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Autore: Malia_    24/06/2011    8 recensioni
E finalmente... come promesso. New moon dal punto di vista di Edward.
Estratto dalla prefazione: -E io… un
mostro, un animale senza respiro, non avevo più alcun motivo
per vivere, nulla aveva più senso, niente sembrava
più avere una direzione. Guardai la luce del sole
abbracciare le figure rosse che affollavano la piazza e sorrisi appena.
Morte, unica compagnia, unica speranza. Ah quanto dolore, quanta
sofferenza...-.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Non ci credoooo, sono qui per aggiornare Nadir. Dopo mesi e mesi che non aggiornavo più, non avevo il tempo per impegnarmi in questa fanfic. Ora ho più tempo per fortuna e posso ricominciare a scrivere. Spero che qualcuno nonostante tutto la seguirà ancora... dal prossimo capitolo mi dedicherò solamente a Edward, alla sua storia... Devo riuscire a creare una storia senza che Bella intervenga direttamente e per quanto sia estenuante sia per me che per voi cercherò in ogni modo di renderlo "piacevole". Scusate ancora per il ritardo, vi ringrazio per la pazienza e per i commenti.

Al prossimo aggiornamento, spero prima di tre mesi!! Malia.

Secondo, veloce addio.

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Inorridii non appena la vidi voltarsi e darmi le spalle con noncuranza. Avevo la netta sensazione che non si sarebbe allontanata, ma al contrario avrebbe scelto di abbandonarsi al pericolo, e non ne capivo la ragione. Pregai, scongiurai che si togliesse dalla mente quell’idea assurda di poter affrontare dei tipi simili. E perché poi? Perché commettere quella pazzia illogica? Avrei voluto urlare, ringhiare tutto il mio sconforto, la paura che mi attanagliava e non mi lasciava pensare lucidamente.
Dovevo muovermi.
“Edward muoviti”, pensai. “Forza”. Strinsi i denti per non permettere alle sensazioni di sconforto e paura di travolgermi. Come la prima volta che l’avevo vista in pericolo, proprio come quel giorno che l’avevo salvata dai quei ragazzi dai pensieri ingordi e privi di morale.
“Bella, amore, no”, continuavo a urlare nella mia testa.
La sua amica era impietrita mentre Bella, un passo dopo l’altro, si avvicinava all’abisso.
Tentai con tutte le forze di non ascoltare i pensieri di quei ragazzi, allontanandomi dalle loro menti, ma i loro occhi puntati avidamente su Bella non facevano che darmi la nausea. Mancava poco per perdere il controllo su di me, poco per ucciderli, per divorarli e farli a pezzi senza pietà. Non importava più, loro meritavano la morte, la più atroce e lenta.
Deglutii, portandomi una mano alla gola, sentendo scivolare via da me il controllo che tanto mi ero imposto.
“Avanti, dille che ci sei, dille tutto. Non vedi come sta soffrendo? È colpa tua, tutta colpa tua”. Ero tentato, spinto a fare qualcosa per lei, per noi, non potevo dimenticarmi di ciò che avevamo condiviso insieme, non era possibile. Bella era tutto per me, tutto di me.
-Bella, girati!-. Gridai ancora, una supplica, una dannata supplica che avrebbe dovuto sentire solo lei. E così fu. Le mie labbra avevano solo sussurrato, ormai nell’ombra, ma né Jessica né quegli idioti si erano accorti di me, della mia presenza, solo la mia piccola umana sembrava esserne perfettamente consapevole.
Ovvio, non l’avevo mai lasciata e ormai eravamo indissolubilmente legati nell’animo.
Fece un sospiro di sollievo, lanciando appena un’occhiata alle sue spalle, fugace e felice. Era… felice per aver sentito la mia voce ancora una volta.
“Ripetilo, dille quanto l’ami”.
“Non posso”
“Forza”
“No”
Era una lotta, contro me stesso, la stessa lotta che mi aveva fatto impazzire per amore. Non potevo guardarla camminare verso il dolore e la morte, ma dovevo difenderla anche da me stesso. Sentii un dolore lancinante al petto e mi piegai. Cuore… il mio cuore stava forse cercando di battere? Ero terrorizzato come mai prima.
