4.
Conan si rialzò lentamente, sentendosi la camicia bianca
macchiata di fango e bagnata. Attorno a lui, il terreno emanava un forte odore
di bagnato e di terriccio. «Merda!» Era furente. Come aveva osato, lei,
lanciarlo via in quel modo, impedendogli di aiutarla? Era dolorosamente
preoccupato per la sua sorte, saperla lì, da sola, contro quell’assassino, lo
faceva star male più di quanto potesse sopportare, il suo stomaco pieno di
piombo incandescente. Avrebbe dovuto essere al suo fianco, a proteggerla… Non
poteva permettere che rischiasse la vita da sola, non dopo averla convinta a
seguirlo, trascinandola lui stesso nel pericolo, con l’illusione della
salvezza.
A passi lenti e tremanti per la brutta caduta che avrebbe
dovuto salvargli la vita, si avviò verso la finestra, cercando di capire cosa
stesse succedendo all’interno dell’edificio, senza riuscire a vedere nulla a
causa della luce spenta. E poi avvenne. Il rumore tagliente di uno sparo gli
arrivò fin dentro alle orecchie, quasi come se gliele avesse squarciate.
Impossibile non capire da dove provenisse.
Rimase immobile, pietrificato, come se lo sparo avesse
avuto la capacità di trasformarlo in una roccia. Una roccia molto fragile,
visto il dolore che si agitava nelle sue viscere, rischiando di indebolirlo
sempre di più. Il suo tempo si fermò: restò lì immobile, gli occhi sbarrati,
incapace di immettere aria, l’accesso ai polmoni sbarrato, il cuore gonfio in
gola. Per l’ennesima volta dall’inizio delle sua carriera, se così poteva
chiamarla, aveva fallito, aveva illuso Shiho, dicendole che l’avrebbe aiutata,
che le cose sarebbero state migliori. Invece l’aveva fatta affogare,
trascinandola giù nell’abisso, usandola per riemergere da solo. Era proprio
un inetto, un imbecille, un incapace. Sorrise, leggermente ironico, pensando a
tutte le ammiratrici che gli inviavano lettere d’amore: come poteva piacere a
loro, visto com’era veramente? Pensò anche a Ran, che aveva sempre avuto
fiducia in lui, che gli era sempre stata accanto, dandogli sostegno qualsiasi
decisione prendesse. Probabilmente, non avrebbe più potuto rivolgergli la
parola, dopo quest’avventura, sempre che fosse riuscito a salvarsi veramente,
cosa che, in quel momento, non lo preoccupava neppure.
Shiho era morta. Lui
aveva permesso che la uccidessero. L’unico responsabile era proprio lui, che
prima l’aveva convinta a mettere la sua vita in pericolo e che poi non era
stato in grado di rispettare la sua promessa e proteggerla. Si faceva schifo, si
sentiva tremendamente in colpa: sua sorella, Akemi, gliel’aveva affidata,
usando le ultime forze che le restavano per parlare, spuntando sangue, e lui
aveva deluso entrambe le ragazze. Sherlock Holmes aveva mai fallito? Sì,
sarebbe stata la risposta esatta, ma Conan era troppo distrutto, si sentiva
troppo vuoto e dolorante per riuscire a rammentare tutte le avventure
del grande detective.
Un altro pensiero gli balzò alla mente. Era stata Shiho a sparare! Tuttavia,
questa considerazione non lo fece stare meglio, tutt’altro. A causa sua,
forse, lei era diventata una vera
assassina. Grandioso! Dopo averla accusata, consolata, aiutata… Che aveva
fatto? L’aveva unicamente resa come volevano loro! Se l’avesse rivista, cosa
avrebbe potuto dirle? “Perdono…”!? E lei, avrebbe dovuto sparare anche a
lui, perché se lo meritava!
«Ho sempre creduto che i detective fossero furbi come le
volpi… Evidentemente sbagliavo.»
Conan si voltò. Attraverso la nebbia della notte nera,
vide Gin, inconfondibile a causa dei suoi lunghi capelli biondi, ma con il corpo
completamente mimetizzato nell’aria. Sorrideva, ironico come sempre, puntando
la pistola contro di lui.
«Meglio così» continuò, mentre con la sua voce
tagliente infieriva al bambino ferite invisibili da vedere. «Potrò impiegare
in attività più proficue il tempo che risparmierò!»
