Rieccomi di ritorno!
Come capirete dalla fine del capitolo, la fiction sta per giungere
al termine. Finalmente, direte, vero? Beh, lo dico anche io, quindi vi
capisco..! ^^
Vi lascio scoprire tutto da soli, non vi accennerò niente, se non:
mai dire mai!
Come sempre, capito niente, vero? XD Don't worry, tutto a tempo
debito!
Un bacione! Spero che anche questo capitolo vi piaccia! ^_-
Visto che stiamo per finire... commenti pleaseee *.*
Buona lettura!
)o( Phoenix )o(
WHAT COULD CHANGE?
Quanto tempo era passato da quando avevano messo piede in
quell'ospedale? Pensava addirittura qualche mese... forse tre, forse quattro.
Cosa ne sapeva? In tutto quel tempo, non era cambiato assolutamente niente...
Il suo stato fisico peggiorava di giorno in giorno, come quello
dei suoi compagni di squadra. Era dimagrito di parecchi chili e, a giudicare
dai vestiti larghi di Boris e Sergey, anche loro dovevano averne persi alcuni.
Non mangiavano molto, senza contare le volte in cui proprio
non mangiavano affatto.
Non era cambiato proprio niente dai primi giorni.
L'unico fatto positivo era che il clima si fosse calmato,
almeno un poco, quanto bastava per non farli impazzire: Boris aveva smesso di
avere crisi d'isteria; Sergey era quello che, più di tutti, riusciva a mantenersi
tranquillo e lucido, almeno anche solo in apparenza; Olivier aveva imparato a
conoscerli per quello che erano veramente, e aveva stabilito con tutti un
rapporto civile e di semi-rispetto; Ivan, il quale non aveva mai sentito
veramente quello smacco, dava ogni tanto segni di nervosismo dovuti alla
monotonia, ma non si poteva dire che stesse davvero male.
In quanto a lui... Molto probabilmente il fatto di non
mangiare lo aveva reso così passivo da non riuscire nemmeno più a piangere. Si
riscopriva ogni giorno senza vita, sempre di più, in attesa in ogni istante di
un miracolo, del suo risveglio; perché nessuno lo stava ascoltando? Non poteva
andare avanti così...
Poggiò la testa pesante sul materasso duro del letto di
Mailiya. Aveva cominciato a soffrire di pressione bassa, e il medico curante la
sua compagna aveva dovuto imbottirlo di vitamine per tenerlo in piedi. Senza
quelle, di sicuro, sarebbe crollato.
Il silenzio più totale regnava nella stanza ormai da
diverso tempo. Non c'era più niente da dire, niente di cui discutere o per cui
irritarsi. Tutto era già stato detto, messo in chiaro, urlato ai quattro venti.
La terribile rabbia era già stata sfogata, e ora si limitava a rintanarsi al
loro interno, nascosta, nell'attesa di uscire, un giorno, allo scoperto.
Sì, un giorno sarebbe esplosa in vendetta: Borkov non
poteva passarla liscia, sempre che il destino non avesse deciso già di punirlo
in quell'ospedale, senza che loro dovessero muovere un dito. Tuttavia, tutti
sapevano che quello altro non era che un sogno ormai infranto: quell'essere si
era ripreso dallo sparo, stava ritrovando le forze. Nonostante fosse ancora
ricoverato a pochi corridoi dal loro, era sicuro che presto lo avrebbero
dimesso. Solo il tempo di smascherare tutte quelle inutili frottole che andava
dicendo al personale affinché lo tenessero con loro almeno finché non avrebbe
trovato poste dove andare. Inutile dire che al monastero nessuno gli avrebbe
più fatto mettere piede.
Ma monastero o no, lui era ancora vivo; quante volte lui
stesso si era trovato ancora a maledirsi per non aver preso meglio la mira,
quella mattina..!
Alzò lo sguardo verso quel debole francesino che gli stava
seduto di fronte, su un'altra scomodissima sedia bianca di ferro freddo e
plastica. Anche lui era dimagrito e il viso era diventato ancora più pallido.
