Capitolo 8
Finalmente
a Casa
Tornare a casa era, come sempre, la
cosa più bella del mondo.
“Casa” significava tranquillità.
“Casa” significava protezione.
“Casa” significava una doccia
calda, una partita a carte e una pausa dal solito, frenetico tran-tran.
E, per l’amor di Arceus, “casa”
significava qualche ora in assenza di clienti abituali dello stesso
parrucchiere ubriaco, maniaci impenitenti e presunti futuri dominatori del
mondo.
Kim si fermò per qualche istante in
mezzo all’erba, assaporando la leggera pioggerella estiva che aveva appena
incominciato a scendere. Sorrise.
Ciò che aveva di fronte non era
niente di spettacolare: un piccolo cottage in mattoni, seminascosto dalle
fronde degli alberi che lo circondavano. Un solo piano in cui era stato
difficile sistemarsi, dove lo spazio sembrava sempre troppo poco e i mobili
troppo grandi, ma che fin da subito era riuscita a chiamare “casa”.
Perché era lì che si sentiva
davvero serena e protetta, più di quanto non lo fosse stata nei quindici anni
vissuti insieme a sua madre.
Socchiuse gli occhi, congiunse le
dita e recitò: «Non c’è posto più bello di casa propria, non c’è posto più
bello di casa propria, non c’è posto più bello di casa propria.»
La risata di Lee spezzò
quell’atmosfera magica. «Ehi, Dorothy!» la chiamò il ragazzo, che era già sulla
porta. «Se non ti sbrighi, finirai per prenderti un accidente.»
Kim arricciò il naso. Lee poteva
anche essere il suo migliore amico, ma aveva davvero bisogno di capire
quand’era il momento di preoccuparsi della sua salute e quando farlo rovinava
soltanto le migliori scene teatrali. «Sì, sì.» sbuffò, raggiungendolo. Ogni
passo le provocava un intenso dolore alla gamba destra, facendola zoppicare, ma
la ferita andava guarendo abbastanza velocemente, a sentire i medici dell’(ex)
Team Plasma. «Non sia mai che mi prenda, che ne so, una broncopolmopeste,
stando più di trenta secondi sotto la pioggia. Quale tremenda sfida di
sopravvivenza.»
«Spiritosa. Con le difese
immunitarie ubriache che ti ritrovi, anche un...»
«“Anche un raffreddore potrebbe
uccidermi”, bla bla bla. Stai diventando monotono, sai.»
Lee fece una smorfia e tirò fuori
un mazzo di chiavi, tra le quali iniziò a cercare quella dell’ingresso. «Cerca
di capirmi: se tu morissi, chi pagherebbe la tua parte dell’affitto? Finirei
nei casi-AHIA! Che bisogno c’era di prendermi a calci?»
«Ops. Scuuuusa.» fece lei, per
niente dispiaciuta. «Mi è scappato.»
Lee scosse la testa, con un mezzo
sorriso, e fece scivolare la chiave nella serratura, ma il meccanismo non
scattò.
Stranita, Kim lo guardò provare a
girare la chiave fino in fondo, ma non ci fu traccia del familiare “clac”
dell’apertura.
I due si scambiarono un’occhiata
preoccupata. La porta era aperta. E, se la porta era aperta, voleva dire che
qualcuno era entrato. Qualcuno che poteva essere ancora là dentro.
Kim alzò gli occhi al cielo,
esasperata. Quand’è che il mondo si sarebbe deciso a lasciarle tirare il fiato?
Erano quattro giorni che quasi non dormiva e veniva sottoposta a continue fonti
di stress, aveva dovuto sopportare i postumi di un’Energipalla, le avances di N, i fotografi, la folla,
quell’invasato di Nardo e un morso di Galvantula; adesso doveva mettercisi
anche uno scassinatore-o-chissà-quale-altro-rompiballe? Ne aveva veramente
abbastanza.