«Come rubare, uccidere, ricattare?» replicò Conan,
cercando di imitare il sarcasmo dell’uomo, non riuscendovi. Il pensiero del
fallimento ancora gli attanagliava le viscere, la sua voce resa fioca e triste,
quasi tremante.
«Conosci forse altri modi di divertirsi?»
Conan avrebbe voluto rispondergli di sì, che ne conosceva
almeno una ventina, ma sarebbe davvero servito? Il tempo per la risposta lo
impiegò nel pensare ad una strategia. Stringendosi il polso dietro la schiena,
si accorse di non indossare il suo orologio-narcotizzante, quindi non poteva
addormentarlo e poi scappare. Pensando alla promessa che non aveva mantenuto, la
voglia di farsi uccidere senza difficoltà aveva sfiorato il suo cuore, ma, se
lo avesse veramente fatto, avrebbe tradito altre persone e questo non poteva più
permetterlo, non una volta in più. Stropicciandosi le unghie dei piedi, notò
che indossava le sue scarpe da ginnastica. Forse le aveva messe uscendo dal
laboratorio, forse non gliele avevano mai tolte, ma non era che un particolare
di nessuna importanza, eppure lo tormentava ad eco nella sua mente. Si concentrò:
non appena l’uomo avesse sparato, lui si sarebbe gettato lateralmente, quindi
avrebbe afferrato il primo sasso sottomano e glielo avrebbe scagliato addosso.
Spostò leggermente la gamba sinistra, cercando di abbassare la leva di
attivazione delle scarpe senza farsi notare.
«Credo di no» disse allora Gin, stringendo la presa sulla
pistola. Lo sparo arrivò con anticipo rispetto a quanto Conan si aspettava,
perciò non riuscì a trovare alcun sasso, mentre si gettava di lato per
evitarlo. Rialzandosi, con le labbra piene di erba e terra, sentì un altro
sparo. Per un attimo, il cuore e i polmoni smisero di funzionare, senza alcun
apparente motivo. Si voltò verso il suo avversario. Gin era ancora fermo nella
stessa posizione, ma gli occhi guardavano nel vuoto, come spenti. Senza una
parola, il leggero rivolo di sangue gli uscì dal naso, sporcandogli la bocca
ancora ferma in un sorriso ironico, quindi cadde a terra con lo stesso rumore di
un sacco di sabbia abbandonato dagli operai in un cantiere, vivo come un ramo
secco.
Togliendosi dalla visibilità di Conan, gli permise di
osservare l’omicida: Shiho, una statua di sale con ancora la pistola stretta
con entrambi le mani. Era piegata leggermente di lato, poggiata sulla gamba
destra, visto i fili di sangue che uscivano da una ferita di pistola sulla
coscia sinistra. Lentamente, le sue braccia tremarono con una contrazione
involontaria dei muscoli, sempre più velocemente, lasciando cadere a terra la
pistola. Il tremolio si spanse a macchia d’olio lungo tutto il corpo, finchè
Shiho non si piegò sulle ginocchia, mescolando il sangue al fango. Si strinse
la testa, come se il “Nooo!!” che non le usciva dalle labbra le risuonasse
nella mente.
Conan corse immediatamente verso di lei, appoggiando la sua
testa morbida contro il suo piccolo petto, tenendola stretta e cullandola, per
quanto fosse in grado con l’insensibilità che ormai era convinto di
possedere. «No, no, non è successo niente» le sussurrò. Certo, era contento
che fosse ancora viva, ma viva in quel modo, era terribile. «Non è morto, non
l’hai ucciso…» E visto il forte odore di sangue che il cadavere emanava, la
sua frase non avrebbe ingannato neppure un cieco.
Sempre accarezzandole il suo capo di grano profumato di
pane, Conan alzò lo sguardo, vedendo le finestre dell’edificio illuminarsi
una a una, come i ceri di una chiesa. Gli spari avevano per forza attirato
l’attenzione degli altri uomini in nero. «Dobbiamo andarcene!» Senza osare
staccarsi da lei, colpì la pistola con uno dei suoi potenti calci, aprendo un
ampio buco nel muro di recinzione, quindi ve la trascinò dentro senza troppe
difficoltà, visto che lei era diventata una bambola di pezza nelle sue mani.
Aveva smesso di tremare, ma era anche peggio, perché non emetteva alcun suono e
i suoi occhi erano diventati azzurri e vuoti, orribili. Dov’era l’oceano?
Conan si maledì mentalmente, però avrebbe pensato dopo a farla sentire meglio.
