Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Miriam85    22/02/2006    1 recensioni
E' un mio esperimento, dato che non ho mai scritto su questo manga che in ogni caso amo moltissimo! Beh, ditemi cosa ne pensate... I personaggi sono IC? E' da proseguire? Lasciatemi tutti i suggerimenti e consigli del mondo, non c'è di meglio per chi scrive ;)
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi qui, con un nuovo capitolo xD
Non ci credo, ce l'ho fatta xDDD
Direi che adesso ci manca solo l'epilogo... ringrazio tutti quelli che mi hanno commentata, ho ricevuto tantissimi complimenti che non merito ^///^
Spero che la fine sia degna dell'inizio... io ci ho messo tutta me stessa ^^
Ringrazio in special modo il mio ragazzo... che non sa nemmeno cosa è One Piece xD Però, è abbracciandolo mentre dormivo che mi è venuta l'ispirazione di questa Fic... infatti, se avete notato, la faccenda tra Nami e Zoro qui comincia con un contatto simile all'abbraccio... va beh, simbolismi a parte... buona lettura ^^

CAPITOLO SETTIMO

“Adoro i prigionieri…” Kilot giunse le mani squamose, ammirando il gruppetto sanguinante, sconfitto e legato che i suoi sottoposti esponevano con gran soddisfazione. “Dunque, mi pare di conoscervi…” Si portò un dito al labbro, fingendo un’aria meditabonda. “Ma certo! Siete gli idioti compagni di quello spadaccino! Ditemi, è già morto?”
“Ti piacerebbe, brutto figlio di murena…” Ma Rufy non poté proseguire dato che, pur legata, Nami era riuscita a rifilargli un gran calcione.
“E’ morto l’altro ieri.” La rossa parlò a capo chino, con voce tetra. “Noi siamo venuti per vendicarlo.”
“Cosa? Zoro è morto? Oh, no!” Chopper si portò le zampine alle corna, disperato, e Nami alzò gli occhi al cielo, forse chiedendo a qualche divinità la forza di sopportare tanta idiozia. Se non fosse stata priva di sensi, Nico avrebbe riso di tale espressione.
Ma il capitano non aveva più tempo per loro. Si avvicinò alla balaustra di legno profumato di salsedine, saggiando la robustezza della nave, e scuotendo il capo con aria di disapprovazione.
“Questa è una vecchia carretta! Non solo non ci guadagno a rivederla, ma dovrei pure pagare la rottamazione!” Pestò un pugno, e senza alcuno sforzo aprì un ampio foro nella struttura.
“Non rovinare la Goign Merry, bastardo!” Rufy si dibatté, ostinato, ma gli scagnozzi non accennarono a mollare la presa.
“Lo sapete che siete dannatamente fastidiosi? Portateli via!” Tutti annuirono agli ordini del capo, e si avviarono. “No, lei no.” I due che conducevano Nami si fermarono, sorpresi. “Voglio che tu mi conduca al deposito tesori… lo avrete un deposito tesori, su questa bagnarola, no?” La rossa, con sguardo duro, annuì. “Bene. E poi… beh, ma lasciatela, no? Credete che non sappia tenerla a bada?”
Con una spinta non proprio gentile, i due scagnozzi la mollarono, facendola cadere a terra. Kilot l’afferrò per un gomito, costringendola a rialzarsi, e lei rabbrividì di disgusto al solo sfiorare la superficie squamosa della sua pelle.
“Oltre i tesori, credo che tu possa darmi qualcos’altro…” Le sibilò all’orecchio, spiandole nella scollatura. Una mano salì a esplorare sotto l’orlo della sua corta gonna, e lei gli pestò rabbiosamente un piede.
Ridendo divertito, lui se la caricò su una spalla; fece un cenno, e i due sottoposti se ne andarono in fretta.
“Siamo soli; è romantico, non trovi?”
“Te ne pentirai, bastardo.”

