Intanto Marte e Mercurio erano tornati all'Olimpo. Zeus di certo aspettava. Voleva rivedere Artemide, e di certo non perché gli fosse mancata. Semplicemente per ribadire la sua autorità e farle capire che aveva sbagliato.
Quando il re degli dei si avvicinò a loro, lo sguardo fu molto contrariato.
“Vi avevo detto di riportarla a casa.” disse duro guardando Marte negli occhi. “Mi hai disobbedito.”
“Non era in forze, padre. Non si reggeva neanche in piedi. Ha detto che sarebbe stata via giusto il tempo di riprendersi.”
“Ha detto
altro?”
“Sì. Che
quando tornerà sarà ben lieta di chiederti
perdono. Implorarlo se è
necessario. Si è resa conto di aver sbagliato. E vuole
rimediare.”
mentì lui. Mercurio, senza che il padre se ne accorgesse,
guardò
l'erede al trono meravigliato. Perché stava mentendo a suo
padre?
Per difendere lei? Non aveva mai fatto niente di simile neanche per
Afrodite.
“Dice la verità?” chiese Zeus al messaggero. Lui si riscosse. Ecco... perché alla fine doveva essere sempre tirato in mezzo? Che aveva fatto lui di male? Non poteva mentire al signore di tutti gli dei, ma neanche smascherare Marte, il suo migliore amico. Sospirò e poi annuì.
“Sì, è la verità.” confermò.
“Bene, sia decretato allora che il giorno in cui Artemide tornerà, sia indetto un banchetto durante il quale chiederà perdono.” Marte annuì.
“Sarà fatto, padre.” fece per poi uscire dalla sala del trono ove erano stati ricevuti.
Mercurio lo seguì. E dato il passo veloce di Marte dovette servirsi dei suoi sandali alati per raggiungerlo. Lo prese per un braccio e lo fece voltare.
“Ora mi devi dire
perché.”
“Cosa?”
“Perché hai mentito a tuo padre.”
“Tu
perché l'hai fatto?”
“Non
hai risposto.” lui alzò le spalle.
“Mi
andava.”
“Non è vero. Non
“ti andava”. Non hai mai mentito a tuo padre.
Neanche per
salvarti la pelle nelle situazioni più compromettenti.
Perché l'hai
fatto per salvare Artemide?”
“Non sono affari tuoi.”
“Sì
che lo sono, dato che ho mentito
anche io.”
“Nessuno te l'ha chiesto.”
“Vero. Ma per
amicizia si fa.”
“Grazie.” fece per poi andarsene senza dirgli niente, lasciando Mercurio confuso più che mai.
Aveva trascorso con loro pochi giorni, poi era tornata sull'Olimpo. Erano stati tutti molto felici di rivederla. Si erano comportati come se non fosse successo niente, come se ignorassero i tre mesi che aveva trascorso nell'Erebo. Fingevano
che andasse tutto bene. E questo solo perché il re de
gli dei lo aveva ordinato.
“Artemide...”
“Vattene
via.”
“Ti devo parlare.”
“Non voglio ascoltarti”
“E invece lo farai.” disse lui con voce ferma. Artemide cercò di trattenersi, ma l'ira, l'odio e il rancore nei suoi confronti era decisamente ancora troppo forte per starlo ad ascoltare. L'aveva tradita. L'aveva condannata a quell'Inferno. E ora aveva anche la presunzione che lei l'avrebbe ascoltato solo perché aveva qualcosa da dire?!
“Ti ho detto di andartene!!! vattene via! Lasciami in pace!!! Non voglio più avere niente a che fare con te! VATTENE VIA!!!” disse lei quasi strillando, mentre sentiva lacrime di rabbia salirle agli occhi.
“Artemide io... mi dispiace!!”
“Vai a farti fottere! Te e le tue insulse scuse. Sparisci dalla mia vista, non ti voglio più vedere.” continuò lei interrompendolo. Con un tono più pacato, che si alzò nuovamente quando lo sentì avvicinarsi.