In quel momento, doveva almeno pensare a salvarla, visto che l’aveva costretta
a diventare un’assassina. Sentì il cuore stringersi in una morsa a quel
pensiero, ma scacciò la sensazione: doveva concentrarsi sulla fuga, a dopo i
rimpianti. Se non ci fosse riuscito, non avrebbe più avuto il diritto di
appartenere non solo alla categoria dei detective, ma nemmeno alla specie umana.
Arrivati quasi sani sul marciapiede, furono accecati, se
ancora gli occhi di Shiho avessero potuto percepire qualcosa, dai fari
abbaglianti di una macchina che si accostò di fianco a loro. «Conan? Allora
sei proprio tu!»
«Tenente Takagi!» esclamò il bambino, riconoscendo
l’uomo appena sceso dall’auto; non si era mai sentito tanto bene in vita
sua, lo stomaco alleviato da quella brutta sensazione, tutto il corpo che
rispondeva all’avvenimento con un sospiro di sollievo. Allora Dio esisteva! «Dobbiamo
portare questa ragazza in ospedale, è urgente! È dobbiamo scappare di qui!
Presto!»
Takagi non capì veramente nulla di quello che stava
succedendo, ma vide bene le strisce di sangue che si stavano pian piano
coagulando sulla gamba pallida di Shiho. La prese in braccio, senza che lei
opponesse resistenza, tanto che lui credette che fosse svenuta, e l’appoggiò
delicatamente sul sedile posteriore, mentre Conan, senza che nessuno
gliel’avesse detto, salì accanto al guidatore. «Ora mi spieghi tutto, eh!»
commentò Takagi mettendo in moto.
***
Il tenente Takagi passò la maggior parte del tempo ad
accavallare l’una e l’altra gamba, agitato. Conan, seduto con le gambe a
penzoloni a causa della sua bassa statura, non staccava gli occhi dalla sala
operatoria in cui stava Shiho. Alla fine, l’ispettore Megure si azzardò a
chiedere: «È dura credere a ciò che ci hai raccontato, Conan»
«Sono Shinichi Kudou» ribatté lui, senza distogliere lo
sguardo. «Shiho Miyano e il professor Agasa ve lo confermeranno, così come la
prova del DNA» A questo punto, anche nascondere la sua vera identità non
serviva, visto che la conosceva l’Organizzazione. Aveva bisogno dell’aiuto
della polizia per proteggere tutte le persone che amava e che, per colpa sua,
erano in pericolo. Doveva arrendersi alla triste evidenza che, da solo, non
poteva riuscirci.
«Sì, Shinichi» acconsentì Megure. «Ma-»
Un’infermiera uscì dalla stanza, avvicinandosi ai tre.
Conan balzò giù dalla sedia, agitato e col cuore in gola, che pulsava quasi
volesse saltar fuori. «Allora?!»
«Mi dispiace» L’infermiera scosse la testa. «Il
proiettile è rimasto infisso nella gamba, esattamente sopra l’arteria. In
pratica, il proiettile sta fungendo da tappo. Se lo estraiamo, morirà
dissanguata in un istante. D’altra parte, non possiamo lasciarlo dove si
trova, perché il sangue, seppur lentamente, fuoriesce ugualmente e…
l’emorragia interna non si può più bloccare»
«No!» deglutì Conan, la voce spezzata, mentre la sua
gola di trasformava nel deserto del Sahara. Si precipitò dentro la stanza,
senza chiedere permesso a nessuno, e si gettò sul letto. «No, Shiho, no!» Le
strinse la mano, più pallida del solito, al cui polso era legata la flebo della
trasfusione. All’altro braccio era legata una flebo nutrizionale. «I-io…»
Avrebbe voluto dirgli milioni di cose, ma in quel momento non gliene veniva in
mente nessuna.
Shiho voltò leggermente verso di lui la testa affondata
nel cuscino sottile. Gli occhi oceano risplendevano sulla sua carnagione
pallida, ma erano ancora spenti, come se il mare fosse oscurato
dall’inquinamento di una petroliera. Ed era stato lui a ridurla in questo
modo! Non disse nulla, limitandosi ad osservarlo.
«Non puoi morire, non adesso…» Le ciglia nere si
bagnarono. «Non posso permetterlo, non a te…!»
Lentamente, Shiho sorrise sardonica. «Non sto affatto
morendo.»
Il tono con cui lo disse era terribilmente serio e
sarcastico, come sempre. «Come!?» Conan desiderava credere ardentemente a
quelle parole.
