Capitolo 9
Sensazioni
Kim venne svegliata dal tepore dei
raggi del sole, che avevano ormai completamente illuminato la stanza.
Le era sempre piaciuta, quella
sensazione. Era come se qualcuno la stesse abbracciando, coccolandola dolcemente,
nei cinque minuti in cui lei ancora non voleva saperne di aprire gli occhi.
Solo per cinque minuti al giorno,
poteva sorridere e immaginare di essere tra le braccia di qualcuno. Salvare il
mondo veniva dopo.
Mosse pigramente le dita dei piedi,
troppo assonnata per fare qualunque altro movimento, e sospirò piano.
Normalmente, appena capiva che era
sveglia, Porchetta trotterellava fuori dalla sua cuccia e si piazzava davanti
al letto, tutto scondinzolante, attendendo che lei si alzasse e preparasse la
colazione. Ma non oggi.
Kim sollevò di appena un millimetro
una palpebra, per sbirciare se per miracolo il suo piccolo Tepig fosse lì ad
aspettarla, ma tutto ciò che vide fu una macchia verde. Niente Porchetta. Oh,
Lee l’avrebbe pagata, per aver osato sequestrare il suo starter. Appena quella
storia fosse finita, lo avrebbe preso per le orecchie e...
Un
attimo. Kim interruppe la sua stessa linea di pensiero e
riavvolse. Una macchia verde?
Sconcertata, si costrinse ad aprire
completamente gli occhi.
A meno di dieci centimetri dal suo
viso, c’era quello di N, beatamente immerso in un sonno profondo.
Il cuore di Kim saltò un battito,
mentre le sue guance si coloravano rapidamente di rosso.
Lo shock fu tale che la sua mente
ci mise diversi secondi a fare il punto della situazione.
N. N era in camera sua. Nel suo
letto. Insieme a lei. La porta della stanza era sicuramente chiusa a chiave, la
sera prima. Una delle sue braccia le circondava la vita. Dormiva. N dormiva. Da
quanto era lì? Aveva una ciocca di capelli che gli sfiorava il naso. Era lì, a
un palmo di distanza da lei. Com’era entrato? Quell’espressione pacifica e
rilassata lo faceva sembrare un bambino. Il letto era troppo piccolo per starci
in due. Faceva caldo. Sentiva il suo respiro solleticarle il collo. Che cosa
stava succedendo?
C’è
un fottuto stalker nel mio letto.
Appena la realizzazione la colpì,
Kim si raddrizzò di scatto, andando a picchiare la testa contro la mensola
soprastante, e strillò così forte da sentire poi male ai polmoni.
N doveva essere un tipo dal sonno
pesante, perché la sua reazione consisté in un semplice sbadiglio. «Che hai da
urlare tanto di prima mattina?» chiese, strofinandosi gli occhi col dorso della
mano.
Kim stava ancora cercando di
riprendersi dallo spavento. «Tu... tu...» Affannata e col cuore a mille, non
riusciva nemmeno a trovare le parole per esprimersi.
«Kim, tutto bene?» gridò Lee, dalla
stanza accanto, la voce impastata dal sonno e da un chiaro sbadiglio verso la
fine. «Hai di nuovo dato una testata alla mensola?»
Beh,
anche quello. pensò Kim, chiedendosi se le capitasse
poi così spesso. Evidentemente sì.
N si tirò a sedere, lo sguardo
vacuo di chi è ancora per metà nel mondo dei sogni. «Devi stare più attenta.»
le disse. «Se ti facessi male, io e Lee...»
Per tutta risposta, Kim lo spinse
giù dal letto e lo calpestò mentre si catapultava ad aprire la porta. Quando lo
fece, andò a sbattere dritta contro Lee, che era uscito dalla sua stanza nello
stesso momento.
«Ehi.» le disse, prendendola per le
spalle prima che perdesse l’equilibrio. «È tutto a posto? Che cosa... oh.»
s’interruppe, notando il ragazzo steso sul pavimento della camera di Kim.
«Era nel mio letto. Nel mio letto, capisci?» esclamò lei, quasi
istericamente. «E ora levati, devo andare a controllare se sono ancora
vergine.» Lo scostò bruscamente, liberandosi dalla sua presa per fiondarsi in
bagno.
