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Autore: thewhitelady    26/04/2011    3 recensioni
1993-2009
Come deve essere vivere la storia degli Oasis e della scena rock britannica dagli anni 90' ad oggi? Cassandra Walsh è forse l'unica persona al mondo a saperlo. In più in tutto il caos della sua vita di sex, drugs, and rock n roll sa solo una cosa, che a volte il posto migliore da cui godersi un concerto è da dietro il palco.
Per chi ama gli Oasis e quei due pazzi fratelli, ma anche solo per chi ha sentito una volta nella vita Wonderwall o Don't Look Back In Anger e vuole scoprire chi sono Liam e Noel Gallagher. Per chi ha nostalgia dell'atmosfera degli anni '90, e chi neppure l'ha vissuta davvero. Per chi ama gli aneddoti del rock e della musica. Una canzone per ogni capitolo. Cheers!!
Gruppi/Artisti che compariranno: Oasis, Blur, Pulp, Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Kasabian, Paul Weller, The Stone Roses, The Smiths, Travis, Arctic Monkeys (un po' tutti)
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Gallagher, Noel Gallagher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Is it my imagination
Or have I finally found something worth living for?
I was looking for some action
But all I found was cigarettes and alcohol
You could wait for a lifetime
To spend your days in the sunshine
You might as well do the white line
Cos when it comes on top . . .
You gotta make it happen!

 
La vita decide di prendere una svolta inaspettata in varie maniere, e neanche te ne accorgi ma hai già lasciato il passato indietro di mille miglia. Per me – ma ancor più per Liam e Noel – all’incrocio del destino un cartello annunciava King Tut's Wah Wah Hut club, ovvero l’insegna del pub in cui gli Oasis erano stati invitati a suonare. Noel mi aveva detto che a chiamarli era stato il leader di una band chiamata Sister Lovers, gente che aveva conosciuto quando faceva ancora il roadie per gli Inspiral Carpets,  nessuno di tanto importante, solo quel genere di persone con cui ti fai una sigaretta nel backstage e a cui presti i plettri.
Quelli della band dicevano che doveva esserci il boss della Creation Records, Alan McGee, il che non era proprio come dire niente. L’avevo visto un paio di volte di sfuggita tanto che di lui mi ricordavo solo gli occhietti vispi e la pelata sfumata dai capelli rosso carota, così a vederlo non impressionava. Ti impressionava di più se venivi a sapere che era il produttore di gente come Jesus and Mary Chain, Ride, Slowdive e My Bloody Valentine, in pratica aveva scoperto metà dei gruppi d’alternative rock più importanti degli ultimi anni. E in pratica aveva prodotto lui quasi tutte le band che amavo ascoltare, e per questo non mi lasciavo mai scappare nessun cd targato Creation: non fosse stato che li rubavo praticamente tutti Mr. McGee mi avrebbe già inviato un premio fedeltà.
Vedevo Noel più teso di qualsiasi altra volta e al contrario Liam pareva solo avere l’incontenibile voglia di dimostrare quanto valesse. Bonehead fumava come una ciminiera, McCarroll – bo’, non avevo la più pallida idea di che stesse facendo – mentre Guigsy aveva proprio l’aria di uno a cui serviva un Tanax, o due. Erano ancora le quattro del pomeriggio quando arrivammo davanti al locale per cui mi limitai a dare una mano a Noel con gli strumenti, vedere di sistemarli al meglio, attaccando un amplificatore ad un piccolo alimentatore di corrente provammo pure gli effetti che stavano meglio con il genere di canzoni che avevano intenzione di suonare. Dopodiché non restava molto da fare, per cui decisi d’andare a fare quattro passi, Liam s’offrì d’accompagnarmi ma io rifiutai la proposta e m’avviai da sola sotto il cielo di piombo scozzese.
