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Autore: Hui Xie    08/02/2006    7 recensioni
Il puzzle e Yami sono scomparsi, Jounouchi è tornato un teppista, Gozaburo è ancora a capo della Kaiba Corporation, Marik non è più un custode delle tombe... E' un altro anime? No, è solo una semplicissima distorsione temporale... Capitolo nove modificato.
Genere: Avventura, Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Colto in flagrante

Colto in flagrante

A dispetto del pessimo aspetto dell’entrata, e della sporcizia che regnava sovrana sull’uscio, sulla vetrina e sull’insegna, l’interno del bar non somigliava affatto alla bettola che ci si poteva aspettare. Ovviamente, l’aria era satura di fumo e odore di alcol, ma i visi delle persone sembravano privi di preoccupazioni, e le chiacchiere di grida ubriache farcite di insulti e bestemmie.

“Saranno davvero qui?” si domandò Anzu che, nonostante l’atmosfera familiare, rimaneva sulla difensiva, non abituata a luoghi simili.

“Lo spero” commentò seccato Honda. “Dopo aver girato tutta la città…!” Yuugi annuì al suo indirizzo, ma non era colpa di nessuno se Haga e Ryuzaki avevano abitato nel corso di sei mesi in una ventina di case differenti e da tutte erano stati sfrattati. Fortunatamente, l’ultima padrona di casa si era ricordata del bar dov’erano soliti passare le serate e gliel’aveva indicato.

Jounouchi, che sembrava abbastanza arrabbiato per tutta quella perdita di tempo, si avvicinò al bancone, dove il barista, un omaccione dal corpo troppo grosso per quel viso da maestro d’asilo, stava finendo di lavare gli ultimi bicchieri prima di occuparsi delle ordinazioni nuove. “Scusi, ha mai visto questi due?” E mostrò una foto che avevano scaricato dal sito dei duellanti della Kaiba Corporation.

Yuugi trattenne a stento una risata: con quell’atteggiamento il suo amico somigliava veramente troppo ad un detective-eroe di quei film banali che il pubblico americano tanto amava.

“Ma si, certo” rispose il barista dopo una rapida occhiata, appoggiando l’ultimo bicchiere sul lavandino. “Sono qui da ieri pomeriggio” E accennò con la testa l’angolo della stanza. “Buoni clienti, ma…”

I quattro ragazzi si girarono repentinamente per guardare il luogo indicato: un tavolo semivuoto in fondo, dal quale si potevano intravedere, da dietro una dozzina di bottiglie, due note capigliature assurde: una rosso fuoco, seminascosta da un vecchio capello verde, e una azzurrina, che nascondeva un paio d’occhiali gialli e fuori moda. I due ragazzi, ex-campioni di M&W, giacevano entrambi riversi sul tavolo, con le guance appoggiate sulle braccia allungate, e la bocca, spalancata nel russare, lasciava scivolare fuori gli ultimi resti di alcol e saliva.

“Si addormentano sempre così, e mi tocca lasciarli a dormire nel bar, ‘che mi fanno pena” aggiunse il barista.

Fu subito chiaro a tutti che non potevano essere loro i colpevoli della distorsione temporale, a meno che non l’avessero fatto inconsciamente come sonnambuli, cosa da escludere: forse qualcuno era riuscito a passare le difese della Kaiba Corporation, ma di sicuro non un ubriaco addormentato. C’era un limite a tutto, anche agli sbagli di Seto, qualunque cosa pensasse Jounouchi.

“Tempo perso! Tempo perso!” esclamò infatti il biondo, mentre usciva dal bar con i suoi amici. “Dove andiamo ora?”

Prima che qualcuno potesse rispondergli, la figura familiare di Otogi spuntò dall’hotel davanti al locale, stiracchiandosi: doveva essersi appena svegliato. Li vide, sbatté le palpebre, impallidendo leggermente. “Che ci fate qui?” chiese velocemente. “Non mi sembra un posto per voi…” aggiunse, guardandosi intorno nervosamente.

