza di guidare.”

 

“Enos te lo dico per l’ultima volta: RIPORTA LE TUE CHIAPPE IN UFFICIO E NON FARMELO PIU’ RIPETERE!” Era prassi che Rosco alzasse la voce o ricorresse a frasi poco edificanti per ottenere ciò che voleva. Nessuno infatti riconosceva in lui la benché minima autorità, malgrado sfoggiasse beatamente da mattina a sera la sua sgargiante stelletta. Enos generalmente ubbidiva prima ancora che gli venisse impartito qualunque ordine. E non perché avesse paura di Rosco o perché temesse i suoi improperi. Enos semplicemente ubbidiva perché era un vice sceriffo ligio al suo lavoro. Credeva nel valore della divisa che indossava e ne aveva il massimo rispetto.

“Sono costretto a contravvenire ai suoi ordini sceriffo, mi dispiace.” L’avvenimento era senza precedenti. Mai prima di allora Enos si era sognato di disattendere le aspettative del suo superiore. “Tornerò in ufficio solo se e quando avrò la certezza che Bo Duke starà bene.”

“PEZZO DI IDIOTA! Abbiamo una montagna di lavoro che ci aspetta, Dobbiamo interrogare tutti i clienti e le impiegate della banca. Dobbiamo raccogliere le testimonianze di coloro che erano in piazza e che possono aver visto quel balordo fuggire. Non posso fare tutto da solo. Ho bisogno che tu ti occupi di tutto!”

“La sola impiegata della banca è Laverne. Immagino che sia ancora sotto shock per quello che è successo, ma non penso siano necessari due uomini di legge per scambiarci quattro chiacchiere. Per quanto riguarda i clienti, al momento della rapina a parte me e Bo, c’erano solo il vecchio Charlie, la signora Ruebottom e Franky, il figlio del fioraio.”

“ENOS ADESSO BASTA, IO…IO…” Rosco fu interrotto bruscamente.

“SCERIFFO, basta lo dico io! Tornerò in ufficio tra qualche ora al massimo. Se ha davvero paura di non riuscire a sbrigarsela da solo, chiami i federali e si faccia dare una mano. Passo e chiudo.”

Malgrado l’angoscia che lo stava dilaniando, il buon Cooter non poté fare a meno di osservare l’amico e di sorridergli: “questa te la farà scontare il vecchio Rosco. Lo sai vero?” Domandò il meccanico.

“Non mi importa Cooter. Hai visto anche tu in che condizioni era Bo. E hai visto Luke. Non potrei mai lasciare due dei miei più cari amici in un momento come questo. Che mi licenziasse pure se crede.”

Enos tornò con lo sguardo sulla strada. Il carro attrezzi di Cooter correva oltre i limiti delle sue possibilità. Mangiava l’asfalto come avrebbe fatto il Generale Lee. Davanti a loro l’ambulanza nella cui pancia di lamiera giaceva Bo.

“Pensi sia grave, Enos? Tu eri lì con lui. Cosa gli è successo? Voglio dire, la ferita che ha sulla fronte a cosa è dovuta? E’… è una pallottola?” Dio sa come riuscì Cooter a formulare la domanda che più gli stava a cuore. Doveva sapere cos’era successo al suo amico, ma aveva paura di scoprire una verità che avrebbe fatto fatica ad accettare.

Enos si tormentò un po’ le mani e prese qualche boccata d’ossigeno. Chiuse gli occhi, ma si accorse ben presto che non era stata una buona idea visto che la mente gli rimandava continui flash di quello che era successo: “Dio mio Cooter! Se solo non avessi esitato. Se avessi premuto il grilletto invece di farmi disarmare con tanta facilità. Adesso non staremmo alle costole di un’ambulanza.” Si passò una mano tremante tra i capelli: “io non lo so cos’è successo. Avevo appena preso un calcio ed ero finito gambe all’aria quando ho sentito gli spari. E quella pioggia di calcinacci poi! Ci ho messo un paio di minuti buoni per capire che il ladro era fuggito e che Bo era a terra esamine. Non ho idea di come si sia ritrovato con quella ferita sulla fronte.”

Il tremore delle mani gli si era arrampicato fin sulle spalle. Quando Cooter si accorse che all’amico cominciava a mancare la voce, gli toccò dolcemente un braccio e lo rassicurò: “non è colpa tua Enos. Non avresti ottenuto niente di buono sparando. E poi quel ragazzo è giovane e forte come un toro. Vedrai che non è nulla di grave.”

Enos alzò lo sguardo regalando un sorriso poco convinto all’uomo che gli sedeva di fianco: “spero tu abbia ragione amico mio. Lo spero davvero.”

   
 
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