Lee si grattò la testa, ancora un
po’ intontito. «...è ancora vergine,
vero?» chiese, con il massimo della minacciosità che il suo tono assonnato
potesse conferirgli.
Massaggiandosi il petto, su cui Kim
aveva avuto la grazia di passare sopra, N si mise in piedi. «Chissà...» disse,
pensieroso.
Proprio in quel momento, dal bagno
giunse un urlo straziato.
«Kim!» esclamò Lee, temendo il
peggio.
Per qualche secondo non ci fu
risposta, ma Lee ebbe l’impressione di sentirla imprecare sottovoce.
«Ho sbattuto il ginocchio contro lo
spigolo della doccia.» disse alla fine Kim, il dolore ancora chiaro nella sua
voce. «Tutto regolare.»
Lee sospirò di sollievo. Kim era
una calamita naturale per gli spigoli, lo sapeva, ma la sua abitudine di urlare
ogni volta che si scontrava con uno di questi l’avrebbe fatto morire giovane.
*******
«Kim... sono ore che camminiamo,
vuoi deciderti a fermarti?» supplicò Lee, scavalcando l’ennesima radice.
«O almeno... a rallentare il
passo...» aggiunse N, ansimante.
Lei neanche li stava ascoltando:
continuava ad avanzare, convinta, verso il folto della foresta. Ogni tanto
borbottava qualcosa tra sé, spesso inciampava e almeno ogni cinque minuti
sbuffava rumorosamente, ma non accennava a fermarsi.
«L'abbiamo persa...» disse Lee,
scoraggiato. «Certo che potevi evitare di farla arrabbiare così...»
N si mise sulla difensiva. «Non
l'ho fatta arrabbiare. È lei che si è arrabbiata.»
«È la stessa cosa.»
«No, non lo è.»
Lee sospirò, esasperato. Tra l'uno
e l'altra, non sapeva dire chi fosse più infantile ed irritante. «Avanti, Kim,
solo cinque minuti!» la chiamò nuovamente. «Questa cosa non ha senso.»
N annuì, concorde. «Non possiamo trovare
la Pietra Nera, finché non diventiamo veramente amici. È così che dice la
Leggenda.»
«In culo la Leggenda.» disse Kim,
le prime parole che uscivano dalle sue labbra da almeno due ore. «I sassi sono
sassi. Non appaiono perché sentono chissà quale potere dell'amicizia
avvicinarsi. Quindi la troverò e mi toglierò N dai piedi una volta per tutte.»
Lee non sembrava molto soddisfatto
della spiegazione. «E stiamo vagando in questo bosco, senza una meta,
perché...?»
«Perché era il posto più vicino a
casa e mi sembrava un buon punto di partenza.»
«Mi sembra logico.» sospirò Lee,
poco convinto. Personalmente, pensava che la storia della Pietra fosse una gran
baggianata e che non l'avrebbero trovata proprio da nessuna parte, Grande
Potere dell'Amicizia o meno. «Ma rimane una perdita di tempo.»
«Forse non del tutto.» obiettò N,
nonostante avesse il fiatone per il tanto camminare. «In fondo, dobbiamo
lavorare sul nostro rapporto. Finché stiamo insieme, ci sono sempre possibilità
di miglioramento.»
Lee alzò un sopracciglio. «Sei
sempre troppo ottimista, tu.»
«Ma è per questo che mi volete
bene.» trillò N, improvvisamente più allegro.
Sia Lee che Kim fecero una smorfia.
«No, per niente.» dissero, perfettamente all'unisono.
N gonfiò una guancia, deluso. «E dire
che sei stato così carino con me, ieri sera.» borbottò.
Al solo ricordo, Lee si sentì
arrossire. «Non tirare mai più fuori
quella storia. Voglio solo dimenticarmene.»
«Bugiardo. Hai detto che mi avresti
aiutato.»
«A rendere Kim meno stressata, non
a soddisfare i tuoi bisogni di maniaco sessuale.» sbottò Lee. «E, credimi, dopo
quello che è successo ieri, è già tanto se ti parlo. Non sfidare la tua
fortuna.»
«Ooooh, questa sì che era una
minaccia.» ridacchiò N. «Sto tremando tutto.»
Lee gli lanciò un'occhiataccia, ma
non rispose alla provocazione. «Allora, Kim, vuoi per piacere fer-... Kim?» Il
ragazzo si fermò di scatto e N, che gli era dietro di qualche passo, andò a
sbattere contro di lui.
