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Autore: Phoenix    28/02/2006    3 recensioni
Lo sapevo che l'avrei fatto! =.= E x la gioia dei fans di Baby Furia (perchè, esistono? O.o NDtutti), ecco il SEQUEL DI BABY FURIA!! ^0^ Non potevo finirla così, ma secondo voi?? ^^" Che dire.. Questa volta i nstr protagonisti si troveranno ad avere a che fare con cose + grandi di loro, per loro.. sensi di colpa, tristezza, sentimenti innati terribili e non.. e sprattutto, si troveranno a che fare con la vita e con tutto ciò che essa può portare.. di sbagliato e non..come un dannato e orribile avvenimento.. Ma a cosa porterà tutto ciò? E' stato tutto inutile? Buona lettura e commy pleasee! ^^ THX! PS negli ultimi chappy c'è anche del sovrannaturale.. beh non proprio però.. è + religioso.. va beh insomma! Leggete! ^^" Nn sono brava nei commenti iniziali! ^^"
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quanto tempo era passato da quando avevano messo piede in quell'ospedale

Rieccomi di ritorno!

Come capirete dalla fine del capitolo, la fiction sta per giungere al termine. Finalmente, direte, vero? Beh, lo dico anche io, quindi vi capisco..! ^^

Vi lascio scoprire tutto da soli, non vi accennerò niente, se non: mai dire mai!

Come sempre, capito niente, vero? XD Don't worry, tutto a tempo debito!

Un bacione! Spero che anche questo capitolo vi piaccia! ^_-

Visto che stiamo per finire... commenti pleaseee *.*

Buona lettura!

)o( Phoenix )o(

 

 

 

WHAT COULD CHANGE?

 

Quanto tempo era passato da quando avevano messo piede in quell'ospedale? Pensava addirittura qualche mese... forse tre, forse quattro. Cosa ne sapeva? In tutto quel tempo, non era cambiato assolutamente niente...

 

Il suo stato fisico peggiorava di giorno in giorno, come quello dei suoi compagni di squadra. Era dimagrito di parecchi chili e, a giudicare dai vestiti larghi di Boris e Sergey, anche loro dovevano averne persi alcuni.

Non mangiavano molto, senza contare le volte in cui proprio non mangiavano affatto.

Non era cambiato proprio niente dai primi giorni.

L'unico fatto positivo era che il clima si fosse calmato, almeno un poco, quanto bastava per non farli impazzire: Boris aveva smesso di avere crisi d'isteria; Sergey era quello che, più di tutti, riusciva a mantenersi tranquillo e lucido, almeno anche solo in apparenza; Olivier aveva imparato a conoscerli per quello che erano veramente, e aveva stabilito con tutti un rapporto civile e di semi-rispetto; Ivan, il quale non aveva mai sentito veramente quello smacco, dava ogni tanto segni di nervosismo dovuti alla monotonia, ma non si poteva dire che stesse davvero male.

In quanto a lui... Molto probabilmente il fatto di non mangiare lo aveva reso così passivo da non riuscire nemmeno più a piangere. Si riscopriva ogni giorno senza vita, sempre di più, in attesa in ogni istante di un miracolo, del suo risveglio; perché nessuno lo stava ascoltando? Non poteva andare avanti così...

 

Poggiò la testa pesante sul materasso duro del letto di Mailiya. Aveva cominciato a soffrire di pressione bassa, e il medico curante la sua compagna aveva dovuto imbottirlo di vitamine per tenerlo in piedi. Senza quelle, di sicuro, sarebbe crollato.

Il silenzio più totale regnava nella stanza ormai da diverso tempo. Non c'era più niente da dire, niente di cui discutere o per cui irritarsi. Tutto era già stato detto, messo in chiaro, urlato ai quattro venti. La terribile rabbia era già stata sfogata, e ora si limitava a rintanarsi al loro interno, nascosta, nell'attesa di uscire, un giorno, allo scoperto.

