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Autore: EffieSamadhi    04/05/2011    1 recensioni
“Ehi, questo è nuovo” commentò, sfiorando con la mano un tatuaggio all’altezza del cuore. “E’… sono…”
“Il nome di mia madre” completò lui, spostando la propria mano su quella di lei. “E quello di mio fratello. E il tuo.”
“Mancano Angel e Jerry” gli fece notare.
“Oh, loro sono qui” ribatté lui, indicando un altro tatuaggio. “Ma questo è un posto speciale. Mia madre, Jackie, tu… avete il mio cuore.”
Adia osservò il tatuaggio, poi alzò gli occhi nei suoi, guardandolo con amore. “Farò di tutto per meritarmelo, Bobby” bisbigliò, suggellando la promessa con un bacio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

27. Boulevard Of Broken Dreams

 

 

            Ad occhi chiusi, ancora piuttosto assonnato, Bobby allungò un braccio verso Adia. Una volta afferrato il vuoto, si convinse ad aprire gli occhi: era solo. Un rumore proveniente dalla piccola cucina lo informò che si era alzata. Bobby guardò la sveglia e sbuffò. Avrebbero dovuto essere in ospedale alle nove, ed erano appena le cinque e mezza: qualsiasi cosa Adia stesse facendo in cucina, certamente poteva aspettare. Si alzò, e con indosso solo le mutande raggiunse l’altra stanza, confermando i propri sospetti: in pigiama, con i capelli raccolti in un nodo pericolante, e uno strofinaccio nella mano destra, Adia stava facendo le pulizie. Bobby si appoggiò allo stipite e rimase a guardarla in silenzio per un minuto, prima di scoppiare a ridere. Nell’accorgersi di lui, la ragazza si voltò con aria colpevole, come una bambina beccata a rubare la marmellata. Nemmeno un istante più tardi, però, recuperò la propria compostezza e ricominciò a strofinare la superficie che aveva smesso di pulire poco prima.

            “Che fai?” le domandò Bobby.

            “Pulisco la cucina.”

            “Sono le cinque e mezza del mattino.”

            “Non riuscivo a dormire.” Bobby si avvicinò in silenzio e le mise una mano sulla spalla, afferrando lo strofinaccio con l’altra. “Ehi, che fai?”

            “Ti sto disarmando” scherzò lui, lanciando via lo straccio umido. “Perché non mi hai svegliato?” le domandò, cingendola con le braccia.

            “Dormivi così bene… non volevo disturbarti.”

            “Lo sai che puoi disturbarmi quanto vuoi…” le sussurrò, avvicinandole le labbra al collo. “Che succede, hai paura?”

            “Per l’intervento? Un po’, forse.”

            “Andrà tutto bene, Adia” la rassicurò, facendola voltare tra le proprie braccia. “Andrà tutto bene” le ripeté, guardandola negli occhi. Adia gli passò le braccia dietro la schiena e appoggiò la testa al suo petto, certa che nulla sarebbe potuto andare male, finché Bobby fosse rimasto al suo fianco. Trasse un paio di respiri profondi per cercare di calmarsi e reprimere il nervosismo, e in quell’attimo Bobby sorrise. “Che fai, piangi? Non pensavo di aver detto qualcosa di così terribile.”

            “Cercavo di non farlo, in realtà” rispose lei, alzando la testa e guardandolo dritto negli occhi. “Cercavo di pensare positivo.”

            “C’è una cosa che ti aiuterebbe a pensare positivo, secondo me. Ma se te lo dicessi, credo che mi accuseresti di essere poco sensibile e di pensare solo a me stesso.”

            “Pensavi al sesso?”

            “No, veramente pensavo a una bella rissa, ma anche questa non è male come idea” la prese in giro.

            “Che scemo…” commentò lei, a bassa voce.

            “Ehi, quando mi hai scelto sapevi a che andavi incontro” ribatté lui. “Allora? Facciamo a botte o facciamo l’amore?”

            Adia rise. “Il dottor Turner mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi…”

            “Tu non ti preoccupare, faccio tutto io…” commentò Bobby, prima di baciarla all’improvviso. “Scusa se sono andato a spifferare tutto a tuo fratello” si scusò, prendendosi una piccola pausa dal bacio. “Non avrei dovuto.”