Un'infinita tristezza aleggiava nelle sue iridi azzurro-lilla, mentre ogni
tanto sospirava, sconsolato, rompendo il silenzio. Gli mancava la sua città, a
cui era davvero legato; gli mancavano i suoi amici europei, quei miliardari
sfondati; odiava Mosca, così insipida e vuota. Ma soprattutto, gli mancava la
sorella e, con lei, tutto ciò che la riguardasse: i suoi abbracci, la sua voce,
i suoi occhi aperti su di lui... le sue sfuriate, i suoi rimproveri, il suo dirgli:
"Ti voglio bene, Olly!".
Nonostante li avesse conosciuti meglio, segretamente mai
aveva smesso di chiedersi cosa ci trovasse Mailiya a vivere in un posto del
genere e troppo spesso si rattristava al pensiero di non aver trascorso con lei
abbastanza tempo. Mailiya andava e veniva dalla Francia, era stata
continuamente sballottata da una parte all'altra. L'aveva vista ad intervalli
irregolari di quattro anni: troppi, per uno come lui. Chissà se per lei era la
stessa cosa? Quanto avrebbe voluto starle sempre vicino, come un vero
fratello... Ma lei glielo impediva.
A differenza di tutti gli altri, però, Olivier ancora
riusciva a piangere. Un animo così fragile e dolce non sapeva crearsi una
corazza difensiva dalle disavventure passate e i drammi subiti. A volte si
allontanava dalla stanza con una semplice frase:
"Esco un attimo, torno subito.." e restava fuori
per delle mezzore.
Andava nei bagni, al freddo sui balconi, nelle sale
d'aspetto vuote, nella mensa, in un luogo appartato... a piangere. A maledire
il mondo e la Russia,Borkov e l'organizzazione; la situazione assurda e il suo
essere stato così freddo quando se n'era andato l'ultima volta, con la paura di
non poterle più chiedere scusa. A maledire la cocciutaggine della sorella, il
suo eroismo sfrontato che lo aveva lasciato senza parole. Malediva ogni cosa
gli venisse in mente, atteggiamento non usuale per lui, sempre così superiore
ma in fondo gentile, mentre si tappava il naso tra le lacrime per non fare
rumore nel piangere: non voleva farsi sentire.
Spesso Yuriy lo seguiva, come uno spirito guardiano, di
nascosto. Lo vedeva accasciarsi ad un muro, ad una ringhiera o su di un tavolo;
lo vedeva abbassare il capo e cominciare a singhiozzare, a tremare. Bisbigliava
parole in francese che non riusciva a comprendere, ma che sicuramente non
dovevano essere delle migliori. Chissà se li odiava ancora? Sarebbe stato
comprensibile, dopo tutto. Sebbene il russo avesse smesso, almeno in parte, di
riempirsi di sensi di colpa, sopraffatto dalla terribile monotonia, una
tremenda ombra di paura lo mangiava ancora dall'interno, senza mai sosta. Era
sicuro che Olivier li avesse capiti ma, in una situazione tale, poteva
benissimo comprendere la sua voglia di odiare... anche lui, d'altronde, ci era
passato spesso.
Ogni volta che lo vedeva tremare, ricordava quando era
arrivato in quell'ospedale: solo, impaurito, sperduto in una città non sua, in
un luogo in cui mai avrebbe pensato di metter piede. Ma ancora di più,
ricordava quel giorno in cui il Dottor Ashinova si era presentato in quella
camera con una videocassetta in mano... quella videocassetta, contenente la
prova che, se finita nella mani della giustizia, lo avrebbe incastrato. Non
aveva dovuto faticare molto: ormai l'organizzazione era stata scoperta, non
aveva più nessuna tutela, in quanto lei stessa colpevole di numerosi reati
contro l'ordine pubblico. Gli era bastato soffiare appena in tempo il video
dalle mani della polizia, senza essere scoperto. L'aveva affidata a Yuriy,
raccomandandogli di distruggerla al più presto; e così, egli aveva fatto,
fracassandola in tanti pezzi e bruciando avidamente il nastro con un accendino.
