Punto di non ritorno
Yuugi
posò la mano sulla maniglia della porta del Burger World, e la sensazione di
pericolo che lo aveva precedentemente assalito aumentò d’intensità,
stringendogli la bocca dello stomaco e chiudendogli la gola, soffocandolo. Non
potendo resistere, spalancò la porta di getto: immediatamente, le sue gambe si
bloccarono, congelandolo sulla soglia. Impossibilitato a muoversi, poté solo
osservare la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi.
Anzu era seduta ad uno dei tavoli,
accanto alla finestra, con gli occhi bendati. Accanto a lei, un evaso la teneva
in ostaggio, minacciando gli altri clienti del locale, fra cui anche Jounouchi,
con il quale Yuugi era in compagnia quel giorno.
Lo Yuugi della scena stava sistemando,
come gli era stato ordinato, una bottiglia d’alcol con un bicchiere e delle
sigarette su un vassoio, per portarle al sequestratore, che lo aveva scelto per
la sua aria inoffensiva. E così ero, pensò il ragazzo, ancora bloccato
all’entrata del Burger World, timido e fifone. Non che le cose fossero poi
cambiate di molto, nonostante il suo impegno.
“Yuugi… Sei tu?” chiese Anzu,
alzandosi. “Non venire! È pericoloso!”
“E sta’ zitta!” L’evaso le tirò
uno schiaffo, mandandola a sbattere con la schiena contro il vetro della
finestra.
Nel passato che aveva vissuto, Yuugi
ricordava, dopo quella scena, l’arrivo del suo alter-ego. Ma nel presente che
gli veniva mostrato, non vi era nessun altro sé stesso che potesse correre in
loro aiuto.
“Anzu!” Yuugi lasciò cadere il
vassoio, infrangendo la bottiglia d’alcol contro il pavimento, e si precipitò
con l’intenzione di soccorrere la sua amica.
“Che cazzo vuoi fare?” L’evaso
strinse la mano muscolosa sul calcio della pistola che gli puntò contro. Yuugi
si bloccò immediatamente, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, e
fissando l’arma dal basso in alto con espressione colpevole. L’uomo sorrise
sadico. “Troppo tardi per pentirsi” E ansimava per il desiderio di vedere
ancora scorrere sangue, mentre tirava indietro il cane.
“Yuugi, attento!” Un attimo prima che
il colpo esplodesse, il ragazzo si sentì gettare a terra da qualcosa e,
nonostante il fortissimo rumore della pistola, non percepì alcun dolore fisico.
“Oh, peccato…” fu il commento
dell’evaso.
Solo allora Yuugi guardò alla persona
che l’aveva protetto, e che teneva appoggiata la testa contro il suo petto,
chinata lateralmente in una posizione totalmente innaturale. Sulla camicia
bianca che indossava, nella schiena, giusto all’altezza del cuore, si stava
allargando una macchia rossa, che gocciolava leggermente su di lui e sul
pavimento.
“No…” scosse la testa Yuugi,
cercando di accarezzare quei capelli castani, impregnati di sudore. “Anzu…
No, no…” E leggere lacrime inondarono il suo viso pallido.
La scena scomparve lentamente, diventando
prima opaca e tremolante, poi sfocata come una foto mal riuscita; infine, il
locale ritornò vuoto e tranquillo come doveva essere a quella data sezione
temporale. Nonostante i muscoli si fossero rimessi in moto, e il sangue fosse
tornato a scorrere nelle vene, Yuugi non aveva ancora avuto il coraggio di
muoversi, mentre sulle sue guance comparivano le stesse lacrime che aveva visto
al nuovo sé stesso.
Era forse questo il futuro che lo
aspettava, senza il suo puzzle? Era così che sarebbe andata la sua vita, a
puttane, senza il Faraone? Era davvero così incapace da non riuscire a
cavarsela da solo, impotente di fronte alla rovina delle persone che aveva più
care?
Otogi prostituta?
Anzu morta?
Jounouchi e Honda drogati?
“Tutto bene?” chiese la voce di Anzu,
dietro di lui. Lei e gli altri lo avevano raggiunti, incuriositi dal suo
atteggiamento strano.
No, Yuugi non aveva proprio la forza di
affrontarlo, né di guardarli in faccia dopo quello che aveva visto. Si voltò,
nascondendo il volto fra le mani e corse via, senza una meta, ignorando i
richiami.
