Capitolo
cinque: Legami d’amicizia
Di
ritorno a casa Daisy Duke avrebbe dovuto rifare il bucato daccapo visto
che le
era caduta la cesta di vimini riversando tutto il suo contenuto in
terra.
Le
era bastato alzare gli occhi verso lo zio e notare il diffuso pallore
che stava
avanzando inesorabile sul suo volto. Aveva intuito subito che qualcosa
non
andava. Le sue mani avevano immediatamente allentato la presa su
ciò che stava
stringendo ed era corsa in direzione del portico della fattoria.
Jesse
Duke era immobile, rispondeva con impercettibili cenni gutturali al suo
interlocutore dall’altra parte del telefono:
“grazie di averci avvisato, Enos.
Arriviamo subito.” Concluse la breve conversazione
riagganciando la cornetta.
Daisy
gli si era parata ad un palmo dal naso: “è
successo qualcosa ai ragazzi? Rosco
li ha sbattuti di nuovo in prigione con qualche assurdo
pretesto?” Chiese con
poca convinzione.
Bo
e Luke erano stati arrestati talmente tante volte, che Daisy aveva
finito ormai
per perderne il conto. In svariate occasioni il vecchio Jesse era stato
invitato per telefono ad andarsi a riprendere i nipoti dietro pagamento
di una
salata cauzione. Di solito, prima di salire sul suo vecchio pick-up,
sbuffava,
lanciava qualche accidente e inveiva contro il commissario di contea J.
D. Hogg
e il suo fedele burattino lo sceriffo Rosco P. Coltraine.
Ma
l’espressione che era rimasta sul volto di Jesse stavolta,
era tutt’altra
storia. Le sue rughe sembravano più profonde, i suoi occhi
più incavati, i suoi
capelli più bianchi che mai: “prendi la jeep
Daisy. Andiamo al Tri Country
Hospital.”
“Mio
Dio. Cosa c’è, zio Jesse? I ragazzi hanno avuto un
incidente?” Domandò la
giovane afferrando con forza le mani dello zio.
“Si
tratta di Bo. Enos dice che è rimasto coinvolto in una
sparatoria durante una
rapina in banca.”
Come
a voler trattenere un gemito, Daisy si coprì la bocca con la
mano: “una
sparatoria?” Ripeté incredula. “Ma come
sta? E Luke? Dov’è Luke?”
Domandò poi.
“Non
so nient’altro Daisy. Non ho idea di cosa sia successo. E
adesso per favore,
portami dai miei ragazzi. Io non ho la forza di guidare.”
“Enos
te lo dico per l’ultima volta: RIPORTA LE TUE CHIAPPE IN
UFFICIO E NON FARMELO
PIU’ RIPETERE!” Era prassi che Rosco alzasse la
voce o ricorresse a frasi poco
edificanti per ottenere ciò che voleva. Nessuno infatti
riconosceva in lui la
benché minima autorità, malgrado sfoggiasse
beatamente da mattina a sera la sua
sgargiante stelletta. Enos generalmente ubbidiva prima ancora che gli
venisse
impartito qualunque ordine. E non perché avesse paura di
Rosco o perché temesse
i suoi improperi. Enos semplicemente ubbidiva perché era un
vice sceriffo ligio
al suo lavoro. Credeva nel valore della divisa che indossava e ne aveva
il
massimo rispetto.
“Sono
costretto a contravvenire ai suoi ordini sceriffo, mi
dispiace.” L’avvenimento
era senza precedenti. Mai prima di allora Enos si era sognato di
disattendere
le aspettative del suo superiore. “Tornerò in
ufficio solo se e quando avrò la
certezza che Bo Duke starà bene.”
“PEZZO
DI IDIOTA! Abbiamo una montagna di lavoro che ci aspetta, Dobbiamo
interrogare
tutti i clienti e le impiegate della banca. Dobbiamo raccogliere le
testimonianze di coloro che erano in piazza e che possono aver visto
quel
balordo fuggire. Non posso fare tutto da solo. Ho bisogno che tu ti
occupi di
tutto!”
“La
sola impiegata della banca è Laverne. Immagino che sia
ancora sotto shock per
quello che è successo, ma non penso siano necessari due
uomini di legge per
scambiarci quattro chiacchiere. Per quanto riguarda i clienti, al
momento della
rapina a parte me e Bo, c’erano solo il vecchio Charlie, la
signora Ruebottom e
Franky, il figlio del fioraio.”
“ENOS
ADESSO BASTA, IO…IO…” Rosco fu
interrotto bruscamente.
“SCERIFFO,
basta lo dico io! Tornerò in ufficio tra qualche ora al
massimo. Se ha davvero
paura di non riuscire a sbrigarsela da solo, chiami i federali e si
faccia dare
una mano. Passo e chiudo.”
Malgrado
l’angoscia che lo stava dilaniando, il buon Cooter non
poté fare a meno di
osservare l’amico e di sorridergli: “questa te la
farà scontare il vecchio
Rosco. Lo sai vero?” Domandò il meccanico.
“Non
mi importa Cooter. Hai visto anche tu in che condizioni era Bo. E hai
visto
Luke. Non potrei mai lasciare due dei miei più cari amici in
un momento come
questo. Che mi licenziasse pure se crede.”
Enos
tornò con lo sguardo sulla strada. Il carro attrezzi di
Cooter correva oltre i
limiti delle sue possibilità. Mangiava l’asfalto
come avrebbe fatto il Generale
Lee. Davanti a loro l’ambulanza nella cui pancia di lamiera
giaceva Bo.
“Pensi
sia grave, Enos? Tu eri lì con lui. Cosa gli è
successo? Voglio dire, la ferita
che ha sulla fronte a cosa è dovuta?
E’… è una pallottola?” Dio sa
come riuscì
Cooter a formulare la domanda che più gli stava a cuore.
Doveva sapere cos’era
successo al suo amico, ma aveva paura di scoprire una verità
che avrebbe fatto
fatica ad accettare.
Enos
si tormentò un po’ le mani e prese qualche boccata
d’ossigeno. Chiuse gli
occhi, ma si accorse ben presto che non era stata una buona idea visto
che la
mente gli rimandava continui flash di quello che era successo:
“Dio mio Cooter!
Se solo non avessi esitato. Se avessi premuto il grilletto invece di
farmi
disarmare con tanta facilità. Adesso non staremmo alle
costole di
un’ambulanza.” Si passò una mano
tremante tra i capelli: “io non lo so
cos’è
successo. Avevo appena preso un calcio ed ero finito gambe
all’aria quando ho
sentito gli spari. E quella pioggia di calcinacci poi! Ci ho messo un
paio di
minuti buoni per capire che il ladro era fuggito e che Bo era a terra
esamine.
Non ho idea di come si sia ritrovato con quella ferita sulla
fronte.”
Il
tremore delle mani gli si era arrampicato fin sulle spalle. Quando Cooter si
accorse
che all’amico cominciava a mancare la voce, gli
toccò dolcemente un braccio e
lo rassicurò: “non è colpa tua Enos.
Non avresti ottenuto niente di buono
sparando. E poi quel ragazzo è giovane e forte come un toro.
Vedrai che non è
nulla di grave.”
Enos
alzò lo sguardo regalando un sorriso poco convinto
all’uomo che gli sedeva di
fianco: “spero tu abbia ragione amico mio. Lo spero
davvero.”