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Autore: Per_Aspera_Ad_Astra    30/04/2011    3 recensioni
Avete presente il famoso libro di Boccaccio? Ecco, quello che si sta riginando nella tomba dopo aver letto questa storia.
Una NUOVISSIMA versione del DECAMERONE
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOVELLA SECONDA.
NARRATA DALLO “SBARBATO” TOMO.
TEMA: FORTUNA, TENACIA
TITOLO: C’ERA UNA CASETTA PICCOLINA IN CANADA…
PERSONAGGI:
-TOMOMOS MILCHEVIANDRO: Tomo Milicevic
- LINO CARRELLO: Colin Farrel
- GIARRET LETOLANZI: Jared Leto
- NASCINNO LANZILETO: Shannon Leto
- VICHINGA: Vicky







Avete presente le sconfinate praterie americane? Quelle in cui la fertilità era in ogni angolo, il verde, la vita, il profumo, ma soprattutto la grandezza dei suoi confini. Il profumo degli alberi che danzavano con il vento, l’erba che si muoveva lentamente creando una stupenda illusione ottica, il sole che baciava la meravigliosa vista e gli uccelli che cantavano il gloria della bellezza…
Ecco. Dimenticate tutto questo, perché parleremo di un’altra cosa.
Cominciamo. Avete presente le terre aride e secche del territorio spagnolo*? Tutta quella terra sprecata dalle lavorazioni dei braccianti e dai contadini maldestri? Ecco. Tenete in mente quello.
Era il 15 maggio del 1764 e come ogni mattina tutti i contadini di quella contea portavano il resoconto ai loro braccianti che, contando il lavoro impiegato e la forza, pagavano i contadini stanchi e pieni di lividi.
Quindi, come vi dicevo, ogni mattina una decina di contadini mettevano in moto il carro arrivando al terreno del proprio bracciante che più delle volte o era il re stesso o un alto nobile. Quel giorno toccava al povero contadino Tomomos Milcheviandro, che come ogni santa settimana doveva portare il suo resoconto al suo bracciante /capo Giarret Letolanzi.
Letolanzi era uno dei più famosi braccianti della contea Lostinga.. tutti lo odiavano per i suo grossi terreni e per la sua poca grazia. Abitava nella seconda casa più grande dopo quella del re: era circondato da ancelle, servi, uomini e donne che lo curavano, lo vestivano e gli davano da mangiare; c’era chi diceva che esso mangiava chiunque non gli avesse dato quello che gli spettava. Il contadino arrivò, non con il carro perché non ne aveva la possibilità, ma con i suoi incalliti piedi. Portava insieme a lui un piccolo sacchetto con dei semi e un foglio di carta scarabocchiato. Non aveva frequentato nessuna scuola ma grazie al padre sapeva tutto quello che si doveva sapere per andare avanti in quella che doveva essere chiamata vita.
Rimase imbambolato come sempre a vedere la casa di quel deficiente, che con il suo sudore e quello di altri suoi colleghi poteva permettersi quello che lui non poteva vedere neanche se avesse vissuto dieci vite. La casa si ereggeva su un territorio sconfinato e tutto quello che li circondava era il deserto più arido e polveroso che avesse mai visto. Non si spiegava mai perché avesse scelto di stare lì invece di avvicinarsi alla città che erano solo 10 miglia da quella fottuta reggia. Si, andava in bile quando sapeva che lui era uno stupido ricchione e che nessuno poteva usufruirne alla sua morte.
Fece qualche passo in avanti salendo i tre scalini di cemento bianco lucido, quando con grossi passi famelici gli si avvicinarono due eunuchi ( se si potevano chiamare cosi), depilati e profumati che lo presero per le braccia e lo portarono delicatamente all’ingresso della casa. Quello che gli apparve era la meraviglia più totale: un grosso porta lampadario fatto di diamanti del Messico scintillavano per la luce del sole che filtrava violento dalle finestre lucide, il pavimento ricoperto da grosse lastre di ceramica lavorata con dei bellissimi affreschi dipinti sopra, per non parlare dei muri che sembravano essere stati dipinti da Michelangelo stesso.
E intanto che si corrodeva la vita, dalle scale principali dove si ereggevano busti di dei non identificati, un uomo di 30 anni scese abbracciato da più uomini e donne. -Che grazia- si ripeteva Milcheviandro osservandolo scendere con la camicia di seta praticamente aperta e qualche pelo biondo ornare il petto vigoroso del giovane, che non contento decorava il tutto con miliardi di collanine in oro massiccio.