«Ahi...» si lamentò l'ex leader del
Team Plasma. «Non fermarti così all'improvviso. Mi hai...»
«L'abbiamo persa.» disse Lee, la
voce che tradiva un certo shock.
«Sì, sì, è completamente partita...
l'hai già detto.»
«No.» Lee si voltò verso di lui.
«No, intendo dire che Kim non c'è più.»
«...oh.»
*******
«Bleah!»
Kim quasi saltò per lo spavento,
quando una ragnatela le si appiccicò alla faccia.
«Schifo, schifo, schifo, schifo!»
esclamò, cercando di togliersela di dosso, nel panico. «Lee, dammi una mano, ho
preso in pieno una... bleah...» sputacchiò un filo che le era rimasto incollato
sulle labbra. «Che schifezza. Lee?»
Si voltò, intenzionata a
rimproverare l'amico per non essere venuto immediatamente in suo soccorso, ma
dietro di lei c'erano solo alberi. Girò su se stessa un paio di volte,
sconcertata, ma lo scenario era sempre lo stesso: alberi, alberi, alberi.
Nessuna traccia né di Lee né di N.
Rabbrividì.
«Beh, non ho mica cinque anni.»
disse tra sé, scuotendo la testa. «Posso trovare quella stupida pietra anche da
sola. Anzi, poi dovranno essermene grati!»
Ma le foglie e il muschio
iniziavano a tingersi di un colore rossastro, col calare del sole, e la sua
voce non aveva tutta la sicurezza che avrebbe voluto.
Inspirò ed espirò profondamente,
cercando di tranquillizzarsi. «Va tutto bene.» si disse. «È tutto assolutamente
a posto. Sono un'allenatrice. La migliore di tutta Unima, senza dubbio.»
Ma
che cos'è un'allenatrice, senza i suoi pokémon?
«Ho tutto sotto controllo.»
Ne
sei sicura?
«Non è la prima volta che passo la
notte fuori.»
Non
senza Porchetta.
«Il bosco non mi spaventa.»
Dovrebbe.
«IL BOSCO NON MI SPAVENTA!»
Un frullare di ali e il fruscio
delle foglie rivelarono la fuga di alcuni uccelli dagli alberi vicini.
Kim inspirò nuovamente. «Non
tornerò indietro. Ho deciso di fare questa cosa e arriverò fino in fondo. Con o
senza i miei pokémon, con o senza Lee. Io sono io. Ce la posso fare.»
Un'improvviso senso di calma la
pervase. Ecco, erano quelle le parole magiche. Quelle che riuscivano a
scacciare la paura, ogni volta. A renderla più forte. A fare di lei... lei. Non era niente, senza quella cieca
determinazione.
Ce l'avrebbe fatta. Di sicuro.
Riprese a camminare e d'un tratto
si rese conto che non stava più vagabondando. Aveva una meta, non proprio
precisa, ma presente; come se qualcuno gliel'avesse infilata in fondo al
cervello, vicino alla nuca. Gli alberi non erano più tutti uguali. Le radici
non la facevano più inciampare nell'incertezza dei suoi passi. Perfino il
diverso colore del muschio sulle rocce aveva un senso.
Iniziò ad accelerare, eccitata. Era
vicina. Doveva esserlo. Nardo e le sue teorie sull'amicizia potevano
tranquillamente andare a quel paese: il bosco stava guidando lei, lei sola,
verso la Pietra. Lo sentiva nello stomaco.
A
destra dopo le baccarance. Seguo il corso del ruscello. Arrivata alla roccia a
forma di Boldore, a sinistra.
Più sentiva di starsi avvicinando
alla sua meta, più l'eccitazione saliva. Forse la chiave era sempre stata
l'essere da sola, ma non ne aveva mai avuto l'occasione. Gira che ti rigira,
erano mesi che aveva sempre intorno qualcuno: sua madre, Nardo, il Team Plasma,
i Capipalestra, Lee...
Di colpo, Kim si fermò.
Lee.
Sarebbe stato fiero di lei, quando
fosse tornata con la Pietra? Gli sarebbe dispiaciuto non esserci? Avevano
sempre fatto tutto insieme, da quando era iniziata quella faccenda degli Eroi.