In quegli istanti, pareva che si fosse liberato di un peso, anche se apparente;
come se una parte del suo passato stesse cadendo, si stesse dissolvendo assieme
a quella cenere. Purtroppo, sapeva bene che era solo un'illusione, ma quello
stato di leggerezza che lo aveva colto, anche se per pochi secondi, era stato
troppo inebriante per non lasciarsi prendere.
Solo allora si era reso conto di aver dimenticato una parte
importante del racconto che aveva riferito a Olivier: infatti, mai gli aveva
detto del suo atto di follia, per vendicare sua sorella. In quell'istante, le
mani gli tremarono, e il nastro, quasi completamente ridotto in cenere, gli
cadde. Come l'avrebbe presa? Si era comportato da perfetto assassino; non
avrebbe mai voluto che quel ragazzino, ora che aveva imparato a guardarlo
diversamente, tornasse a disprezzarlo. Cosa fare?
Alla fine, optò per la soluzione più sincera: gli avrebbe
riferito ogni cosa, con calma, perché niente doveva rimanergli nascosto. Prima
o poi, in ogni caso, sarebbe venuto a galla tutto.
Lo prese in disparte e confessò, con molta fatica. Scoppiò
a piangere un paio di volte, un po' per lo sguardo attonito del francese, un
po' per il dolore lacerante che riusciva ancora a provare nell'immedesimarsi
nel suo sé stesso di quel giorno, come se stesse rivivendo ogni singolo attimo
di quella pazzia.
Ricordava con chiarezza che, alla fine del suo racconto,
non era nemmeno riuscito a guardarlo negli occhi, proprio come la prima volta
che se lo era ritrovato davanti.
Per tutta risposta, Olivier scoppiò a piangere, coprendosi
gli occhi con le mani. Non capiva il reale motivo del suo pianto: forse un
misto tra terrore, paura, stupore e dolore. Lo aveva lasciato sfogare, in
silenzio, senza voler interferire. Non ricordava per quanto avesse pianto, ma
di sicuro per un tempo troppo lungo per i suoi gusti.
Dopo quell'avvenimento, si era rifiutato di parlargli per
alcuni giorni, troppo impegnato nelle sue riflessioni; Yuriy, inutile dirlo, ci
aveva sofferto, come se ormai gliene importasse veramente di quel ragazzino. In
fondo, le cose ormai stavano veramente così.
Come riuscire a guardare con gli stessi occhi un ragazzo
che aveva tentato di uccidere una persona? Poteva veramente fidarsi ancora di
lui? Forse, aveva solo sbagliato tutto. Tuttavia, nel vedere quegli occhi
azzurri spenti, quel corpo dimagrire a vista d'occhio, quell'espressione che
sembrava non voler dir niente, all'apparenza - ma che cercava disperatamente
una spalla amica su cui appoggiarsi, un qualcuno che gli volesse ancora bene
come gliene aveva voluto la sorella - non seppe allontanarsi da lui.
Tutti gli uomini potevano avere momenti di follia pura, e
faceva parte del semplice fatto dell'essere umani. Dopo tutte le loro
disavventure, torture e frustrazioni, la reazione di Yuriy non poteva forse
essere differente.
Allora gli si avvicinò, una mattina, mentre Boris e Sergey
dormivano con la testa sul tavolino della stanza e Ivan era andato a cercare
qualcosa per farli mangiare, e si sedette accanto a lui. Non aveva dormito,
come ormai accadeva ogni notte, e fissava il petto della sua compagna alzarsi
ed abbassarsi a ritmo costante.
Non aveva detto niente, gli aveva solo sorriso. Un sorriso
che gli costò fatica, certo, in quanto si sentiva ancora piuttosto scosso per
la faccenda, ma che aveva tutta l'intenzione di fargli capire che lui non se ne
sarebbe andato.