            “Non importa” lo perdonò lei, accarezzandogli i capelli. “Sai, è strano. Un paio di mesi fa ti avrei semplicemente preso a calci nel sedere… beh, metaforicamente. E invece adesso… Dio, adesso invece farò l’amore con te!” commentò, sinceramente incredula.

            “Non riesco a credere alle mie orecchie… sbaglio o ti ho sentita imprecare?”

            Adia abbassò lo sguardo, colpevole, e si morse un labbro in segno di pentimento. “Colpa tua, Mercer. Hai una cattiva influenza su di me.”

            “Avrò anche una cattiva influenza su di te, ma non ti ho mai sentita lamentarti…” ribatté prontamente lui, prendendola tra le braccia e riportandola sul letto. “Andiamo, ci restano soltanto tre ore prima dell’appuntamento con il dottor Turner.”

 

            “Allora, Adia, come ti senti? Sei pronta?” le domandò il dottor Turner, accogliendola in ospedale con uno dei suoi soliti sorrisi cordiali.

            “Sto bene, la ringrazio. Ho trovato un modo perfetto per scaricare la tensione” rispose, sorridendo a Bobby, che in risposta strinse un po’ la presa sulla sua vita.

            “Non credo siamo ancora stati presentati” sorrise Bobby, tendendo una mano verso il medico. “Bobby Mercer, sono il fidanzato di Adia.”

            “Davvero lieto di conoscerla” rispose lo specialista, stringendo con vigore la mano che gli era stata offerta. Non conosceva la reputazione di Bobby, dunque non sentì la necessità di osservarli per capire che cosa avessero in comune. “L’intervento avverrà soltanto questo pomeriggio, ma stamattina faremo gli ultimi accertamenti e le ultime analisi. Adesso devo ultimare il mio giro di visite, ma poi mi occuperò di te. Questa è Carla, l’infermiera che ti preparerà per l’operazione” aggiunse, indicando la donna in camice rosa che si era appena avvicinata. “A più tardi” aggiunse, appoggiando una mano sulla spalla di Adia con fare paterno. “Bobby” disse ancora, porgendo poi la stessa mano all’uomo, che di rimando la strinse.

            “Salve, Adia. Io sono Carla” si presentò l’infermiera, una donna sui quarant’anni, dalla carnagione olivastra e con una massa di capelli ricci raccolti in uno chignon contenitivo. “Per qualsiasi cosa, puoi rivolgerti a me.” Consultò l’orologio da polso. “Ok, tra dieci minuti inizieremo con gli esami. Vi lascio soli” concluse, sorridendo.

            Adia aspettò che l’infermiera fosse sufficientemente lontana, prima di lasciar andare un sospiro. “Bobby, portami a casa” esordì, voltandosi a guardarlo.

            “Non ci penso nemmeno” rispose lui, con un sorriso.

            “Ho paura.”

            “Sono più spaventato di te.”

            “Non fare il buffone. Tu non hai mai paura di niente.”

            “Sono cambiato, e lo sai. Avanti, andrà tutto bene. Questo dottore mi sembra un tipo in gamba, e l’infermiera è gentile. Sicuramente sanno quel che fanno, e…”

            “Non ho paura dell’operazione. Lo so che andrà bene.”

            “E allora di cos’hai paura?”

            “Ho paura che possa cambiare tutto” sussurrò la ragazza, distogliendo lo sguardo.

            “Beh, questo è ovvio. È ovvio che cambierà tutto. Insomma, tornerai ad essere quella di una volta, e andremo a vivere insieme, e… andrà tutto bene” concluse, prendendole la testa tra le mani e sussurrando quelle ultime parole a pochissimi centimetri dal suo volto. Suggellò quella promessa con un bacio a fior di labbra, poi la scostò da sé. “Adesso vai. Prima si inizia, prima si finisce.”

            Si separarono con un sorriso, e furono immediatamente raggiunti da Carla. “Verso mezzogiorno avremo finito con gli esami. Avrai un’ora di riposo prima dell’intervento. Casomai voleste vedervi ancora una volta” spiegò, guardando prima Bobby e poi Adia.