Avevo bisogno di rimuginare un po’. Odiavo dover pensare razionalmente alla mia situazione ma di tanto in tanto pure a me toccava fare mente locale sul casino della mia vita. Nel caos avevo una qualche vaga certezza: salendo sul furgone dei Gallagher avevo deciso di muovermi, prendere una direzione, insomma saltare su quel treno che dicono passi una volta ogni tanto nella vita e smetterla di fare trainspotting. Ora, il punto stava se quel treno avrebbe avuto come destinazione una bella isola felice – già, l’immagine della serenità nel mio subconscio era una spiaggia polinesiana con acque cristalline… be’, quello o una Gibson degli anni ’60 – oppure allo schiantarmi contro un muro. In ogni caso tornando a casa avrei avuto le mie grane, chissà perché ma avevo il sentore che il bastardo non mi stesse esattamente preparando una festa di ben tornato.... Mi stropiccia rabbiosa gli occhi, di pensare per quel giorno ne avevo fatto abbastanza era il momento di spegnere il cervello, o quanto meno quella parte che mi sussurrava maligna: “e adesso cosa farai?”. Vivere era dannatamente più semplice se lo facevi un minuto per volta, anzi, un secondo per volta. Inspira. Espira. Cammina. Facile, no? Tornare a Manchester ora mi sembrava un concetto davvero astratto.
- Come non ci fate suonare?! -. Non avevo ancora girato l’angolo che il latrato di Noel mi aveva già preannunciato una valanga di guai, percorsi veloce l’ultimo tratto di strada.
- Senti, amico – sospirò un tipo alto e allampanato – Non siete in scaletta, e io non faccio suonare sconosciuti -
- Ma i Sister Lover… - provò a ribattere Bonehead.
- Non è colpa mia, non avevano alcun diritto di offrirvi un posto sul palco. Decido io chi suona e voi – mosse la mano indicando l’intera band, sembrava stesse scacciando una mosca – voi non suonerete nel mio locale -.
Merda… Avrei voluto saltare al collo di quel tizio – che somigliava tanto al Lerch della famiglia Addams – e dirgli, gridargli che non capiva una beata…mi autocensurai affondando i denti nella lingua. Cristo santo. Sapevo che avrei potuto gridare con quanto più fiato avevo nei polmoni ma non sarebbe cambiato nulla. Non cambiava mai nulla. Vidi Liam sferrare un pugno al muro del  King Tut's Wah Wah Hut club, girarsi, fare una smorfia e dire che andava a cercarsi un altro pub per una pinta di birra perché a quei bastardi non avrebbe dato un solo centesimo.
- Bel tentativo comunque, Chief – commentò assestando una pacca al fratello. Avrebbe forse voluto essere più maligno ma erano entrambi troppo abbattuti per azzannarsi a vicenda. Fissai la porta chiusa del pub con un’intensità tale che forse non avrei riservato neppure a una persona. Avevo deciso. Eh no, questa volta il fottutto destino non me l’avrebbe fatta. Non per l’ennesima volta.
 
Erano le nove di sera e ci trovavamo ancora in quel pub dal nome improbabile e impronunciabile, McCarroll e Bonehead avevano insistito per tornare a casa dato che non volevano passare una notte nel furgone, ma io avevo convinto tutti a rimanere: Liam principalmente per il fatto che era tornato mezzo ubriaco dopo quella che era stata più di una pinta di birra, Guigsy – be’ lui non si era esposto sulla cosa, e dato che non spiccicava parola presi il suo silenzio come un assenso – mentre con Noel mi ero adoperata nell’arte-dello-sguardo-tenero, che contro ogni mia aspettativa funzionò. Forse anche lui come me sperava ancora in una possibilità di poter suonare
Ci sedemmo in uno dei posti più vicini al palco, che era di dimensioni ragguardevoli dato che nel pub ci potevano stare comodamente una o due centinaia di persone. Avevo gli occhi fissi sulla band che si stava esibendo – mediocri – ma intanto ero più che concentrata sull’uomo dai capelli rossi che se ne stava seduto un paio di tavoli più avanti rispetto a noi. A quanto sembrava mister Alan McGee aveva onorato per davvero il King Tut's Wah Wah Hut club della sua presenza.
Il frontman della band s’avvicinò al microfono scostandosi i lunghi capelli dal viso e annunciando l’ultima loro canzone per la serata e ringraziando il fantastico pubblico e bla bla bla… mi alzai in piedi e salii sul nostro tavolo, un boccale di birra in mano.
