27. Boulevard Of Broken
Dreams
Ad occhi chiusi, ancora piuttosto assonnato, Bobby allungò
un braccio verso Adia. Una volta afferrato il vuoto, si convinse ad aprire gli
occhi: era solo. Un rumore proveniente dalla piccola cucina lo informò che si
era alzata. Bobby guardò la sveglia e sbuffò. Avrebbero dovuto essere in
ospedale alle nove, ed erano appena le cinque e mezza: qualsiasi cosa Adia
stesse facendo in cucina, certamente poteva aspettare. Si alzò, e con indosso
solo le mutande raggiunse l’altra stanza, confermando i propri sospetti: in
pigiama, con i capelli raccolti in un nodo pericolante, e uno strofinaccio
nella mano destra, Adia stava facendo le
pulizie. Bobby si appoggiò allo stipite e rimase a guardarla in silenzio
per un minuto, prima di scoppiare a ridere. Nell’accorgersi di lui, la ragazza
si voltò con aria colpevole, come una bambina beccata a rubare la marmellata.
Nemmeno un istante più tardi, però, recuperò la propria compostezza e
ricominciò a strofinare la superficie che aveva smesso di pulire poco prima.
“Che
fai?” le domandò Bobby.
“Pulisco
la cucina.”
“Sono
le cinque e mezza del mattino.”
“Non
riuscivo a dormire.” Bobby si avvicinò in silenzio e le mise una mano sulla
spalla, afferrando lo strofinaccio con l’altra. “Ehi, che fai?”
“Ti
sto disarmando” scherzò lui, lanciando via lo straccio umido. “Perché non mi
hai svegliato?” le domandò, cingendola con le braccia.
“Dormivi
così bene… non volevo disturbarti.”
“Lo
sai che puoi disturbarmi quanto vuoi…” le sussurrò, avvicinandole le labbra al
collo. “Che succede, hai paura?”
“Per
l’intervento? Un po’, forse.”
“Andrà
tutto bene, Adia” la rassicurò, facendola voltare tra le proprie braccia.
“Andrà tutto bene” le ripeté, guardandola negli occhi. Adia gli passò le
braccia dietro la schiena e appoggiò la testa al suo petto, certa che nulla
sarebbe potuto andare male, finché Bobby fosse rimasto al suo fianco. Trasse un
paio di respiri profondi per cercare di calmarsi e reprimere il nervosismo, e
in quell’attimo Bobby sorrise. “Che fai, piangi? Non pensavo di aver detto
qualcosa di così terribile.”
“Cercavo
di non farlo, in realtà” rispose lei, alzando la testa e guardandolo dritto
negli occhi. “Cercavo di pensare positivo.”
“C’è
una cosa che ti aiuterebbe a pensare positivo, secondo me. Ma se te lo dicessi,
credo che mi accuseresti di essere poco sensibile e di pensare solo a me
stesso.”
“Pensavi
al sesso?”
“No,
veramente pensavo a una bella rissa, ma anche questa non è male come idea” la
prese in giro.
“Che
scemo…” commentò lei, a bassa voce.
“Ehi,
quando mi hai scelto sapevi a che andavi incontro” ribatté lui. “Allora?
Facciamo a botte o facciamo l’amore?”
Adia
rise. “Il dottor Turner mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi…”
“Tu
non ti preoccupare, faccio tutto io…” commentò Bobby, prima di baciarla
all’improvviso. “Scusa se sono andato a spifferare tutto a tuo fratello” si
scusò, prendendosi una piccola pausa dal bacio. “Non avrei dovuto.”
“Non
importa” lo perdonò lei, accarezzandogli i capelli. “Sai, è strano. Un paio di
mesi fa ti avrei semplicemente preso a calci nel sedere… beh, metaforicamente. E invece adesso… Dio,
adesso invece farò l’amore con te!” commentò, sinceramente incredula.
“Non
riesco a credere alle mie orecchie… sbaglio o ti ho sentita imprecare?”
Adia
abbassò lo sguardo, colpevole, e si morse un labbro in segno di pentimento.