            Bobby annuì. “Grazie.” Lanciò un’ultima occhiata a Adia, poi lasciò l’atrio dell’ospedale, combattendo contro la volontà di voltarsi a guardare indietro. Se l’avesse fatto, difficilmente avrebbe potuto convincersi ad andarsene.

 

            Le giornate avevano iniziato ad allungarsi in maniera tangibile, e il sole aveva finalmente iniziato ad intaccare lo spesso strato di neve e ghiaccio che ricopriva la città. Mancava ancora più di un mese all’inizio della primavera, ma a tratti già sembrava che l’inverno fosse terminato. Evans Street, come il resto della città, era ancora completamente imbiancato, ma il riverbero dei raggi del sole sulla neve conferiva a tutto il quartiere una luce diversa. Bobby bussò educatamente alla porta dei Chambers, aspettando che qualcuno venisse ad aprire. Uno dei figli di Aaron si affacciò, chiedendo timidamente al visitatore di qualificarsi.

            “Ehi, ciao. Tu devi essere Adam. Sono un amico della zia Adia, e…”

            “No, io sono Jordan. Adam è mio fratello. Ma io so chi sei. Tu sei il fidanzato di zia Adia. Mamma dice che sei un delinquente.”

            “Ah, tua madre la pensa così?”

            Il ragazzino, che doveva avere circa sette anni, annuì. “Però papà dice che sei a posto. E io gli credo.”

            Bobby sorrise. “Tuo padre è in casa? Dovrei parlare con lui.”

            Il bambino aprì la porta. “Avanti. Pulisciti le scarpe sullo zerbino, prima. La mamma ha passato l’aspirapolvere.”

            Potrei riempirle la casa di fango per il solo gusto di vederla sbarellare, ragazzino. “Ok.”

            “Aspetta qui. Vado a chiamare papà.” Bobby ebbe finalmente l’occasione di osservare bene il ragazzino, e lo colpì la sua straordinaria somiglianza con il padre e con Adia: gli stessi occhi chiari, i lineamenti delicati e l’espressione seria. Quei tre si somigliavano come gocce d’acqua.

            Aaron arrivò un minuto più tardi, distogliendolo dai suoi pensieri. “Bobby, ciao. È… è successo qualcosa?”

            “Vorrei… possiamo parlare?”

            Il fratello di Adia lo guardò, annuendo. L’ultima volta che Bobby era stato a casa sua e gli aveva chiesto di parlare, aveva scoperto che sua sorella stava per essere operata. Ed era successo meno di dodici ore prima. “Jordan, tesoro, perché non torni di sopra e cominci a fare i compiti? Io arrivo subito.”

            “Va bene, papà” rispose il bambino, iniziando ad inerpicarsi su per le scale.

            “Non… non dovrebbe essere a scuola?” domandò Bobby, una volta seguito Aaron in cucina.

            “Ha avuto il morbillo” spiegò l’altro. “E’ stato tremendo, ma almeno ci siamo tolti il dente. Spero che tu…”

            “Oh, sì, ci sono passato. Avevo diciassette anni, ed è stato orribile. Credo di non essere mai stato peggio.”

            Aaron sorrise. “Sei qui per parlare di Adia?” gli domandò, versandogli una tazza di caffè.

            “Sì, in un certo senso” rispose Bobby, occupando lo stesso sgabello di quella notte. “Vengo adesso dall’ospedale.”

            “Come… come sta?”

            “Questa mattina faranno gli ultimi accertamenti e le ultime analisi, o almeno così ha detto il medico. L’intervento sarà questo pomeriggio.”

            “E tu… tu non sei con lei?”

            “E’ di questo che volevo parlarti.” Bobby si guardò in giro. “Tua moglie è in casa?” Il rumore dell’aspirapolvere in funzione al piano di sopra evitò ad Aaron l’imbarazzo di rispondere. “Ascolta, io amo tua sorella.”

            “Mi pareva che di questo avessimo già discusso.”