“Non ti avvicinare. Lasciami sola. Ho bisogno di stare da sola.”
“Come preferisci.” diss'egli chinando il capo. Le spalle di lei, ancora inginocchiata per terra con il viso appoggiata al letto, si muovevano a scatti veloci, ancora scosse dai singhiozzi silenziosi del pianto. Ce l'aveva con lui, questo era ovvio, ma ancora non sapeva il perché, ma non era quello il momento di indagare. Si avviò alla porta e si fermò. Quando si voltò verso di lei, ella lo guardava. Gli occhi azzurri, gonfi per il pianto e le guance rigate dalle lacrime strinsero il cuore di lui in una morsa. E la guardò con tenerezza.
“Vattene. Non ho
bisogno della tua
compassione e nemmeno della tua pietà. Sparisci. Sei
l'ultima
persona al mondo che voglio vedere in questo momento.”
“Già,
ma l'unica di cui hai bisogno.”
“No. Non sei tu la persona di cui ho bisogno. Rasserenati pure. Va dalla tua bella. E restaci.” ribattè dura e acida.
“D'accordo, signorina nonhobisognodinessuno. Tolgo il disturbo.” fece uscendo e sbattendo la porta, con talmente tanta forza che si riaprì.
“È DI TE che non ho bisogno. È diverso.” Marte non rispose e si allontanò per poi recarsi nelle stanze della sua promessa sposa.
“Tesoro, cosa è successo?” chiese la fanciulla preoccupata quando lo vide entrare.
“Siamo sempre
alle solite. Ero andato
a scusarmi per quanto è successo e lei mi ha cacciato in
malo modo
senza neanche darmi la possibilità di parlare. Ha iniziato a
urlare
come una pazza dicendo che mi voleva fuori dalla sua vita. Che non
vuole più vedermi.”Afrodite, che era rimasta sul
suo triclinio
intenta ad ascoltarlo, si alzò e lo raggiunse da dietro.
“Non
mi sembra una grave perdita, dopotutto.” gli
sussurrò
all'orecchio. Lui sospirò.
“Sì, ho capito. Ma io non ho fatto niente. Non ha alcun motivo di prendersela con me.”
“E quindi oltre a essere una ribelle, è anche folle. Marte, lasciala perdere. Sinceramente non capisco il motivo di tutto questo attaccamento nei suoi confronti. Soprattutto considerando il fatto che hai tutto ciò che qualsiasi altro desidera.” fece lei per poi mettersi davanti a lui e tirargli su il viso con le mani.
“Sì.. hai ragione..” fece lui sorridendo. E lei, ricambiando lo baciò a fior di labbra. Lui la attrasse a sé e sorrise mentre approfondiva il bacio.
Artemide, intanto, nelle sue stanze, piangeva. Per rabbia. Rabbia nei propri confronti. Per essersi fidata di uno come lui. Per non aver dubitato della sua falsità. Per essere stata se stessa e aver trascurato i suoi doveri. Non aver pensato alla propria missione. Per aver fatto sì di essere rinchiusa per tre mesi negli inferi. Per aver perso tempo prezioso. Per aver dato alla tirannia di Zeus tre mesi di vita in più.
Doveva cambiare strategia. Se avesse continuato così non ci sarebbe mai riuscita.
La realtà era che però non aveva un piano. Sapeva solo che ciò che avrebbe causato la loro rovina sarebbe stato il chaos, ma non sapeva come arrvare lì. La sua titubanza, dovuta fino ad allora al sospetto che di lei a qualcuno importasse, dopo quei tre mesi confinata nell'Erebo era totalmente svanita. Ora voleva solo distruzione. E l'avrebbe ottenuta. E in tempi anche abbastanza brevi.
La dea si andò a lavare e rese presentabile al banchetto, ove si recò quando fu giunto il momento della cena. Indossando i suoi soliti abiti, si presentò puntuale. Tutti la guardarono non appena lei fece la sua comparsa. Ma non con sguardi severi. Con il timore che potesse dire qualcosa di compromettente o che le facesse guadagnare l'Erebo un'altra volta. Zeus le sorrideva. Mio padre può sorridere? Quante cose che si imparano...