In una sera fredda e spenta, dopo pochi giorni da quella
terribile mattina, la porta della camera si aprì. Vi entrò un uomo possente,
serio, che incuteva timore e che attirò subito l'attenzione di tutti i ragazzi
su di sé.
Andò verso Mailiya, senza dire una parola e le mise una
mano sulla guancia. Dopo di ché, alcune lacrime amare solcarono il suo viso
duro, che pareva essere così inadatto ad ospitare quello strano liquido salato.
Yuriy lo riconobbe subito.
-Signor Kloankij...- bisbigliò, consapevole che si
trattasse del padre della sua compagna.
Dopo quella frase, nessuno osò fiatare.
Aveva ottenuto un congedo dal servizio per venire a trovare
la figlia; tuttavia, spiegò, sarebbe dovuto tornare molto preso a causa di
alcune questioni amministrative riguardanti dei nuovi armamenti militari che
presto sarebbero giunti a San Pietroburgo. Mai, come quella volta, aveva odiato
il suo lavoro, che era da sempre stato la sua seconda ragione di vita, dopo sua
figlia.
Sperò con tutto il cuore che l'esercito rimanesse ancora in
secondo piano, e sua figlia fosse rimasta ancora in primo piano per tantissimo
altro tempo. Non doveva finire così...
Nei sei giorni in cui gli fu concesso di rimanere in
ospedale, non chiuse occhio, come tutti gli altri.
La notte, quando la luna si alzava nel cielo illuminando la
figlia di un colore ancora più bianco, piangeva. Com'era stramo veder piangere
un uomo come lui! Sicuramente, i suoi uomini avrebbero pagato per vedere una
simile scena.
Teneva la mano della figlia, sottraendola alla stretta di
Yuriy o Olivier, che lo lasciavano fare, con un sentimento di lieve
compassione. Probabilmente, era quello che, lì dentro, stava soffrendo più di
tutti.
Durante il pomeriggio, passava ore ad interrogare con fare
imperioso i medici del reparto sulle condizioni di Mailiya.
"Tutto stabile.." rispondevano loro.
Non era una risposta esauriente. Molto spesso si alterava,
ogni tanto alzava la voce... Tutto quello che voleva sentirsi dire era che la
figlia ce l'avrebbe fatta. Tuttavia, non ricevette mai una risposta del genere,
o almeno, non sincera.
Il giorno in cui dovette lasciare l'ospedale, pianse come
un bambino indifeso. Lasciò al Dottor Ashinova ogni dato immaginabile per
poterlo contattare: indirizzo di casa, indirizzo della caserma di San
Pietroburgo, una decina di numeri di telefono, tra casa, caserma e vari
dipartimenti. Per ultimo, anche il numero del suo cellulare. Con gli occhi
rossi, colmi di disperazione, lo pregò di informarlo di ogni minimo
cambiamento; di chiamarlo spesso, anche solo per dirgli che la situazione non
stava peggiorando, ma magari, in realtà, stava anche sì migliorando. Pregò i
compagni e il fratello di starle vicina, di non abbandonarla mai... di essere
presenti, almeno loro, al suo risveglio, e di informarla che il padre sarebbe
corso da lei ancora prima avesse potuto aprire completamente gli occhi. Voleva
che loro le dicessero di perdonarlo per il suo lavoro, per il suo distacco.
Quel giorno, il generale Kloankij era un uomo che ispirava
solamente pietà.
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-Boris, mangia qualcosa..-
-Lascia stare.-
-Ma Boris!-
-Ti ho detto: lascia stare, cazzo!!- sbottò il russo dagli
occhi color smeraldo, mettendo a tacere una volta per tutte un Ivan intimorito
dalla sua ultima reazione.
Voleva solamente aiutarlo, farlo reagire... fargli mettere
qualcosa sotto i denti; tuttavia, Boris rifiutava ogni tipo di aiuto gli
venisse offerto.