- Ma che cazzo…?– esclamò Noel afferrandomi una caviglia, io mi abbassai appena e gli gridai nell’orecchio: - Andate sul retro del palco! E prendete gli strumenti! -
- Che?!? -
Odiavo quando faceva così, – Ora! – ribattei in un ordine ferreo. Mi ersi in tutto il mio metro e settanta e presi un sorso di bionda facendomene colare deliberatamente un po’ sulla t-shirt che indossavo ed infine iniziai la mia trionfale passeggiata. Feci un po’ di slalom sui tavoli, gli insulti che mi raggiungevano appena tanto mi ero estraniata dal mondo, la gente che si lamentava perché coprivo la visuale oppure perché gli rovesciavo la pinta di birra. Con la coda dell’occhio vidi arrivare da dietro il palco tre o quattro energumeni, così accelerai il passo e in un paio di falcate raggiunsi il lunghissimo bancone del bar. Era come una passerella, pensai. Scoppiai a ridere e mi rovesciai addosso ciò che rimaneva della mia Guinness, mi strappai di dosso la maglietta che ormai mi stava incollata alla pelle. Qualcuno fischiava il mio show. Dovevo sembrare una pazza, forse lo ero. Ma quando infine mi voltai verso il palco, le chitarre di Noel e Bonehead che suonavano il riff di Get It On dei T-Rex, risi nuovamente con in sottofondo la voce di Liam che gridava “imagineshìììììion” e avvertii quella soddisfazione di quando si riesce a beffare anche il destino. Ecco, dopodiché fui scaraventata giù dal bancone del bar dagli uomini della security: manco fossi una terrorista.
- Ci diamo una calmata? – mi domandò uno, il suo brutto muso ad un centimetro dal mio naso.
- Se me l’aveste chiesto per favore sarei scesa volentieri – ribattei massaggiandomi un fianco, dove avevo sbattuto contro uno sgabello.
- Ok, sei un po’ alticcia, eh tesoro? – intervenne il padrone del locale, lo stesso che aveva negato l’accesso al palco agli Oasis, - Ti dobbiamo buttare fuori in malo modo oppure pensi di poter trovare l’uscita da sola? -
Mi guardai attorno, solo pochi avventori del pub avevano ancora gli occhi puntati su di me, la maggior parte era concentrata sul palco e sulla voce di Liam – sorrisi sotto i baffi – che quando terminò di cantare lo incitarono a cominciare una nuova canzone. Anche il proprietario del King Tut's Wah Wah Hut club si voltò ad osservare la band che si stava esibendo e che contro ogni sua previsione stava riscuotendo grande successo. Tornò a fissarmi assottigliando lo sguardo, - Tu eri con loro… - mormorò trai denti.
Mi rassettai i capelli disordinati da selvaggia – Già – mi limitai a dire ostentando un’occhiata sorniona, ora non sembravo davvero più tanto ubriaca, - Spero che questi ripaghino i danni – e gli cacciai in mano una cinquantina di sterline. – E ora se non vi dispiace vado a godermi la prossima canzone – dissi sfilando via indisturbata, sfoggiando per la seconda volta in poco tempo la mia falcata più regale, qualche ragazzo si girò per fare un fischio apprezzamento – in effetti stavo girando per un locale affollato in reggiseno, Audrey che si stava vergognando sino al midollo per me -. Risposi con uno sguardo gelido e  un – Non replico sino a domani sera alle dieci -.
Arrivai quasi sotto il palco in tempo per godermi la fine della mia Rock ‘n’ Roll Star e Bring It On Down. Un paio di minuti dopo dal retro del palco rispuntarono i ragazzi, Noel vedendomi alzò in alto l’Epiphone e fece per urlarmi qualcosa ma fu interrotto da un tipo non molto alto, capelli rossastri…Oh, cazzo! Corsi loro incontro, ma mi tenni a una certa distanza.
- Ragazzi avete un contratto discografico? – chiese McGee
- No, ma… -
- Ne volete uno? -
E in quel momento Liam interpretò a pieno ciò che stavano pensando tutti più o meno, e sbottò – Certo, ma sta a te coglione! -.
