Fanfic su attori > Cast Il Signore degli Anelli
Segui la storia  |       
Autore: Panenutella    08/05/2011    5 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La mia vita sul set – Cap. 8

Note dell’autrice: Salve truppa, buona festa della mamma! Stavolta ho voluto mettere le note in cima, perché poi… oh, insomma, non ve lo dico! Tieniamoci le cose per noi! Ringrazio quelli che passano di qua, e ovviamente tutti quelli che recensiranno!

P.s = * Letteralmente: “Perché piangi? Cosa sono quelle lacrime sul tuo viso? Presto vedrai, tutte le tue paure passeranno ”. Citazione da “Into the West” di Annie Lennox, scritta per i titoli di coda del Ritorno del Re.

-----

Non avevo fatto in tempo a fermare la lingua… Sapevo di essere ubriaca, completamente andata, ma un minimo controllo doveva essere ancora dentro di me, da qualche parte. Alzai lo sguardo verso Orlando. Mi fissava senza dire una parola, l’espressione dello sguardo indecifrabile. Rimanemmo lì per qualche lunghissimo istante, poi lui tirò un respiro profondo e mi prese in braccio.
-    Andiamo a casa.

Non ricordo molto bene cosa successe dopo… anzi, non mi ricordo assolutamente niente. So solo che quando il mio cellulare squillò la “mattina” successiva mi sentivo come se qualcuno mi avesse tirato una vangata sulla testa e quindi avrei volentieri continuato a dormire. Lasciai così squillare quell’aggeggio malefico sul comodino e mi girai dall’altra parte.
-    Lesley, per l’amor del cielo – brontolò la voce stanca di Orlando sopra
di me – sono le quattro e mezza del mattino, rispondi a quel dannato affare e manda a quel paese chiunque stia chiamando.
Afferrai controvoglia il telefonino e risposi pianissimo, ma il silenzio che mi circondava era così profondo che la voce di mia madre dall’altra parte risuonò in tutta la roulotte come se fosse stata lì di persona.
-    Oh, tesoro, buon compleanno! Non riesco a credere che tu sia diventata maggiorenne! Qui è ancora il 29… da te è il 30?
-    Io non riesco ancora a credere che non hai ancora capito il fuso orario! Sono le quattro qui!
-    Oh, cielo! Dormivi?
-    No – mentii. Era questo quello che ero costretta a fare con mia madre
quando rischiavo di offenderla. Quando lo faceva, era difficile farsi perdonare, e il problema è che si offendeva per niente… perciò mentivo in qualsiasi situazione.
-    Oh, visto? Nessun disturbo! Auguri anche da papà e da tutta New York!
-    Grazie…
-    Oh, dimenticavo! Sai chi sta arrivando in Nuova Zelanda?
-    Chi?
-    Janice! – la richiamò la voce di papà. – Non glielo dire!
-    Oh, d’accordo. Va bene, cara. Tanti auguri!
E mi chiuse il telefono in faccia, com’era abitudine sua e di tutti i Dalton (da parte di madre). Spensi il cellulare e mi girai dall’altra parte.
“Oggi è il mio compleanno”.

Non avevo assolutamente intenzione di fare sapere in giro che era il mio compleanno e in tutta onestà speravo che non lo sapesse nessuno. Inoltre il mio passaggio d’età era l’ultimo dei miei pensieri: Il mal di testa che mi attanagliava era allucinante quando mi alzai dal letto, e dovevo a tutti i costi spiegare la mia svalvolata ad Orlando, porgergli le mie scuse – sempre che lui le avesse accettate -, e smentire tutto quello che avevo detto – ma cosa avevo detto? -. Entrai nel bagno mentre Orlando chiacchierava a bassa voce con qualcuno: non mi azzardai ad origliare.
Appoggiai le mani sulla ceramica fredda del lavandino e fissai il mio riflesso allo specchio: non ero decisamente fresca come una rosa. Aprii l’acqua al massimo e mi sciacquai il viso come meglio potevo, ma tutto il ponch che avevo ingurgitato la sera prima mi salì improvvisamente su per la gola e dovetti dare di stomaco.