*-*-*
Marik volse la testa attorno, osservando
lo spettacolo che aveva davanti agli occhi: le mura del tempio di Osiride ad
Abido, dipinte in maniera così vivace e precisa che le figure sembravano uscire
dalle pareti e camminare al suo fianco.
“Sveglia” commentò allora Bakura,
colpendolo alla nuca non proprio gentilmente. “Non siamo in visita
turistica”
“Parla quello che non perde
tempo in scherzi inutili e in gare di pesca…” ribatté l’amico, con fare
ingenuo. “Perché hai voluto venire qui, piuttosto?”
“Abido…” sospirò l’altro,
incantato per un attimo. “Ricordo perfettamente la festa per i misteri di
Osiride, nell’anno primo del regno di Ramses. E’ stata la prima volta in cui
ho visto il Faraone. Vediamo se c’è ancora” C’era uno strano tono nella
sua voce, quasi di rammarico. “Avrei potuto ucciderlo allora…”
“E perché non l’hai fatto?” chiese
Marik, in tono casuale, mentre esaminava un’altra parete dipinta di rosso.
Bakura si limitò a scoccargli
un’occhiata traversa, ma non disse nulla. “Andiamo, la cerimonia sarà già
iniziata” Iniziò a dirigersi verso il centro della struttura, nel giardino
interno, dove, davanti all’acacia sacra, il Faraone, accompagnato dai
sacerdoti, avrebbe dovuto compiere il rito di rigenerazione annuale. Lui e Marik
arrivarono fin davanti alla porta del giardino, chiusa. Attorno a loro, solo
alte mura di pietra che gli impedivano qualsiasi visione dell’interno.
Il secondo bussò leggermente contro quel
legno impenetrabile, sapendo che nessuno l’avrebbe udito. “Non credo che tu
sia entrato aprendo con una forcina…”
Ma Bakura non lo stava già più
ascoltando: si era spostato tenendosi lungo il muro, e, ad ogni passo, batteva
leggermente sul piede in contro la parete, come se cercasse qualcosa.
Finalmente, trovò il rumore che inseguiva. Si abbassò, e inizio a scavare con
le mani. Marik si avvicinò per osservare, curioso, quello che stava facendo:
quella parte di muro era stava scavata sapientemente, fino a creare un buco che
permetteva l’ingresso al giardino interno, coperto di argilla morbida per
essere invisibile ma facilmente penetrabile.
“Ci ho messo un sacco di tempo a
scavarlo, tremila anni fa” spiegò con orgoglio Bakura, prima di sdraiarsi per
terra e passare strusciando sotto il muro.
“Non ne capisco lo scopo” commentò
Marik, non molto soddisfatto di quella soluzione. “Avresti potuto vedere il
Faraone in qualsiasi altra occasione…” Tuttavia, lo seguì, lasciando che
l’argilla e la polvere del muro gli sporcasse completamente i vestiti. Non
appena uscì dall’altra parte, l’amico lo afferrò e lo trascinò a
nascondersi dietro la colonna più vicina.
Marik, all’inizio, non capì, e fece
per liberarsi dalla stretta al braccio. Si bloccò nell’esatto momento in cui
vide una testa bianco sporco spuntare dallo stesso buco che aveva utilizzato
qualche minuto prima, e il fiato gli si fermò nella gola.
Il Bakura del passato uscì dal cunicolo
con la stessa agilità di un gatto, silenzioso e pericoloso come un cobra. Senza
nemmeno preoccuparsi di essere notato, si sistemò esattamente al centro del
corridoio del portico, con le braccia incrociate sui pettorali sviluppati, e
fissò il centro del giardino, aspettando concentrato. Marik rimase ad
osservarlo, lasciando correre i suoi occhi violetti sulla profonda cicatrice che
gli attraversava l’occhio sinistro, terminando alla fine della guancia. I
capelli, rispetto al futuro, erano meno bianchi, probabilmente per lo sporco, e
molto meno ordinati. Sotto il semplice gonnellino bianco e sotto la veste
porpora, probabilmente rubata da qualche mercante, la carnagione cioccolata
faceva risaltare ancora di più il corpo muscoloso.
Al termine di questa analisi critica,
tornò a voltarsi verso il suo compagno, aspettandosi qualche commento che non
arrivò. Molto strano: si era aspettato qualche battutina sarcastica, invece
Bakura aveva lo stesso sguardo di aspettativa negli occhi nocciola, mentre
fissava l’albero di acacia nel centro del giardino rotondo.