Il produttore della Creation lo guardò un po’ male ma poi fece un mezzo sorriso, guardò Noel in cui aveva inquadrato da subito il capo e gli tese un biglietto da visita – Qui ci sono il mio numero e indirizzo. Ho sentito che siete di Manchester, credete di poter passare già in settimana a Londra, in sede? –
Il più grande dei Gallagher rimase un attimo inebetito guardando quel piccolo insignificante pezzo di carta, ma poi frugandosi veloce in tasca disse – Sì,sì ovvio - tirò fuori una cassettina e la diede a McGee – Qua ci sono alcune delle canzoni che abbiamo fatto stasera e delle altre -.
Lo scozzese ammiccò – Ora scusate ma ho proprio bisogno di sigarette e dell’alcool – ed infine si allontanò dandomi appena un’occhiata un po’ incuriosita e un po’ dubbiosa. Un secondo dopo Noel emise un ruggito e mi ritrovai stritolata tra le sue braccia, rimasi un po’ interdetta: il tipo fisico era Liam, che invece sorrideva ebete e basta in quel momento. – Grazie – disse, soffocando una risata euforica tra i miei capelli.
- Sono la vostra roadie, o no? -
Già, sei la nostra cazzutissima roadie – mi rispose Bonehead dandomi una pacca sul braccio. Noel si era allontanato di un paio di passi ma aveva negli occhi una luce delirante, mai l’avevo visto tanto simile a Liam che adesso gli stringeva con una mano una spalla.
- Faccio solo il mio lavoro –, commentai con aria di sufficienza, – Ah, e mi dovete una t-shirt come potete vedere – conclusi sorridendo. Al che Guigsy fu tanto gentile da passarmi la sua giacca di jeans. Infine mi girai e marciai verso l’uscita. Pure Audrey aveva stampato in faccia un sorrisino malvagio, quello di quando fotti il destino e non è lui a fottere te. Dio, che serata!
 
Il giorno seguente passeggiavo per le strade di Glasgow, stretto in pugno un pacchetto di Chesterfield black come avevo fatto un tempo. Guardai il sole offuscato da nuvole scure, non doveva essere passato da molto mezzo giorno ed io mi ero svegliata un paio d’ore prima dopo aver passato la notte nel furgone assieme coi ragazzi. Già, un po’ troppo stretto e un po’ troppo puzzolente, anche se devo ammettere che quella che emanava lo steso amabile profumo di un barbone ubriaco ero io.
Ora mi godevo la sigaretta del guerriero, risi un po’ tra me pensando che forse avrei dovuto farmi pagare davvero un salario, dato che sopportavo pure i grugniti nel sonno di McCarroll o gli interessanti racconti di Guigsy che parlava più da dormiente che da sveglio. Comunque avevo deciso di abbandonare i ragazzi per un po’ e andare a fare una capatina in un grosso negozio di strumenti musicali, giusto per rifarmi gli occhi e rodermi il fegato – autolesionismo, lo so, è una malattia – rimirando le Gibson in vetrina.
Mi misi una Chesterfield in bocca e osservai il cielo grigio sopra di me. Mi tastai le tasche… ma dove diamine…? Oh fanculo, avevo dimenticato l’accendino! Quando arrivai nel piazzale dove avevamo parcheggiato il furgone per la notte notai che qualcosa non andava. O comunque che c’era qualcosa di strano. Un furgone Vauxhall non è in grado di muoversi da solo, vero? Be’ di certo non quello dopo tutta la fatica che avevamo fatto per farlo partire. Non è che si muovesse proprio proprio, però le sospensioni dovevano essere messe a dura prova da qualcosa. Arrivata davanti al portellone mi chiesi se era davvero il caso d’aprire, alzai gli occhi al cielo: come sarebbe stato vedere Guigsy in soli boxer? O peggio, sarei rimasta traumatizzata a vita da un McCarroll nudo? Secondo me apparteneva a quella terribile categoria d’uomini che non si tolgono neppure i calzini… Al diavolo, mi serviva il mio accendino, avevo bisogno di fumare! Spalancai: bionda procace, Liam. – Scusate –. Chiusi il portellone e mi allontanai di qualche passo nel piazzale e poi mi fermai. Non sapevo cosa pensare. Vuoto totale. Anche se… soffocai una mezza risata: Ourkid aveva ancora su i calzini. Poi prima ancora che Audrey intervenisse per farmi ragionare seriamente sulla cosa mi accorsi che qualcuno mi stava fissando da una ventina di metri di distanza. Salutai Noel con un cenno della testa e poi decisi di proseguire per la mia strada, anche se non avevo idea di quale potesse essere, infondo il mio accendino era ancora nel furgone. Che avesse visto la scena? Che avesse capito cosa avevo visto?