«Non sto morendo» ripeté lei. «Ho chiesto
all’infermiera di dirvi questa bugia» Staccò le mani da lui per alzare il
lenzuolo, in modo da mostrare il gesso che le fasciava la coscia, da ci usciva
il tubicino per il drenaggio. «Il proiettile è stato estratto, ma ha crepato
la tibia. Con un po’ di riposo starò bene»
La tristezza lasciò immediatamente il posto alla rabbia.
«Perché diavolo hai fatto una cosa del genere?!»
Shiho si strinse le labbra. «Perché… Volevo vedere se
tu avessi pianto per me…» Gli occhi divennero umidi, proprio come il mare, e
riacquistarono il loro triste colore originale.
La sua sincerità spiazzò Conan, che dimenticò
immediatamente lo scherzo di pessimo gusto. «Idiota» le sussurrò,
accarezzandole i capelli come se fosse una bambina piccola. «Adesso, non sei più
sola…» Si ricordò di quello che le aveva fatto fare, e rabbrividì, il cuore
bruciante di rabbia con se stesso e di rimpianto. «S-scusa…»
«Di che?» Un leggero stupore le increspò le labbra.
«Io… Tu… Gin…» Parole sconnesse nel vuoto.
«È stato terribile» ammise lei, scossa nuovamente da
brividi. «Tutte le ferite che mi sono state inflitte, lo so, non guariranno
mai. L’Organizzazione mi ha rubato tutto, e alla fine mi ha costretta ha
regalarle l’unica cosa che mi era rimasta: la mia innocenza.» Respiro
profondo. «Non avevo mai sparato a qualcuno, sai?» Gli confessò, con un
sorriso per nulla allegro che contrastava con i suoi occhi scuri e tristi.
«Dev’essere stato difficile…» mormorò, in un fil di
voce.
«No, non in quel momento. È accaduto tutto troppo in
fretta perché me ne rendessi conto. Ma dopo…» la voce le morì in gola, e
fissò un punto imprecisato del pavimento, le labbra strette. Conan si mosse per
accarezzarle la schiena, esitante, e si rilassò un poco quando lei glielo
permise senza batter ciglio.
«È doloroso. Ma potrei resistere, se avessi qualcuno. Non
volevo perderti-»
«Sono qui! Sempre!» esclamò Conan con foga.
Per un poco, entrambi rimasero in silenzio. «Grazie. Di
tutto»
L’ispettore Megure entrò nella stanza. «Scusate se vi
disturbo» tossì leggermente. «Ma dobbiamo parlare di cose più terra-terra»
«In che senso?» Conan riacquisì la sua tranquillità,
sedendosi sulla sedia accanto al letto.
«Per il momento, siete al sicuro. L’ospedale è
sorvegliato costantemente dai miei uomini» spiegò il poliziotto. «Tuttavia,
non possiamo continuare a proteggervi in questo modo. Ho contattato l’FBI, per
farvi entrare nel programma di protezione testimoni»
«Che?» Conan si accigliò «L’indagine
sull’Organizzazione è mia e-»
Megure lo interruppe mettendo una mano davanti a sé. «Adesso
che loro hanno scoperto la tua identità, non solo tu corri dei rischi, ma anche
tutte le persone intorno a te, a cui, ovviamente, dobbiamo dare protezione. Il
professor Agasa, la famiglia Mouri, la tua famiglia, le famiglie dei bambini
della scuola elementare Teitan, tutti» Lo fissò, con i suoi occhi severi da
sotto la tesa del cappello. «Non sei in grado di farlo da solo» Suo malgrado,
Conan fu costretto ad annuire. Megure si rivolse a Shiho. «Dove vorresti andare
ad abitare, da ora in poi?»
Shiho sospirò senza farsi notare. La sua vita sarebbe
stata ancora più pericolosa, però non poteva più tirarsi indietro. Sarebbe
andata avanti, qualunque cosa fosse successa, così come aveva sempre fatto,
perché, come prima, non era più sola. «Hawaii».