-    Les, ti senti bene? – Orlando si affacciò alla porta del bagno – sento degli strani rumori…
-    VA’ VIA! – gli urlai fra un conato e l’altro. Ma ovviamente fece tutto il contrario.
-    Ci vediamo dopo – disse al telefono e chiuse la comunicazione. Entrò
nel bagno con pigiama a maniche corte, quello grigio che gli faceva risaltare i muscoli, si bagnò una mano e me la appoggiò sulla fronte
-    Orlie, davvero, nessuno ti obbliga a…
-    Nessuno mi obbliga – mi interruppe – ma voglio farlo. Non è facile passare la prima sbronza, così ti voglio aiutare.
-    Sei molto gentile… penso che adesso mi sia passata.
-    Sicura?
Gli sorrisi. – Ok, allora. Io esco.
Mi sorprese il suo comportamento di ghiaccio. Era stato un iceberg: sembrava molto confuso, o peggio… arrabbiato. Chissà se sarei riuscita a chiarirmi con lui, prima del tramonto.

Evitai accuratamente il sentiero per la mensa, e mi diressi direttamente verso la sala trucco. Non solo in quel modo avrei evitato qualsiasi odore che avrebbe potuto rivelarsi disgustoso per il mio stomaco sottosopra, ma sarei anche sfuggita a Billy, Dom e compagnia bella… Tutte persone che avrebbero potuto farmi commenti poco eleganti riguardo alla sera precedente.
Camminavo trascinando i piedi e con lo sguardo a terra. Ormai non avevo più bisogno di guardarmi intorno per orientarmi, avrei potuto gironzolare persino a occhi chiusi. Anzi… sarebbe stato divertente. Alzai il naso in cielo e chiusi gli occhi, cominciando a saltellare come in quel cartone animato che avevo visto a casa di mio cugino in Italia… come si chiamava? Ah, sì… Heidi. Però c’era un po’ di differenza tra me e le caprette saltellanti: nei pascoli non c’era un’anima. Io invece avrei potuto benissimo andare a sbattere contro qualcuno.
Houch!
Appunto.
-    Sai, non me la prenderei più di tanto se almeno guardassi per terra!
Elijah mi sventolò una mano davanti al naso. – Quante dita sono queste?
-    Scusami, El, ero sovrappensiero.
-    Già, e chi non se ne accorto?
-    Scusami. Ciao.
Non avevo voglia di parlare con chicchessia.
-    Ehi, aspetta un minuto! – mi corse dietro e mi prese per mano. – Liv
mi ha detto una cosa su di te.
-    Ehi! Vuoi dire che ha fatto la spia?
-    Nooo, non ha fatto la spia. Se l’è lasciato sfuggire.
-    Uffaa!!!
-    Non ti devi vergognare per questo.
Lasciai la sua mano e salii le scale che portavano alla porta della sala trucco. Aprii la porta e come sempre ci trovai dentro Emma.
-    Ciao Em.
-    Per caso trattarsi male è uno sport nazionale, in America?
-    Che intendi dire? – sbuffai mentre mi sedevo sulla mia poltrona.
Mi mise uno specchio davanti al naso: - Guarda la tua faccia.
Non dico che sembravo uno zombie, nooo… Basta tenere conto che la notte prima non mi ero struccata e tutto il can-can del mattino mi aveva fatto espandere tutto il mascara per mezza faccia. No, non sembravo uno zombie… semmai un panda che piange.
-    Mi spiace, Emma…
-    Non ti preoccupare, sono diventata truccatrice apposta.
Dal tono di voce e dal suo comportamento circospetto, capii che mi stava nascondendo qualcosa. Ma non indagai.
Per tutta la seduta di trucco mi lasciai coccolare da Emma, che svolazzava intorno alla mia poltrona con in mano pennelli, struccanti e colori: era una bella sensazione sentire il tocco leggero dei batuffoli di colore sulla pelle, il profumo del fondotinta fatto apposta per darmi una carnagione da elfo… a mano a mano che Emma mi trasformava in Hery, il mio malumore scivolava via sotto le sue pennellate, diventavo sempre più allegra. Era il mio compleanno, che cavolo, mi meritavo un po’ di felicità!