Olivier sospirò, come sempre a risposta di tutto, e guardò
sconsolato Yuriy.
Questi, recependo il messaggio, grugnì come una bestia
irritata.
-Basta voi due... avete rotto...- disse con voce atona e
spenta, senza nemmeno guardarli.
I due compagni, come colti da un incantesimo paralizzante,
obbedirono agli ordini del loro capitano senza fiatare. Nessuno osava andargli
contro, in quel periodo, per il semplice fatto che non sarebbe stato il caso di
farlo irritare ancora di più, di farlo stare ancora peggio. L'unica cosa da
fare era assecondarlo, anche se a malavoglia.
Sergey si alzò dalla sua sedia, con fare solenne, nella sua
altezza spropositata.
-Ho un'idea: andiamo tutti in mensa a mangiare qualcosa.-
proferì deciso.
Non che avesse fame, ma chissà che tutti insieme, in un
luogo diverso, in mezzo alle gente, fossero riusciti a reagire e a mandare giù
anche solo un mezzo panino.
Olivier si stiracchiò e rispose, con sguardo basso:
-Non mi va di andarmene.. e poi, non ho nemmeno fame..-
Il gigante storse il naso, contrariato: come se non sapesse
che nessuno, lì dentro, avesse davvero voglia di mangiare!
-O ci andiamo, o vi ci porto tutti quanti di peso!!-
I ragazzi sobbalzarono all'unisono e si voltarono verso il
loro compagno spaventati; da quando Sergey aveva certo scatti d'ira? Non era
normale da parte sua! C'era solo una spiegazione logica: si stava davvero
scaldando.
Yuriy, da bravo capitano, si alzò tremando e, dopo essersi
schiarito la voce, disse:
-Forse.. forse ha ragione. Non ci farà bene stare sempre
qui..-
-Ma Yuriy..!- cercò di intervenire Boris, ma lui lo zittì
subito:
-Se ci saranno dei cambiamenti, gli infermieri ci
avvertiranno!!-
Piombò il silenzio: anche il loro capitano stava uscendo di
testa. Fino a pochi attimi fa, non lo avrebbero ritenuto in grado di
pronunciare una simile frase, quasi come se volesse dire: "Possiamo anche
andare, tanto qua la storia non cambia", come se su quel letto ci fosse
una persona comune.
Olivier cominciò anche a pensare che in realtà quelle
pastiglie di vitamine fossero delle droghe, o comunque avessero un effetto
collaterale su un fisico ormai debole come il suo. Tuttavia, non disse una
parola. Guardò sua sorella e storse la bocca: sarebbe voluto rimanere lì,
vicino a lei, magari anche da solo... ma non se la sentiva di opporsi, non ad
uno Yuriy alquanto irritato. Era meglio lasciar perdere, anche se l'idea non lo
allettava affatto.
Ma forse, allettava qualcuno lì dentro? Non allettava
nemmeno Sergey, colui che l'aveva proposta, e lui lo sapeva. Dovette comunque
ammettere che in sé come idea non era cattiva.
Si alzò, e poco dopo fu seguito anche da Ivan e Boris.
Sguardo a terra, in religioso silenzio, passi pesanti e
respiri affannati, uscirono da quella stanza, lasciando Mailiya sola con i
macchinari che la tenevano in vita.
-Non mi sembra un granché buono!- commentò il francese,
mentre rigirava tra le mani un tramezzino sudicio di maionese e altre schifezze
messe insieme.
-Primo..- esordì Yuriy, -quando sei arrivato qui, te lo sei
divorato! Secondo: non credere di essere nel tuo ristorante di lusso!-
Il tono ironico del capitano fece sorridere tutti e
arricciare il naso a Olivier.