- Qual buon vento ti porta qui?- disse Giarret scendendo le scale con le gambe aperte abbracciandosi un uomo e una donna che non la smettevano di ciondolarsi su di lui.
- Buongiorno nobile Letolanzi - marcò il “nobile” il contadino abbassando il capo per ammirare meglio quei meravigliosi dipinti.
- Smettetela. – ordinò il più ricco dei due rivolgendosi ai ragazzi che lo accarezzavano da più di due ore – Quindi?- chiese sbattendo le palpebre.
Per quanto poteva odiarlo non poteva dire che fosse brutto.
Ricco e bello.
Cazzo che fortuna, o meglio che razza di ingiustizia.
- Sono venuto a portarle i.. resoconti-
- Non deludermi anche oggi va bene?- si accinse a vedere i pochi semi nel sacchetto di tela scura, per poi leggere molto attentamente quello che gli offriva il terreno del povero Tomomos. -No, no...- disse scuotendo la testa – non andiamo per niente bene ragazzo, qui leggo che hai raccolto solo il 22% di quello che avevo chiesto di ottenere. Stai scendendo sempre di più-
- Ma signore.. – iniziò giustificandosi il contadino - Niente scuse!- esordì il nobile – Io ti chiedo questo e tu lo esegui, guarda come stanno bene quelli che lavorano insieme a me- disse indicando i servi
- Si ma sono senza pisello – disse a bassa voce Milcheviandro
-Quindi- disse inserendosi il mignolo nell’orecchio per poi muoverlo freneticamente, dopo di che sazio del suo lavoro lo tolse per ammirarlo – tu.. mi porti quello che mi spetta- disse in fine pulendosi sulla casacca grigia del contadino
- Ma..-
- Niente ma, guarda cosa porti addosso! E ora fila via prima che cambi idea sul tuo conto.- lo scacciò buttandolo letteralmente fuori dalla sua reggia lasciandolo solo a guardare i suo indumenti fatti di fibra di canapa.
- MAMMA MIAAAAA!- cominciò ad urlare il contadino - SEI UN RIDICOLO RICCHIONE! SCREANZATO! IDIOTA! STUPIDO, DEFICIENTE…E .. POI.. SA CHE TI DICO? ROTTO IN CULOOOOO!- disse prolungando la “o” quando il soggetto a cui tutte quelle “belle” parole erano riferite di affacciò dalla finestra.
- Rotto in cosa?- chiese con un ghigno
- ah..salve!- disse sudando cosi tanto che sembrava gli piovesse addosso – rotto? Ha sentito rotto? Volevo dire cozzo! – disse asciugandosi la nuca.
- mh..vabbè allora vai via.. –
- s…s..si!- disse correndo per non peggiorare le cose più di quanto non stavano andando.
Lui non era come lui.
Non era bello.
Non aveva gli occhi azzurri.
Ma soprattutto, non aveva un briciolo di soldi. Si ritrovava a campare con 4 monete d’oro alla settimana per poi riceverne alcune volte 2, come era successo quel giorno. Non poteva continuare cosi..non era giusto.
Viveva in una casa che puzzava di pesce, un fratello malaticcio che doveva accudire e portare tutto quello che poteva, il terreno che non produceva più nulla per non so quale maledizione di qualche dio, la madre morta da più di due anni e un padre che si lasciava morire in mezzo alle capre puzzolenti. Possibile che tutto gli altri potevano avere una vita decente e lui neanche l’ombra di quello che si poteva chiamare “vivere normalmente”?
- Tomomos!- gridò in un gemito di dolore il fratello grassoccio sul letto fatto di paglia
- Dimmi- chiese preoccupato poggiandosi verso di lui
- Devo fare un…un…peto- disse con la faccia corrucciata per poi ritornare con la solita faccia piena di dolore
- Si, ho sentito- sospirò mettendosi a pulire quello che aveva confusionariamente messo in disordine.
Tomomos non viveva una vita facile, non era proprio il tipo che poteva mettersi seduto e sorseggiare il suo bicchiere di alcol.
No, lui no.
Faceva da balia, da dottore, da becchino, da baby sitter e persino da cuoco.
Lui faceva di tutto e di più.. e si pentiva amaramente di perdere tempo ancora con quella stupida famiglia.
- Adesso torno- disse gridando quel po’ per farsi sentire dal fratello che stava in camera a fare la guerra con il suo maiale domestico a chi faceva più scorregge. Andò fuori dove i 20 metri quadrati di terra offrivano quelle due e secche erbette che uscivano insidiavano nel terreno. - Oggi, vi sistemo io!- disse alla capitan America