“Bella, ti prego”, gridai ancora nella mia mente.
-Ciao-. La voce dello sconosciuto mi fece gelare il veleno nelle vene.
Raddrizzai le spalle e, privo di qualsiasi sentimento, mi acquattai al muro, accostandomi a loro. Se si fossero azzardati anche solo a toccarla avrebbero assaggiato i miei artigli. E non ci sarebbe stata che la morte ad aspettarli, non avrei avuto nessun rimpianto.
Ringhiai, basso e pericoloso. Bella sobbalzò al mio ringhio, ma il ragazzo non se ne accorse, anzi, imbambolato a guardare il sorriso del mio cerbiattino non si sarebbe accorto nemmeno di una palla di cannone lanciata all’altezza del suo petto. Feccia.
-Serve aiuto? Ti sei persa?-. Le sorrise e si permise di farle l’occhiolino.
Strinsi i pugni per non saltargli addosso seduta stante. Respirai profondamente l’aria che sapeva di smog e sudore, il loro puzzo era pregnante, ma per fortuna il dolce profumo di Bella superava di gran lunga quella sozzura insopportabile.
-No, non mi sono persa-. Rispose lei vagamente e la sua attenzione si spostò verso un tipo più basso dalla carnagione scura.
Lo osservò per qualche minuto, mentre un brivido mi correva lungo la schiena. Mai come in quel momento avrei voluto entrarle dentro, nei pensieri, nell’anima, per capire cosa le stesse accadendo e perché stesse rischiando in quel modo. Non aveva senso.
Il mio sguardo non riuscì ad allontanarsi dal viso etereo del mio piccolo Bambi, che ora, indifesa, guardava l’altro ragazzo sperando probabilmente di riconoscere in lui qualcuno. La smorfia della sua bocca mi comunicò delusione e, confuso, non compresi il motivo di tanta tristezza.
-Posso offrirti qualcosa?-. Chiese allora lui, consapevole della strana attenzione riservatagli.
“Tu provaci e poi ti offro io all’altare dei vampiri. E sarà divertente”, mi sorpresi a pensare. Non avrei mai creduto di poter risvegliare così la mia parte oscura e violenta, ma quando si trattava di Bella era impossibile riuscire a prevedere le mie reazioni.
-Sono troppo giovane-. Ribatté lei, la voce flebile, ma sicura.
Ottima risposta, ma forse sarebbe stato meglio pensarci prima di avvicinarsi a loro. Sospirai, domandandomi cosa fare. Nel mio cervello martellavano differenti risposte e non certo onorevoli: deturpare, uccidere, squartare erano le varie opzioni. La più interessante sarebbe stata farli morire di paura per poi gettarli giù da qualche burrone; almeno mi sarei divertito.
Scossi la testa, tentando di riprendere lucidità. Dovevo farlo, dovevo…
-Da lontano somigliavate a dei miei conoscenti. Scusate, mi sono confusa-.
Sussurrò il mio piccolo Bambi, abbassando la testa e socchiudendo le palpebre. Vidi gli occhi del ragazzo più grosso sgranarsi e per un attimo incontrarsi con quelli dell’amico. La credevano un po’ suonata: per fortuna.
Non sapevano come comportarsi. Da lontano avevano pensato che fosse più grande, invece ora sotto la penombra Bella dimostrava più o meno quindici anni.
-Non c'è problema-. Disse il biondo, amichevole. -Resta pure con noi, se ti va-.
Certo, come no, magari il giorno del mai. Soffiai, come un puma arrabbiato, e mi accovacciai dietro l’energumeno. Se avesse osato insistere lo avrei strozzato, pochi minuti e sarebbe stramazzato morto al suolo. Un belvedere non indifferente dal mio punto di vista.
-Grazie, ma non posso-. Il bisbiglìo di Bella mi riportò alla realtà e io la fissai, sollevato.
Ora sì che potevo riconoscere in lei la ragazza con un minimo di giudizio che avevo conosciuto; scoprii le labbra ridacchiando. Giusto un pochino, perché il mio cerbiattino era solito cacciarsi nei guai fin troppo spesso e senza volerlo.