Non è facile misurare il tempo quando si deve fingere d’essere svenute. Si può contare, certo, ma è necessaria una gran concentrazione; ed essere sballottate qua e là come pezzi di carne morta può essere fattore di distrazione. Anche la rabbia sorda, che lentamente galoppa nel cuore, montandosi come panna acida, può distogliere i pensieri dal conteggio. E in certe cose bisogna essere precisi.
Oh beh. Pressappoco erano passati una trentina di minuti: valutando le dimensioni dell’isola, trenta minuti potevano essere più sufficienti per raggiungere un covo. Per introdurvi i nuovi prigionieri, e magari pensare di festeggiare con una buona dose di alcool.
Nico Robin riaprì furtivamente un occhio nero, spiando i compagni, inerti e trasportati. Si trovavano in una foresta, a un centinaio di metri da un grande, enorme, portone in legno: il covo. Sì, era il momento. Finalmente.
“Bonjour!” Salutò allegramente, mentre due lunghe ed affusolate braccia spuntavano dalla schiena del suo rapitore, spezzandogli il collo senza pietà. Cadde a terra, godendo degli ultimi spasmi di vita di quel bastardo. L’avevano colpita, le avevano quasi ammazzato un compagno e feriti gli altri… ed ora quei bastardi avrebbero fatto i conti con un vero demone. Un demone femmina, un demone senza pietà.
Nico Robin si rialzò, raccogliendo il proprio cappello, ostentando un’espressione così oscura, da far fuggire il più coraggioso degli uomini. Gli altri la fissarono a bocca aperta, non sapendo bene come interpretare il fenomeno; ma ebbero immediatamente un’infelice chiave di lettura: dopo qualche secondo, nella foresta che precedeva i cancelli del covo, riecheggiarono acute e terribili urla.

“Mmh… così liscia…” Nami fu sbattuta contro la parete del corridoio, e quasi temette di sentire lo scricchiolio di qualche costola spezzata. Kilot le si avvicinò, ghignando e mangiandosela con gli occhi; l’afferrò per la testa, con malagrazia, costringendola a rialzarsi. “Mi piacciono le femmine umane. Gli altri pensano sia una cosa strana…” Le premette la mano sul collo, inchiodandola alla parete, togliendole l’aria. Lei ansimò, divincolandosi. “Però vedi… non so resistere a una pelle così liscia!” L’altra mano si avventò sulla cartografa, strappandole furiosamente la maglietta. Nami urlò dell’improvvisa ed umiliante nudità del suo petto, e lacrime le bruciarono sulle ciglia. Le sbatté; a che sarebbe servito piangere? Kilot lanciò lontano quella che era la stoffa della sua maglia, e fece per abbassare il capo sui suoi seni.
Alzò un ginocchio, furiosa, per colpirlo laddove tutti i maschi, umani o marini, non gradivano essere colpiti; ma per quel bastardo fu un divertente giochetto fermarla, ferendola con gli artigli.
“E poi…” Proseguì, leccandosi le labbra. “Mi piacete, perché urlate il doppio!”
La pelle di Nami mandò al cervello sensazioni ben poco piacevoli: sensazioni orribili, di squame che si poggiarono sulle sue nudità, disgustandola; e permettendo l’evasione di lacrime di disperazione.

“Allora… l’antidoto?” Sanji ripeté la domanda, pazientemente, osservandosi con cura le unghie.
Nico Robin sollevò quel dannato, lottando con sé stessa per non ammazzarlo sul colpo: era l’ultimo rimasto del covo da loro devastato, e poteva risultare utile; sempre che si decidesse a parlare.
“Andata all’inferno!” Sbraitò, agitando le gambe nell’aria. “Non vi dirò qual è l’antidoto, nemmeno se…"
Non si seppe mai quale fosse l’ipotetica che l’uomo pesce desiderava esprimere: purtroppo per lui, Nico era già pronta a dimostrargli i suoi se, e, a giudicare dalle urla, il nemico fatto prigioniero dimostrò di non gradire il trattamento.
Fu questione di una decina di minuti; un traguardo ragguardevole, in effetti: per quanto alta possa essere, nessuna soglia del dolore potrebbe sopportare per più di venti minuti il ‘trattamento speciale’ di Nico Robin.
“Vi dirò… dove… si trova…” Ansimò, mentre il mondo perdeva gradualmente i suoi contorni.
“Se provi a svenire prima di averlo detto, ti farò pentire d’essere nato.” Fu il freddo avvertimento della donna.