“E tu, allora?” ribatté Honda, alzando un sopracciglio.

Poi, Yuugi gli raccontò tutta la storia, riuscendo a sorprenderlo più della loro stessa presenza nella periferia malfamata. “C’era anche il nome di tuo padre…” aggiunse, abbassando lo sguardo come se fosse colpa sua.

“Non penserai che sia stato lui, vero?” chiese Otogi. Non ottenendo risposta, lo afferrò per il colletto della camicia che indossava sotto la solita giacca della divisa scolastica. “Non puoi crederlo!”

“Io…” Yuugi scostò lo sguardo, continuando a non rispondergli. Avrebbe tanto voluto rispondere no. Avrebbe tanto voluto non essere in quel luogo. Avrebbe voluto svegliarsi, quella mattina, con ancora il suo puzzle e il suo alter ego al suo fianco.

Otogi sospirò. “So che né io né mio padre siamo stati molto… amichevoli nei tuoi confronti” iniziò. “Ma è passato. Quell’incendio ha bruciato tutto il rancore, lasciando solo cenere. Cenere”

“Io credo in te” rispose Yuugi. “Hai combattuto onestamente, e l’incendio ha trovato solo un campo già bruciato”

“Già” intervenne Jounouchi. “Ma non possiamo sapere se le braci sono rimaste a covare sotto la cenere di tuo padre”

“E va bene” sbuffò Otogi. “Vi porto da lui, così capirete che ho ragione”

“Riuji-i…” cantilenò una voce acuta, da dietro. Una ragazza bionda gli si gettò al collo, lasciandogli un vistoso segno di rossetto sul colletto della camicia a righe azzurra, decisamente non adatta a lui.

“Scusa, tesoro…” Otogi, con un’occhiata imbarazzata ai suoi amici, si scostò, mostrando il vestito succinto che la ragazza indossava, con tanto di stivali alti con tacco e leopardati. “Adesso devo andare”

“Eh?” esclamò lei, facendo un’espressione da cane bastonato che male si addiceva al trucco pesante. “Ma avevi detto per tutta la giornata!”

Otogi estrasse il portafoglio dalla tasta e prese quasi tutte le banconote che vi si trovavano – parecchie, a detta di Jounouchi che, in vita sua, non aveva mai visto nemmeno un quarto di quella cifra. “Tieni, e comprati qualcosa di carino” Gli infilò i soldi nella scollatura, giusto fra il solco dei seni, quindi superò i ragazzi e si avviò per la strada senza aggiungere altro.

“Tornero` a trovarti!” gli gridò dietro la ragazza.

Il gruppo seguì timidamente Otogi, che se ne andava tranquillo per la sua strada, come se fosse da solo, non con una compagnia di ragazzi, suoi amici, ai cui per altro avrebbe dovuto fare da guida.

“Ma… Ma…” balbettò improvvisamente Anzu, che, nonostante l’imbarazzo, non riusciva a rimanere in silenzio, esprimendo così anche le perplessità degli altri. “Ma quella era… Una… Una prostituta…?”

“Uhm…” Il ragazzo, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans, si voltò appena, scoccandole un’occhiata seccata con i suoi occhi verdi. “Secondo te?”

“OTOGI!” Questo era Jounouchi, che prendeva le difese dell’amica, troppo imbarazzata da quello sguardo per proseguire. Dopotutto, lei era una ragazza, e questa storia la colpiva più profondamente.

Il ragazzo continuò a non rispondere, e tutti presero il silenzio per assenso.

Honda impallidì, poi deglutì. Proprio lui, l’idolo di tutte le ragazze della scuola, mentre lui aveva già difficoltà a farsi accettare come ragazzo dalle persone che gli piacevano e che poi, puntualmente, lo rifiutavano, come Miho. Certo, sverginare una studentessa non sarebbe stato il massimo, ma stare con una ragazza… Credeva che Shizuka gli piacesse veramente.