«Cazzo.» sentì sussurrare Lee tra i
denti, non meno provato di lei. Lui la guardò, sul punto di dire qualcosa, ma
ci ripensò subito. Invece, alzò verso di lei una mano aperta e, dopo un attimo,
ne abbassò il dito mignolo. Kim ci mise un istante a comprendere quel gesto:
era un conto alla rovescia, prima di aprire la porta e sorprendere chiunque
fosse in casa.
Quattro...
tre... contò mentalmente. Due... uno...
«Bentornati a casa, ragazzi!»
Lee, che aveva già la mano sulla
maniglia, incespicò e per poco non cadde ai piedi della persona che aveva
appena aperto bruscamente la porta.
Kim si sentì morire. «Dimmi che è
un sogno.» pregò Lee, aggrappandosi al suo braccio. «Dimmi che il veleno di
Galvantula mi è entrato in circolazione e che questo è solo un incubo dovuto al
coma.»
Lee esitò appena un attimo, prima
di rispondere. «...i morsi di Galvantula non sono velenosi.»
«Oh, ma porca vacca.»
In piedi sulla soglia, con indosso
un grazioso grembiule arancione (Il mio grembiule arancione, constatò Kim,
seccata), N sorrideva loro amabilmente. «Siete arrivati giusto in tempo.
Entrate, su, o si fredderà tutto.»
*******
Kim osservò il piatto che aveva
davanti con diffidenza.
Una brodaglia verde, dentro alla
quale galleggiavano pezzi più o meno cubici di materiali diversi e non meglio
identificati. La cosa certa era che puzzava da morire.
«Guarda che la minestra non si
mangia da sola, se la fissi.» la redarguì Lee, che, chissà come e con quale
forza di volontà, aveva già svuotato metà del suo piatto. «Per di più, è
ottima. E non sembra nemmeno avvelenata.»
Kim non riuscì a trattenere una
smorfia disgustata. «È verdura.»
disse, con bieco disprezzo. «Lo sai che odio la verdura. E lo sa anche lui.» aggiunse, scoccando un’occhiataccia
all’artefice di quell’intruglio malefico.
N le sorrise innocentemente. «Ma no
che non lo sapevo. Avrei preparato qualcosa di diverso, altrimenti.»
«E comunque, ti farebbe bene
mangiare un po’ di verdura, ogni tanto.» puntualizzò Lee.
«Neanche avessi cinque anni.»
borbottò Kim, scocciata. Poi scosse la testa. «In ogni caso, non è questo il
problema!» esclamò, puntando il cucchiaio contro N. «Questa si chiama... si
chiama effrazione! E anche appropriazione indebita di fornelli. E di grembiule.
E...» s’interruppe un istante, inorridita. «Per l’amor di Arceus, N, quelle
sono le mie forcine per capelli?»
«Mi serviva qualcosa per tenerli
indietro mentre cucinavo...»
«Questo è il colmo!»
«Beh, è abbastanza disgustoso, sì.»
concordò Lee, con una smorfia.
N sembrò farsi piccolo piccolo
nella sua sedia e abbassò lo sguardo.
«Se pensi che con quell’espressione
ferita mi farai pena, ti sbagli di grosso.»
«Disse lei, distogliendo
fulmineamente lo sguardo.» la rimbeccò Lee.
«Z-zitto, tu. Un essere del genere
non lo si può nemmeno guardare.»
N aprì la bocca un paio di volte,
indeciso, e si girò i pollici, lo sguardo sempre fisso sulle proprie ginocchia.
«Ecco... allora, forse è meglio che dica subito che ho preso in prestito anche
le tue pantofole a forma di Munna...»
Sempre brandendo il cucchiaio come
se fosse stato un’arma letale, Kim schizzò in piedi, fece il giro del tavolo e
prese N per il collo della maglietta. «Io ti ammazzo.» sibilò, furente.
«Kim.» l’ammonì Lee, che, nel
frattempo, si era dedicato a finire la sua minestra. «Ricordi qual è stata
l’unica cosa utile che ci ha insegnato Lei?