-    Psss, Ehi, Les – la testa di Elijah era sbucata da dietro la porta. Aprii gli occhi e lo guardai attraverso uno specchio. – Fran mi ha detto di dirti che sotto al costume devi metterti un costume da bagno.
-    E perché? – domandai stupita.
-    Non lo so, ma l’ha fatto mettere anche a me…
Non potei far altro che obbedire. Infatti, Fran era uno dei pezzi più grossi nella troupe di Peter.

Alle otto e mezzo in punto eravamo tutti sulla scena, con i copioni in mano che recitavamo le nostre battute. Non so se fosse frutto del mio esercizio durante quelle prime settimane di recitazione, ma riuscivo ad imparare le battute estremamente più in fretta e riuscivo a parlare elfico in maniera più fluida. All’inizio delle riprese avevo fatto molte sedute di elfico con Cate Blanchett – mia madre Galadriel, per chi non lo sapesse -, magari con qualche gara alla fine della lezione. Ma che gareggiavo a fare, mi dicevo sempre… mi stracciava sempre.
Dovevamo girare le scene del Consiglio a Gran Burrone, ed era la prima volta che noi attori della Compagnia ci trovavamo insieme a Hugo Weaving, Elrond. Era una vera sagoma: durante le pause scherzava con Viggo, e si faceva un gran ridere, ma una volta iniziato e girare, il suo volto subiva una trasformazione allucinante: da persona allegra e simpatica si trasformava in un elfo assolutamente serio e saggio. Durante ogni istante di pausa, mi preoccupavo sempre di controllare che qualcuno sapesse del mio compleanno. Volevo evitare a qualsiasi costo auguri di vario genere, che non avrebbero fatto altro che distrarmi dal mio ruolo di attrice: succedeva sempre così, durante i miei compleanni. Appena qualcuno mi faceva gli auguri, la mia testa si staccava dal corpo come un palloncino pieno d’elio e volava verso le nuvole… su, su, su… ci voleva un bel po’ di tempo prima che riuscissi a tornare giù.
Fu verso mezzogiorno che ci diedero il via libera, e non perché avessimo finito le riprese della giornata. Ma la videocamera di Peter e quella di un tecnico erano saltate per aria, forse a causa di un corto circuito. L’elettricista ci disse che ci avrebbe messo qualche ora per ripararlo.
Incrociai le braccia e mi guardai intorno: era una bella giornata.
Elijah mi si avvicinò, e mi disse sfoderando un sorriso amabile: - Ti va di fare una passeggiata?
Acconsentii di buon grado. Mi prese a braccetto e mi condusse lontano dal set, verso un capannone che prima di allora non avevo mai visto. Prima di entrare, Elijah si fermò, estrasse dalla tasca del suo costume una benda e mi disse di legarmela intorno agli occhi. Cominciai a chiedermi se avesse cattive intenzioni, ma di certo non era così: Elijah era una persona troppo buona, e poi tutto lo conoscevano. Forse allora voleva farmi una sorpresa per il mio compleanno… mentre mi legavo la bandana intorno alla testa sperai di no con tutte le mie forze. Per essere sicuro che non stessi sbirciando, mi fece fare qualche giro su me stessa, poi mi condusse dentro. Appena varcammo la porta, un odore di cloro ci investì, ma non si sentiva nessun rumore in giro. Non un anima viva.
Elijah allora mi tolse la benda dagli occhi e mi fece vedere il contenuto della stanza. Era un’immensa piscina riempita fino all’orlo. Prima che gli potessi chiedere spiegazioni, lui si era già tolto il vestito, rimanendo in costume da bagno. Poi mi sorrise.
-    Non ti sei messa il costume anche tu? Se vuoi non guardo.
