Nda: Dovevate vedermi, seriamente, dovevate vedermi: sdraiata sul lettino, in mezzo alla spiaggia, a leggere “L'avventura di Charles Augustus Milverton”.

Sembravo un'idiota: ogni volta che Holmes, come un bravo papà amico puccioso innamorato prendeva la mano all'imbranato imbarazzato puccioso innamorato Watson, saltavo e ridevo. Questo è in assoluto il mio caso preferito.

E ora non venite a dirmi che sono solo amici!

-Il primo capitolo è Pov Watson, il secondo Pov Holmes.-

In quel momento ebbi paura. Lo ammetto, a distanza di qualche tempo, ma lo ammetto.

Nascosto dietro quella pesante tenda, tremavo al pensiero che per un qualsiasi motivo il nostro nascondiglio non sarebbe più rimasto tale, e il passo da quello alla galera era breve.

Rabbrividivo all'immagine di me e Holmes ammanettati, a testa bassa, spinti a forza in una squallida cella con morale ed orgoglio a pezzi.

Oltre alla mia integrità professionale, ne avrebbe risentito molto la fama del mio amico. Non osavo nemmeno immaginare i possibili commenti.

E a pochi metri da noi, forse meno di un paio, sedeva colui che poteva incastrarci, rovinandoci a vita.

Ricurvo sulla sedia, però, Milverton non sembrava minimamente accorgersi di noi.

Stavo con la schienda dritta ed il petto in fuori, respirando il meno rumorosamente possibile. Non oso pensare se mi fosse venuto da starnutire.

Ero immerso nei miei bui e catastrofici pensieri quando mi svegliò la spalla sinistra di Holmes, che mi spinse quasi impercettibilmente.

Anche lui stava osservando la stanza, ed essendo a contatto probabilmente mi sentì tremare.

Feci sicuramente la figura del fifone.

Sbirciai ancora un po' oltre la tenda, leggermente meno teso, poi un contatto inaspettato mi fece irrigidire nuovamente.

Le dita agili e sottili del mio amico mi solleticarono il pollice, e non troppo lentamente la sua mano si insinuò nella mia.

Sentii il suo palmo ghiacciato a contatto con il mio, più caldo, e le nostre dita intrecciarsi.

Strinse la presa un paio di volte, come a ricordarmi che lui era lì, vicino a me, e che non mi avrebbe abbandonato. Mi concesse un fugace sorriso d'incoraggiamento, e poi tornò a vigilare sulla situazione, senza mai mollare la presa.

Sentivo il suo battito cardiaco attraverso quelle vene pulsanti che solcano i palmi. Batteva regolarmente, veloce, incessante.

Fortunatamente Holmes era voltato quando, quasi arrossendo come una comune fanciulla quale, ovviamente, non ero, tornai a guardare fuori, e solo allora mi accorsi della cassaforte socchiusa.

Semmai ce ne sarebbe stato bisogno, sarei saltato fuori dal mio nascondiglio ed avrei fatto di tutto per salvarci – o almeno per salvarlo – senza esitazioni. Con Holmes al mio fianco, non mi sorprende ammetterlo, era scomparso qualsiasi timore.

Ad ogni modo, qualsiasi cosa sarebbe successa, mi sarei sacrificato volentieri per assicurargli la fuga, anche se avrei preferito dividere la cella con lui, che da solo. Suona egoistico, ma è così.

Solo di una cosa, a distanza di tanto tempo, sono certo: se mai quella sera Milverton ci avesse scoperto, non sarebbe stato né per la cassaforte né tantomeno per il nostro sbirciare, ma più probabilmente per l'assordante rumore che produceva il mio cuore, battendo sulla cassa toracica tanto forte da sembrare volesse squarciarmi il petto.