C’è un tempo e un luogo per ogni cosa. Ma non qui e non ora.»
«Ma... le mie Munnofole!»
«Kim.» ripeté lui, più duramente. «A chi è vietato scatenare risse a
tempo indeterminato?»
Lei gonfiò una guancia. «...a me.»
«Chi deve stare buona e imparare a
controllare i propri impulsi violenti?»
«Io.»
«Quale squadra di pokémon è sotto
sequestro finché questo non accadrà?»
«La mia.»
«Brava bambina.» si complimentò Lee.
«E ora, torna a sederti.»
Kim sbuffò il più rumorosamente
possibile, ma lasciò andare N e fece nuovamente il giro del tavolo. Si lasciò
quindi cadere di peso sulla sua sedia, imbronciata e silenziosa.
Con due enormi lucciconi negli
occhi, N alzò la testa e abbozzò un sorriso. «Grazie.» disse a Lee, con
ammirazione, neanche lo avesse salvato da un branco di Krookodile inferociti.
«Non farti strane idee, non l’ho
fatto per te.» disse Lee, storcendo appena il naso. «È lei ad essere in
punizione per aver cercato di farsi uccidere. Se non impara a comportarsi come
una persona normale, finirà per riuscirci davvero, uno di questi giorni.»
«Sei un mostro.» piagnucolò Kim,
girando di scatto la testa verso di lui. «Restituiscimi almeno Porchetta!»
«Neanche per idea. Ti basta lui,
per moltiplicare la tua potenza distruttiva per cento.»
«Ma...!»
«Non si discute.» capitolò Lee.
«Quando dimostrerai di aver ricominciato a comprendere i termini della
convivenza civile, riavrai Porchetta e tutti gli altri.»
«Ti odio.»
«No, non è vero.»
Kim incrociò le braccia al petto e
borbottò qualcosa di incomprensibile, ma che non suonava per niente carino.
Era stata privata del suo spazio
vitale, del suo grembiule, delle sue Munnofole e dei suoi pokémon... nonché
delle sue forcine per capelli – il che la disgustava non poco. Mancava solo che
le togliessero il cappello, per calpestare definitivamente il suo onore.
«D’accordo.» sbuffò, appoggiando i
gomiti sul tavolo. «Avresti almeno la compiacenza di spiegarci cosa sei venuto
a fare qui, caro ospite?»
«E a me interesserebbe anche sapere
come ci hai trovati.» aggiunse Lee.
«Abbiamo fatto una fatica inimmaginabile a trovare un posto tranquillo,
nascosto e il più lontano possibile da Sciroccopoli... eppure, sei riuscito a
scoprirlo. È piuttosto inquietante, sai.»
«Non è stato niente di che,
davvero.» sorrise N, che forse non aveva ben chiaro il significato del termine
“inquietante”. «Certo, vi ho dovuti cercare un bel po’... ero quasi certo che
vi sareste nascosti in un bosco, lontano dalle città, ma Unima ne ha tanti. E
le pendici di Via Vittoria, beh, sono state una scelta originale. Ma, una volta
arrivato qui...» inspirò, estasiato. «Tutto qui intorno profuma di voi,
capite?»
No,
pensò
Kim, con un brivido. La parola
“inquietante” non inizia nemmeno a descrivere questo ragazzo.
«Per rispondere alla prima domanda,
comunque,» continuò N, ignorando il silenzio imbarazzato dei suoi beniamini.
«Che venissi qui è stata un’idea di Nardo.»
«E ti pareva.» sospirarono Lee e
Kim, praticamente in coro.
«L’unico ostacolo tra noi e la
Pietra Nera, al momento, è che dobbiamo riuscire ad andare d’accordo. E quale
maniera migliore di stringere veramente amicizia, se non vivere gomito a gomito
per qualche settimana?» spiegò N, evidentemente entusiasta dell’idea.
«Settimana? Ti puoi scordare anche
un solo giorno!» esclamò Kim.