“Osiride è il dio della
resurrezione” spiegò infine, rispondendo alla domanda fatta precedentemente.
“Volevo personalmente vedere in che maniera il Faraone resuscitasse, in modo
da impedire che lo facesse dopo il mio attacco” E fece un lungo sospiro, come
se alla fine il suo piano non fosse andato a buon fine.
“Capisco” si limitò a rispondere
Marik, decidendosi a guardare nella sua stessa direzione.
Finalmente, dopo un’attesa che sembrò
infinita, alcune persone, rigorosamente vestite di seta nera, e brillanti alla
luce del sole per i numerosi gioielli che indossavano, uscirono dalla porta del
tempio, dall’altra parte del giardino.
“Guarda” indicò Bakura, che si
divertita a fare il saccente. “Quello è Shada” Indicò un uomo pelato, con
numerosi tatuaggi sul capo rasato, che stringeva fra le mani la chiave
millenaria. “Scarso, davvero. Un altro scarso è Karim” Si riferì ad un
altro sacerdote, custode della bilancia millenaria, con un viso spigoloso ma
simpatico. “Isis, la tua antenata”
Marik quasi sobbalzò nel vedere la
figura della portatrice della collana millenaria: ovviamente, si trattava della
bambina incontrata qualche ora prima, a cui aveva fatto da baby-sitter, ma in
quel momento, adulta, con i lunghi capelli sciolti al vento, somigliava a sua
sorella in una maniera impressionante. Strinse i pugni, e si domandò se a lei
avesse fatto piacere doversi rinchiudere in un buco per secoli, senza avere il
permesso di uscire.
“Akunadin, il padre di Kaiba” proseguì
Bakura, in tono disgustato, indicando il sacerdote anziano, che si nascondeva
l’occhio millenario con i capelli bianchi, che teneva lunghi fino alle spalle.
Stava per pronunciare il nome del ragazzo che seguiva Akunadin, ma Marik lo
precedette.
“Mahado…” commentò, riconoscendo
nel portatore dell’anello millenario lo stesso sguardo fiero e leale del
bambino che avrebbe dato la vita per proteggere il piccolo principe.
Bakura annuì. “Ed infine…” Ma
rimase interdetto nel vedere un piccolo omiciattolo, grassoccio, uscire dalla
porta stringendo in mano l’ascia millenaria. “Chi è?” si domandò,
sconcertato.
“Se non lo sai tu…” borbottò Marik,
con fare polemico.
“Non c’era…” proseguì Bakura,
sempre più sconvolto. “Tremila anni fa il sacerdote dell’ascia era…”
“Il Faraone Sethi e sua moglie, la
Grande Sposa Reale, Tuya!” annunciò Akunadin, e, a seguire, sia lui che gli
altri sacerdoti si inchinarono, toccando il terreno con la fronte.
“CHE COSA?!” esclamarono Bakura e
Marik contemporaneamente, rischiando di essere scoperti dal Bakura del passato,
che saettò velocemente lo sguardo verso la colonna dove i due erano nascosti,
prima di tornare ad osservare il sovrano, che stava uscendo dal tempio.
Sethi si fermò sulla soglia del
giardino, stringendo fra le mani il pastorale e il flagello, in posizione da
cerimonia. Una ciocca ribelle spuntava leggermente da sotto la pesante doppia
corona che portava sulla testa, e gli nascondeva leggermente gli occhi zaffiro,
seri come al solito. Accanto a lui, stretta nell’elegante veste rossa, e con
lo scettro a fiore di loto in mano, stava Tuya, una bella ragazza dai lunghi
capelli cioccolata stretti in numerose trecce, e con un viso dolce come se fosse
stato modellato da un abile scultore, nei cui lineamenti si potevano riconoscere
quelli della bambina che aveva tanta confidenza con Sethi nella loro infanzia.
Il Faraone, quindi, camminando nel
corridoio formato dai sacerdoti inchinati, si avvicinò alla sacra acacia, con
sua moglie dietro, ed iniziò a decantare il rito magico. Gli altri sei, mentre
parlava, si erano alzati e avevano iniziato a innaffiare la pianta con latte e
birra, contenuta in secchi che
erano stati preparati appositamente ai piedi dell’albero.
A metà rito, Marik non ne poteva già più:
afferrò il polso dell’amico per trascinarlo via, considerato anche che il
Bakura del passato si era già allontanato non appena il Faraone era comparso
sulla soglia. Però, il Bakura del futuro, invece, non riusciva a staccare gli
occhi da Sethi, sconvolto.