In un certo senso, non sembrava giusto che la storia finisse con lei sola.
Scosse la testa, lievemente confusa
da quei pensieri. No, non era il momento di avere dubbi. Lee sarebbe stato
certamente felice di poter tornare alla sua vita di tutti i giorni, esattamente
come lo sarebbe stata lei. Ma ora era sicuramente preoccupato da morire, quindi
era meglio fare in fretta e tornare da lui.
E
da N,
aggiunse, ripensandoci. Starà sicuramente
piagnucolando come un bambino. Arceus non voglia che io debba avere sulla
coscienza tutte quelle lacrime.
Mosse un passo avanti a sé e poi un
altro. Lo sconcerto le salì su per la spina dorsale, facendola rabbrividire, e
le si insinuò nella gola, seccandola. Arrivò poi al cuore, che iniziò a battere
all'impazzata.
La foresta era buia e silenziosa.
Faceva particolarmente freddo, per essere una notte estiva. E lei non aveva più
la minima idea di dove dovesse andare.
*******
«Quella... quella dannata scema!»
esclamò Lee, dando un calcio a una roccia lì vicino. «Ma si può?»
«Sì, è proprio una sconsiderata.»
confermò N.
«Gliel'ho detto mille volte, di
avere più coscienza di ciò che le accade intorno...»
«Infatti, esatto.»
«E lei cosa fa? Si separa dal gruppo!
Questa va nella Top 10 delle cose più stupide che abbia mai fatto.»
«Insieme allo sparare Porchetta da
un cannone?»
Lee sembrò valutare la cosa
abbastanza seriamente. «Beh, ok, forse nella Top 15. Comunque. Scommetto che
non si è neanche accorta di averci perso. Sarà ancora tutta immersa nel suo
"Devo trovare la Pietra per evitare che N mi molesti nel sonno". Sai,
in sostanza tutta questa situazione è colpa tua.»
«Mia? Non le ho mica detto di
andare a perdersi nel bosco! Cosa sono, la matrigna di Hansel e Gretel?»
«È un paragone più azzeccato di
quanto credi.» disse Lee, sorpreso lui stesso. Dopo tutto, era Hansel quello
che si inventava di lasciarsi dietro le briciole di pane. Senza di lui, Gretel
sarebbe stata mangiata dalla strega già la prima volta.
«Non la prenderò come un'offesa, ma
solo perché sei chiaramente agitato e poco lucido.»
Lee continuava a camminare avanti e
indietro, cercando di capire cosa fare. «Ormai è buio. Non ha nemmeno i suoi
pokémon dietro. Finirà per farsi uccidere!» Tirò un altro calcio all'aria,
frustrato. «Avrei dovuto stare più attento, accidenti.»
«Hai ragione. Hai assolutamente
ragione.» concordò N, in tono condiscendente, come se non lo stesse nemmeno
veramente ascoltando.
«E tu, come fai a essere così calmo
anche in un momento del genere?» esclamò Lee, al limite della sopportazione.
«Kim è sparita - conoscendo il suo senso dell'orientamento, si è completamente
persa-, è praticamente notte, il bosco è pieno di pokémon selvatici e non
sappiamo come trovarla. Se tieni a lei quanto dici, come fai a non essere
agitato?»
N sbatté un paio di volte le
palpebre, come se non avesse capito esattamente il senso di quelle parole. «Chi
ha detto che non sappiamo come trovarla?» chiese, semplicemente.
Lee lo fissò con uno sguardo stralunato.
«Cosa? Non dirmi che stai per tirare fuori un altro dei tuoi strani poteri da
ragazzo selvatico, tipo "posso fiutare la sua pista", perché sarebbe ridicolo.»
Per rendersi più chiaro, N tirò
fuori da una tasca dei pantaloni un aggeggio simile a un piccolo cellulare e
fece cenno a Lee di avvicinarsi.
Lui sbirciò lo schermo,
riconoscendovi lo sfondo verde quadrettato caratteristico dei radar.
«Vedi questo puntino blu? Siamo
noi.» spiegò N, indicandolo col dito. «Mentre quello rosa, qui sopra...è Kim.»
Lee era completamente sconcertato.
«Come fai a...? Da quanto...? Cosa?»