«Non so se hai notato,» aggiunse
Lee. «Ma stiamo già abbastanza stretti così, non abbiamo neanche lo spazio fisico per ospitare qualcuno.»
N continuò a sorridere
tranquillamente. «Anche Nardo aveva immaginato che avreste avuto da ridire. Per
questo...» mentre parlava, si chinò ad aprire uno dei cassetti della cucina e
ne tirò fuori quello che aveva tutta l’aria di un rotolo di pergamena. «...ha
scritto una lista dei motivi per cui dovete tenermi con voi.»
Detto ciò, srotolò di fronte ai
loro occhi la pergamena, che scoprirono arrivare fino a terra.
Lista
dei Motivi per cui DOVETE prendere N in casa
1.
Siete gli Eroi di Unima.
2.
Ho promesso ai giornalisti che avreste lavorato sul vostro rapporto.
3.
Avete perso la sfida e ora dovete impegnarvi per trovare la Pietra Nera.
4.
È il vostro Destino.
5.
N in fondo è un bravo ragazzo.
6.
I paparazzi andranno in brodo di giuggiole.
7.
Volemose bene!
8.
Dovete riabilitare la vostra immagine, o non potrete più mostrarvi in pubblico.
9.
Ho già venduto i diritti del film che faranno su di voi.
10.
Sono il Campione e posso ritirare tutte le vostre medaglie all’istante.
...............
Lee
deglutì. «Questo è un ricatto.» disse, a disagio.
«Ha
venduto i diritti del nostro film?!»
esclamò Kim, esterrefatta.
«Io
sono più preoccupato di dovermi rifare il giro delle palestre di Unima, se non
facciamo come dice lui...»
«Beh,
non è che ci sia voluto tanto, a battere quegli sfigati. Piuttosto, guarda il
punto 26: è in programma anche una serie animata!»
«Può
anche darsi, ma non è stato affatto diver-una
serie animata?» Lee le tolse di mano il rotolo, basito.
«Pazzesco,
vero? Dev’esserci qualcosa di seriamente illegale, in tutto questo.»
«Suvvia,
ragazzi.» li interruppe N, il cui sorriso non aveva ancora accennato a
vacillare. «In fondo, nemmeno voi potete avere intenzione di abbandonare Unima
al proprio destino, no?»
Kim
non era esattamente della stessa idea. «Qui non si tratta del destino di
Unima.» disse. «Si tratta di avere te
a meno di dieci chilometri dal mio cassetto della biancheria.»
N
inclinò un poco la testa. «Oh, ma di quello non devi preoccuparti. Tanto l’ho
già cont-»
«LEE!
E tu insisti col dire che non lo dovrei picchiare? Sul serio?»
Lui
esitò un attimo, soppesando le alternative che aveva di fronte. «...non ho
proprio voglia di combattere contro gli Emolga di Camelia un’altra volta.»
disse, infine, rassegnato. «Quindi... cerchiamo di andare d’accordo?»
«Ma
bene!» Kim si alzò in piedi di scatto, facendo tintinnare tutte le posate che
c’erano sul tavolo. «Tu.» indicò Lee con l’indice puntato. «Quando saranno i
tuoi boxer a sparire, non venire da me a piangere. E tu.» spostò il dito verso
N. «Ora andrò a fare il censimento dei miei vestiti e, se manca anche solo un
calzino, ti uccido.»
Detto
ciò, con un ultimo, esasperato «Sgrunt!», uscì dalla cucina. Lee la sentì
sbattere la porta della sua camera e girare la chiave nella serratura con
altrettanta forza.
Il
ragazzo sospirò. Erano decisamente nei casini: avevano di nuovo il peso del
mondo sulle spalle, dovevano trovare un’ignota Pietra magica (e non sapevano
nemmeno da dove cominciare a cercare), un maniaco si era appena autoinvitato a
pernottare a casa loro e, peggio di tutto, Kim era estremamente poco
collaborativa. Lee iniziava ad avere seri dubbi sulle loro chances di sopravvivenza.