Noel mi raggiunse veloce – iniziai a pensare che il suo fare tonto fosse una posa -.
- Dove sei stata? -
- A Pepperland – risposi irritata, tanto per esserlo.
Mi fermai e mi sedetti sugli scalini davanti all’uscita secondaria di un bar. Noel mi guardava torvo.
Gli diedi in pasto un’espressione stupita – Non ci crederai ma i Biechi Blu hanno attaccato di nuovo! –, sbuffai, ancora lo stesso sguardo. – Ok, ti dispiace mettere giù quella faccia da moralista e prestarmi l’accendino? -.
Un secondo dopo presi al volo il benedetto oggetto che lui mi lanciò.
- Gli ronzava attorno da ieri sera dopo lo show – borbottò con nonchalanche.
- Chi? – domandai sincera, troppo presa dal sapore delle Chesterfield.
- La bionda con cui l’hai pizzicato -
- Ah – mormorai – Bene -. Conversazione interessante, eh?
Noel aggrottò le sopracciglia, non si capacitava del mio comportamento forse. Che si aspettava, una scenata? Magari sperava che tirassi una cinquina a Liam, conoscendo l’amore incondizionato che provava per Ourkid…
Lo fissai negli occhi azzurri, più chiari e più tendenti al grigio rispetto al fratello. – Cosa c’è? –
- Sicura che non ti dia fastidio la cosa? -
Strinsi le labbra e misi su la mia più convincente espressione pensosa – Mmm… No –
Ancora quei dannati occhi. Mi limitai a un mezzo sorriso – Ci tengo a Liam, ma – cercai la parola giusta, non parlavo mai di quelle cose così di solito non avevo bisogno di vocaboli per spiegare le cose a me stessa, rimanevano solo emozioni, sentori di un qualcosa – non mi ha lasciato, grazie a Dio, il tempo di affezionarmi a lui così tanto da lasciarmi basita trovandolo mentre scopa con una finta bionda -.
Noel si rilassò un po’. - E poi almeno adesso sarà felice: ha avuto la sua prima groupie! – soggiunsi io facendolo scoppiare a ridere. Aspirai dalla sigaretta e gettai un po’ della cenere a terra, standola ad osservare attentamente mentre ardeva ancora un po’ sul marciapiede. – Sai cosa ho visto la prima volta che sono stata con Liam, quella notte al Boardwalk? –, domandai alzando improvvisamente gli occhi.
Noel rimase un po’ spiazzato, vedevo che avrebbe voluto chiedere ma che allo stesso modo avrebbe desiderato essere mille miglia distante da quella domanda. Comunque non disse nulla.
- C’era uno specchio in un angolo, e ho visto noi due riflessi. Ma non eravamo proprio noi due, ho visto mia madre e mio “padre” – con le mani feci il segno delle virgolette – mentre avevano la bella idea di concepirmi -. Diedi un’occhiata a Noel, non m’aspettavo che dicesse nulla, solo che come il suo solito ascoltasse, confuso ma ascoltasse. Ma lui amava stupire… - Non ti riferisci a quell’idiota con cui vivi, non è vero? -
Sorrisi, o meglio, feci un ghigno – Ottima deduzione, Gallagher. Io non sono sua figlia, sono figlia di quella minuscola, insignificante percentuale di rischio di cui ti avvertono sui condom. Di quello sfortunato 3% - sospirai – be’ di quello e credo di una birra di troppo… Comunque, se devo raccontare la storia, lo faccio per bene. Mia madre ha deciso un mese dopo però di sposare Eugene Sheen, il suo promesso, che da bravo ragazzo qual’era ha riconosciuto la bambina nata da quella notte maledetta –
- Eugene Sheen è…? – provò a chiedere cercando di schiarirsi le idee. D’altronde pure io facevo fatica a ricollegare a quel mostro in vestaglia l’immagine di un amabile giovanotto.