 

Sì, un giorno sarebbe esplosa in vendetta: Borkov non poteva passarla liscia, sempre che il destino non avesse deciso già di punirlo in quell'ospedale, senza che loro dovessero muovere un dito. Tuttavia, tutti sapevano che quello altro non era che un sogno ormai infranto: quell'essere si era ripreso dallo sparo, stava ritrovando le forze. Nonostante fosse ancora ricoverato a pochi corridoi dal loro, era sicuro che presto lo avrebbero dimesso. Solo il tempo di smascherare tutte quelle inutili frottole che andava dicendo al personale affinché lo tenessero con loro almeno finché non avrebbe trovato poste dove andare. Inutile dire che al monastero nessuno gli avrebbe più fatto mettere piede.

Ma monastero o no, lui era ancora vivo; quante volte lui stesso si era trovato ancora a maledirsi per non aver preso meglio la mira, quella mattina..!

 

Alzò lo sguardo verso quel debole francesino che gli stava seduto di fronte, su un'altra scomodissima sedia bianca di ferro freddo e plastica. Anche lui era dimagrito e il viso era diventato ancora più pallido. Un'infinita tristezza aleggiava nelle sue iridi azzurro-lilla, mentre ogni tanto sospirava, sconsolato, rompendo il silenzio. Gli mancava la sua città, a cui era davvero legato; gli mancavano i suoi amici europei, quei miliardari sfondati; odiava Mosca, così insipida e vuota. Ma soprattutto, gli mancava la sorella e, con lei, tutto ciò che la riguardasse: i suoi abbracci, la sua voce, i suoi occhi aperti su di lui... le sue sfuriate, i suoi rimproveri, il suo dirgli: "Ti voglio bene, Olly!".

Nonostante li avesse conosciuti meglio, segretamente mai aveva smesso di chiedersi cosa ci trovasse Mailiya a vivere in un posto del genere e troppo spesso si rattristava al pensiero di non aver trascorso con lei abbastanza tempo. Mailiya andava e veniva dalla Francia, era stata continuamente sballottata da una parte all'altra. L'aveva vista ad intervalli irregolari di quattro anni: troppi, per uno come lui. Chissà se per lei era la stessa cosa? Quanto avrebbe voluto starle sempre vicino, come un vero fratello... Ma lei glielo impediva.

A differenza di tutti gli altri, però, Olivier ancora riusciva a piangere. Un animo così fragile e dolce non sapeva crearsi una corazza difensiva dalle disavventure passate e i drammi subiti. A volte si allontanava dalla stanza con una semplice frase:

"Esco un attimo, torno subito.." e restava fuori per delle mezzore.

Andava nei bagni, al freddo sui balconi, nelle sale d'aspetto vuote, nella mensa, in un luogo appartato... a piangere. A maledire il mondo e la Russia,Borkov e l'organizzazione; la situazione assurda e il suo essere stato così freddo quando se n'era andato l'ultima volta, con la paura di non poterle più chiedere scusa. A maledire la cocciutaggine della sorella, il suo eroismo sfrontato che lo aveva lasciato senza parole. Malediva ogni cosa gli venisse in mente, atteggiamento non usuale per lui, sempre così superiore ma in fondo gentile, mentre si tappava il naso tra le lacrime per non fare rumore nel piangere: non voleva farsi sentire.

Spesso Yuriy lo seguiva, come uno spirito guardiano, di nascosto. Lo vedeva accasciarsi ad un muro, ad una ringhiera o su di un tavolo; lo vedeva abbassare il capo e cominciare a singhiozzare, a tremare. Bisbigliava parole in francese che non riusciva a comprendere, ma che sicuramente non dovevano essere delle migliori. Chissà se li odiava ancora? Sarebbe stato comprensibile, dopo tutto. Sebbene il russo avesse smesso, almeno in parte, di riempirsi di sensi di colpa, sopraffatto dalla terribile monotonia, una tremenda ombra di paura lo mangiava ancora dall'interno, senza mai sosta. Era sicuro che Olivier li avesse capiti ma, in una situazione tale, poteva benissimo comprendere la sua voglia di odiare... anche lui, d'altronde, ci era passato spesso.