Mi sorpresi della sua tenerezza, poi mi tolsi il costume di scena e rimasi anch’io solo con il costume da bagno addosso.
-    Caspita, sei molto magra!
-    El, cos’hai intenzione di fare?
-    Il bagno!
-    A questo c’ero arrivata. Ma io che c’entro?
-    Beh, a questo punto mi sembra abbastanza facile da indovinare. Ti insegno a nuotare.

Rimasi a bocca spalancata per qualche secondo, poi dissi:
-    Mi dispiace, ma io ho paura dell’acqua. Ho paura a mettere la testa sott’acqua.
-    Nella vita ci vuole coraggio.
-    No, El, non me la sento. Davvero.
-    Forza! Ci sono io. Dai!
Mi si avvicinò e mi sollevò da terra. Nonostante fossi di poco più bassa di lui, riuscì a sollevarmi senza sforzo. Perché tutti si divertivano a prendermi in braccio?
-    Tieniti stretta a me, e vediamo se non la superi, questa tua fobia.
Cercai in tutti i modi di persuaderlo, ma lui continuava ad avanzare verso l’acqua, inesorabile. A mano a mano che si avvicinava all’acqua, sentivo maggiormente il bisogno di saltare giù e scappare, ma la presa di Elijah era ben salda.
-    Dopotutto – disse, - l’acqua che cos’è? Solo l’unione di due atomi di idrogeno con atomo di ossigeno. Perché nei hai così tanta paura?
Ormai era arrivato con l’acqua fino alle ginocchia.
-    Io… ho paura degli squali!
-    Tsè! Inventane un’altra.
-    Da piccola ho visto la mia amica immaginaria annegare. Sul serio!
Non sto scherzando! – Mi strinsi a lui molto più forte di quanto non stessi già facendo, appena sentii che l’acqua cominciava a bagnarmi.
-    Elijah Wood! Portami fuori di qui! – sbraitai.
-    Sei pronta? Adesso ti lascio andare.
L’acqua ci arrivava al collo.
-    No! Sei pazzo? Non ci provare!
-    Tieniti stretta, mi raccomando.
-    NO! EL!
D’un tratto mi mollò le gambe, e le sentii andare a fondo. Mi avvinghiai al suo collo come un’ancora di salvezza. Per rassicurarmi, mi prese per un fianco. Ero sul punto di piangere.
-    Elijah…
-   Shhhhhh… rilassati. Non ci sono squali o amiche immaginarie che
annegano qui. Ci siamo solo noi due e l’acqua.
-    Appunto!
-    Why do you weep? What are these tears upon your face? Soon you’ll see. All of your fears will pass away… *
Non sapevo che cosa mi stesse cantando, sapevo solo che quella dolce melodia aveva un effetto calmante su di me.
-    Prova a sdraiarti, chiudendo gli occhi. Avverrà una magia – mi
consigliò Elijah, prendendomi per mano e non lasciandomi un minuto. Feci come mi aveva consigliato. Ci misi un po’ a chiudere gli occhi, ma poi dopo un po’… mi accorsi che stavo galleggiando.
-    Mi stai tenendo su tu?
-    No. Io sono qui.
Aprii gli occhi e lo guardai, ma non era più nel mio campo visivo, girai piano la testa e lo vidi seduto sul bordo della vasca. Persi l’equilibrio e mi dimenai dentro l’acqua. Elijah, non appena mi vide in difficoltà, si tuffò subito e nuotò veloce verso di me. Appena mi raggiunse mi tenne su lui.
-    Non lo fare mai più! – Annaspai.
-    Perché? Stavi facendo tutto da sola. Nulla più. Rimettiti come prima,
ma non ti spaventare.
Questa volte ci riuscii più facilmente e provai a tenere gli occhi aperti.
-    Ora – disse un po’ più lontano da me – prova a muovere le gambe su e giù verso di me.
Iniziai prima con una gamba, poi con un’altra, stando attenta a non farmi entrare l’acqua nel naso. Ma era difficile per me coordinare i movimenti. Dopo circa tre minuti, riuscii a raggiungerlo.