“Ma come puoi?” singhiozzò leggermente Anzu. “Sono persone…”

Otogi fece un sorriso imbarazzato. ”Avete capito male…”

“No!” ribatté la ragazza, raggiungendolo e fermandosi davanti a lui. “Vendere il proprio corpo… Ti sembra normale? Ti sembra amore?”

“Non è una prostituta” Il ragazzo scostò lo sguardo da quegli occhi azzurri, decisi e arrabbiati. “Io lo sono”

“E questo cosa vuol dire?” Lei abbassò lo braccia, non capendo il senso delle sue parole. “Tu…?”

“Si, faccio la prostituta!” sbottò, arrabbiato. “E’ un lavoro come un altro, e si guadagna anche bene” Fissò Anzu. “Puoi approfittare, se vuoi, ti faccio un prezzo spec-”

Ma Anzu non gli lasciò il tempo di finire, colpendolo in viso con un sonoro schiaffo. “Non dire stronzate!” esclamò. “Non pagherei mai qualcuno per venire a letto con me! Te meno che gli altri! Mi fai schifo!”

No, scosse la testa Yuugi, mentre osservava la scena. Quello non era Otogi. Meglio, non era l’Otogi contro cui aveva combattuto così fieramente a DDD. Davvero, quanto stavano cambiando le loro esistenze per un semplice avvenimento mutato in un passato lontano di tremila anni! “Mou hitori no boku… Torna!” pensò, stringendosi le mani. “Abbiamo bisogno di te… Tutti”

Poi superò i due ragazzi, che dopo la sfuriata di Anzu erano rimasti entrambi in silenzio, e si voltò a guardarli, ostentando una tranquillità così falsa da stupire lui stesso. “Adesso, non possiamo fermarci a litigare” disse, serio. “Non abbiamo tempo” Ed era una frase che poteva suonare veramente ironica, contando che tutti i loro problemi derivavano proprio da una macchina del tempo che, teoricamente, avrebbe potuto allungare le giornate a chiunque.

“Si…” fu la risposta sibilata degli altri, simile ad un leggero alito di vento in una giornata di primavera, quindi si misero in cammino per le strade quasi deserte della città di Domino, verso il negozio di Otogi.

Poi, Yuugi si fermò all’improvviso. Davanti a lui, in fondo alla strada, spuntava il tetto rosso con la nota insegna del “Burger World”, uno dei suoi posti preferiti. Certo, era praticamente mezzogiorno, e la fame cominciava a farsi sentire, ma non era per l’odore invitante degli hamburger che gli occhi viola del ragazzo si erano concentrati su quella scritta.

Una strana sensazione lo invase, un freddo brivido scorse dalle vene dei polsi fino al cuore, accelerandogli i battiti e serrandogli la gola in una morsa dolorosa. Il suo cervello gli trasmise l’ordine di non farlo, di non entrare assolutamente in quel locale. Ma ovviamente, Yuugi, da idiota quale egli stesso si maledisse, non seguì il consiglio. Arrivò davanti alla porta, afferrò la maniglia ed entrò.

*-*-*

“Secondo te, quella è Venere?” chiese ad un certo punto Marik, indicando un punto brillante appena comparso nel cielo blu, in lontananza.

“Perché dovrebbe esserlo?” fu la laconica risposta di Bakura.

“Avevo sentito dire che la prima stella della sera è Venere…”

“Ma Venere non è mica una stella!”

“Però nell’antichità mica sapevano la differenza…”

“E i greci, allora? Non era stato un greco a fare il primo schema del sistema solare?”

“Boh… Può darsi” Marik rifletté un attimo. “Però gli Ittiti chiamavano Venere la stella di Ishtar”

“Allora sarà proprio Venere…” Bakura alzò gli occhi al cielo, ormai totalmente scuro. “Ne è comparsa un’altra”

“La stella polare?”

“Ma non indica il nord…”

“Che ne sai?”