 

Ogni volta che lo vedeva tremare, ricordava quando era arrivato in quell'ospedale: solo, impaurito, sperduto in una città non sua, in un luogo in cui mai avrebbe pensato di metter piede. Ma ancora di più, ricordava quel giorno in cui il Dottor Ashinova si era presentato in quella camera con una videocassetta in mano... quella videocassetta, contenente la prova che, se finita nella mani della giustizia, lo avrebbe incastrato. Non aveva dovuto faticare molto: ormai l'organizzazione era stata scoperta, non aveva più nessuna tutela, in quanto lei stessa colpevole di numerosi reati contro l'ordine pubblico. Gli era bastato soffiare appena in tempo il video dalle mani della polizia, senza essere scoperto. L'aveva affidata a Yuriy, raccomandandogli di distruggerla al più presto; e così, egli aveva fatto, fracassandola in tanti pezzi e bruciando avidamente il nastro con un accendino. In quegli istanti, pareva che si fosse liberato di un peso, anche se apparente; come se una parte del suo passato stesse cadendo, si stesse dissolvendo assieme a quella cenere. Purtroppo, sapeva bene che era solo un'illusione, ma quello stato di leggerezza che lo aveva colto, anche se per pochi secondi, era stato troppo inebriante per non lasciarsi prendere.

Solo allora si era reso conto di aver dimenticato una parte importante del racconto che aveva riferito a Olivier: infatti, mai gli aveva detto del suo atto di follia, per vendicare sua sorella. In quell'istante, le mani gli tremarono, e il nastro, quasi completamente ridotto in cenere, gli cadde. Come l'avrebbe presa? Si era comportato da perfetto assassino; non avrebbe mai voluto che quel ragazzino, ora che aveva imparato a guardarlo diversamente, tornasse a disprezzarlo. Cosa fare?

Alla fine, optò per la soluzione più sincera: gli avrebbe riferito ogni cosa, con calma, perché niente doveva rimanergli nascosto. Prima o poi, in ogni caso, sarebbe venuto a galla tutto.

Lo prese in disparte e confessò, con molta fatica. Scoppiò a piangere un paio di volte, un po' per lo sguardo attonito del francese, un po' per il dolore lacerante che riusciva ancora a provare nell'immedesimarsi nel suo sé stesso di quel giorno, come se stesse rivivendo ogni singolo attimo di quella pazzia.

Ricordava con chiarezza che, alla fine del suo racconto, non era nemmeno riuscito a guardarlo negli occhi, proprio come la prima volta che se lo era ritrovato davanti.

Per tutta risposta, Olivier scoppiò a piangere, coprendosi gli occhi con le mani. Non capiva il reale motivo del suo pianto: forse un misto tra terrore, paura, stupore e dolore. Lo aveva lasciato sfogare, in silenzio, senza voler interferire. Non ricordava per quanto avesse pianto, ma di sicuro per un tempo troppo lungo per i suoi gusti.

Dopo quell'avvenimento, si era rifiutato di parlargli per alcuni giorni, troppo impegnato nelle sue riflessioni; Yuriy, inutile dirlo, ci aveva sofferto, come se ormai gliene importasse veramente di quel ragazzino. In fondo, le cose ormai stavano veramente così.

Come riuscire a guardare con gli stessi occhi un ragazzo che aveva tentato di uccidere una persona? Poteva veramente fidarsi ancora di lui? Forse, aveva solo sbagliato tutto. Tuttavia, nel vedere quegli occhi azzurri spenti, quel corpo dimagrire a vista d'occhio, quell'espressione che sembrava non voler dir niente, all'apparenza - ma che cercava disperatamente una spalla amica su cui appoggiarsi, un qualcuno che gli volesse ancora bene come gliene aveva voluto la sorella - non seppe allontanarsi da lui.

Tutti gli uomini potevano avere momenti di follia pura, e faceva parte del semplice fatto dell'essere umani. Dopo tutte le loro disavventure, torture e frustrazioni, la reazione di Yuriy non poteva forse essere differente.