“Colpa tua, Mercer. Hai una cattiva influenza su di me.”
“Avrò
anche una cattiva influenza su di te, ma non ti ho mai sentita lamentarti…”
ribatté prontamente lui, prendendola tra le braccia e riportandola sul letto.
“Andiamo, ci restano soltanto tre ore prima dell’appuntamento con il dottor
Turner.”
“Allora,
Adia, come ti senti? Sei pronta?” le domandò il dottor Turner, accogliendola in
ospedale con uno dei suoi soliti sorrisi cordiali.
“Sto
bene, la ringrazio. Ho trovato un modo perfetto per scaricare la tensione”
rispose, sorridendo a Bobby, che in risposta strinse un po’ la presa sulla sua
vita.
“Non
credo siamo ancora stati presentati” sorrise Bobby, tendendo una mano verso il
medico. “Bobby Mercer, sono il fidanzato di Adia.”
“Davvero
lieto di conoscerla” rispose lo specialista, stringendo con vigore la mano che
gli era stata offerta. Non conosceva la reputazione di Bobby, dunque non sentì
la necessità di osservarli per capire che cosa avessero in comune.
“L’intervento avverrà soltanto questo pomeriggio, ma stamattina faremo gli
ultimi accertamenti e le ultime analisi. Adesso devo ultimare il mio giro di
visite, ma poi mi occuperò di te. Questa è Carla, l’infermiera che ti preparerà
per l’operazione” aggiunse, indicando la donna in camice rosa che si era appena
avvicinata. “A più tardi” aggiunse, appoggiando una mano sulla spalla di Adia
con fare paterno. “Bobby” disse ancora, porgendo poi la stessa mano all’uomo,
che di rimando la strinse.
“Salve,
Adia. Io sono Carla” si presentò l’infermiera, una donna sui quarant’anni,
dalla carnagione olivastra e con una massa di capelli ricci raccolti in uno
chignon contenitivo. “Per qualsiasi cosa, puoi rivolgerti a me.” Consultò l’orologio
da polso. “Ok, tra dieci minuti inizieremo con gli esami. Vi lascio soli”
concluse, sorridendo.
Adia
aspettò che l’infermiera fosse sufficientemente lontana, prima di lasciar
andare un sospiro. “Bobby, portami a casa” esordì, voltandosi a guardarlo.
“Non
ci penso nemmeno” rispose lui, con un sorriso.
“Ho
paura.”
“Sono
più spaventato di te.”
“Non
fare il buffone. Tu non hai mai paura di niente.”
“Sono
cambiato, e lo sai. Avanti, andrà tutto bene. Questo dottore mi sembra un tipo
in gamba, e l’infermiera è gentile. Sicuramente sanno quel che fanno, e…”
“Non
ho paura dell’operazione. Lo so che andrà bene.”
“E
allora di cos’hai paura?”
“Ho
paura che possa cambiare tutto” sussurrò la ragazza, distogliendo lo sguardo.
“Beh,
questo è ovvio. È ovvio che cambierà
tutto. Insomma, tornerai ad essere quella di una volta, e andremo a vivere
insieme, e… andrà tutto bene”
concluse, prendendole la testa tra le mani e sussurrando quelle ultime parole a
pochissimi centimetri dal suo volto. Suggellò quella promessa con un bacio a
fior di labbra, poi la scostò da sé. “Adesso vai. Prima si inizia, prima si
finisce.”
Si
separarono con un sorriso, e furono immediatamente raggiunti da Carla. “Verso
mezzogiorno avremo finito con gli esami. Avrai un’ora di riposo prima dell’intervento.
Casomai voleste vedervi ancora una volta” spiegò, guardando prima Bobby e poi
Adia.
Bobby
annuì. “Grazie.” Lanciò un’ultima occhiata a Adia, poi lasciò l’atrio dell’ospedale,
combattendo contro la volontà di voltarsi a guardare indietro. Se l’avesse
fatto, difficilmente avrebbe potuto convincersi ad andarsene.