***
E così, era arrivato il momento della partenza. Un piccolo
aereo la stava aspettando per portarla nella sua nuova casa, alle Hawaii, come
aveva chiesto, verso la sua nuova vita. Era libera, teoricamente, e lontana
dagli uomini che l’avevano tanto fatta soffrire. Però, continuava ad avere
paura. Non era sola, ovviamente, perché lui le aveva promesso di rimanere al
suo fianco, però sarebbe stato tanto lontano da lei…
«Ai…» Quando quella voce familiare la riscosse dai suoi
pensieri, chiamandola con il suo nuovo nome, Shiho si accorse di una lacrima che
le era sfuggita dai suoi occhi e subito si strofinò la guancia con la manica
del maglioncino, rivolgendo al suo interlocutore il solito sguardo,
apparentemente gelido: eccolo, Shinichi Kudou, alias Conan Edogawa, che la
guardava apprensivo e corrucciato attraverso le lenti degli occhiali, cercando
di vedere dentro di lei, senza, come al solito, riuscirci. Akemi, invece, lo
avrebbe fatto al primo sguardo.
Rimasero immobili a fissarsi per qualche secondo, lui
all’inizio della pista, una t-shirt stropicciata verde e un paio di calzoncini
jeans, lei con il piede già sulla scala dell’aereo, maglioncino smanicato
bordeaux e calzettoni dello stesso colore, che le coprivano le gambe fino alle
cosce, mentre la gonna nera ondeggiava leggermente. Conan si era accorto della
sua lacrima, naturalmente. Conan era preoccupato per lei, naturalmente. Ma Conan
non era corso ad abbracciarla per confortarla. Nessuno l’avrebbe fatto mai più.
Nessuno le avrebbe mai voluto bene. Conan…? Lui aveva un’altra ragazza di
cui prendersi cura. E non era lei. Non lo sarebbe mai stata.
«È tutto okay?» chiese esitante, facendo qualche passo
avanti. Lei distolse lo sguardo. Quegli occhi le facevano male, soprattutto se
la fissavano in quel modo. La portavano a illudersi che qualcosa fosse
cambiato… ma non poteva cambiare nulla, specialmente in quel momento. A meno
che l’Organizzazione non fosse stata totalmente debellata, cosa di cui
dubitava, non si sarebbero visti mai più. Doveva dimenticarlo. Paradossale
davvero! Avrebbe dovuto dimenticare l’ultima persona che le era rimasta al
mondo.
«Niente, Kudou. Proprio niente è okay.» Replicò con
voce fredda, senza guardarlo.
Lui si avvicinò a lei, in modo che né i poliziotti
attorno a loro né il pilota già a bordo potessero sentirlo. «Non fare così…non
è vero…» replicò lui a voce bassa. «Ora… Non devi più preoccuparti…di
Loro. Hai una nuova vita!»
Certo, com’era facile per lui parlare. Kudo non aveva
vissuto, provato, visto tutto ciò che
era passato sotto i suoi occhi. Lui non sapeva cosa volesse dire perdere
qualcuno, sentirsi abbandonati, soli…Kudo non sapeva cosa volesse dire
veramente avere freddo. Per
lui il sole aveva sempre brillato, mentre l’Organizzazione non era stata che
una nuvola passeggera; che incombeva ancora sul suo capo, questo sì. Ma niente
in confronto all’oscurità che era stata per lei. Una nuova vita… Aveva
senso, senza nessuno accanto? Non disse nulla, perché non voleva piangere
ancora di fronte a lui. Mostrandogli le sue debolezze, si era affezionata, e non
avrebbe dovuto, perché sapeva che non avrebbero potuto rimanere insieme.
«Avevi ragione» continuò allora lui. «Io credo di
essere tanto bravo, ma quando veramente conta, io…» Sospirò pesantemente «...fallisco.»
Aveva distolto lo sguardo da lei, il riflesso della luce
elettrica sui suoi occhiali rendeva impossibile cogliere la sua espressione. «Avrei
dovuto salvarla. Avrei dovuto impedirti di ucciderlo. So che non potrai mai
perdonarmi, e non te lo chiedo. Vorrei solo non vederti così»
«Così come?» ribatté lei, gelida, soffocando le sensazioni che
attanagliavano il suo cuore.
«Senza speranza. Quasi come se fossi morta» Avrebbe tanto
voluto vedere quell’oceano libero da qualsiasi nuvola e da qualsiasi onda, ma
magnetico come ricordava di averlo visto per la prima volta.