-E dai, solo qualche minuto-. Insisté il più basso, ma io lo zittii subito dandogli un colpo secco sulla gamba. Si voltò, ma non vide nulla nell’oscurità e la sua espressione si fece perplessa.
L’altro seguì la direzione del suo sguardo e la loro disattenzione permise a Bella di allontanarsi,  con grande sollievo per me.
I due si guardarono allarmati più volte e cercarono di mettere a fuoco nel buio intorno a loro. Nemmeno se fossi stato in bella vista mi avrebbero messo a fuoco.
Per divertirmi li toccai ancora e, mentre i loro sguardi si facevano spaventati, mi permisi di ringhiare in modo che potessero sentirmi. Scapparono non appena Jessica e Bella sparirono dietro l’angolo. Non potevo certo dirmi soddisfatto, avrei dovuto ucciderli, ma avevo promesso a me stesso che non sarei più stato un assassino… però il desiderio di seguirli per fargliela pagare era davvero soffocante. Feci leva sulla bontà e i valori con cui Carlisle mi aveva educato e riuscii in qualche modo a rientrare in possesso di me.
Mi tenni a poca distanza dalle due amiche, agognando a uno sguardo di Bella come un povero e stupido innamorato. Era stata lì, a pochi metri da me, le avevo parlato e… e ora se ne stava pensierosa seduta a un tavolo di un locale e fissava l’amica sovrappensiero, mangiucchiando qualcosa di malavoglia. Portava alla bocca pezzi di pizza di cui probabilmente non avrebbe sentito il sapore. Ormai avevo imparato a riconoscere le sue espressioni ed ero convinto che l’unico pensiero che le rimbombava nella mente fosse quello di tornare a casa e infilarsi sotto le coperte che l’avrebbero protetta dagli incubi.
Non passò molto tempo che mi ritrovai a seguire l’auto della Stanley che l’accompagnava a casa. Non parlarono nel viaggio di ritorno, ma tante parole si affollavano in me ed erano i pensieri disperati dell’amica di Bella che non voleva assolutamente più avere a che fare con lei finché si sarebbe comportata in modo così strano. Non potevo darle torto, era stata un incosciente ad andare incontro a sconosciuti, per giunta non proprio benintenzionati.
L’auto si fermò di fronte a casa Swan; sentii Bella parlottare e scusarsi, ma la mia attenzione si era spostata ai pensieri di Charlie che stava aspettando sua figlia dietro la porta d’ingresso. Sbirciava all’esterno pensieroso e preoccupato. Come dargli torto, fino a poco tempo prima Bella sfuggiva al suo controllo, mentre ora sembrava stranamente tranquilla e disposta a tornare a vivere. Anche io ne ero felice, ma sospettavo con il mio intervento della serata di aver solo peggiorato le cose.
Mi arrampicai sulla finestra della sua camera, ignorando la mia coscienza che insisteva nel farmi spiare la conversazione tra padre e figlia, ma alla fine mi imposi di dare al mio cerbiattino un minimo di riservatezza. Le dovevo questo e altro dopo averle fatto vivere l’inferno.
I sensi di colpa mi colsero una volta entrato nella sua stanza.
“Ma cosa ti è saltato in mente di fare, eroe?”, iniziai a dare segni di cedimento mentale proprio come in passato.
-Davvero io… io non lo so-. Bisbigliai atterrito a me stesso.
“Se avesse scoperto tutto ti avrebbe odiato, perché sei stato accanto a lei senza dirle nulla”.
Alzai lo sguardo verso il soffitto, terrorizzato da quella consapevolezza. Come avrebbe reagito nel venire a conoscenza del mio inganno? Io non avrei dovuto essere lì, non… oddio. Caddi in ginocchio, come preso da un raptus di follia, e mi presi la testa tra le mani, sentendo un dolore lancinante entrarmi dentro e costringermi a ringhiare. Basta, non ne potevo più di quelle agonie altalenanti.