            “Sì, beh… comunque, io sono felice di poterle restare accanto. Insomma, è la donna che amo, vado a letto con lei e vivremo insieme, quindi… occuparmi di lei è normale. Però tu sei suo fratello, e tra noi due sei tu quello che ha più diritto di starle accanto.”

            “Bobby, a me non dà fastidio che tu le sia rimasto vicino per tutto questo tempo.”

            “Non l’ho mai pensato.”

            “E allora che stai cercando di dirmi?”

            Bobby sospirò. “Voglio che tu vada da lei. In ospedale. Oggi. È tua sorella, ed è tuo dovere starle vicino. Qualunque sia l’opinione di tua moglie” aggiunse in fretta, notando lo sguardo che Aaron aveva rivolto al soffitto. “Giuro, non mi importa, sono disposto a spezzarti le gambe e a trascinarti a forza in macchina, ma tu oggi andrai da tua sorella.” Fece una pausa. “Le vostre sorelle l’hanno praticamente abbandonata, e continuano a considerarla responsabile per la morte di vostro padre. Tu sei l’unico a sapere tutto di lei, sei l’unico… ad averle sempre voluto bene. Ha scoperto che sono venuto da te, la scorsa notte, e… e ho paura che si senta abbandonata anche da te, se non ti vedrà. Non lo ammetterebbe mai, certo, ma non voglio rischiare che soffra.”

            “La ami.”

            “E’ una domanda?”

            Aaron scosse la testa. “No, non lo è. Si vede che sei pazzo di lei. E sai, sono contento che lei ci abbia messo tanto, prima di cedere. Forse dieci anni fa non avresti saputo amarla come la ami adesso.”

            “E’ un modo per dirmi che andrai da lei?”

            “E’ un modo per dire quello che ho detto” replicò Aaron. “Ma andrò da lei.”

            “A mezzogiorno, mi raccomando” sorrise Bobby, alzandosi e sistemandosi il giubbotto. “Cerca un’infermiera di nome Carla, sui quarant’anni, latino americana. Dille che sei il fratello di Adia.”

            “Tu non ci sarai?”

            Bobby rifletté per qualche istante, prima di rispondere. “Avrà soltanto un’ora di respiro tra la fine delle analisi e l’inizio dell’intervento. Voglio che la trascorra con te.”

            Aaron sorrise, passandosi una mano tra i capelli chiari. “Tanto tu potrai stare con lei per il resto dei tuoi giorni, no?”

            “Lo spero.”

 

            Nonostante il sole e le temperature non più rigide, le strade di Detroit erano comunque piuttosto deserte. Bobby guidò fino al cimitero, poi si concesse una lunga passeggiata tra le lapidi. Osservandole tutte, una per una, si rese conto di quante persone che conosceva se ne fossero andate nel corso degli anni: ex compagni di scuola finiti nel giro sbagliato, vicini di casa, vecchi insegnanti… Si fermò davanti alla tomba del reverendo Chambers, soffermandosi ad osservare la fotografia. La somiglianza dell’uomo con Aaron e Adia era impressionante: Bobby ne era certo, invecchiando Aaron sarebbe diventato identico a suo padre. Sfilò una mano dalla tasca e spazzò via un po’ di neve dal marmo, poi se la ricacciò in tasca. “Lo so, forse sperava che sua figlia trovasse di meglio” sospirò, fissando lo sguardo sugli occhi del reverendo, identici a quelli di Adia. “Lo so, non sono il tipo di genero che uno si augura di avere. Se avessi una figlia, se tornasse a casa con uno come me… lo prenderei a calci in culo per tutta la strada. È strano, no? Eppure io non ho mai cercato di cambiare… e Cristo santo, sto davvero parlando con una tomba?” Si passò una mano sugli occhi, strofinandoseli forte, come per svegliarsi. “Beh, rassegnati” proseguì, continuando a rivolgersi alla lapide, “non sono mai stato un buon cristiano, e non ho intenzione di cominciare adesso. Però tua figlia la amo davvero.” Si allontanò di qualche passo, deciso a raggiungere la tomba della madre e del fratello, poi tornò indietro. Si inginocchiò sulla neve e pregò per il padre della donna che amava.

   
 
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