“A istinto…”

“Si, come no…” Marik scosse la testa. “Però, ora che ci penso, forse era la stella polare la prima stella della sera… O Sirio…”

“Ma chissenefrega, anche!” sbottò Bakura. “Vorrei proprio sapere perché siamo qui a parlare di ‘ste minchiate…”

“Perché non possiamo muoverci…” allargò le braccia Marik.

I due ragazzi, con la schiena appoggiata ad un grande tronco di un sicomoro, nell’angolo più scuro del giardino, abbassarono lo sguardo per osservare attorno: Mahado dormiva con la spalla appoggiata a quella di Marik, con i capelli castani che gli coprivano in parte il volto, mentre Mana si era addormentata in braccio a lui; tra le gambe aperte di Bakura riposava Tuya, con il volto completamente affondato nella sua maglia ancora sporca, e una mano che stringeva quella di Sethi, il quale era coricato leggermente più distante, con il tronco a fargli da spalliera; Isis usava allo stesso modo le gambe di Marik, con le mani congiunte sul grembo come in preghiera; Ramses, infine, si era sistemato tra i due ragazzi, con il capo reclinato sul braccio di allungato di Bakura.

“Dopotutto, sono sempre bambini…”

Bakura passò lo sguardo sulla frangia bionda di Ramses, sulle ciglia già lunghe in occhi non ancora così severi, sulle labbra semi aperte, e poi… “Sarebbe così facile strozzarlo, ora…”

Marik gli riservò un’occhiata di rimprovero. “Guai in vista” aggiunse poi, mentre il pulsante blu del suo guanto iniziava a lampeggiare, segno di una chiamata dal quartiere centrale. “Kaiba” Lentamente, spostò la testa di Mahado in modo da appoggiarla contro l’albero, quindi prese Isis per le spalle e, con calma, la tenne ferma in modo che non cadesse mentre toglieva le gambe da dietro la sua schiena, e poi l’appoggiò gentilmente a terra.

Bakura alzò gli occhi al cielo, e fu molto meno delicato nell’alzarsi, separando le mani giunte di Sethi e Tuya, mentre lasciava scivolare sia la bambina che Ramses nell’erba fresca senza preoccuparsi della botta che avrebbero potuto prendere. Si avvicinò poi a Marik, il quale si era leggermente allontanato e aveva già fatto comparire lo schermo, tenendo la mano leggermente rialzata davanti a lui.

Il volto apparentemente calmo del ragazzo castano comparve nei colori sgargianti, spiccando nitido nella notte scura. “E’ passata una giornata, e io ho lavorato praticamente per farvi un favore…” mormorò lentamente. “Che diavolo state combinando?!” Si battè una mano sulla fronte. “Perché devo sempre parlare con idioti…”

In situazioni normali, i due improvvisati viaggiatori del tempo lo avrebbero tranquillamente mandato a quel paese, ma il mestiere di baby-sitter li aveva sfiancati più di quanto loro stessi volessero ammettere. “Kaiba, abbi pietà…” mormorarono contemporaneamente.

Lui agitò leggermente la mano, come dire di lasciare perdere. “Tanto, non potevo aspettarmi nient’altro da voi” fu la sua risposta. “In compenso, io ho ridotto l’arco di tempo in cui è avvenuta la distorsione. L’intervallo è dal 1312 al 1316. Datevi da fare” E chiuse la comunicazione senza aggiungere nient’altro.

“Se siamo ridotti così, è anche colpa sua…” Bakura emise un profondo sospiro. “Come lo odio…”

“Lascialo perdere” Marik selezionò l’anno, lasciando come città Menfi. “L’unica cosa che mi rompe è non aver avuto la forza di rispondergli…”

“Tu hai voluto venire con me” fece presente l’amico.

L’egiziano scosse la testa. “Gira pure il coltello nella piaga” E, senza nemmeno avvertirlo, premette il tasto invio nello schermo: un istante solo, e i due ragazzi si trovarono accecati da un forte sole pomeridiano, con il naso e le orecchie completamente otturate dai suoni e dai profumi del mercato dell’affollata città di Menfi.