-    Bravissima! – esultò. – Domani ci esercitiamo di nuovo.
-    Perché domani?
-    Ci hai preso gusto, eh? – ammiccò. – Ma ora ti devo accompagnare all’aeroporto.
-    Perché?
-    Non te lo dico.
-    Uffa, odio i segreti.

Pranzai con un panino veloce alla mensa, dopo essermi fatta la doccia nella roulotte. Per quanto lo cercassi in giro, non riuscivo a trovare Orlando.
Poi, quando lo vidi, Elijah mi aveva appena detto che la macchina era pronta per partire, e Orlando era seduto ad un tavolo in un angolo della sala. Mi avvicinai a lui e provai a dire qualcosa, ma stava parlando con Viggo.
-    Orlando…
-    Dalton. Non lo sai che non si interrompe qualcuno mentre sta
parlando? – Mi rispose bruscamente. Fu come se qualcosa dentro di
me si fosse spezzato, forse il cuore.
-    Les, dai, andiamo siamo in ritardo.
Mi prese sottobraccio e mi condusse di forza verso la macchina nella piazzola principale. Prima di salire mi abbracciò.
-    Mmmm, sai di fragola!
-    E’ il mio shampoo. Ehm… perché l’abbraccio?
-    Perché sei mia amica e avevo voglia di farlo.
-    Beh… grazie.
-    Di niente.

Il viaggio verso l’aeroporto si svolse senza aneddoti o chiacchierate di sorta, niente di cui vale la pena raccontare. Una volta arrivati all’aeroporto erano circa le sette e mezza di sera, ed Elijah mi scortò verso la porta da cui uscivano i passeggeri del volo per New York.
-    Guardati intorno e dimmi se vedi una faccia conosciuta.
Nella mia mente ripassai i volti di tutti coloro che conoscevo che provenivano da New York. Ma di quei volti in giro non ne vidi nessuno.
-    Non c’è nessuno.
-    No? Allora chi è quella ragazza un po’ cicciottella che si sta
sbracciando da un’ora verso di noi?
Guardai nella direzione che mi stava indicando, e allora anch’io la vidi.
-    Jess! – esclamai entusiasta, lanciandomi verso di lei, che mi guardava
sgranocchiando patatine prendendole dal sacchetto che aveva in mano. Ci abbracciammo saltellando – beh, in realtà, saltellavo solo io – strillando commenti gioiosi. Elijah se ne stava un po’ in disparte, sorridendo con franchezza e ridendo con gli occhi. Allora condussi Jess verso di lui e gliela presentai.
-    Jess, lui è Elijah… il nostro Frodo.
Jess lo salutò sventolando una mano. Poi fece cenno di avviarci verso la macchina di El. Mentre uscivamo dalla porta dell’aeroporto, El mi disse sottovoce:
-    Non è che vi assomigliate tanto, eh?
-    No, hai ragione. Siamo il polo nord e il polo sud.
Ed era vero. Se io ero “un insetto stecco”, come mi aveva definito Dom il giorno prima, lei era più bassa di me e decisamente più cicciottella di me – anche se io non ero proprio magrissima, piuttosto direi normale -. Se io avevo i capelli lunghi e la pelle bianca, lei era un’americana abbronzata e con i capelli corti. Io ero una chiacchierona che diceva come minimo novemila parole al giorno, lei di parole al giorno ne diceva solo quindici. Insomma, l’una l’opposto dell’altra.
Una volta saliti in macchina, Elijah accese il motore e si diresse verso l’uscita del parcheggio dell’aeroporto.
-    Come mai sei qui? Qual buon vento ti porta in Nuova Zelanda?
-    Sono un regalo da parte dei tuoi.
-    Un regalo? – saltò su Elijah – perché?
Feci segno a Jess di tacere, e lei mi capì al volo.
-    Ehiiii, perché un regalo? – insistì El.
-    Mia madre è quel tipo di persona che fa regali a tutti quanti per futili
motivi – risposi. – Visto che non ha potuto congratularsi con me per la laurea, ha preferito spedire Jessica qui come un pacco.