Percepii in lontananza dei passi che salivano le scale, ma non riuscii a controllare la sofferenza che era scoppiata nella mia testa e non mi permetteva di respirare. Tra poco, ancora un poco, sì, poco, e Bella sarebbe entrata dalla porta. Non poteva essere che lei. E mi avrebbe visto, in ginocchio sul pavimento, angosciato per un’emozione invisibile.
-Nasconditi-. Digrignai i denti, cercando di imporre al mio corpo un movimento che si rifiutava di eseguire.
Avanti, sarebbe bastato così poco, ma ero immobile, e non desideravo affatto spostarmi. Volevo che mi guardasse negli occhi, che ritrovasse l’amore che avevamo condiviso.
La fissai, mentre ignara, si chiudeva la porta alle spalle e bofonchiava qualcosa tra sé e sé.
-Non posso andare via da qui, scusa Charlie. Non ci riesco-.
Non guardò dalla mia parte, ma si gettò sul letto sconsolata, stringendo il cuscino e tentando di rilassarsi. Si tolse le scarpe da ginnastica con un movimento veloce, ma non guardò mai in direzione del pavimento accanto alla poltrona. Probabilmente era troppo stanca, o forse pensierosa; mi diede le spalle, stesa su un fianco e si rivolse verso la finestra aperta, fissandola come se si aspettasse ancora di vedermi entrare da un momento all’altro.
-Alice, dimmi che la sua voce oggi non è stata solo un sogno-. Bisbigliò e io sospirai.
-Ed era come se fosse lì, di fronte a me-. Continuò portandosi le braccia sopra la testa per rannicchiarle ancora contro di sé. Mosse nervosamente le gambe, fasciate dai jeans, e si sollevò di scatto, mettendosi seduta.
Gli occhi bassi, le spalle curve, chissà se avrebbe alzato il mento e voltato lo sguardo verso di me. Sarebbe stato così semplice.
Si abbandonò di nuovo sul copriletto e i sorrisi della sua distrazione. Ero proprio lì, raggomitolato ai piedi del suo letto, accanto alla poltrona, e nonostante bramasse la mia presenza, non era riuscita a vedermi. O almeno, non aveva lasciato scorrere lo sguardo per la camera.
Era notte inoltrata, di certo non si sarebbe aspettata di trovare un vampiro disteso sul pavimento della sua stanza. La guardai con dolcezza e mi alzai in piedi solo quando il suo respiro si fece pesante e regolare. Non si era nemmeno svestita per indossare il pigiama.
I capelli scompigliati e sulle ciglia l’ombra delle lacrime, Bella ai miei occhi sembrava un angelo, intoccabile, perfetto e irraggiungibile.
-È venuto il momento di andare via-. Mi irrigidii e mi voltai per incontrare lo sguardo della bambina che ormai mi era così famigliare.
-Credi?-. Le risposi, atono.
Mi sorrise e corse verso il letto, sedendosi sulla sponda e dondolando le gambe.
-Io non voglio che tu stia male-. Mi rivelò quando allungai la mano verso di lei per scompigliarle i capelli. Quel gesto d’affetto fu spontaneo; l’espressione della bimba era talmente sofferente da non permettermi di pensare ad altro che a consolarla in qualche modo.
La fissai mentre le sue manine mi prendevano le dita e se le portavano alla guancia con tenerezza.
-Ti devo avvertire, è giusto che lo faccia, lo sai. Vai via prima di vedere quello che succederà. Il suo cuore ha bisogno che tu vada via…-. Sussurrò, un mormorio appena udibile.
Le ciocche scomposte di color cioccolato le ricadevano lungo il visetto rubicondo. La mia piccola Bella… mi accucciai accanto a lei che non smise di guardarmi e portò la sua dita paffute all’altezza del mio naso.
-Arriverà un uomo. È necessario che lui ci sia-. Mi confidò e io rimasi immobile, impietrito da quella notizia.
-No-. Bisbigliai.
La bimba annuì e mi rivolse un sorriso sdentato. Le era caduto un dentino! Provai una piacevole sensazione di tenerezza che riuscì a scaldarmi il cuore nonostante la notizia terribile.