N diede un lieve colpo di tosse,
imbarazzato. «Ho messo un GPS nel suo cappello. Beh, è una lunga storia.
Andiamo a prenderla.»
«E che cosa stavi aspettando per
dirmi che avevi un affare del genere? Ero in ansia!»
«Beh, è che sei carino quando vai
nel panico. E non ti succede tanto spesso.» spiegò N, innocentemente. «Volevo
godermi il momento.»
Lee si sentì nuovamente arrossire,
ma lo ignorò. «Sbrighiamoci a trovare quella generatrice di sventure e torniamo
a casa, per favore.»
Tra un commento di N su
"quanto Lee fosse assolutamente adorabile quand'era in ansia" e
l'altro, ci misero più o meno mezz'ora a trovare il punto indicato dal
Kim-radar.
Quando Lee scorse la familiare
sagoma della sua migliore amica, in piedi al centro di una piccola radura, non
poté trattenere un sospiro di sollievo. «Kim!» la chiamò, andandole incontro.
Lei si voltò, sorpresa. «Lee!»
esclamò, un attimo prima di essere soffocata in un abbraccio. «Che cosa ci fate
qui? Credevo che ormai ve ne foste tornati indietro.»
«Lasciandoti da sola nella foresta,
pronta ad essere mangiata dal primo Garbodor che passa? Sì, come no.» soffiò
Lee, lasciandola andare per darle un buffetto sulla guancia. «A proposito, sei
tutta intera?»
Kim gli rispose con un mezzo
sorriso. «Beh, diciamo così.» disse. «Ma penso comunque che dovreste tornare a
casa. E in fretta.»
Lee aggrottò le sopracciglia. «Eh?»
«Beh, ecco... credo di aver fatto
arrabbiare il Dio della Foresta.» ridacchiò Kim, senza traccia di allegria.
«Oppure gli alberi. O la Pietra. Non saprei esattamente.»
«Di che stai parlando?» Lee proprio
non riusciva a capire che le fosse preso. Era la prima volta che la sentiva
dire tante cose strane tutte insieme. «Sei sicura di non essere stata morsa da
qualcosa di velenoso? Ti fa male la testa?»
Kim scosse forte il capo e si
allontanò di un passo. «Sto bene. Ma dovete
andarvene.»
Lee fece per aprir bocca, ma N gli
toccò una spalla. «I pokémon... sono agitati.» disse, piano. «Qualcosa di brutto
si sta avvicinando. Qualcosa di pericoloso.»
«Cercano me.» disse Kim,
stringendosi nelle spalle. «Chiunque sia, è arrabbiato con me.»
«E allora doppiamente col cavolo
che ti lasciamo qui!» esclamò Lee, afferrandole il braccio. «Ti è completamente
partito il cervello? Non ricominciare con quelle stronzate del "io sono
io".»
Kim si morse un labbro. «Ti ho
detto di andartene. Non voglio più coinvolgerti nelle stupidaggini che faccio.»
«Sono io che mi coinvolgo, razza di scema!» Le strinse più forte il braccio,
finché non capì dalla sua espressione che le stava facendo male. «E ti
riporterò a casa con la forza, se necessario, quindi spiegami cosa accidenti
sta succedendo!»
Gli occhi di Kim si abbassarono e
vagarono sul terreno, da una parte all'altra. «Non c'è tempo...» disse tra i
denti, probabilmente più a se stessa che non a Lee.
«Kim.»
«Non lo so neanch'io, ok?» disse la
ragazza, spazientita. «C'era... questa cosa,
questa sensazione, che mi ha guidata per la foresta. Pensavo che fosse la
Pietra, così l'ho seguita, ma poi... poi ho pensato a te e la sensazione è
scomparsa e all'improvviso non sapevo più dov'ero. Ma da quel momento ho
iniziato a sentire come... delle vibrazioni negative, come quando mangio il tuo
tiramisù e qualche ora dopo tu apri il frigo e io so che stai per venire a sgridarmi...»
«Tu hai decisamente inalato il veleno di qualche pianta velenosa.»
disse Lee, attonito.
«Ascoltami!» insisté Kim, una nota
di paura nella voce. «Lo so che è assurdo, non lo capisco per niente nemmeno
io. Ma devi credermi, se ti dico che non sta per accadere nulla di buono.»