-    E perché solo ora? Insomma, sono passate tre settimane!
-    Immagino che tutto questo tempo le sia servito per organizzarsi con la madre di Jess. A proposito, Jessie… quanto ti fermi da noi?
-    Credo che resterò qui per circa quattro giorni.
Con quella frase, Jess aveva finito le sue quindici parole giornaliere, ed infatti non parlò più per tutto il resto della serata.
Il mio stomaco brontolò, subito seguito da quello di Elijah. Quello di Jess era pieno zeppo di patatine, forse, perché lei prese il suo zaino da sotto il sedile, lo aprì e saltarono fuori quattro o cinque sacchetti di snack e smarties. Ce li offrì, e noi accettammo di buon grado.
Se vi state chiedendo perché Jessica Hale era cicciottella, immagino che ora avrete capito perché.

Quando arrivammo erano già le nove. Feci fare a Jess un giro veloce degli Studio, ma entrambe eravamo stanche e convenimmo che sarebbe stato meglio rimandare al giorno dopo.  
Visto che Liv in quel periodo era in Inghilterra, la sua roulotte era libera, così feci sistemare la mia amica lì. La lasciai sola a disfare la valigia – il cui contenuto andava per la maggior parte sistemato in cucina -, e mi diressi verso il mio caravan per cambiarmi la maglietta e mettermi qualcosa di più pesante. L’aria aveva cominciato a farsi decisamente più fredda. Appena entrai vidi Orlando seduto sul divanetto a leggere una rivista. Decisi che quello era il momento giusto per parlargli a proposito della serata del giorno prima: mi fissai per un attimo i piedi e mi misi le mani nelle tasche dei pantaloni, poi mi sedetti di fianco a lui, che non rispose nemmeno alzando lo sguardo. Cercai le parole che avrebbero potuto fare effetto, ma era difficile in quella situazione.
-    Ehm… senti… Orlie… volevo parlarti a proposito di…
-    Non lo sai che sono inglese? – Rimasi spiazzata per un attimo. Non
tanto per il suo tono aggressivo e furioso, ma per la domanda del tutto inaspettata.
-    Sì, e allora?
-    Odio i soprannomi.
Detto questo chiuse la rivista, la sbattè sulla pelle del divanetto e uscì dalla porta. Mi buttai addosso la prima felpa che trovai nel mio cassetto – quella blu, per fortuna, la più calda – e corsi fuori per inseguirlo.
- Orl…ando! – lo chiamai, ma era già sparito. Però sentii il suono di una porta che sbatteva. Allora corsi nel buio, provando ad aprire tutte le porte che incontravo, anche quelle delle roulotte altrui: sala montaggio, la palestra, il caravan degli Hobbit, quello di Jess – che trovai vuoto, ma avevo già abbastanza cose di cui preoccuparmi  -… finché non arrivai alla mensa. Ritrovandomi nel buio, cercai a tentoni l’interruttore, e quando accesi la luce…
- SORPRESAAAAAAA!!! – l’urlo scatenato da tutti quanti fu talmente forte ed improvviso che feci un salto all’indietro. I tavoli della mensa erano tutti stati spostati verso le pareti della mensa e messi a formare due file di lunghe tavolate: una piena di cibo, l’altra piena di regali. Dal tetto pendeva uno striscione con su scritto Happy Birthday Lesley!. Davanti a me c’erano tutti: in prima fila Jessica, i quattro Hobbit – con quattro cappellini identici calcati in testa  -, Viggo, Ian McKellen, Bean e Peter. Poi, più dietro, i macchinisti, Frann, Philippa, Emma. Andai verso di loro ad abbracciarli uno per uno, ma per quanto mi guardassi in giro non riuscii a scorgere Orlando, e i miei occhi si riempirono di lacrime dalla delusione. Gocce di pianto che gli altri scambiarono per felicità. Fischi, urla e applausi si alzarono dalla folla, e allora sorrisi, e una lacrima mi rigò la guancia. La “folla” attaccò “Tanti auguri a te”, mentre il cuoco scortava una torta alta due piani – neanche fosse stato un matrimonio – tutta di cioccolato, per la gioia di Jess. Mi costrinsero a soffiare sulle diciotto candeline in cima – e dovetti farlo solo dopo essere salita su una sedia -. Che festa, ragazzi! Ma prima che potessi dire qualcosa, qualsiasi cosa, mi costrinsero a scartare i regali. Per fortuna si erano messi d’accordo e così non ce n’erano più di una decina, ma comunque veramente troppi per me. Elijah, Sean, Billy e Dominic ne avevano fatto uno per tutti, ovviamente. Poi c’era quello di Jessie, quello di Liv – che poi scoprii essere arrivato per posta -, quello di Peter e di tutta la crew, eccetera eccetera.