-Si innamorerà di un altro?-. Diedi voce ai miei pensieri, a ciò che avevo sempre temuto.
-Ne avrà bisogno e anche tu-. Disse e io mi sedetti sul pavimento, il cuore incredulo. Non potevo credere che, dopo aver sofferto così tanto, per Bella sarebbe stato così semplice dimenticare. E proprio per merito di un altro.
-Avevi detto che niente ci avrebbe separati, avevi detto che saremmo sempre stati insieme-. Non riuscii a contenere il mio scatto d’ira, ma immediatamente mi pentii. Lei non aveva colpa, era solo il frutto delle mie paure e delle mie speranze.
-Infatti… ma tu devi ancora affrontare te stesso e anche lei-. Continuò con dolcezza, scivolando vicino a me e sedendosi poco distante dalle mie gambe. Si appoggiò con il piccolo corpo alla mia coscia e si stese, come se fossi stato un morbido cuscino e non invece granito indistruttibile.
-Io so chi sono, ormai-. Mormorai, appoggiando la schiena contro il letto di Bella, dimentico che il mio cerbiattino avrebbe potuto svegliarsi e vedermi.
-Certo, come sai chi sono io-. Rifletté, la manina sul mento.
Aggrottai la fronte e riflettei sulle sue parole. Non sapevo quasi nulla di quello scricciolo: era un’illusione? La mia coscienza? Non ne avevo certezza. Oppure…
I nostri sguardi si incontrarono e lei mi sorrise ancora.
-In un modo o nell’altro io sono con te-. Sussurrò e io rabbrividii. Non poteva essere. Mi voltai verso Bella, che dormiva profondamente e chiusi gli occhi.
“Sono con te”.
-Non mi lascerà mai, vero?-. Dissi più a me stesso e la piccola scoppiò a ridere.
-Quello che prova per te non è semplicemente amore, se lo fosse ti avrebbe già dimenticato. L’amore si alimenta quando sono due persone a volerlo tenere vivo-. Proruppe saggiamente. Troppo saggiamente per essere una semplice bambina, troppo consapevolmente per essere solo la mia coscienza.
-Non posso crederci-. Continuai e aprii di scatto le palpebre.
Bella… lei non voleva lasciarmi solo.
-Perché no, io sarò sempre un legame tra voi due, anche quando tu sarai lontano. Te lo prometto-. Sentenziò e si alzò in piedi sulle gambe minute. Il suo sguardo si fece birichino, infantile, e il mio cuore si sciolse di dolcezza.
-Andrò via-. Le promisi, nonostante il dolore che mi causava anche il solo pensiero.
-Promesso?-. Mi chiese, sospettosa.
-Se non lo facessi?-. Domandai ansioso.
Non volevo perderla.
-Faresti soffrire entrambi, devi rischiare-. Disse con un sospiro e mi voltò le spalle. La guardai mentre si avvicinava alle assi del pavimento al centro della camera e mi avvicinai a lei d’istinto, uno strano presentimento nel cuore.
Si sedette di nuovo e mi indicò un punto preciso. Io seguii il suo dito, ma ancora non riuscii a comprendere.
-Devi vivere la tua avventura e quando tornerai i vostri ricordi saranno lì sotto, c’è un buco abbastanza grande per contenere tutto-.
La ascoltai e scoprii che aveva ragione. Avrei potuto nascondere sotto le assi del pavimento tutti i nostri ricordi, che avevo lasciato nella mia auto, per andare via. Sì, ma verso dove? Io non avevo alcuna strada da seguire.
Mi sedetti e, girandomi verso Bella, ricordai con chiarezza la sofferenza vissuta qualche mese prima, quando il dolore sembrava accecante. Non potevo vivere senza di lei, la sua lontananza aveva rischiato di farmi impazzire. Un vampiro pazzo e masochista, d’altronde non avevo avuto altra scelta dal momento in cui mi ero innamorato di quella fragile umana.
-Devo tornare indietro-. Mormorai e tornai a guardare la bambina seduta al mio fianco.