Allora gli si avvicinò, una mattina, mentre Boris e Sergey dormivano con la testa sul tavolino della stanza e Ivan era andato a cercare qualcosa per farli mangiare, e si sedette accanto a lui. Non aveva dormito, come ormai accadeva ogni notte, e fissava il petto della sua compagna alzarsi ed abbassarsi a ritmo costante.

Non aveva detto niente, gli aveva solo sorriso. Un sorriso che gli costò fatica, certo, in quanto si sentiva ancora piuttosto scosso per la faccenda, ma che aveva tutta l'intenzione di fargli capire che lui non se ne sarebbe andato.

 

In una sera fredda e spenta, dopo pochi giorni da quella terribile mattina, la porta della camera si aprì. Vi entrò un uomo possente, serio, che incuteva timore e che attirò subito l'attenzione di tutti i ragazzi su di sé.

Andò verso Mailiya, senza dire una parola e le mise una mano sulla guancia. Dopo di ché, alcune lacrime amare solcarono il suo viso duro, che pareva essere così inadatto ad ospitare quello strano liquido salato.

Yuriy lo riconobbe subito.

-Signor Kloankij...- bisbigliò, consapevole che si trattasse del padre della sua compagna.

Dopo quella frase, nessuno osò fiatare.

Aveva ottenuto un congedo dal servizio per venire a trovare la figlia; tuttavia, spiegò, sarebbe dovuto tornare molto preso a causa di alcune questioni amministrative riguardanti dei nuovi armamenti militari che presto sarebbero giunti a San Pietroburgo. Mai, come quella volta, aveva odiato il suo lavoro, che era da sempre stato la sua seconda ragione di vita, dopo sua figlia.

Sperò con tutto il cuore che l'esercito rimanesse ancora in secondo piano, e sua figlia fosse rimasta ancora in primo piano per tantissimo altro tempo. Non doveva finire così...

Nei sei giorni in cui gli fu concesso di rimanere in ospedale, non chiuse occhio, come tutti gli altri.

La notte, quando la luna si alzava nel cielo illuminando la figlia di un colore ancora più bianco, piangeva. Com'era stramo veder piangere un uomo come lui! Sicuramente, i suoi uomini avrebbero pagato per vedere una simile scena.

Teneva la mano della figlia, sottraendola alla stretta di Yuriy o Olivier, che lo lasciavano fare, con un sentimento di lieve compassione. Probabilmente, era quello che, lì dentro, stava soffrendo più di tutti.

Durante il pomeriggio, passava ore ad interrogare con fare imperioso i medici del reparto sulle condizioni di Mailiya.

"Tutto stabile.." rispondevano loro.

Non era una risposta esauriente. Molto spesso si alterava, ogni tanto alzava la voce... Tutto quello che voleva sentirsi dire era che la figlia ce l'avrebbe fatta. Tuttavia, non ricevette mai una risposta del genere, o almeno, non sincera.

Il giorno in cui dovette lasciare l'ospedale, pianse come un bambino indifeso. Lasciò al Dottor Ashinova ogni dato immaginabile per poterlo contattare: indirizzo di casa, indirizzo della caserma di San Pietroburgo, una decina di numeri di telefono, tra casa, caserma e vari dipartimenti. Per ultimo, anche il numero del suo cellulare. Con gli occhi rossi, colmi di disperazione, lo pregò di informarlo di ogni minimo cambiamento; di chiamarlo spesso, anche solo per dirgli che la situazione non stava peggiorando, ma magari, in realtà, stava anche sì migliorando. Pregò i compagni e il fratello di starle vicina, di non abbandonarla mai... di essere presenti, almeno loro, al suo risveglio, e di informarla che il padre sarebbe corso da lei ancora prima avesse potuto aprire completamente gli occhi. Voleva che loro le dicessero di perdonarlo per il suo lavoro, per il suo distacco.

Quel giorno, il generale Kloankij era un uomo che ispirava solamente pietà.