Le
giornate avevano iniziato ad allungarsi in maniera tangibile, e il sole aveva
finalmente iniziato ad intaccare lo spesso strato di neve e ghiaccio che
ricopriva la città. Mancava ancora più di un mese all’inizio della primavera,
ma a tratti già sembrava che l’inverno fosse terminato. Evans Street, come il
resto della città, era ancora completamente imbiancato, ma il riverbero dei
raggi del sole sulla neve conferiva a tutto il quartiere una luce diversa.
Bobby bussò educatamente alla porta dei Chambers, aspettando che qualcuno
venisse ad aprire. Uno dei figli di Aaron si affacciò, chiedendo timidamente al
visitatore di qualificarsi.
“Ehi,
ciao. Tu devi essere Adam. Sono un amico della zia Adia, e…”
“No,
io sono Jordan. Adam è mio fratello. Ma io so chi sei. Tu sei il fidanzato di
zia Adia. Mamma dice che sei un delinquente.”
“Ah,
tua madre la pensa così?”
Il
ragazzino, che doveva avere circa sette anni, annuì. “Però papà dice che sei a
posto. E io gli credo.”
Bobby
sorrise. “Tuo padre è in casa? Dovrei parlare con lui.”
Il
bambino aprì la porta. “Avanti. Pulisciti le scarpe sullo zerbino, prima. La
mamma ha passato l’aspirapolvere.”
Potrei riempirle la casa di fango per il
solo gusto di vederla sbarellare, ragazzino. “Ok.”
“Aspetta
qui. Vado a chiamare papà.” Bobby ebbe finalmente l’occasione di osservare bene
il ragazzino, e lo colpì la sua straordinaria somiglianza con il padre e con
Adia: gli stessi occhi chiari, i lineamenti delicati e l’espressione seria. Quei
tre si somigliavano come gocce d’acqua.
Aaron
arrivò un minuto più tardi, distogliendolo dai suoi pensieri. “Bobby, ciao. È…
è successo qualcosa?”
“Vorrei…
possiamo parlare?”
Il
fratello di Adia lo guardò, annuendo. L’ultima volta che Bobby era stato a casa
sua e gli aveva chiesto di parlare, aveva scoperto che sua sorella stava per
essere operata. Ed era successo meno di dodici ore prima. “Jordan, tesoro,
perché non torni di sopra e cominci a fare i compiti? Io arrivo subito.”
“Va
bene, papà” rispose il bambino, iniziando ad inerpicarsi su per le scale.
“Non…
non dovrebbe essere a scuola?” domandò Bobby, una volta seguito Aaron in
cucina.
“Ha
avuto il morbillo” spiegò l’altro. “E’ stato tremendo, ma almeno ci siamo tolti
il dente. Spero che tu…”
“Oh,
sì, ci sono passato. Avevo diciassette anni, ed è stato orribile. Credo di non
essere mai stato peggio.”
Aaron
sorrise. “Sei qui per parlare di Adia?” gli domandò, versandogli una tazza di
caffè.
“Sì,
in un certo senso” rispose Bobby, occupando lo stesso sgabello di quella notte.
“Vengo adesso dall’ospedale.”
“Come…
come sta?”
“Questa
mattina faranno gli ultimi accertamenti e le ultime analisi, o almeno così ha
detto il medico. L’intervento sarà questo pomeriggio.”
“E
tu… tu non sei con lei?”
“E’
di questo che volevo parlarti.” Bobby si guardò in giro. “Tua moglie è in casa?”
Il rumore dell’aspirapolvere in funzione al piano di sopra evitò ad Aaron l’imbarazzo
di rispondere. “Ascolta, io amo tua sorella.”
“Mi
pareva che di questo avessimo già discusso.”
“Sì,
beh… comunque, io sono felice di poterle restare accanto. Insomma, è la donna
che amo, vado a letto con lei e vivremo insieme, quindi… occuparmi di lei è normale. Però tu sei suo fratello, e tra noi due
sei tu quello che ha più diritto di starle accanto.”