«Ehi,»
disse N, cercando con scarso successo di soffocare una risatina. «Sbaglio, o
Kim ha detto proprio “sgrunt”?»
Nonostante
non fosse davvero il momento adatto, Lee non poté trattenere un sorriso. «Sì.»
confermò. «Ha letteralmente detto
“sgrunt”.»
Più
tardi, entrambi pregarono che Kim non li avesse sentiti rischiare di soffocare
dal ridere, perché la sua reazione non sarebbe stata per niente divertente.
*******
Lee
ripose nello scolapiatti le ultime posate e chiuse l’acqua; un gesto che,
normalmente, rappresentava la fine di una tranquilla giornata passata in casa a
riposare. A leggere un libro, magari a fare un po’ di zapping o, più
probabilmente, a dormire il più possibile.
Ma
il ragazzo dai lunghi capelli verdi, che guardava trasognato fuori dalla
finestra della cucina, gli ricordò che, quel giorno, le cose non erano andate
esattamente così.
Avendo
ancora le mani bagnate, Lee non poté fare a meno di schizzargli un po’ d’acqua
in faccia, facendolo sobbalzare. «Ehi.» disse, abbozzando anche un mezzo
sorriso, giusto per cortesia. «So che quell’espressione malinconica fa
impazzire le tue fan, però, finché sei qui, puoi anche fare una faccia
normale.»
N
spostò lo sguardo su di lui, ma, stranamente, non ricambiò il sorriso. «Sì...»
disse piano. «Sì, hai ragione. Solo che... vabbé, non importa.»
Lee
alzò un sopracciglio. Dopo tutti gli anni passati con Kim, era abituato a
quelle teatrali e indirette richieste di attenzione, ma la curiosità finiva
sempre per avere la meglio. «Che cosa?» chiese.
N
si strinse nelle spalle. «Niente, davvero. E poi... tanto saresti dalla sua
parte.»
Oh,
pensò Lee, divertito. Allora si tratta di
Kim.
«Avanti,
sputa il rospo.» lo incoraggiò, schizzandogli nuovamente un po’ d’acqua in
faccia. «Magari posso darti una mano.»
N
gli rivolse uno sguardo sinceramente stupito. «E... perché dovresti?»
«Quattro
parole.» ghignò Lee. «“Meglio lei che io.”»
N
finalmente ricambiò il sorriso, con uno sguardo un po’ triste, e non disse
nulla.
Ma
Lee ormai si era troppo incuriosito, per lasciarlo perdere. «Sei stato
veramente terribile con lei, stasera.» buttò lì, cercando di invogliarlo a
parlare. «Sapevi benissimo che detesta la verdura.»
«E
i crostacei, nonché qualunque cosa abbia la stessa forma di quando era ancora
viva.» sospirò N, forse d’istinto. «Odia toccare la carne cruda e, in generale,
non mangia quella rossa, ragion per cui ha serie carenze di ferro; ama le
patate, cotte in qualunque modo, se potesse metterebbe la maionese perfino
sulla pasta e non potrebbe vivere senza cioccolato. Della maggior parte della
frutta ama il sapore, ma non la consistenza, quindi in linea di massima non
mangia neanche quella; un’eccezione sono le pere, che adora, ma non le piace
ritrovarsi le mani appiccicose, quindi le mangia solo quando qualcuno gliele
sbuccia.»
Lee
rimase a fissarlo, letteralmente a bocca aperta, mentre elencava una dopo
l’altra ogni singola schizzinoseria di Kim; dettagli ridicoli, di cui lui
stesso era venuto a conoscenza solo col passare degli anni.
Era
assurdo. Era spaventoso. Aveva un che di malato.
«...il
cibo dietetico le fa venire i brividi, non sa resistere ai biscotti, si
taglierebbe una mano per un bigné; quando è depressa mischia in una tazza un
po’ di mascarpone e una valanga di zucchero, anche se sa che non-»
«Da
quanto la osservi?» lo interruppe Lee, tra il disgustato e – doveva ammetterlo
– l’affascinato.