-Uff, quanto la fai lunga!-
-E' la verità! Dai, cerca di mandarlo giù..-
La cosa, ovviamente, valeva anche per tutti gli altri, che
per quella buona mezzora in cui erano in mensa non riuscirono a far altro che
osservare quel misero tramezzino, prenderlo, e rimetterlo giù.
-Forse avremmo dovuto provare con qualcosa di più..
appetitoso..- suggerì Ivan, sconsolato.
Il malumore del gruppo si rifletteva anche su di lui,
sebbene estraneo all'intera vicenda, e l'appetito cominciava a diminuire in
misura disastrosa.
-E cosa? Sentiamo cosa avresti da proporci!- commentò
Boris, sempre più acido.
Il piccoletto fece una smorfia ed esaminò, dalla loro
postazione - il che voleva dire abbastanza lontano - quello che il bancone
poteva offrire: crackers, schiacciatine, altri tramezzini di dubbio gusto,
bevande in lattine, qualcosa di fritto..
Si rigirò verso i suoi compagni e, con un sospiro, alzò le
spalle.
Boris, finalmente soddisfatto, sorrise cinico, quasi come
se fosse stata una sfida tra lui e il più giovane della squadra.
Tornò il silenzio, come d'abitudine, un silenzio immobile.
Davanti a loro passarono un paio di infermieri del loro reparto, chiacchierando
allegramente a causa del loro momento di pausa.
Yuriy spostò il suo sguardo dal suo tramezzino a loro: li
vide camminare decisi verso il bancone e ordinare qualcosa di caldo in due
tazze abbastanza grosse. Uno parlava, l'altro annuiva con fervore; chissà di
cosa stavano discutendo? Ma più che mai: da quando era diventato curioso degli
affari altrui? Forse da quando i loro affari potevano essere anche quelli di cinque
giovani disperati.
-Dite che Mailiya resterà come l'abbiamo lasciata?- domandò
a bassa voce Olivier.
-Che domande! Come dovrebbe stare?- esordì il russo dai
capelli grigi, nervoso più che mai dal dispiacere che cresceva ogni volta che
sentiva quel nome.
-Intendevo... chissà se..-
Yuriy sbuffò, mentre i battiti del suo cuore ricominciarono
ad accelerare.
-Mailiya è in coma da più di un mese; cosa potrebbe
cambiare in poco meno di un'ora, ormai?-
-Sei troppo pessimista, Yuriy!! Lei potrebbe svegliarsi da
un momento all'altro! Da quando sei diventato così?!- quasi gridò il francese,
suscitando stupore e sbigottimento nei russi, che pochissime volte lo avevano
visto reagire in quel modo.
-Sembra quasi che tu sia convinto che debba rimanere in
vita con degli assurdi macchinari per sempre!!-
-Io non..- cercò di giustificarsi Yuriy, ma fu tutto
invano.
Cosa aveva detto di sbagliato? Lui non intendeva quello...
-Io volevo solamente dire che in così poco tempo non
potrebbe peggiorare, se non l'ha fatto per un mese!-
Olivier si sentì afferrare per un braccio da una mano
pesante: quella di Sergey, che lo strattonò e incitò a calmarsi.
-Yuriy non voleva dire niente di sbagliato, piccoletto!
Datti una calmata: non sei l'unico nervoso!-
Ecco che quel clima teso cominciava a ricrearsi, contro la
loro volontà. Erano fuggiti da quella stanza per distrarsi, e invece le cose
stavano solo peggiorando.
Yuriy, ancora sconcertato per quella reazione, appoggiò i
gomiti al tavolo e buttò la testa nelle sua mani: quello che stava accadendo
tra loro non era colpa di nessuno, nemmeno di lui o Olivier; per quanto
avrebbero ancora dovuto sopportare?
Improvvisamente, dei passi furiosi li spaventarono. I due
infermieri di poco prima rpassarono di fianco a loro correndo all'impazzata,
come due matti. D'istinto, i cinque ragazzi si guardarono, spaventati e, senza
dire niente, corsero anch'essi all'inseguimento dei due uomini in camice,
lasciando perdere i loro tramezzini.