“Ehi!” esclamò Marik, cercando di
farlo riprendere tirandogli degli schiaffi nella nuca. “Andiamo?”
Infine, Bakura abbassò lo sguardo, e
annuì debolmente, quindi seguì l’egiziano oltre il muro, dallo stesso
cunicolo dal quale erano entrati. Tuttavia, non aveva più la stessa arroganza e
la stessa baldanza di prima: sembrava una specie di zombie, con gli occhi
sbarrati e la bocca semiaperta. Senza neanche riflettere, si recò sulla riva
del Nilo, giusto fuori dalle mura più esterne del tempio, e si sedette fino
quasi a sfiorare l’acqua con i piedi.
Sapeva che Marik non comprendeva il suo
sconvolgimento, e, dopotutto, era comprensibile. Lui non aveva visto Ramses
uscire da quella porta, tremila anni prima, vestito nella stessa maniera, con il
pastorale e il flagello stretti nelle mani, e Satre al suo fianco, come regina.
Certo, Sethi non era meno elegante, o meno maestoso, ma non aveva la stessa luce
negli occhi: la luce di qualcuno incapace di perdere, disposto a tutto pur di
vincere, anche alla morte.
Bakura aveva avuto paura solo due volte
nella sua vita: la prima, da bambino, a Kuru Eruna, quando i soldati gli avevano
trucidato la famiglia davanti agli occhi, e quando lui stesso aveva rischiato di
essere ucciso, senza nemmeno sapere il motivo; la seconda, quel lontano giorno,
alla festa di Osiride, quando, per la prima volta, aveva visto quegli occhi
viola ardenti e decisi. Non l’avrebbe ammesso nemmeno a sé stesso, ma si,
aveva avuto paura di quel ragazzo più piccolo di lui. Per questo aveva
aspettato altri due anni prima di attaccarlo, allenandosi il più possibile per
diventare abbastanza forte da sconfiggerlo. E ora, vedere un altro al suo posto,
fosse anche Seto Kaiba...
“Se non altro, abbiamo ridotto ancora
il periodo” disse Marik, stufo del silenzio in cui si era chiuso l’amico.
“L’accidente deve essere capitato tra l’anno 1316 a.C. e oggi, più o
meno”
Finalmente, Bakura si alzò. “E
sappiamo anche perché io sto scomparendo e Yuugi e Kaiba no” Non era proprio
il tempo di recriminare: se voleva evitare una simile eresia, bisognava
riportare la storia sul suo giusto corso, e non piangersi addosso.
“Perché?” domandò, ovviamente,
Marik, che non era assolutamente a conoscenza dei particolari del passato.
“Akunadin voleva che suo figlio Sethi
salisse al trono” spiegò Bakura. “Per questo, corrotto dal potere oscuro
degli oggetti millenari, ha liberato Zork, aiutandomi, per uccidere l’attuale
Faraone e fargli succedere Sethi; ma in questa versione della storia, Sethi è
già sul trono, quindi Akunadin non ha alcun interesse nell’aiutarmi…”
Marik annuì. “Ma, se la battaglia
contro di te si è conclusa a favore di Sethi, perché lui e Yuugi ci sono
ancora?”
“Non sono, come Ryou, reincarnazioni al
solo scopo di contenitori” proseguì Bakura. “Sono discendenti” E accennò
col capo alle mura, per far capire di chi.
“Però!” esclamò Marik, ridendo.
“Proprio Kaiba!”
“Tanto non ti ha sposata per amore!”
gridò una voce femminile, familiare, da dietro il muro. “Ti ha sposato solo
perché era comodo! Insomma, meglio sopportarsi al fianco una che si è abituati
a sopportare da anni, no?”
“No, non è così…” replicò
un’altra voce, sempre familiare, ma leggermente diversa a come se la
ricordavano. “Mi ha sposata perché
vedo Horus e Seth dentro di lui… Un po’ è come se mi amasse…”
L’altra voce rispose con uno sbuffo
ironico. “Tu li vedi… Ma lui lo sa?”
Marik e Bakura si affacciarono oltre il
muro, sbirciando la scena di nascosto. Tuya aveva lo sguardo basso, e
singhiozzava. “Sei cattiva…” mormorò, passandosi la lingua sulle labbra
morbide. “Perchè vuoi punirmi come se fossi stata io ad uccidere Ramses…?
Lo conoscevo da più tempo di te…” Si voltò, con fare altezzoso, e si
allontanò verso il centro del tempio.