N
sorrise di nuovo, tristemente. «Da un po’.»
Lee
strinse le spalle e si appoggiò al muro. «È proprio questo, di te, che lei non
sopporta.» non riuscì a trattenersi dal dire.
«No,
non è vero.»
Non
fu tanto quell’affermazione, a cogliere Lee di sorpresa, quanto il fatto che,
di punto in bianco, N si era avvicinato a lui e l’aveva abbracciato. Il che gli
causò un improvviso e intenso rossore sulle guance.
«E-ehi,
cosa...? Lasc- »
N
nascose la testa nell’incavo del suo collo. «Non è vero.» ripeté, piano.
Lee
deglutì, a disagio. «D’accordo, convinto tu.» disse, un po’ irritato. «Ma ora
potresti lasciarmi?»
«No.»
N lo strinse un po’ più forte. «Ho bisogno di te, adesso. Solo per un minuto.»
Lee
sentì un brivido freddo corrergli su per la schiena. «Penso di avertelo già
detto diverse volte...» sbuffò. «Ma io sono completamente, assolutamente,
irreversibilmente etero.»
«Lo
so.» disse N, la voce soffocata dalla sua maglietta. «Ma sei anche una persona
gentile, quindi mi concederai almeno un abbraccio.» spiegò, con una certa
sicurezza. «Mi sento proprio giù.»
Lee
alzò gli occhi al cielo. Era vero: per quanto l’avere N a meno di un metro di
distanza lo mettesse a disagio, gli era difficile respingerlo duramente. Specie
ora che gli parlava con quel tono da bambino smarrito. «Hai detto un minuto,
giusto?» sospirò.
N
fece sì con la testa, lentamente. «Sai, sono sempre stato abituato a venire
respinto da te.» confessò. «Sai, per questo dettaglio che siamo entrambi
maschi.»
«Chiamalo
dettaglio...»
«Ma
Kim... lei, all’inizio, era diversa.» continuò N. «Mi ascoltava, mi parlava...
mi sorrideva, addirittura. E, quando dovevo andarmene, sembrava sempre un po’
triste.»
«Sicuro
di non essertelo sognato?» chiese Lee, scettico. Da che mondo era mondo, Kim
aveva sempre disdegnato qualunque attenzione maschile, specialmente quelle
troppo ossessive. Non riusciva proprio a immaginarla, a fare la carina con N o
a sospirare, pensando a quando l’avrebbe rivisto. Non era da lei. Senza contare
che...
«Non
l’ho sognato!» lo assicurò N, alzando la testa. «Forse non le piacevo in quel senso, ma non mi odiava. E... non
era mai stata così cattiva con me, prima. Mai.»
Lee
diede un lieve colpo di tosse. «Non dico che prenderti a testate sia stato
proprio un gesto carino, da parte sua...» disse. «Ma anche tu sei piuttosto pesante,
renditene conto. L’hai stressata fino all’esasperazione.»
«Pesante...?»
«Vogliamo
parlare del fatto che l’hai palpata? Era completamente sconvolta.»
«Quello
è stato...!» N arrossì di colpo. «Non l’ho fatto apposta. Cioè, la mia mano è
capitata lì per sbaglio e poi... insomma, era così... morbida...» mormorò,
distogliendo lo sguardo. «Capisci... soffice. Ecco, sì, soffice. E un po’...»
«In ogni caso.» lo interruppe Lee,
cercando di cambiare argomento. «Se per un po’ farai il bravo, sicuramente le
passerà. Kim è fatta così, non devi preoccuparti.»
La
consistenza del seno della sua migliore amica poteva anche essere un discorso
“da uomini”, ma sicuramente non era una cosa di cui voleva parlare.