TENTATIVO N. 1


Quel giorno provò invece a seminare come ogni comune cristiano, volle invece seminare e annaffiare, seminare e annaffiare..per poi creare per ogni seme una specie di vulcano di terra. Passo per fare quel lavoro più di sei ore e quando il sole era già sotto le colline da tempo poté rialzarsi e mettere le mani su i fianchi, in modo compiaciuto.
- Anche se sembra un campo minato.. non posso fallire –
Andò a riposarsi e passato anche il terzo giorno dalla semina non volle far altro che affacciarsi per vedere il suo lavoro fiorire… Quel che vide fu un meraviglioso giardino, pieno di bacche e pomodori.. ovviamente del vicino.
- Ma che…- disse stupito – Non è giusto! Non per uno che si chiama Tomomos!-
- La mia capra si chiama TOMOMOS!- gridò l’omino che gli tirò un pomodoro – fammi dormire!-



TENTATIVO N. 2



Era sera, Tomomos se lo ricordava bene.
Accese tutti i lumini e dopo aver pregato tutti i santi del suo calendario fece la danza della pioggia. Una strana danza della pioggia.
-Pi..pi..pioggia! Scendi qui, qui da me! Pi..pi..pioggia!- cantava a squarcia gola
- La devi smettereeeeee! Mi sa che non hai capito?!- gridò di rimando lo stesso omino del lancio del pomodoro.
- Si, mi scusi signore- si scusò Tomo per poi rintatarsi in casa.
Ne aveva fatti di tentativi, aveva usato anche l‘uranio impoverito, materiali di riciclo e anche bombe atomiche non proprio legali.
Niente. Niente di tutto ciò che aveva fatto portato a un misero raccolto.
Bastava anche uno stupido pomodoro. Fin quando in un giorno, che neanche lui sapeva che esistesse, il barbone della città gli si avvicino grattando miseramente alla sua porta.
- Fammi entrare! Fammi entrare!- diceva grattando con le unghie sporche
- Non ho cibo per me pensi che possa dartene io a te?- disse acido il contadino guardandolo con occhi truci
- No, ma io non voglio niente di tutto questo!- disse umilmente Nascinno Lanzileto
Il povero barbone Nascinno era cresciuto nella miseria da quando era piccolo, non aveva mai avuto né cure mediche e né cure di familiari. Aveva una strana malattia, detta il nanismo, lui diceva che non era basso lo ripeteva ad alta voce.. ma per un povero pazzo come lui nessuno gli credeva. Perdeva anche i capelli per questa strana malattia, quelli invece diceva che sarebbero ricresciuti un giorno ( ecco perché tutti pensavano fosse pazzo).
Un tempo Lanzileto lavorava per le “tasche” del re. In pratica faceva il tesoriere, ma dopo una lunga crisi il povero Nascinno non fu così abile e bravo per distruggere la crisi che attanagliava il castello; cosi invece di talgiargli la testa gli diedero una possibilità di vita
. - E che vuoi?!- chiese scortese Tomomos
- Ho visto che le tue terre sono infeconde- disse con un tono di superiorità
- E inutile che usi questi termini che hai imparato oggi – disse alzando un sopracciglio – tu non sei acculturato! Addio!- sbattendo la porta
- Hai sbalgiato persona con cui giocare –disse con voce alla Tom Cruise – Adesso apri e mi ascolti.-
- O..o..ok.-
- Questo sacchetto contiene un seme speciale che…si fa crescere l’oro- disse guardandosi le unghie con fare altezzoso – e cresce una volta ogni dieci anni, e solo una persona con tanta tenacia e poca autostima può farcela-
- Aspetta ma questo è un contro senso, se uno con poca autostima non crede in se come può farcela?!- chiese con tono stupito - Idiota! E’ una storia deve avere pure un minimo di fatti carini e sbrillucicosi no?! Leggiti cappucetto rosso.. – lo rimbeccò il barbone
- Capito- disse con fare incerto – e mi dai questi cosi allora??- disse porgendo la mano voglioso
- Alt!- disse con un tono di voce cosi alto che lo stesso contadino saltò in aria – io te lo do, ma tu dovrai farne buon uso. E ti ricordo di credere in te!- disse per poi sparire nel nulla
Milcheviandro si guardò intorno con fare sospettoso e prese quel misero sacchetto e lo portò dentro la sua “dimora”. Non aveva commesso un furto o cose del genre, ma si sentiva di aver rubato. A spese di qualcun altro. Quindi era pulito.
Ripose sul tavolo scuro il sacchetto e lo aprì con molta delicatezza, quando una piccola luce verde lo sorprese. Erano delle meravigliose pietruzze illuminate da un verde smeraldo. Il colore del denaro.
Il profumato e delizioso denaro.
Corse subito, quindi, fuori dalla sua casa e con cura seminò tutti i semini che quel barbone gli aveva donato.
Non poteva fallire.
Lui poteva farcela no?
Infatti, non poteva farcela.
E vi spiegherò anche il perché.