L’espressione contenta non era scomparsa dal suo visetto e in un certo senso la fiducia che lessi nel suo sguardo sincero mi convinse: sarei tornato, un giorno, forse, e lei sarebbe stata mia nonostante l’amore che avrebbe provato per un altro. Ero pronto.
-Farà male-. Affermai battendomi una mano sul ginocchio.
-Meno male di un’eternità di felicità-. Rispose con un risatina divertita.
-Sto parlando come un essere umano, eh?-. Le feci notare e lei annuì.
-Nel cuore lo sei ancora, ma devi ancora capire-.
Immaginai di non avere altra scelta, se volevo andare incontro al mio destino. E non mi sarei tirato indietro: l’avrei fatto per me stesso e per Bella.
-Un giorno…-. Iniziai, la voce tremante.
-Un giorno avrete modo di rincontrarvi, e sentirai i rintocchi del fato-.
I rintocchi del fato, che sciocchezza. Mi voltai ancora per guardare il mio piccolo Bambi dormire spensierata, ma mi irrigidii: il suo corpo stava iniziando a muoversi nervosamente.
Cercai con gli occhi la bimba che fino a un attimo prima aveva avuto per me parole rassicuranti, ma era scomparsa.
-Bella…-. Mormorai non appena un urlo agghiacciante squarciò la notte.
Incubi. Stava ancora sognando; e io che pensavo che il peggio fosse passato. Le andai vicino, controllando prima i pensieri di Charlie; non sentii nulla, stava dormendo e non si era accorto del grido. Doveva essere stanco.
Bella mugolò rigirandosi nel letto su un fianco e poi sull’altro, muovendo le gambe come se stesse cercando di liberarsi da una trappola invisibile.
“Devi andare via”, gridava la mia coscienza.
-Non ce la faccio-. Era una lotta impari, amore e morte si contorcevano dentro di me. -Ancora un attimo-. Supplicai me stesso.
“Un attimo…”, ripetei cercando di convincere me stesso.
Fissai la donna che amavo, disperata, mentre le lacrime cominciavano a scorrerle sulle guance. Non potevo lasciarla sola, sarebbe stato come un secondo addio, sarebbe stato come ferire i nostri cuori per ucciderli definitivamente. Senza di me lei non si sarebbe mai tranquillizzata, ero io ad averle dato la forza di reagire, io e solo io. Come avrebbe potuto mai amare qualcun altro?
-Bella…-. Feci un passo verso di lei, un altro, ancora un altro fino a quando non coprii la distanza che ci separava e non capii il motivo per cui sarei dovuto fuggire: il futuro del nostro rapporto era nelle mie mani.
Mi chinai su di lei e le presi la mano tra le mie. Si calmò immediatamente e un leggero sorriso aleggiò sulle sue labbra. Che sentisse dentro di sé la mia presenza? L’avevo sempre sospettato.
-Amore-. La chiamai abbassandomi sulle sue labbra. -Non è un addio, o almeno spero. Spero di non ingannarmi. Ci rivedremo. Tieni il mio cuore con te, proteggilo, e ogni volta che hai bisogno di me, chiamami, io ci sarò, io ti sentirò-. Patetico. Un film romantico non avrebbe raggiunto quei livelli di demenzialità, ma mi stavo realmente strappando il cuore dal petto per lei.
“Vai… ora, o non andrai più via”. Mancava poco al suo risveglio, così poco, presto avrebbe incontrato il ragazzo che l’avrebbe aiutata, che l’avrebbe amata in mia assenza.
Destino. Io non avevo mai creduto nel destino, ma avrei lasciato che si compisse se era ciò che la piccola Bella voleva.
Le sfiorai le labbra un’ultima volta, emozionandomi per quel tiepido contatto e la fissai per imprimermi i suoi lineamenti nella mente. Come se avessi potuto scordare… impossibile. Con un respiro profondo mi diressi verso la finestra, deciso a uscire definitivamente dal mondo che mi aveva dato una possibilità di salvezza. Sarei tornato nella mia macchina, avrei preso i regali, i ricordi, e li avrei nascosti dove la mia coscienza o forse la pazzia, chissà, mi aveva indicato.  

   
 
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