 

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

 

 

-Boris, mangia qualcosa..-

-Lascia stare.-

-Ma Boris!-

-Ti ho detto: lascia stare, cazzo!!- sbottò il russo dagli occhi color smeraldo, mettendo a tacere una volta per tutte un Ivan intimorito dalla sua ultima reazione.

Voleva solamente aiutarlo, farlo reagire... fargli mettere qualcosa sotto i denti; tuttavia, Boris rifiutava ogni tipo di aiuto gli venisse offerto.

Olivier sospirò, come sempre a risposta di tutto, e guardò sconsolato Yuriy.

Questi, recependo il messaggio, grugnì come una bestia irritata.

-Basta voi due... avete rotto...- disse con voce atona e spenta, senza nemmeno guardarli.

I due compagni, come colti da un incantesimo paralizzante, obbedirono agli ordini del loro capitano senza fiatare. Nessuno osava andargli contro, in quel periodo, per il semplice fatto che non sarebbe stato il caso di farlo irritare ancora di più, di farlo stare ancora peggio. L'unica cosa da fare era assecondarlo, anche se a malavoglia.

Sergey si alzò dalla sua sedia, con fare solenne, nella sua altezza spropositata.

-Ho un'idea: andiamo tutti in mensa a mangiare qualcosa.- proferì deciso.

Non che avesse fame, ma chissà che tutti insieme, in un luogo diverso, in mezzo alle gente, fossero riusciti a reagire e a mandare giù anche solo un mezzo panino.

Olivier si stiracchiò e rispose, con sguardo basso:

-Non mi va di andarmene.. e poi, non ho nemmeno fame..-

Il gigante storse il naso, contrariato: come se non sapesse che nessuno, lì dentro, avesse davvero voglia di mangiare!

-O ci andiamo, o vi ci porto tutti quanti di peso!!-

I ragazzi sobbalzarono all'unisono e si voltarono verso il loro compagno spaventati; da quando Sergey aveva certo scatti d'ira? Non era normale da parte sua! C'era solo una spiegazione logica: si stava davvero scaldando.

Yuriy, da bravo capitano, si alzò tremando e, dopo essersi schiarito la voce, disse:

-Forse.. forse ha ragione. Non ci farà bene stare sempre qui..-

-Ma Yuriy..!- cercò di intervenire Boris, ma lui lo zittì subito:

-Se ci saranno dei cambiamenti, gli infermieri ci avvertiranno!!-

Piombò il silenzio: anche il loro capitano stava uscendo di testa. Fino a pochi attimi fa, non lo avrebbero ritenuto in grado di pronunciare una simile frase, quasi come se volesse dire: "Possiamo anche andare, tanto qua la storia non cambia", come se su quel letto ci fosse una persona comune.

Olivier cominciò anche a pensare che in realtà quelle pastiglie di vitamine fossero delle droghe, o comunque avessero un effetto collaterale su un fisico ormai debole come il suo. Tuttavia, non disse una parola. Guardò sua sorella e storse la bocca: sarebbe voluto rimanere lì, vicino a lei, magari anche da solo... ma non se la sentiva di opporsi, non ad uno Yuriy alquanto irritato. Era meglio lasciar perdere, anche se l'idea non lo allettava affatto.

Ma forse, allettava qualcuno lì dentro? Non allettava nemmeno Sergey, colui che l'aveva proposta, e lui lo sapeva. Dovette comunque ammettere che in sé come idea non era cattiva.

Si alzò, e poco dopo fu seguito anche da Ivan e Boris.

Sguardo a terra, in religioso silenzio, passi pesanti e respiri affannati, uscirono da quella stanza, lasciando Mailiya sola con i macchinari che la tenevano in vita.

 

-Non mi sembra un granché buono!- commentò il francese, mentre rigirava tra le mani un tramezzino sudicio di maionese e altre schifezze messe insieme.