Bakura si avvicinò all’altra ragazza,
che era rimasta ad osservare la schiena di Tuya prima che sparisse. “Satre?”
domandò.
Lei si voltò verso di lui, e Marik potè
notare gli stessi occhi turchesi su un viso più maturo e adulto, ancora più
bello. Solo che non erano più i gioielli brillanti che guardavano Ramses sulla
barca di papiro, qualche anno prima: erano opachi, come spezzati da un dolore
troppo forte. “Voi!” sobbalzò, riconoscendoli.
“Ramses è morto?” Bakura l’afferrò
per le spalle. “Quando?”
Satre si staccò di scatto, coprendosi il
viso con le mani e con i capelli ricci biondi. “Non farmi ricordare!” esclamò.
“Avrebbe dovuto esserci lui, oggi, davanti ad Osiride…!”
“Lo so” disse serio lui. “Dimmi
quando è accaduto. Te lo riporterò”
“Eeh…” commentò Marik di
sottofondo, alzando gli occhi al cielo in modo eloquente.
Satre si asciugò le lacrime con il dorso
della mano, cercando di concentrarsi per ricordare perfettamente.
“Un’inondazione fa… Stava correndo come l’orice nel deserto… E… E'
morto...” fu la sola cosa che riuscì a dire, prima che i singhiozzi avessero
il sopravvento.
Nella
prossima puntata… Hola!
Qui
nessuno sta combinando qualcosa di buono. Lo sapevo, toccherà a noi metterci di
buona lena per combinare qualcosa, vero, ragazzi?
Tanto
io lo sapevo che era colpa di Kaiba, figuriamoci.
Non
mi interessa, Mai non c’è in questa storia. E poi, chi cavolo sono Marik e
Bakura?
Non
lo so, ma me lo sento che non faranno nulla di buono nel passato…
Prossima
puntata: “Equilibrio precario” Non perdetela!
Rispondendo
ad un appunto di Ayuchan, specifico una cosa che ho scordato nel capitolo
precedente. Nell’Odissea, che risale all’incirca al periodo di Ramses &
Co, le sirene sono uccelli con la testa di una bellissima donna. L’aspetto di
mezze donne mezze pesci verrà loro conferito solo nel medioevo. Quindi, Marik
la scambia per una sirena perché la vede uscire dall’acqua (a mo’ della
favola), mentre Satre gli risponde riferendosi alle “ali” perché conosce
solo la prima versione delle sirene.
La
prima parte di questo capitolo è riferita ad un episodio del manga, ossia della
prima serie televisiva mai trasmessa in Italia.
Ancora tanti ringraziamenti a tutti quelli che leggono la mia storia,
soprattutto a Ayuchan (non preoccuparti, i tuoi appunti mi sono sempre utili e
non mi sembrano affatto polemici ^^; lo so, inserire il personaggio di Satre
poteva essere pericoloso, ma, come avrai notato da questo capitolo, ne avevo
bisogno per risolvere la situazione ^^), Evee (effettivamente, hai ragione,
Bakura dovrebbe essere più “cattivo”, se si segue il manga originale, ma ho
letto molte storie nel fandom inglese in cui lui è “buono” o quasi, e così
è molto più simpatico e divertente da usare, sebbene anche come vero
antagonista abbia il suo fascino), Death Angel (in realtà, non c’era molto
sull’Egitto…^^’’ Ma mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato comunque;
la storia della pipì era solo un modo per dare un contentino anche a Marik e
Bakura, poveretti…^^), Ishizu (grazie ^^), Kim (si, era proprio Anzu… In
realtà, dato che Yuugi li chiama col –kun, ho dedotto automaticamente che lo
facesse anche lei, ma mi sa che ho toppato ^^ Mi spiace, correggerò; spero che
Satre non sia diventata Mary Sue in questo capitolo
ù_ù; Marik sant’uomo? Guarda che poi si monta la testa ^_- Anche se
poi, immaginarlo sopra Bakura ti fa venire in mente tutt’altro, vero…? :-P)
e Eli (non preoccuparti, so quanto il regno delle omb- ehm, volevo dire, la
scuola sia faticosa, ma se riesci anche a seguire la mia storia mi fa solo
piacere ^^ grazie davvero; e mi fa piacere che tu ti sia immedesimata nei due
derelitti, ma credo che tu lo abbia fatto per compassione di loro, ormai…^_-).
Grazie
ancora a tutti, e a presto.
Hui
Xie