Decine di persone sfilavano davanti ai loro occhi, correndo velocemente per la strada, ognuno con il proprio pacco di roba, e li sorpassavano senza nemmeno notarli, troppo immersi nei loro pensieri; altri, fermi davanti alle bancarelle, contrattavano il prezzo con i negozianti, cercando con le loro voci di sovrastare quelle di chiunque. Erano volti antichi, eppure in ciascuno si potevano ritrovare le gioie e le preoccupazioni semplici degli uomini moderni.

“Che belo…” esclamò una voce infantile, con lo stesso tono ammirato con cui i due ragazzi stavano osservando quello spettacolo.

“Già…” rispose Marik. Poi, accortosi della stranezza di quella situazione, sbatté le palpebre e abbassò lo sguardo ai suoi piedi, da dove sembrava provenire quella voce.

Bakura eseguì la stessa mossa nello stesso istante, e sobbalzò. “Che… Che diavolo ci fa lui qui?!” sbottò.

“Ci ha seguiti, temo…” rispose Marik, con un’espressione terribilmente colpevole.

“Che belo…” ripetè, in tono più dolce, il piccolo Ramses, che continuava ad osservare lo spettacolo con i suoi occhi viola spalancati, e le guance leggermente arrossate per l’entusiasmo.

“Dai, riportiamolo indietro prima che lo uccida seduta stante” ordinò Bakura, ma prima che Marik avesse anche solo il tempo di alzare la mano per premere il pulsante sul guanto, Ramses era già scomparso tra la polvere, le vesti e le gambe che costellavano la via.

Nella prossima puntata…
E’ inutile che mi guardi in quel modo, Satre. Questa volta non sono stato io a mettermi nei guai, volevo solo pescare, quando sono arrivati questi ragazzi…
Si, si, come no, Ramses. Ma sono proprio strani questi due, non trovi?
Mi divertono, però…
Piuttosto, dimmi, chi è quel bambino che ti somiglia così tanto?
Prossima puntata: “Bakura ne combina un’altra delle sue” Non perdetela!

Hola!
Dato che nell’ultimo capitolo ho ricevuto parecchi commenti che si domandavano perché mai Baketamon dovesse affidare i bambini a quei due scapestrati di Marik e Bakura, invece di pagarsi una baby sitter con i soldi delle finanze reali, sono andato a chiederlo direttamente a lei…
Baketamon: “A parte che a me sembravano dei bravi ragazzi… Di solito ai bambini ci bada un tizio di nome Remthot, che è anche il loro maestro, solo che quel giorno era impegnato e, "casualmente", tutte le balie si erano ammalate di una strana forma di influenza che le aveva costrette a letto… Perciò è stata una necessità improvvisa! Ma gli spiriti sanno sempre qual è il momento giusto per arrivare…”
Bakura: “Che sfiga, però…”
Risolta questa questione, torno a rinnovare i miei ringraziamenti a tutti quelli che hanno letto la mia storia, specialmente a Death Angel (direi che anche il calcio rimane sempre uguale in qualunque epoca…^_- Mi fa piacere che ti sia piaciuta), Ayu Chan (diciamo che il carattere che abbiamo da grandi si rispecchia in quello che facciamo da bambini… E difatti si è visto! Bakura aggiunge anche che Atemu che piange non è affatto tenero, e puoi andare a fare la baby sitter tu la prossima volta ^_-), Ita rb (grazie per aver seguito il consiglio, spero che tua madre non abbia davvero creduto che tu fossi impazzita ^^), Kim (Indipendente dalle varie vite e anche dall’età, a quanto sembra ^_- Per la storia di Mahado, mi riferivo al fatto che aveva deciso di sacrificarsi per sconfiggere Bakura, quindi, effettivamente, la colpa è principalmente sua ù_ù) e Evee (mi fa piacere essere riuscito a mantenere tutti OOC, nonostante l’età ^^). Grazie ancora a tutti per i complimenti.
Spero a presto
Hui Xie
  
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