Annuii e gli passai una Chesterfield e l’accendino, il fumo farà male ai polmoni ma almeno calma i neuroni – Gli anni passano, tu non sei in grado d’avere un figlio tuo e in compenso quello di un altro corre nel tuo cortile. Poi tua moglie muore, e in quella ragazzina vedi solo l’altro uomo… e il resto è storia – conclusi battendomi le mani sulle cosce.
- No, il resto è merda! -.
Osservai Noel stupefatta, da dove gli era uscito quel ringhio? Era così calmo sino un secondo prima.
- Perché non te ne vai?! Hai un lavoro, non ti potrai permettere un posto come Buckingam Palace, ma di sicuro c’è di meglio che vivere con uno stupido, fottuto... – non poté terminare gli aggettivi che gli avevo piantato addosso come spilli gli occhi, ma lui non si fermò e anzi mise avanti le mani come per difendersi – Lo so, è tuo padre. Però tu sei sua figlia e lui non si fa molte remore quando ti tira un destro! -
Questa volta non ebbi la forza di arrabbiarmi, non potevo farlo ancora con Noel quando non sapeva. La prima volta avevo voluto marcare il territorio ma adesso ero stata io a volermi aprire a lui, non potevo mentire.
Tirai fuori la mia carta d’identità dalla tasca posteriore dei jeans e gliela lanciai, lui l’afferrò al volo e l’aprì senza capire. Poi lesse.
- Hai diciotto anni? – sbottò incredulo.
- Leggi meglio -
- Non li hai ancora compiuti, li fai l’8 di dicembre – richiuse il documento e si arruffò i capelli, ma oltre quella cortina castana lo vidi alzare gli occhi al cielo.
- Non è una bella faccia la tua, quanti anni mi davi? -
- Giusto tre o quattro in più -, mi lanciò indietro la carta d’identità.
Ripensai al mio professore alle superiori che diceva che dimostravo la stessa mentalità di un camionista cinquantenne con l’ulcera… Forse aveva ragione, imbrogliavo bene la gente.
-  Cazzo – levai lo sguardo dal marciapiede – ho rapito una minorenne. Spero non mi denuncerai! – esclamò e mi fece sorridere lievemente, poi si sedette accanto a me. – Puoi andartene comunque di casa… chi se ne frega se dovresti avere il permesso di tuo padre. Quel genere di leggi non sono fatte per i tipi come noi -.
Lo guardai di sottecchi, - Non per gente che salta sui banconi del bar e si mette a fare spogliarelli –
- Hai un lato esibizionista che non avrei mai sospettato -
Buttai indietro la testa improvvisamente e scoppiai a ridere, ma in una risata fredda, del tutto priva di gioia. Quando tornai a guardarlo, Noel era estremamente all’erta, quella reazione non se l’aspettava.
- E’ strano come tu abbia nominato ora proprio quella parte di me… perché non me ne vado di casa? -
Lui era tutto orecchi, era strano come ci fossimo calati di nuovo in un’atmosfera gelida. Eppure il sole nel cielo cominciava a splendere per davvero.
- Mio padre ha in mano una perizia psichiatrica che dice che solo lui è in grado di decidere che cosa sia giusto per me, almeno sino alla prossima volta che avrò un incontro con uno psicologo, ovvero compiuti i diciotto anni. Sino ad allora senza il suo benestare non ho firma su niente: non posso ottenere un lavoro, non posso stipulare un contratto d’affitto -.
Noel sembrava turbato. In effetti la parola “perizia psichiatrica” scatenava più o meno quell’effetti su tutti.