Dopo aver messo tutti i semini nella terra il povero contadino si accinse verso il castello del re Lino Carrello.
La dinastia Carrelo viveva in quelle terre da secoli ormai, il padre del re aveva una vasta catena di centri commerciali ma soprattutto delle aziende di carreli. Loro li amavano i carreli, tanto che il principino Lino si era fatto costruire il castello a forma di grosso carello. Si, loro amavano i carrelli. E quanti ne avevano. Avevano la collezione anche futura dei carrelli, quelli fatti in ferro, loro non amavano quelli in vimini (troppo scontati)…in seguito ne avrebberò progettato uno il placcatura d’oro. - Vorrei parlare con il principe, la scongiuro- disse tristemente il contadino
- No –
- La prego!-
- Giochiamo a sasso, carta e forbici e se vinci passi..se perdi muori-
- Ma un gioco senza sangue?!-
- Can-Can chi è?- chiese una voce squillante dal condo del corridoio che portava all stanza padronale del “carrello/castello”
- Questo appestato vuole parlare con lei-
- Ma appestato ci sarai tu- disse di rimando Tomomos
- Con me?! Uh ma che felicità!- disse saltellando il re dagli occhini scuri e dalla capigliatura stramba – dimmi!-
- Io sono Tomomos Milcheviandro e abito nella parte ovest del vostro regno, e ho avuto numerevoli problemi con il raccolto.-
- Ah! Ma tu sei Tomomos! Quello che non cresce un filo d’erba da anni- rise sonoramente
- Già- disse infine chidendo gli occhi come delle fessure- volevo solo avvertirle che adesso il mio terreno sputa soldi-
- Si certo, soldi! Puoi andare adesso? – chiese con tono stufato il re – non voglio sentire più nessuna parola da te, o misero contadino.-

Ecco perché Milcheviandro non ce la fece, perché non era in possesso di prove per far vedere che avesso quel terreno era diventato molto ricco, molto più di quello che sembrava. Però ormai erano passati mesi da quando aveva depositato quei semini nel terreno e oltre a un folto terriccio secco non c’era niente di interessante sulla proprietà di Tomomos, e come se non bastasse il re – o meglio dire il principino- aveva messo una bella lista di tutti quelli che potevano partecipare ad un concorso – dove sfortunatamente c’era pure lui-
Questo concorso consisteva nell’avere il maggior numero di ricavi in un terreno e di portarne le prove al sottoscritto ( cioè il re); chi riusciva a vincerlo poteva prendere in sposa la sorella: Vichinga.
Vichinga era la secondogenita della dinastia ed era anche la meno esaurita. Era una bellissima fanciulla dalla carnagione non molto chiara e dai capelli e gli occhi corvini, la povera però era sovrastata da fratello Lino che era molto più checca di lei (e lei poteva esserlo perché era una donna.)
Milcheviandro aveva sempre avuto un debole per Vichinga, le era sempre piaciuta dalla prima volta che le aveva visto mettere piete sul balcone del castello: era la più raffinata, la più delicata, la più dolce..un pasticcino insomma. E lui alcune volte pensava di essersi innamorato davvero.
Cosi sapendo di non poter vincere mai Tomomos, come tutti i giorni, si alzò dal letto per dare da mangiare al maiale e a suo fratello che puzzava più di lui..ma una cosa strana accadde quando andò fuori per maledire tutti gli dei trovò una cosa sconcertante: ettari ed ettari di alberi con tantissime banconote da cento, e piccoli rami con delle monetine da dieci cent. Non poteva crederci, era tutto vero.
Non poteva credere ai suoi occhi e cosi com’era conciato – molto peggio del solito- corse al palazzo del re per mostrare a tutti la sua meravigliosa creazione, ringraziando mentalmente quel barbone.
- Io, Milcheviandro ti assecondo vendendo insieme a te.. ma se non troverò nulla giuro che ti talgierò la testa- asserì acido il re dalla capigliatura stramba e biondo cenere
- C..c..c…certo mio sire, non voglio deluderla! Volgio solo rendere Vichinga la donna più felice- si rivolse a lei ocn uno sguard dolce
I tre si avviarono verso le terre di Milcheviandro che, avendo ragione per i suoi possedimenti, fu incoronato “sotto principe” di un regno dell’ovest, dove potè vivere per sempre felice e contento con la sua amata Vichinga.


Ma non vi chiedete che fine abbiano fatto Giarret e Nascinno?


Ecco non ve lo chiedete, perché non ne ho la più pallida idea...

















*il terreno spagnolo lo indico come la parte della Louisiana






Scusate per l'immenso ritardo cari lettori. Si è vero non solo fa schifo ma mi sto rendendo conto che questa storia è molto più grande di me e dei miei pensieri, non credo di essere all'altezza e quindi avrei in mente di lasciarla incompleta. Lo vedo anche dalle recensioni... non sono è molto scontata ma anche non è uno dei temi forti del sito.. quindi forse lascierò spazio a scrittori più bravi ; )
Enjoy!
  
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