«Sono d'accordo con Kim.»
s'intromise N, nervoso. «Anche perché ormai siamo circondati.»
«Eh?!»
«Cazzo.» imprecò Kim, tra i denti.
Anche senza strane sensazioni
pseudo-magiche a rivelarne la presenza, ormai era evidente un fastidioso
gracchiare proveniente dal limitare degli alberi, così come il luccicare di
molte pupille nell'oscurità. L'aria incominciò a farsi pesante.
«Che cosa sono?» chiese Lee,
sottovoce, cercando nel frattempo di capire quanto fossero superiori
numericamente.
«Pokémon Uccello, questo è sicuro.»
disse N.
«Vullaby.» rispose Kim, d'istinto.
«E anche qualche Mandibuzz, sicuramente. Non lasciano i piccoli andare a caccia
da soli.»
«Yuppie.» fece N, sarcastico.
Lee ridacchiò nervosamente. «Beh,
forse non sono tanto arrabbiati con te... voglio dire, i Vullaby non sono
questa gran cosa...»
«Sono almeno trenta.» lo informò Kim. «Ma, se vuoi, puoi anche andare di persona
a dirgli che "non sono questa gran cosa".»
I tre deglutirono all'unisono. La
situazione non volgeva affatto a loro favore: Kim non aveva dietro nessuno dei
suoi pokémon, il che la rendeva essenzialmente inutile (a meno che non avesse
deciso di battersi lei stessa, ma non era proprio il caso), N, conoscendolo,
era uscito con l'idea che qualunque "caro e dolce pokémon selvatico"
avessero incontrato sarebbe stato docile di fronte a qualche bacca e Lee...
beh, Lilligant era alla Pensione insieme a Simisear, il che lasciava ben poche
possibilità. Se ricordava bene, aveva infilato nello zaino solo un paio di
pokémon, giusto per sicurezza.
«Siamo nella merda.» dichiarò,
abbattuto.
«Fino al collo.» confermò Kim.
«Beh, cerchiamo di tirarcene
fuori.»
Lee tirò fuori le sue due pokéball,
pregando nel suo cuore che potessero bastare. Dovevano bastare.
Aspettò in silenzio, col fiato
sospeso, che tra gli alberi ci fosse qualche movimento sospetto. I Vullaby
stavano evidentemente aspettando il momento propizio per attaccare.
Un frullio d'ali fu il segnale. E,
nonostante la sua discrezione, Lee ne sentì chiaramente il significato, come un
urlo: "Scatenate l'inferno!"
«Zebstrika, Unfezant! Andate!»
I Vullaby si riversarono nella
radura, simili al dilagarsi di una nera macchia d'olio nell'oscurità. Gracchiavano,
affrettandosi in quella loro sgraziata e così poco minacciosa andatura da
pinguini, fissando le loro prede con uno sguardo decisamente cattivo.
Diverse saette partirono da
Zebstrika, mandandone a tappeto parecchi alla volta, mentre Unfezant si
scagliava sugli altri, ferendoli con becco, artigli e tutto quello che poteva.
Ma non era abbastanza. Erano veramente troppi.
«Dannati uccellacci!» esclamò Kim,
rispedendo indietro con un calcio uno di quelli che erano riusciti ad
avvicinarsi. «Non finiscono mai!»
«Faccio quello che posso.» si scusò
Lee, concentrato a dare indicazioni ai suoi pokémon. «Non so per quan-Zebstrika, Superfulmine!»
Le cose andavano di male in peggio.
I Vullaby prima o poi avrebbero trovato un'apertura e li avrebbero massacrati,
a dir poco.
Lee strinse i denti. Non poteva
finire così. Non avrebbe permesso che finisse così. Non dopo aver detto che
l'avrebbe riportata a casa.
D'improvviso, un vento fortissimo
li investì, sconcertando i pokémon selvatici tutt'intorno.
«Vorticerba!» urlò una voce, dal
limitare della foresta.
I Vullaby ebbero quindi la loro
prima esperienza di volo, perché vennero tutti sollevati dal terreno e feriti
da un turbinio di foglie affilate.
Lee alzò lo sguardo e strizzò gli
occhi, cercando di capire da dove fosse provenuto l'attacco.
Ma nulla aveva una grande
importanza, se non che le sue preghiere erano state ascoltate.
Qualcuno era venuto a salvarli.