Arrivarono presto al loro reparto, dopo una rampa di scale
percorsa in fretta e furia: ora, ad ogni passo veloce, più la stanza di
Mailiya, in fondo al corridoio, si avvicinava, più la paura cresceva.
I due infermieri ormai stavano a pochi passi davanti a
loro: dannazione, perché non si fermavano? La fine del corridoio era vicina,
perché andavano avanti?!
Yuriy diede un'occhiata rapida alla stanza di Mailiya, e
poi ancora una ai due infermieri; pochissimi secondi dopo, questi si fiondarono
dentro, lasciando spalancata la porta.
Un grido di Olivier, che urlò il nome della sorella, lo
fece tremare e accelerare ancora di più la sua corsa. Con stupore, vide il
francese superarlo pochi passi prima di arrivare in quella camera e arrestarsi
di botto davanti all'entrata, col fiatone, come quel primo giorno.
Lo raggiunsero in fretta, ma tutti si bloccarono nella sue
stessa posizione.
Gli occhi fuori dalle orbite scrutavano i due infermieri
chini su Mailiya, che si davano indicazioni l'un l'altro sotto specie di ordini
disperati; uno dava violenti colpi sul suo petto con le mani, l'altro preparava
una siringa in fretta e furia.
Olivier corse dentro, vincendo il terrore, sopraffatto
dalla disperazione; gli altri lo seguirono, come risvegliati da uno strano
torpore che faceva apparire tutto come un maledetto sogno.
Uno strano rumore fermo e unisono riempiva la stanza; il
sito bip delle macchine era scomparso; l'uomo che poco prima aveva le mani sul
petto di Mailiya tornò a correre, diretto verso l'uscita, urlando il nome del
Dottor Ashinova, mentre l'altro non pareva far caso a loro.
-La linea!!-
L'urlo di Ivan rimbombò nelle loro teste, come una musica
potente e letale. La loro mente finse di non capire, in quel preciso istante,
il senso di quella corta frase, quando in realtà tutti sapevano bene a quale
linea il piccolo si stesse riferendo.
Quella linea... la linea della macchina il cui rumore
faceva compagnia ogni giorno ero dritta, spenta, senza vita..
Senza vita.
Dritta e fredda come un'insulsa morte piatta.
Olivier svenne, come il giorno in cui aveva ricevuto la
terribile notizia, dopo un respiro interrotto a metà.
La siringa, animata dalle mani dell'infermiere, bucò la
pelle della loro amica.
Le sue parole si fecero largo nella stanza:
-E' morta..-
-Morta...- ripeté Boris, stralunato.
Un rumore di passi ancora in corsa arrivava dal lontano,
quell'uomo ancora indaffarato ad armeggiare con dei liquidi; eppure, tutto era
così immobile...
Tutto era surreale.
Il sole traspariva dalle nubi, dopo tanto tempo, per una
volta simbolo di morte, invece che di vita.
Uno strano ronzio riempiva le loro orecchie.
Immobili, come delle statue di pietra, incapaci di
qualsiasi cosa.
Incapace di capire e accettare.
Il cuore sembrava bloccarsi anche a loro.
-Morta..?- sussurrò ancora il russo.
-Arrivano i ferri, non tutto è perduto! Ragazzi , per favore,
calmi, fateci lavorare!- ordinò loro l'uomo in camice.
Calmi.. diceva di stare calmi..
Due ferri in mano al Dottor Ashinova piombarono nella
stanza.
Vennero spostati con poca gentilezza, messi da parte.
Lo stesso infermiere nuovamente arrivato prese in braccio
Olivier e lo mise sul letto di fianco.
La spina venne attaccata.
Tre uomini pronti a scagliare scariche elettriche su quel
corpo così esile.
E una frase, che girava nelle loro teste, silenziosa e
inquietante, come un segno del destino avverso:
"Cosa potrebbe cambiare in poco meno di un'ora,
ormai?"