- A quindi anni ho rubato l’auto del preside per scommessa ma mi sono andata a schiantare. Fecero accertamenti, e mi capitò uno specialista amico di mio padre, il quale aveva pensato bene che facendomi dichiarare mentalmente instabile mi avrebbe avuto in pugno. E di fatto non si sbagliava, è per questo che non voglio, non posso abbandonare casa. Per questo che non ho un cazzo di sogno -
Avevo parlato tutto il tempo senza smettere mai di osservare le reazioni di Noel, che in quel momento chissà perché mi sembravano l’unica cosa davvero reale in quello stupido mondo. Per la prima volta lo sentivo vicino anche fisicamente, stava per avvicinare una mano alla mia ma poi la strinse a pugno. – Ti credevo più forte -
Questo mi fece montare la rabbia dentro, non so bene perché ma so che qualcosa mi si chiuse dentro quando pronunciò quelle parole con… disprezzo.
- Be’ forse una volta lo sono stata, ma a furia di merda ti assicuro che perdi la voglia di lottare – sputai digrignando i denti davanti a quella sua faccia da cazzone, così pronto a dare giudizi.
Mi fissò per un lungo, infinito istante senza mutare espressione, - Non ti aspettavi mica che ti compatissi? Andiamo, io sono cresciuto sentendo ogni giorno una storia come questa. Vivendola. Credi che sia stato bello a sedici anni tirare un pugno in faccia a mio padre e intimare a mia madre di mollare quello stronzo? Oppure pensi che Guigsy sia stato felice quando si è rotto il crociato del ginocchio e gli hanno detto che la Premiere League se la scordava? -.
- Io… - riuscii a mormorare appena, la gola che mi ardeva per la rabbia, per la confusione, per… Noel. Nella mia testa Audrey stava giocando a freccette con un poster gigante di quello stronzo, ma non potevo che ammetterlo, aveva ragione lui. Aveva fottutamente ragione, e mi dava fastidio.
Poi inaspettatamente da quella maschera dura che aveva indossato spuntò un mezzo sorriso, - Tu non hai un cazzo di sogno, dici? Be’ allora io ti prometto che, volente o nolente, condividerai il mio -.
Scossi lentamente la testa, com’era possibile che non lo odiassi già più? I Gallagher mi stavano fottendo il cervello.
- E poi se firmeremo il contratto con la Creation dovrò comprare una chitarra migliore per registrare, quindi non avrò i soldi per comprarti qualcosa per il tuo diciottesimo compleanno. Così, ti regalo un sogno -.
Rimasi inebetita davanti a quelle bizzarre parole di quello strambo uomo quando lui bagnandosi le labbra riprese a parlare. – Sei sicura di non essere arrabbiata neppure un po’ con Ourkid -.
Gli restituì un sorrisino maligno, - Forse un poco, infondo noi donne non dovremmo essere gelose di natura… -
Noel inarcò le sopracciglia – o il monosopracciglio, dipende dai punti di vista -, comunque davvero buffo. Allora gli rubai di mano la bottiglia di Pepsi che stava sorseggiando quando mi aveva seguita, mi alzai e gli feci segno di venirmi dietro.
Raggiungemmo lo spiazzo e trovammo Guigsy e Bonehead che aspettavano che Liam liberasse il furgone. Mi ritrovai di nuovo davanti al portellone, ma questa volta non esitai. Spalancai e riversai all’interno l’intero contenuto della bottiglietta. Bionda procace, Liam. Completamente fradici e appiccicosi. Come la prima volta richiusi il portellone, ma al contrario non feci le mie scuse.
 

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http://www.youtube.com/watch?v=U6jhs6bF_JM <--- link di Cigarettes and Alcohol ;) Capitolo abbastanza lungo e spero che risolverà molti dubbi! 
Un grazie gigantesco come sempre a Buddy e Green Star, ma anche a chi legge in silenzio e uno in particolare a bacchides10 che ha aggiunto la storia alle seguite =)
Faccio (in ritardissimo) gli auguri per la pasqua e... be', commentate! ;) 
Ps: domandina tecnica, secondo voi il rating arancione è adatto a questa storia? o.O

Infine per par condicio con il fratello, questa settimana metto una foto di un Noel annata '92-'93 con una Epiphone da comune mortale, insomma come doveva apparire agli occhi di Cass xD
Ps: Evviva lo strabismo di familia :) 

   
 
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