“Bobby,
a me non dà fastidio che tu le sia rimasto vicino per tutto questo tempo.”
“Non
l’ho mai pensato.”
“E
allora che stai cercando di dirmi?”
Bobby
sospirò. “Voglio che tu vada da lei. In ospedale. Oggi. È tua sorella, ed è tuo dovere starle vicino. Qualunque sia l’opinione
di tua moglie” aggiunse in fretta, notando lo sguardo che Aaron aveva rivolto
al soffitto. “Giuro, non mi importa, sono disposto a spezzarti le gambe e a
trascinarti a forza in macchina, ma tu oggi andrai da tua sorella.” Fece una
pausa. “Le vostre sorelle l’hanno praticamente abbandonata, e continuano a
considerarla responsabile per la morte di vostro padre. Tu sei l’unico a sapere
tutto di lei, sei l’unico… ad averle sempre voluto bene. Ha scoperto che sono
venuto da te, la scorsa notte, e… e ho paura che si senta abbandonata anche da
te, se non ti vedrà. Non lo ammetterebbe mai, certo, ma non voglio rischiare
che soffra.”
“La
ami.”
“E’
una domanda?”
Aaron
scosse la testa. “No, non lo è. Si vede che sei pazzo di lei. E sai, sono
contento che lei ci abbia messo tanto, prima di cedere. Forse dieci anni fa non
avresti saputo amarla come la ami adesso.”
“E’
un modo per dirmi che andrai da lei?”
“E’
un modo per dire quello che ho detto” replicò Aaron. “Ma andrò da lei.”
“A
mezzogiorno, mi raccomando” sorrise Bobby, alzandosi e sistemandosi il
giubbotto. “Cerca un’infermiera di nome Carla, sui quarant’anni, latino
americana. Dille che sei il fratello di Adia.”
“Tu
non ci sarai?”
Bobby
rifletté per qualche istante, prima di rispondere. “Avrà soltanto un’ora di
respiro tra la fine delle analisi e l’inizio dell’intervento. Voglio che la
trascorra con te.”
Aaron
sorrise, passandosi una mano tra i capelli chiari. “Tanto tu potrai stare con
lei per il resto dei tuoi giorni, no?”
“Lo
spero.”
Nonostante
il sole e le temperature non più rigide, le strade di Detroit erano comunque
piuttosto deserte. Bobby guidò fino al cimitero, poi si concesse una lunga
passeggiata tra le lapidi. Osservandole tutte, una per una, si rese conto di
quante persone che conosceva se ne fossero andate nel corso degli anni: ex
compagni di scuola finiti nel giro sbagliato, vicini di casa, vecchi insegnanti…
Si fermò davanti alla tomba del reverendo Chambers, soffermandosi ad osservare
la fotografia. La somiglianza dell’uomo con Aaron e Adia era impressionante:
Bobby ne era certo, invecchiando Aaron sarebbe diventato identico a suo padre. Sfilò
una mano dalla tasca e spazzò via un po’ di neve dal marmo, poi se la ricacciò
in tasca. “Lo so, forse sperava che sua figlia trovasse di meglio” sospirò,
fissando lo sguardo sugli occhi del reverendo, identici a quelli di Adia. “Lo
so, non sono il tipo di genero che uno si augura di avere. Se avessi una
figlia, se tornasse a casa con uno come me… lo prenderei a calci in culo per
tutta la strada. È strano, no? Eppure io non ho mai cercato di cambiare… e
Cristo santo, sto davvero parlando con una tomba?” Si passò una mano sugli
occhi, strofinandoseli forte, come per svegliarsi. “Beh, rassegnati” proseguì,
continuando a rivolgersi alla lapide, “non sono mai stato un buon cristiano, e
non ho intenzione di cominciare adesso. Però tua figlia la amo davvero.” Si allontanò
di qualche passo, deciso a raggiungere la tomba della madre e del fratello, poi
tornò indietro. Si inginocchiò sulla neve e pregò per il padre della donna che
amava.