N
rimase in silenzio per qualche secondo, come se stesse considerando le
probabilità di riuscire a “fare il bravo” – o cercando di carpire il
significato stesso dell’espressione –, ma alla fine annuì. «Grazie. Mi ha fatto
bene, parlare con te.» disse, con un sorriso.
Ma
non era il sorriso malinconico di poco prima. Era il solito, inconfondibile
sorriso “alla N”.
Solo
allora Lee si accorse, con orrore, della mano che gli era lentamente scesa giù
per la schiena e che gli si stava ora insinuando sotto la maglietta. «C-che
cosa stai...?!»
«Sei
un così bravo ragazzo, Lee...» gli sussurrò all’orecchio N, mentre con le dita
gli risaliva la spina dorsale. «Lascia che ti ringrazi come si deve. Che ti
corrompa almeno un po’...»
Merda.
Se c’era una cosa alla quale Lee era totalmente impreparato, era l’attacco
diretto da parte di un altro ragazzo. Senza contare che aveva ingenuamente
abbassato la guardia, pensando che i problemi di cuore di N girassero ormai
soltanto intorno a Kim.
«Senti,
N, non è divertente, pian-ah!»
N
l’aveva leccato dietro l’orecchio, per poi morderlo piano.
«Sei
completamente impazzito?» esclamò Lee, purpureo, cercando di spingerlo via.
Ma
N sembrava inamovibile e quell’angolo della cucina lasciava ben poche vie di
scampo.
Senza
tenere in considerazione le sue proteste, N gli soffiò nell’orecchio, facendolo
rabbrividire da capo a piedi. «Permettimi di insegnarti i vantaggi di una
relazione tra soli uomini, dai.» disse, in un sussurro basso e delicato quanto
il fruscio del vento.
«Ti
giuro che non mi interessano.» rifiutò Lee, cercando spasmodicamente di liberarsi
da quella stretta. «Ho già detto che sono completamente et-ahia! Hai finito di mordere in giro, accidenti?!»
Ne
aveva davvero abbastanza. Si maledisse per non aver dato retta a Kim e cercò
nuovamente di spingere via il molestatore, ma lui gli afferrò il polso con la
mano libera e se lo portò alle labbra, palesemente divertito.
«Giuro
che, se non la pianti subito, ti picchio. Non sto scherzando.»
«Ma
che paura...» lo prese in giro N, per poi incominciare, senza troppi
complimenti, a succhiargli l’interno del polso.
Mai più.
si disse Lee. Mai più sarò gentile con un
maniaco. Da depresso, era molto più gestibile.
N
si leccò le labbra e osservò, compiaciuto, il segno rosso che gli aveva
lasciato sul polso. «Prova a negare che ti sia piaciuto.» disse, guardandolo
negli occhi con aspettativa.
Lee
fece una smorfia. «Mi sarebbe piaciuto, se tu fossi stato una ragazza carina e
con la terza di reggiseno.» ribadì, esasperato, pur non potendo nascondere di
essere ancora rosso come un pomodoro.
N
sospirò, deluso. «Sei un pessimo bugiardo, ma d’accordo.» disse. «Per stasera
hai vinto tu. Solo un’ultima cosa e ti lascio andare.»
Avvicinò
il viso al suo e Lee tentò di scansarlo, ma N fu più veloce.
Gli
schioccò un bacio in fronte, lasciandolo con un’espressione assolutamente
stralunata.
«Sceeemo.»
disse, ammiccando. Dopodiché, lo lasciò e si allontanò in direzione della
porta. «Sai, tu e Kim vi assomigliate tantissimo, ma siete anche completamente
diversi. Per questo, credo che non riuscirò mai ad accontentarmi di uno solo di
voi due.» aggiunse, prima di defilarsi.
Lee
si massaggiò piano il polso, che non voleva smettere di pizzicargli.
Io lo ammazzo.
Pensò, sentendo montare un misto di disgusto, rabbia e vergogna. Trovo quella stupida Pietra Nera, salvo
Unima e poi lo ammazzo.