- Come diamine avete fatto a sapere che oggi era il mio compleanno? – esclamai.
- Ma Lesley, è ovvio! – rispose Ian McKellen. – Quando Ian Holm ti ha proposto a Peter per la parte di Hery, gli ha fornito il tuo Curriculum Vitae. E secondo te non c’era il giorno della tua nascita?
Mi sentii un’imbecille. Come avevo fatto a non arrivarci?
- Beh, dai coraggio, scartali! – mi urlò qualcuno non identificato. Forse Bob.
Gli Hobbit mi avevano regalato una copia del Signore degli Anelli, Jessie un paio di pantaloni da equitazione e una tuta da ginnastica, Peter… una cartina della Terra di Mezzo. Il regalo di Liv era una felpa dell’università di Oxford. Ma non c’era un regalo da parte di Orlando Bloom. Allora, solo dopo essermi ricordata di lui, mi girai e lo cercai fra le persone che ormai erano sparse per la sala mensa con i bicchierini e piattini con la torta in mano, ma non lo vidi comunque. Abbassai la testa, dicendomi che ormai la nostra amicizia era finita a causa della mia lingua lunga e del troppo bere, o forse a causa dei miei sentimenti nei suoi confronti. Avrei dovuto imparare a non metterci il cuore sopra, su queste cose. Le guance cominciarono a rigarmi il viso contro la mia volontà. Mi sentii afferrare per la spalla e qualcuno mi voltò verso destra.
- Cercavi forse me?
Era Orlando e sorrideva. Era spuntato dal nulla, e la dura maschera inespressiva che gli era appartenuta per tutto il giorno si era volatilizzata, lasciando spazio ad un sorriso ben più sincero e splendente di quelli che si vedevano sui volti dei miei amici. Mi passò il pollice sulla guancia dicendomi:
-    Asciuga queste lacrime. – si vedeva che stava per mettersi a ridere.
-    Io… Tu… pensavo che fossi arrabbiato!
-    Su, Lesley, hai dimenticato che sono un bravo attore?
-    Sì, ma le cose che ti ho detto ieri sera…
-    Tutti nelle sbronze dicono qualcosa di cui si potrebbero pentire.
Anch’io ho detto parecchie cose su di te, nella sbornia che mi sono preso la sera prima del tuo primo giorno. Ho rivelato cose compromettenti.
-    Davvero? – Tirai su col naso. – Cioè? Cos’hai detto?  – lui rise.
-    Che ti amo, ragazzina sciocca, sensibile e astemia che non sei altro!
Si abbassò verso di me e unì le sue labbra con le mie in un lunghissimo e dolcissimo bacio. Il cuore mi balzo in gola mentre chiudevo gli occhi per sentire meglio le sensazioni che stavo provando in quel momento. A poco a poco la gente intorno a noi smise di parlare e iniziò a fissarci, finchè anche Billy e Dom non se ne accorsero e proruppero in un bell’inopportuno “Finalmente!”, scatenando l’ilarità di tutti e facendo partire un applauso.
Avrei voluto dire a Orlando che anch’io l’amavo con tutto il cuore, ma sapevo che quel bacio era più esplicito di mille parole.
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Il Signore degli Anelli / Vai alla pagina dell'autore: Panenutella