“Artemide, ben tornata!!” le disse felice. Lei sorrise a sua volta non sapendo bene cosa dire.
“Grazie Zeus.” rispose comunque. “Sono felice di essere tornata a casa.” disse sentendosi venire il voltastomaco a quelle parole. Era tornata solo per la distruzione di quel luogo. Non per altro. Poi incrociò gli sguardi di Afrodite, Mercurio e Marte. Questi ultimi due la guardarono come se volessero dirle qualcosa. Il suo sguardo comunque tornò su Zeus.
“Ti trovo in
forma..”
“Grazie.
Scusa se non ti ho avvisato ma avevo bisogno di qualche giorno per
riprendere un po' le forze.”
“Tranquilla, Marte mi ha detto tutto.” fece sorridendo. Lei guardò Marte sorpresa.
“Non me lo sarei mai aspettata..” disse lei.
“Dovere.” rispose lui. Lei sorrise. Un sorriso smagliante.
“Prego cara... accomodati..” disse il padre indicandoole un seggio accanto al suo. Lei sorrise e vi prese posto.
Ed ebbe inizio il banchetto.
“Allora, sei riuscita a riprenderti in questi cinque giorni?” lei, istintivamente, pensò a Orione. E sorrise.
“Sì.
Ci sono riuscita.”
“Beh,
non so se hai notato, padre. Ma la nostra ospite ha l'aria
sognante...” la provocò Apollo.
“Beh, che
c'è di male?”
“Ma
sai.. questa è una grande famglia... non hai motivo di
tenere
segreti con noi.” Una Grande Famiglia, eh? Vedremo
quanto lo
sarete tra qualche mese.... pensò diabolicamente.
“Sono
affari privati...”
“Proprio non vuoi renderci partecipi??” chiese lui.
“No.” fece rispondendo con lo stesso tono.
“”Perché?”
“Perchè
la verità è che lei non ha
alcun affare privato.” intervenne Marte con un sorriso
sornione.
“O forse non ti include...” ribattè lei.
“Forse.”
“Di sicuro.”
“Non si cambiano
le carte in
tavola.”
“E tu devi pagare per la scommessa perduta.”
“E
come vorresti che pagassi?”
“Niente di tutto ciò che sta passando per quella tua mente perversa.” Marte stava per ribattere quando Zeus li zittì.
“Ora basta, ragazzi. Godetevi questo banchetto e smettetela di litigare.” Artemide annuì.
“Chiedo perdono, divino Zeus.” disse lei pronunciando queste parole a capo chino.
“Per le scuse vi sarà tempo dopo, ora pensiamo a mangiare.” lei annuì poi guardò interrogativa Marte e Mercurio.
“Ti spiega tutto lui dopo.” fece quest'ultimo a bassa voce.
Il banchetto durò a lungo, più del solito, o fu così per la dea, che ogni istante voleva che il banchetto avesse fine per poter andare dal dio e chiedergli che cosa avesse inteso prima il tiranno.
I piatti, tutti a base di ambrosia, erano interminabili. Sembrava che non finissero più. Quando finalmente le portate furono terminate, gli dei ripresero i discorsi da in piedi, per far digerire meglio tutto il cibo ingerito. Ma proprio mentre lei stava raggiungendo il dio della guerra, Zeus richiese silenzio. E l'erede la guardò sogghignando.
“Miei cari adorati figli e figlie, ho indetto questo lussuoso banchetto per festeggiare il ritorno della nostra cara prediletta. Che come ci aveva già anticipato Marte, ha un discorso di scuse da farci.” lei lo fulminò. E lui sorrise con arroganza.
“Ne vedo delle belle..” sussurrò Apollo a Mercurio ridacchiando.
“Sì....” fece quest'ultimo un po' preoccupato. Aveva confermato la tesi dell'erede. E si prevedeva una bella ramanzina.