-Primo..- esordì Yuriy, -quando sei arrivato qui, te lo sei divorato! Secondo: non credere di essere nel tuo ristorante di lusso!-

Il tono ironico del capitano fece sorridere tutti e arricciare il naso a Olivier.

-Uff, quanto la fai lunga!-

-E' la verità! Dai, cerca di mandarlo giù..-

La cosa, ovviamente, valeva anche per tutti gli altri, che per quella buona mezzora in cui erano in mensa non riuscirono a far altro che osservare quel misero tramezzino, prenderlo, e rimetterlo giù.

-Forse avremmo dovuto provare con qualcosa di più.. appetitoso..- suggerì Ivan, sconsolato.

Il malumore del gruppo si rifletteva anche su di lui, sebbene estraneo all'intera vicenda, e l'appetito cominciava a diminuire in misura disastrosa.

-E cosa? Sentiamo cosa avresti da proporci!- commentò Boris, sempre più acido.

Il piccoletto fece una smorfia ed esaminò, dalla loro postazione - il che voleva dire abbastanza lontano - quello che il bancone poteva offrire: crackers, schiacciatine, altri tramezzini di dubbio gusto, bevande in lattine, qualcosa di fritto..

Si rigirò verso i suoi compagni e, con un sospiro, alzò le spalle.

Boris, finalmente soddisfatto, sorrise cinico, quasi come se fosse stata una sfida tra lui e il più giovane della squadra.

Tornò il silenzio, come d'abitudine, un silenzio immobile. Davanti a loro passarono un paio di infermieri del loro reparto, chiacchierando allegramente a causa del loro momento di pausa.

Yuriy spostò il suo sguardo dal suo tramezzino a loro: li vide camminare decisi verso il bancone e ordinare qualcosa di caldo in due tazze abbastanza grosse. Uno parlava, l'altro annuiva con fervore; chissà di cosa stavano discutendo? Ma più che mai: da quando era diventato curioso degli affari altrui? Forse da quando i loro affari potevano essere anche quelli di cinque giovani disperati.

-Dite che Mailiya resterà come l'abbiamo lasciata?- domandò a bassa voce Olivier.

-Che domande! Come dovrebbe stare?- esordì il russo dai capelli grigi, nervoso più che mai dal dispiacere che cresceva ogni volta che sentiva quel nome.

-Intendevo... chissà se..-

Yuriy sbuffò, mentre i battiti del suo cuore ricominciarono ad accelerare.

-Mailiya è in coma da più di un mese; cosa potrebbe cambiare in poco meno di un'ora, ormai?-

-Sei troppo pessimista, Yuriy!! Lei potrebbe svegliarsi da un momento all'altro! Da quando sei diventato così?!- quasi gridò il francese, suscitando stupore e sbigottimento nei russi, che pochissime volte lo avevano visto reagire in quel modo.

-Sembra quasi che tu sia convinto che debba rimanere in vita con degli assurdi macchinari per sempre!!-

-Io non..- cercò di giustificarsi Yuriy, ma fu tutto invano.

Cosa aveva detto di sbagliato? Lui non intendeva quello...

-Io volevo solamente dire che in così poco tempo non potrebbe peggiorare, se non l'ha fatto per un mese!-

Olivier si sentì afferrare per un braccio da una mano pesante: quella di Sergey, che lo strattonò e incitò a calmarsi.

-Yuriy non voleva dire niente di sbagliato, piccoletto! Datti una calmata: non sei l'unico nervoso!-

Ecco che quel clima teso cominciava a ricrearsi, contro la loro volontà. Erano fuggiti da quella stanza per distrarsi, e invece le cose stavano solo peggiorando.

Yuriy, ancora sconcertato per quella reazione, appoggiò i gomiti al tavolo e buttò la testa nelle sua mani: quello che stava accadendo tra loro non era colpa di nessuno, nemmeno di lui o Olivier; per quanto avrebbero ancora dovuto sopportare?

Improvvisamente, dei passi furiosi li spaventarono. I due infermieri di poco prima rpassarono di fianco a loro correndo all'impazzata, come due matti. D'istinto, i cinque ragazzi si guardarono, spaventati e, senza dire niente, corsero anch'essi all'inseguimento dei due uomini in camice, lasciando perdere i loro tramezzini.