Nami sbarrò gli occhi. Non riuscì a muoversi, per lo shock o per la sorpresa. Tremante, seminuda, indifesa.
Ma salva.
Zoro concesse un altro calcio al nemico abbattuto, ghignando; tenendo a bada, per quanto possibile, il ronzio nelle tempie.
Lo aveva attaccati alle spalle, anche se non per vigliaccheria: era strisciato mentre quel viscido si premeva su Nami, dimentico degli inconvenienti che possono capitare a chi si sollazza allegramente su una nave nemica.
Nami, sempre schiena contro il muro, scivolò lentamente a terra, asciugandosi le lacrime che le avevano rigato il volto, scivolando sul collo, e bagnando anche il suo petto. La viscida sensazione del contatto con Kilot era ancora vivida, terribile, stampata in ogni cellula del suo corpo.
“Stai bene?” Zoro rinfoderò la spada, cercando di non mancare il fodero: al momento, ne vedeva ben sei appesi al suo fianco, ed aveva il forte – e fondato – sospetto che almeno tre fossero immaginari.
Nami non lo degnò di una risposta. Portò le mani sui seni, coprendoli, e chinò il capo, trovando nuove lacrime che esprimessero la vergogna.
Fu afferrata per un polso, sollevata. Zoro la strinse a sé, costringendola a ricambiare l’abbraccio. Lei affondò il voltò sul suo petto, e la sua pelle nuda fu gradevolmente compensata dall’onta subita, premendosi su quella calda e granitica di lui. Strano come certe sensazioni, per certi versi simili, possano variare a seconda della situazione; e di chi si ha accanto.
“Hai preso altro antidoto?” Parlò senza sollevare il capo, perché non voleva certo interrompere la mano di lui, dolce e ripetuta carezza sui suoi capelli. “E’ pericoloso.”
Come a conferma di ciò, lui traballò, e lentamente scivolò a terra, sempre tenendola con sé. Nami fu costretta a sollevare uno sguardo terrorizzato, che incontrò quello calmo e arrendevole di lui.
“Credo che…” Perse le parole, per la debolezza e per il groppo che gli si era venuto a formare in gola. Credeva che fosse giunto il momento di morire, ma non riusciva assolutamente ad esprimere il concetto. I suoi muscoli si irrigidirono, per la paura. Una paura del tutto umana.
Nami si allungò verso di lui, cercando le sue labbra, e trovandole. In quel corridoio, vicino al corpo di un disgustoso uomo pesce, in quella dolce vicinanza, con il suo petto nudo che si sollevava sistematicamente, trovando calore in quello di lui: fu così il loro primo bacio; un primo bacio che minacciava d’essere l’ultimo.

“Quindi, è questo?” Nico Robin, volto schizzato di sangue, sollevò soddisfatta l’ampolla. L’uomo pesce, per quanto ne potessero le sue facoltà motorie e mentali, riuscì ad annuire.
“Chi ci dice che non voglia fregarci?” Rufy teneva sotto braccio Usop, unico membro della ciurma che non aveva finto di svenire e farsi catturare: era svenuto per davvero.
“Lo vedremo subito.” Pur nella sua soffice e pelosa forma animale, anche Chopper esibiva un’espressione a dir poco furiosa; e per nulla rassicurante. Prese un ago, fissando malignamente l’uomo pesce. “Che ne dici se te ne inietto un po’? Tanto è un antidoto, non dovrebbe farti nulla…”
L’uomo pesce tremò. Infine, sempre più arrendevole, fu costretto ad indicare un’altra ampolla. Della quale si lasciò iniettare il contenuto.
“Torniamo alla nave.” Decise il capitano di gomma.

Stava rannicchiata contro di lui, trattenendo le lacrime. Zoro aveva perso i sensi da un pezzo. Non aveva osato lasciarlo. Teneva tra le mani un suo polso, tremando ogni volta che lo sentiva indebolirsi… e si stava indebolendo molto rapidamente.

  
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