«Tu non sai niente, Kudo» Le lacrime le pizzicavano gli
occhi. Doveva partire, al più presto! Ma il suo corpo si rifiutava di
obbedirle, ovviamente. «Cosa ho passato… Come mi sento…»
«No, è vero» ammise con un altro sospiro. «Ma, come ti
ho già detto, puoi contare su di me, anche se saremo lontani. Ricordatelo
sempre» Sorrise allegro. «Mandami una cartolina, mi raccomando!» Era una
frase assurda da dire, in quanto sapeva bene che non potevano tenere contatti di
alcun tipo, o avrebbero compromesso la protezione che l’FBI stava dando loro,
ma almeno lasciava nell’aria l’illusione di un incontro futuro, e lasciava
trapelare un altro messaggio, più
profondo e intenso, una supplica a cui non si sarebbe mai permesso di dar voce,
perché avrebbe oltrepassato i limiti del loro rapporto, di quella tacita
barriera che lei aveva innalzato: Non
dimenticarmi.
Shiho sapeva che Kudo
non l’avrebbe mai amata, non l’avrebbe mai guardata come se fosse la
persona più importante che avesse, come l’aveva visto fare con Mouri....ma
sarebbe stato lì per lei, per sempre.
E questo le bastava.
«Shinichi…» sussurrò, senza che lui potesse udirla. «Ti
voglio bene…» Salì a bordo dell’aereo e il pilota chiuse finalmente le
portiere.
Allora, Conan alzò lo guardo verso l’uccello meccanico
che l’aveva inghiottiva e che la stava allontanando per sempre. Il sole era
talmente forte che lo accecò, nonostante le lenti degli occhiali rese scure dal
professor Agasa. Si coprì gli occhi con la mano, desiderando con tutto se
stesso che quel sole fosse capace di allontanare per sempre il gelo che impediva
a Shiho di vivere. E non sapeva, o, meglio, non era riuscito a capire, che quel
sole era proprio lui stesso. «Arrivederci, Shiho».
Eccoci
quindi all'ultimo capitolo. Spero che vi sia piaciuto come tutto il resto della
storia ^^Ora, i ringraziamenti finali da parte di tutte e due le autrici,
apposta perché è l'ultimo ^_-
Francesca
Akira89: ciao! Grazie di cuore della recensione. Questo capitolo avrà
sicuramente chiarito i tuoi dubbi, anche perché, siccome è l’ultimo, sarebbe
preoccupante se non l’avesse fatto (^^”). Sono felice che la storia ti
piaccia, e sono sicura che lo è anche Akemichan. Un bacio. Doremi-chan: grazie dei
complimenti! Spero che il seguito non ti abbia deluso! Baci. Ginny85: ciao carissima!
Ti ringrazio delle lodi, sei sempre dolcissima. Questa ff è il frutto degli
sforzi congiunti miei e di Akemichan (anche se a lei va gran parte del merito,
ad essere onesti), e sono felice che la apprezzi tanto, e che sia venuta bene.
Anch’io ho notato che spesso, nel manga, Akemi è solo un nome vagheggiato e
astratto. Sarebbe interessante un approfondimento del personaggio, sia come
singolo, sia nel suo rapporto con Ai. Pensa che nell’anime hanno addirittura
stravolto tutta la sua storia, inventandosi una puntata apposta, che nel manga
non esisteva, per farla comparire! Cose da pazzi! O__O Ancora grazie mille dei
complimenti, a risentirci! Un bacio. Questo e tutto. Spero che anche il quarto chap sia di vostro gradimento.
Fateci sapere, okay?
ciao ^^ grazie della recensione. Come hai visto, Conan non ha permesso che
accadesse ^^E meno male che il mix è venuto bene, perchè le due storie
separate in sè andavano, metterle insieme è stato un casino... ma semi dici
che andavano bene, tiro un sospiro di sollievo. per il resto, quoto
completamente Melany Bye ^^
ciao ^^ grazie della recensione. Qui scusa il ritardo, è colpa mia. Spero che
ti sia piaciuto ugualmente. Bye ^^
Ciao ^^ grazie della recensione. Melany esagera quando dà il merito a me, la
parte del flashback su Akemi e Shiho è tutto merito suo, io ho solo
rimesso insieme i cocci ^^Ma sono perfettamente d'accordo sia con lei che con te
sul personaggio di Akemi, che in pratica vive solo in funzione di Shiho, ed è
un peccato perché la storia delle due sorelle ancora vive dev'essere davvero
meravigliosa, benché drammatica. Posso essere un po' orgogliosa cvhe la storia
ti abbia fatto commuovere? E' molto bello quando una fic riesce a dare certi
sentimenti. Spero che anche questo sia all'altezza degli altri. Bye ^^
Melany
& Akemichan