Arrivarono presto al loro reparto, dopo una rampa di scale percorsa in fretta e furia: ora, ad ogni passo veloce, più la stanza di Mailiya, in fondo al corridoio, si avvicinava, più la paura cresceva.

I due infermieri ormai stavano a pochi passi davanti a loro: dannazione, perché non si fermavano? La fine del corridoio era vicina, perché andavano avanti?!

Yuriy diede un'occhiata rapida alla stanza di Mailiya, e poi ancora una ai due infermieri; pochissimi secondi dopo, questi si fiondarono dentro, lasciando spalancata la porta.

Un grido di Olivier, che urlò il nome della sorella, lo fece tremare e accelerare ancora di più la sua corsa. Con stupore, vide il francese superarlo pochi passi prima di arrivare in quella camera e arrestarsi di botto davanti all'entrata, col fiatone, come quel primo giorno.

Lo raggiunsero in fretta, ma tutti si bloccarono nella sue stessa posizione.

Gli occhi fuori dalle orbite scrutavano i due infermieri chini su Mailiya, che si davano indicazioni l'un l'altro sotto specie di ordini disperati; uno dava violenti colpi sul suo petto con le mani, l'altro preparava una siringa in fretta e furia.

Olivier corse dentro, vincendo il terrore, sopraffatto dalla disperazione; gli altri lo seguirono, come risvegliati da uno strano torpore che faceva apparire tutto come un maledetto sogno.

Uno strano rumore fermo e unisono riempiva la stanza; il sito bip delle macchine era scomparso; l'uomo che poco prima aveva le mani sul petto di Mailiya tornò a correre, diretto verso l'uscita, urlando il nome del Dottor Ashinova, mentre l'altro non pareva far caso a loro.

-La linea!!-

L'urlo di Ivan rimbombò nelle loro teste, come una musica potente e letale. La loro mente finse di non capire, in quel preciso istante, il senso di quella corta frase, quando in realtà tutti sapevano bene a quale linea il piccolo si stesse riferendo.

Quella linea... la linea della macchina il cui rumore faceva compagnia ogni giorno ero dritta, spenta, senza vita..

Senza vita.

Dritta e fredda come un'insulsa morte piatta.

Olivier svenne, come il giorno in cui aveva ricevuto la terribile notizia, dopo un respiro interrotto a metà.

La siringa, animata dalle mani dell'infermiere, bucò la pelle della loro amica.

Le sue parole si fecero largo nella stanza:

-E' morta..-

-Morta...- ripeté Boris, stralunato.

Un rumore di passi ancora in corsa arrivava dal lontano, quell'uomo ancora indaffarato ad armeggiare con dei liquidi; eppure, tutto era così immobile...

Tutto era surreale.

Il sole traspariva dalle nubi, dopo tanto tempo, per una volta simbolo di morte, invece che di vita.

Uno strano ronzio riempiva le loro orecchie.

Immobili, come delle statue di pietra, incapaci di qualsiasi cosa.

Incapace di capire e accettare.

Il cuore sembrava bloccarsi anche a loro.

-Morta..?- sussurrò ancora il russo.

-Arrivano i ferri, non tutto è perduto! Ragazzi , per favore, calmi, fateci lavorare!- ordinò loro l'uomo in camice.

Calmi.. diceva di stare calmi..

Due ferri in mano al Dottor Ashinova piombarono nella stanza.

Vennero spostati con poca gentilezza, messi da parte.

Lo stesso infermiere nuovamente arrivato prese in braccio Olivier e lo mise sul letto di fianco.

La spina venne attaccata.

Tre uomini pronti a scagliare scariche elettriche su quel corpo così esile.

E una frase, che girava nelle loro teste, silenziosa e inquietante, come un segno del destino avverso:

"Cosa potrebbe cambiare in poco meno di un'ora, ormai?"

 

 

 

 

  
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